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Sant’Antonio di Ranverso, un tesoro nascosto a due passi da Torino Alle porte della Val di Susa un posto dove il tempo si è fermato

Una gita a due passi da Torino. Se amate l’arte e pensate che il Medioevo sia stato tutt’altro che “i secoli bui”, allora non potete perdervi la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso. Ho scoperto questo tesoro nascosto in un pomeriggio assolato di fine settembre. Ne avevo sentito parlare, e più volte mi ero ripromessa di visitarlo ma, come talvolta accade con i luoghi tanto vicini alla mia città, rimandare diventa una spiacevole routine.

Ecco, se siete vicini e non ci siete ancora stati non rimandate!
La precettoria trasuda una storia millenaria. Ma non quella storia fatta solo di date e nomi solenni. Piuttosto una storia di quotidianità, di lavoro e giorni uguali gli uni agli altri, una storia di cui è rimasta una traccia forte fino ad oggi.

Tra Buttigliera Alta e Rosta, a pochi chilometri da Avigliana, dalla strada principale si diparte una strada più piccola, adombrata da alberi centenari. Sulla sinistra sorge la facciata della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, che racconta la sua storia già dal nome.

Dedicato al culto di Sant’Antonio e situato sul rivus inversus, ovvero sulla riva sinistra della Dora. Siamo sulla traccia di una delle antiche vie Francigene, su un tratto che si è mantenuto quasi intatto fin dal Medioevo. I pellegrini in marcia da molti chilometri, provenienti da sud e diretti verso Francia e Spagna e verso San Giacomo di Compostela, o quelli che si lasciavano alle spalle i monti per dirigersi verso Torino e poi verso Roma e la Terrasanta, dovevano senza dubbio essere confortati dal suono delle campane, ancora prima di scorgerne la bella facciata. Questo luogo, dove viveva una piccola comunità di monaci antoniani era luogo di sosta e di riposo e soprattutto era un Ospitale, ovvero il luogo dove i pellegrini malati potevano essere curati, rifocillati e rimessi in forze perchè potessero giungere a destinazione.

l’Ospitale

 

le ghiande, il cibo dei maialini, nelle decorazioni

Sant’Antonio abate fu un monaco eremita egiziano, per la precisione uno dei primi eremiti e in assoluto il primo abate. La leggenda vuole che ebbe una visione in cui un eremita come lui occupava la propria 
giornata dividendo il tempo tra la preghiera e l’intreccio di una corda. Da
questo dedusse che, oltre alla preghiera, ci si doveva dedicare a
un’attività pratica.

Durante i primi anni del suo isolamento visse tentazioni fortissime, nella forma di dubbi che lo spronavano ad abbandonare la vita anacoretica. Le leggende narrano che più volte egli lottò contro il demonio e venne duramente percosso. Sul Mar Rosso egli rimase in  una grotta per ben venti anni, con i fedeli che due volte all’anno gli facevano arrivare il pane per nutrirsi. A un certo punto intorno a lui e al suo luogo di raccoglimento si radunò una così folta schiera di discepoli che egli uscì dall’eremitismo per dedicarsi a guarire ammalati e posseduti. Visse i suoi ultimi anni nel deserto della  Tebaide  dove, pregando e coltivando un piccolo orto per il proprio sostentamento, morì all’età di 105 anni.
Se conoscete l’iconografia di Sant’Antonio Abate lo ricorderete rappresentato con molti animali, ma sempre immancabile è il maialino. Anche qui a Sant’Antonio di Ranverso i monaci allevavano i maiali e grazie alle proteine della carne riuscivano a rinvigorire i pellegrini; ma soprattutto, e questo li rese famosi, grazie a impacchi fatti con il grasso di questi animali, riuscivano ad isolare le piaghe provocate da  alcune malattie della pelle. Tra queste anche quello volgarmente chiamato Fuoco di Sant’Antonio, l’herpes zoster, molto diffuso nel Medioevo. I maiali di sant’Antonio avevano un Tau tatuato sulla schiena, anche questo simbolo del santo, che ricordava la forma del suo bastone.

 

A Ranverso ritroviamo i segni tangibili di tutta questa storia: la costruzione dell’Ospitale – foresteria dove venivano ospitati i pellegrini, la strada che costeggia i terreni della precettoria, tratto ben conservato dell’antica via Francigena che può condurvi con una passeggiata facile e in piano fino ad Avigliana, i giardini dove un tempo i monaci coltivavano semplici, medicamenti e ortaggi, le querce che grazie alle ghiande davano sostentamento ai maiali ed infine la chiesa.

Entrando in chiesa vi mancherà il fiato per l’atmosfera. Gli affreschi quattrocenteschi di Giacomo Iacquerio, quando precettoria e ospitale erano già appartenenti e finanziati dai Savoia, danno un’idea di quella che doveva essere la decorazione medievale. I colori sono vividi e decisi, i volti sono di un’espressività commovente…tanto che vi chiederete come mai questo capolavoro, fuori dai più noti circuiti turistici, sia quasi dimenticato. Non aggiungo di più. Solo immagini che spero possano darvi un’idea di quello che c’è a Ranverso.

 
 
 
 
 
 
 
Piccola nota: se vi trovate qui e volete fare merenda a 5 minuti di macchina da qui, a Buttigliera Alta, ha appena aperto PaneMadre, la panetteria con laboratorio di Marco Giaccone. Tutti prodotti con lievito madre, farine biologiche, cura nel dettaglio e lievitazione naturale alla francese.
 
[fonti: http://www.valsusaweb.com/ranverso/
http://www.ordinemauriziano.it/precettoria-di-santonio-ranverso
https://www.google.it/search?q=sant%27antonio+abate&client=firefox-a&hs=3v9&rls=org.mozilla:it:official&channel=sb&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ei=agJdVLjIKYXeaqzRgKgM&ved=0CAkQ_AUoAg&biw=1205&bih=689#imgdii=_
http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_abate]
 

E per rifocillarvi dopo la visita niente di meglio che cercare un posto dove gustare il Menù del Pellegrino. Oppure se siete vicini a casa, potete tornare e riscaldarvi con questa calda e corroborante zuppa.

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