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Mezzelune ai funghi e ricotta con sugo di champignons e pomodorini

La ricetta perfetta per questi giorni: i primi funghi, gli ultimi pomodorini, un connubio di sapori perfetto.
Potrei pubblicare meravigliose ricette con porcini, se ne avessi sottomano… ma non ne ho, quindi accontentatevi di questi ravioli. Perchè talvolta c’è bisogno di cose semplici.

La ricetta: Mezzelune ai funghi e ricotta con sugo di champignons e pomodorini
(per 2 persone)

150 g di farina di semola di grano duro
acqua tiepida
sale

150 g di ricotta di bufala
200 g di funghi champignons
1 manciata di funghi misti secchi ammollati qualche ora in acqua calda
1 spicchio d’aglio
mezzo bicchiere di vino bianco
una decina di pomodorini datterino

Per la sfoglia.
Impastare insieme la farina e l’acqua con un pizzico di sale, fino a formare un impasto lavorabile e liscio, ma sodo. Lasciar riposare per una mezz’ora.

Per il ripieno.
Tenere da parte alcuni champignons per il sughetto. Lavare e tagliare a pezzetti gli altri. In una padella mettere due cucchiai d’olio e rosolarvi l’aglio leggermente schiacciato sul tagliere. Nel frattempo tagliare a pezzetti anche i funghi secchi ammollati. Quando l’aglio ha dato sapore all’olio, toglierlo e aggiungere i funghi; farli insaporire e ammorbidire, sfumando con il vino bianco. Regolare di sale e pepe e portare a cottura. Quando i funghi sono pronti, frullarli assieme alla ricotta ben scolata (o passare tutto insieme al passaverdura).

Per i ravioli.
Stendere la sfoglia molto sottile e ricavarne tanto cerchi con un bicchiere o un coppapasta del diametro di 8 cm. Mettere una pallina di ripieno su ogni cerchio e richiudere a mezzaluna, schiacciando bene i bordi.

Per il sugo.
Mentre si porta l’acqua a bollore, preparare il condimento rosolando in olio il secondo spicchio d’aglio. aggiungere gli champignons rimasti, puliti e tagliati molto sottile e seguirli nella cottura in modo da non dover aggiungere acqua e farli diventare asciutti e ben rosolati. Quando si gettano i ravioli nell’acqua bollente, aggiungere agli champignons anche i pomodorini tagliati in quarti. Regolare di sale e aggiungere le foglioline di maggiorana.
Scolare i ravioli dopo un paio di minuti che sono affiorati in pentola e metterli direttamente in padella con il sughetto, saltandoli per un paio di minuti.

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Il peperone nel raviolo e la 65° Sagra del Peperone di Carmagnola

Oggi vi parlo di peperoni e della Sagra del Peperone che si svolge a due passi da Torino, a Carmagnola dal 29 agosto al 7 settembre e che è giunta ormai alla 65° edizione.

Il 30 agosto, grazie all’invito del Comune di Carmagnola, sono stata lì, tutta la giornata, con Turismo Torino, per conoscere un po’ di più la città, alcuni dei suoi produttori e la sua Sagra, una vera e propria istituzione per il territorio. Nel frattempo avevo già fatto il pieno di peperoni, meraviglioso frutto estivo, che insieme alla melanzana mi fa proprio impazzire e la settimana passata ho condiviso sulla mia pagina Facebook le vecchie ricette a base di peperoni.
Un capitolo tutto suo lo merita il Povron ëd Carmagnòla, il peperone di Carmagnola, prodotto in moltissimi comuni della provincia di Torino e in alcuni della Provincia di Cuneo.
Le varietà sono 4 e i loro suggestivi nomi in piemontese sono: il Bragheis, quadrato, il Long, ovvero il famoso Corno di Bue, presidio Slow Food, il Trottola, conosciuto anche come peperone Cuneo ed infine il Tomaticòt.

peperone quadrato di Carmagnola
Il peperone è giunto a Carmagnola nei primi anni del ‘900, e quindi in epoca relativamente recente, introdotto un orticoltore di Borgo Salsasio, ma qui ha trovato un microclima ideale. Era una pianta piuttosto giovane per l’Europa, avendo preso piede come ortaggio commestibile soltanto nell’800. In precedenza, dopo la scoperta dell’America era sì, conosciuto – Leonardo da Vinci, ad esempio estraeva dal peperone alcuni pigmenti per i suoi dipinti – ma apprezzato soltanto come pianta ornamentale. Questo non stupisce se si pensa ai suoi grandi frutti, colorati e gonfi come palloni.

Il tour di sabato, però, non era dedicato soltanto al peperone ma anche al territorio carmagnolese, ricco di spunti di ogni genere, e la Sagra può fungere da pretesto per una visita più approfondita alla scoperta dei suoi tesori. 
Parliamo intanto dell’Abbazia di Casanova, antica abbazia cistercense risalente nel suo impianto originario al XII secolo, situata lungo una delle vie francigene, che conobbe uno sviluppo ininterrotto fino al XVI secolo quando venne ceduta ai Savoia. Distrutta quasi completamente da un rovinoso incendio, la facciata attuale è in stile tardo barocco piemontese, mentre il resto del monastero e l’interno della chiesa si devono all’intervento di Giovanni Tommaso Prunotto, allievo di Juvarra, nella metà del secolo XVIII. All’interno perfettamente conservati stucchi di pregio e alcuni arredi, e gli affreschi del Guidobono e di Crivelli, mentre è da segnalare una Madonna con bambino del ‘400.

Menzione d’onore all’Ecomuseo della Canapa, in Borgo San Bernardo, per me un vero tesoro. L’Ecomuseo preserva la memoria storica di un territorio in cui le aziende a conduzione familiare che si dedicavano alla produzione di corde erano più di 800 nel XIX secolo. La signora Caterina, con chiarezza e passione, ci ha accompagnato nella scoperta della pianta della canapa, mostrandoci come veniva ricavata la fibra e come venivano poi prodotte le corde. La pianta di canapa veniva lasciata macerare e poi la fibra veniva separata dalla parte più legnosa. La fibra veniva “filata” con l’aiuto di un macchinario, anche se gran parte del lavoro era svolto a livello manuale, e con qualsiasi condizione atomosferica, spesso all’aperto, vista la necessità di un’area di lavoro “lunga”.

I fili ottenuti venivano poi intrecciati grazie all’utilizzo di una sorta di argano e a una spoletta. La spoletta, a seconda della corda che si voleva ottenere variava di dimensione e di scanalature.
La corda veniva poi bagnata e ripassata con una maglia di ferro che la rendeva liscia.

Il territorio carmagnolese ha rifornito di cordami la marina italiana per secoli, ma esisteva un tipo di corda per ogni uso e le lavorazioni erano molte.

Il giro nel centro storico mi ha piacevolmente stupito, gli scorci da scoprire sono davvero tanti. Ma l’orgoglio dei Carmagnolesi, assieme alla chiesa Collegiata dei Santi Pietro e Paolo, è l’interno di Casa Cavassa, con i soffitti a cassettoni tra i più belli della provincia torinese.
Peccato non aver potuto visitare la Sinagoga barocca, tra le più belle d’Italia, segno della presenza a Carmagnola di una fiorente comunità che sfiorava, prima dell’emancipazione del 1848, circa le 200 unità.

Non si poteva organizzare un tour a Carmagnola senza dare un esempio dei produttori gastronomici di eccellenza che con passione danno lustro alla città.
I produttori di peperoni, ovviamente; uno fra tutti La Ca Veja, azienda agricola e agriturismo dove abbiamo anche pranzato a base di peperone di Carmagnola, passando per il porro dolce lungo e per il coniglio grigio, tutte eccellenze del territorio.



Una nota va all’entusiasmo contagioso della signora Chiara di C’era una volta una ricetta, che produce nel suo laboratorio artigianale deliziose conserve a base di prodotti dell’orto, con un occhio alla tradizione e l’altro alla sperimentazione. Recentemente è stata aggiunta anche una linea di pasticceria secca. I colori e i profumi delle sue conserve mi hanno letteralmente conquistata e meritano sicuramente una seconda visita.

Nel centro di Carmagnola si trova, invece, la Pasticceria Di Claudio, dove sono nati il peperone candito e la torta al peperone, oggi presenti in fiera. Anche in questo caso è il sorriso contagioso del titolare a conquistarci, assieme agli infiniti assaggi di tutti i prodotti e alle sue esaurienti spiegazioni: ci dice “diffidate di coloro che dopo tanti anni di lavoro in pasticceria si dicono nauseati dalla dolcezza; vuol dire che non stanno più lavorando con passione“. Anche per noi blogger è così! 😉

Ultimo ma non ultimo, il Carmagnolotto, l’agnolotto tipico di Carmagnola. Presentatomi in anteprima da carmagnolesi DOC, doveva contenere la carne delle vacche anziane e non più produttive, le giore, insieme al porro lungo dolce di Carmagnola, e doveva essere servito nello stesso brodo di carne di vacca o direttamente, nudo, sul tovagliolo. A La Ca’ Veja abbiamo trovato una versione di magro, con la sfoglia di farina di canapa e il ripieno di ricotta di bufala e peperone.
Allora, qual è il vero Carmagnolotto?
Visto che, come al solito, non mi fermo alla prima notizia, ho voluto approfondire: quello di magro è il Carmagnolotto edission limità” nato proprio per venire incontro ai vegetariani e per essere meglio apprezzato durante i giorni ancora caldi della Sagra, mentre dall’autunno potrete gustare nuovamente quello classico di carne.

Sfoglia di canapa a parte, assomiglia al mio raviolo ai peperoni, sperimentato un paio di settimane fa e riproposto in due cene diverse, visto il suo successo.
Un gusto decisamente esplosivo, visto che i peperoni all’interno del ripieno li ho messi a pezzettini, ben rosolati in aglio e acciughe, dopo esser stati passati in forno per eliminare ogni traccia di buccia e renderli digeribilissimi.
Io li ho conditi con un sughetto leggero di pomodorini freschi. Ne rifarò altri, per congelarli, nelle prossime settimane, per gustarli anche in inverno!

La ricetta: Ravioli ai peperoni, con sughetto di pomodorini e cubetti di Macagn

per la sfoglia:
200 g di semola rimacinata di grano duro
125 g di acqua tiepida
1 pizzico di sale

per il ripieno:
200 g di ricotta vaccina asciutta
2 peperoni grandi
2/3 filetti di acciuga
1 grosso spicchio d’aglio
qualche foglia di prezzemolo
olio
sale

Per il ripieno:
Arrostire i peperoni in forno a 200° per 35-40 minuti. Estrarli dal forno e riporli in un sacchetto di plastica per alimenti e chiuderlo bene fino a completo raffreddamento. Poi liberare i peperoni da semi e bucce e tagliarli a quadrettini di un cm di lato.
In una padella, rosolare in due cucchiai d’olio lo spicchio d’aglio appena schiacciato. Abbassare la fiamma e sciogliere i filetti di acciuga, poi aggiungere i peperoni e farli insaporire per qualche minuto, regolando di sale. Aggiungere anche alcune foglie di prezzemolo tagliuzzate fini.

Per la sfoglia, impastare farina e acqua con il pizzico di sale fino ad ottenere una pasta liscia e morbida. Lasciarla riposare sulla spianatoia infarinata, coperta da una ciotola, per circa mezz’ora.

Stendere la sfoglia molto sottile, e formare i ravioli della forma che preferite, con all’interno un cucchiaino di ripieno: questa volta ho usato questo forma-ravioli, badando di inumidire i bordi prima di chiudere il raviolo.

Lessare i ravioli in abbondante acqua salata prima di condirli con il sugo che preferite.
Io ho fatto un sughetto veloce con uno spicchio d’aglio e pomodorini maturi, insaporito da un rametto di maggiorana e arricchito da cubetti di Macagn*.

*il Macagn (o Maccagno) è un formaggio piemontese d’alpeggio, DOP e Presidio Slow Food

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I tortelli di zucca alla mantovana

tortelli-di-zucca-mantovani 
Gonzaga ed Este. Anche senza essere storici è impossibile non conoscere questi due grandi nomi di famiglie rinascimentali. Famiglie che hanno segnato la storia di due grandi città, Mantova e Ferrara, condizionandone le vicende politiche e finanziando grandi opere d’arte e d’ingegno.
Tra queste vogliamo mettere anche il tortello di zucca?
Sì, perché il tortello – o raviolo – ripieno di zucca si sviluppa e si diffonde in alta Italia, su due direttrici che passano proprio per Ferrara e Mantova, per approdare fino a Crema, da un lato, e fino a Parma, Piacenza e Pavia dall’altro.La prima citazione scritta si ha nel 1544 da parte di Cristoforo Messisbugo, cuoco ferrarese che restò per 25 anni a servizio dai Gonzaga a Mantova. Li cita nel suo ricettario con il nome di “turtell” o “riturtell”.

Gianbattista Rossetti, cuoco del duca Alfonso II d’Este, mette per iscritto i “cappellacci” o “ritortelli” ferraresi nel ricettario pubblico dello Scalco nel 1584.

Dalla corte dei Gonzaga e degli Este, con le migrazioni del caso, i tortelli di zucca viaggiano di città in città, soprattutto al seguito degli eccellenti cuochi ebrei, cacciati con gli editti del 1629-30. Durante il viaggio culinario anche gli ingredienti subiscono delle modifiche e dall’originale mantovano e ferrarese si giunge fino a Crema (turtei cremasch) dove è addirittura la zucca a scomparire, mentre restano gli altri componenti del ripieno. Andando verso Piadena (turtel e salsa) e successivamente  verso Reggio Emilia, Parma, Piacenza e Pavia si comincia ad usare il sugo di pomodoro, anche molto abbondante, preparato con cipolla dolce e arricchito da abbondante grana grattugiato.
Altrove si alternano i condimenti – burro fuso e grana, o pomodoro – con la variante di pomodoro e funghi di Parma e Piacenza.
La forma varia da città a città, ma talvolta anche da famiglia a famiglia, da tortello a cappellaccio, da quadrato a rotondo a mezzaluna, con una sfoglia sempre sottile e all’uovo.

Tradizionalmente è il piatto della vigilia di Natale e dei giorni di festa e del giorno di Sant’Antonio.

Per imparare a farli ho guardato la signora Rosa che li prepara per Santa Lucia ed io ho seguito più o meno le sue indicazioni! In realtà una volta li ho fatti anche senza grana grattugiato e sono venuti buoni ugualmente.
tortelli mantovani (01) piccola
 
La ricetta: Tortelli di zucca alla mantovana
 
ingredienti (per 20/22 tortelli – due persone)
per il ripieno:
500 g di zucca da pulire
6/7 amaretti ridotti in polvere
1 cucchiaio di mostarda di mele
2 cucchiai di grana padano grattugiato
pangrattato (se serve per asciugare un po’ il ripieno) 
noce moscata (a piacere)
sale
 
Ho fatto cuocere la zucca in forno, poi l’ho liberata dalla scorza e l’ho frullata. Nella poltiglia di zucca ho aggiunto gli altri ingredienti, mescolando, e assaggiando…finchè il gusto non mi ha convinto. Il pangrattato potrebbe non essere indispensabile, se la vostra zucca è bella asciutta. Il ripieno va preparato la sera prima, così ha il tempo di amalgamarsi per bene in frigo. Il sapore della mostarda diverrà più evidente il giorno dopo, ad esempio. Così vi potrete regolare ed eventualmente correggere il tiro! 😉
 
per la pasta:
200 g di farina 00
2 tuorli 
1 paio di cucchiai di albume
sale
 
Ho sbattuto leggermente i tuorli con un pizzico di sale. Ho messo la farina a fontana sul tavolo e ho versato i tuorli nel centro, cominciando ad impastare. Molto probabilmente, se non avete tuorli di gallina gigante, vi servirà dell’albume per amalgamare tutta la farina… Ad ogni modo l’impasto deve essere piuttosto asciutto.
Fatto un panetto, si lascia riposare avvolto in un panno per mezz’ora. Poi ci si rimbocca le maniche e si comincia a stendere la sfoglia. (Se avete la macchinetta, buon per voi, io ho fatto con il mattarello!!!)
 
Dalla sfoglia che deve essere sottilissima, ho ricavato dei quadrati di 8 cm di lato con un coppapasta. Poi ho deposto su un angolo una pallina di ripieno e ho arrotolato il tortello da un vertice all’altro, avvolgendo la pallina, schiacciando le estremità e congiungendole a tortello…così:
 
 
Quando tutti i tortelli erano pronti, la fatica sta solo nello stendere la sfoglia, li ho fatti riposare in frigo per un po’ ed infine lessati in acqua bollente salata.
 
Il condimento tradizionale è burro fuso e grana grattugiato, ma la zucca si presta anche ad altri abbinamenti.
Io li ho conditi con 25 cm di salsiccia sbriciolata, fatta insaporire in olio evo e vino bianco, e una manciata di pinoli…erano sublimi!!!
 
tortelli-mantovani-con-zucca-e-amaretti
 
Questa volta abbiamo voluto esagerare e ci abbiamo anche abbinato un vino…le nostre ricerche ci indirizzano su un Lambrusco…noi invece ce li siamo pappati con una Bonarda vivace dell’Oltrepò pavese.

 

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