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Triglia Milano-Livorno di Pietro Consorti per “Saranno Famosi”

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20 sous chef italiani, 20 squadre di foodbloggers del network IFood a sostenerli e la partecipazione alla Festa della Rete di Rimini come premio finale, ecco in breve descritto il contest “Saranno Famosi”, una gara a colpi di condivisioni che sta scaldando i social network, in collaborazione con Inalpi e Altissimo Ceto.

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Sedici: l’alchimia dei sapori – il contest – ep. 4 Fruttati Freschi

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Eccoci giunti alla conclusione della terza puntata di #Sedici, e già siamo dentro alla quarta fino al collo!

Partecipazione tiepida, ma ricette molto belle – e noi badiamo più alla qualità che alla quantità – perciò ci tenevamo a ringraziarvi, perchè i fedeli di #Sedici mostrano in realtà grandissimo entusiasmo. Gli abbinamenti più arditi sono ancora pochini, ma contiamo che vi scioglierete sempre più! Read more

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Tonno di coniglio, un piatto antico per tempi moderni

Se l’idea di un “tonno di coniglio” vi evoca alla mente immagini di personaggi mitologici, mezzo leporide e mezzo pesce, allora non siete piemontesi.
Qui in Piemonte il tonno di coniglio è una ricetta diffusa e conosciuta, in particolar modo nelle campagne, che ora sta ripopolando anche i ristoranti più raffinati.
La parola “tonno” fa riferimento alla consistenza del piatto finito e alla sua conservazione sott’olio, mentre la carne utilizzata è proprio quella del coniglio, ma può essere fatto, con risultati ottimi, anche con altri tipi di carne bianca. Il segreto sta proprio nella fase-tonno: la carne bollita a lungo diventa tenera e si sfilaccia, senza disfarsi, ma è l’olio con gli aromi e il riposo a fare la magia. Dopo 24 o ancora meglio 48 ore vi troverete con una carne saporita, tenera, profumata di aglio e salvia e che si conserva a lungo in frigorifero.


Pare che la ricetta sia stata inventata nel Monferrato, ma è attualmente anche una specialità Langarola: in realtà era diffuso in tutte le realtà contadine della regione, per alcuni motivi.
I conigli venivano macellati ma non esistevano i frigoriferi e i congelatori per conservarli, dunque si ricorreva all’olio, il conservante più antico (e sano!) del mondo.
In secondo luogo i contadini lavoravano per molte ore nelle vigne e nei campi, dall’alba al tramonto; il tonno di coniglio era facilmente trasportabile in vasi di vetro, si gustava freddo e poteva essere preparato con anticipo, interrompendo il lavoro giusto il tempo di rifocillarsi.
E infine…perchè è strepitosamente buono: la lunga cottura in un brodo ricco di aromi, insaporisce la carne, l’olio e la marinatura fanno il resto.
Se siete abituati a portarvi il pranzo in ufficio, questa ricetta è assolutamente da provare, con un po’ di insalatina, magari con l’aggiunta di rondelline di sedano e nocciole spezzettate, sarà un pranzo strepitoso.

La ricetta: Tonno di Coniglio (ricetta modificata da Sapori Piemontesi)
1,5 kg di coniglio (cosce e davantini, già pulito, senza le interiora e la testa)
1 cipolla media
1 pezzo di porro
1 carota
2 coste di sedano
2 foglie di alloro
2/3 rametti di timo
1 ciuffo di prezzemolo
2/3 chiodi di garofano
3 grani di ginepro schiacciati
sale

dopo la cottura:
foglie di salvia e spicchi d’aglio a piacere
olio extravergine di oliva

In una pentola capiente mettere tutti gli aromi per il brodo. Portare ad ebollizione, poi salare ed immergere i pezzi di coniglio lavati bene con acqua e aceto. Far riprendere l’ebollizione e far poi sobbollire per un’ora e mezza.
Spegnere e lasciar intiepidire il coniglio nel suo brodo (brodo ottimo, magro, filtratelo e consumatelo come più vi piace).
Quando la carne è tiepida, ripulirla da tutte le ossa e i nervetti e metterla in una ciotola capiente. Condirla con un filo d’olio ed aggiustare di sale, se occorre.
In vasi di vetro disporre il coniglio a strati e su ogni strato mettere un paio di foglie di salvia e uno (o mezzo) spicchio d’aglio, a seconda del vostro gusto. Coprire di olio, eliminando le bolle d’aria e far riposare al fresco per 24 ore.
Se aspettate 48 ore, il vostro tonno di coniglio sarà ancora più buono.

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Sedici: l’alchimia dei sapori – il contest – ep. 1 Agrumati

 
«Imparare a capire come si accostano i sapori, come enfatizzarli a
vicenda, è simile ad apprendere una lingua: vi permette di esprimervi
liberamente, di improvvisare, di trovare i sostituti più azzeccati per un
ingrediente, di cucinare un piatto nel modo in cui volete cucinarlo.
»
Niki Segnit
 
 

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Due ricette per Natale con la Vernaccia di San Gimignano DOCG

« Questi, e mostrò col dito, è Bonagiunta. Bonagiunta da Lucca: e
quella faccia di Ià da lui più che l’altra trapunta ebbe la Santa
Chiesa e le sue braccia: dal Torso fu, e purga per digiuno l’anguille di
Bolsena e la Vernaccia »
[Dante Alighieri, Divina commedia, Purg. XXIV,19-24]
E se già Dante nel Purgatorio citava la Vernaccia con tanta disinvoltura, facendo riferimento a Papa Martino IV, goloso di questo vino, vuol dire che all’epoca era già celebre in diverse parti d’Italia.
Pare che il nome faccia riferimento a Vernazza nelle Cinque Terre, dove si imbarcava per mare una produzione di questo vino; altre ipotesi fanno riferimento alla parola vernaculum che significa “originaria del posto” oppure si legano a Verno, gelido.
La sua produzione pare aver inizio nel 1200 ad opera di un certo Vieri de’ Bardi, che finì nel dimenticatoio al contario del suo prodigioso vino. Nel 1276 la Vernaccia era già celeberrima e pregiata, tanto da obbligare la creazione di una gabella di 3 soldi per ogni soma di vino esportata fuori da San Gimignano.
A seguire questo vino ebbe molti estimatori, da Cecco Angiolieri a Boccaccio, da Lorenzo il Magnifico a Geoffrey Chaucer, solo per citarne alcuni.
Giorgio Vasari immortala nell’allegoria di San Gimignano e di Colle Val d’Elsa, nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a
Firenze, «un
satiro giovane che beve la Vernaccia di quel luogo».

Nel 1610 San Gimignano e il suo vino finiscono addirittura in una guida turistica ante litteram per i primi viaggiatori ad intraprendere il Gran Tour in Italia:

 «cittadina
particolare, perché produce vina vernatica finissimi e si decora bene di
Templi splendidi»

Con il Settecento comincia un lento declino che arriva al culmine nell’Otticento con il diffondersi di varie patologie della vite, che provocano un radicale cambiamneto nella produzione vitivinicola italiana. La rinascita è lenta ma nel 1966 è il primo vino ad ottenere la DOC in Italia. Nel 1993 arriva anche la DOCG.
Ad oggi è un vino prodotto da almeno l’85% di uve Vernaccia di San Gimignano, con un massimo del 15% di altri vitigni a bacca bianca di zona toscana, non aromatici. Il suo profumo è floreale fruttato in gioventù e diventa minerale con l’invecchiamento a cui si presta benissimo, soprattutto nelle varietà riserva.
Invitata dal Consorzio della Denominazione di San Gimignano a partecipare al contest sul menù di Natale, ho ricevuto la Vernaccia di San Gimignano DOCG Vigna in Fiore 2013 di Ca’ del Vispo di Massimo Daldin, da 100% uve Vernaccia.
Ho pensato, per un ipotetico menù delle feste, di abbinarla a due piatti di pesce, un antipasto e un primo; l’antipasto, il filetto di sogliola, è reso più importante dalla presenza di erbette provenzali, che ben si sposano con i caratteri floreali del vino. La zuppetta di seppie, invece, è impreziosita dalla presenza dello zafferano, che rappresenta un abbinamento abbastanza classico per questo vino e dona un piacevole colore dorato alla tavola delle feste.

Le ricette:
Filetti di sogliola alle erbe provenzali su crema rustica di ceci

(per 4 persone)
300 g di ceci già lessati
1 cipolla
400 ml di brodo vegetale
1/2 bicchiere di Vernaccia di San Gimignano
olio extravergine d’oliva
sale
pepe bianco
1 rametto di rosmarino
4 filetti di sogliola
misto di erbette provenzali (origano, rosmarino, timo, finocchietto, lavanda, basilico, anice)
Tagliare finemente la cipolla; rosolarla per qualche minuto in due cucchiai d’olio a fuoco vivace ed aggiungere i ceci già lessati. Sfumare poi con il vino bianco e lasciar consumare. Aggiungere il brodo e il rametto di rosmarino e far insaporire i ceci per dieci minuti. Regolare di sale e pepe. Frullare il tutto fino ad ottenere una crema dalla consistenza non perfettamente liscia.
Spennellare i filetti di sogliola con poco olio extravergine, salarli e passarli nel misto di erbette. Arrotolarli su se stessi e legarli con un filo di spago per alimenti.
Infornarli a 180° per 10 minuti.
Riscaldare la crema di ceci, stenderla a specchio sul piatto e adagiarvi il filetto di sogliola, liberato dallo spago e irrorato con un filo d’olio a crudo.
Piccoli canederli integrali in brodo di seppioline allo zafferano
(per 4 persone)
160 g di pane raffermo ai cinque cereali, privato della crosta
50 g di latte
40 g circa di farina integrale
2 uova bio piccole
12 seppioline pulite
1 spicchio d’aglio
200 ml di fumetto di pesce
1 bustina di zafferano
olio extravergine d’oliva
sale
prezzemolo tritato
per il brodo:
rosolare lo spicchio d’aglio leggermente schiacciato in tre cucchiai d’olio. Aggiungere le seppioline tagliate a listarelle, assieme ai tentacoli e far insaporire. Coprire con il fumetto di pesce e far cuocere  a pentola coperta finchè le seppioline non sono tenere, per circa 15-20 minuti. Sciogliere lo zafferano in poca acqua ed aggiungerlo al brodo, con l’aggiunta di un’altra tazza d’acqua calda. Regolare di sale. 
per i canederli:
tagliare il pane a cubetti; irrorarli di latte ed unirvi le uova sbattute con un pizzico di sale e la farina. Lavorare il composto e formare, con le mani leggermente inumidite, delle palline della grandezza di una noce. 
Riportare a bollore il brodo di seppie e lessarvi i canederli per 5 minuti. Servire con il brodo, spolverando di prezzemolo fresco tritato.

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Coq au vin per la Borgogna e per il Calendario Culinario

Siamo in Borgogna terra di storia, arte e gastronomia.
So che l’ho già detto per quasi tutte le altre 10 regioni francesi attraversate quest’anno, mache devo fare? La Francia, al di là della celebre capitale, è davvero ricca di sorprese eccellenti.
La storia della Borgogna inizia con i Galli, precisamente la tribù del Burgundi che aveva un regno ben più vasto dell’attuale regione francese. Il territorio venne annesso dai Franchi e in seguito diviso tra vassalli e valvassori per formare diversi piccoli ducati e contee indipendenti: il Ducato di Borgogna, la Franca Contea di Borgogna, la Provenza, il Delfinato, la Savoia, la Svizzera francofona, ed altri più piccoli.
Il Ducato di Borgogna era vassallo del Re di Francia, mentre la Franca Contea era assoggettata al Sacro Romano Impero. Esse furono però riunite nuovamente sotto un unico sovrano fino al 1477 quando furono definitivamente divise per ragioni dinastiche.

Se parliamo di patrimonio artistico è impossibile non pensare all’architettura cluniacense e cistercense, entrambe originate in Borgogna, e di cui un esempio eloquente sono le due abbaziali, patrimonio dell’UNESCO, Vézelay e Fontenay.

Vézelay esterno

Vézelay interno
Abbazia di Fontenay esterno

Fontenay interno
A questo proposito pare che proprio allo zelo dei monaci lavoratori si debba la diffusione in queste terre della coltivazione della vite. La Borgogna è la prima zona di Francia come territorio vocato, assieme al Bordeaux. I vini rossi sono prodotti a partire da Pinot Nero, quelli bianchi a partire da uve Chardonnay; in minor quantità sono gli appezzamenti di Gamay e Aligoté. Tutta la zona di produzione segue il corso del fiume Saône, in una lunga e stretta striscia di terra; le aziende vitivinicole sono piccole, di non più di 5 ettari di estensione, e spesso ancor più piccole, e i vini hanno un sistema identificativo proprio, da “régionale“, il più basico, a Grand Cru, il più pregiato.

Date queste premesse per la Borgogna non potevo che scegliere un piatto in cui il vino fosse protagonista.

Il coq au vin, letteralmente gallo al vino è in realtà una ricetta contesa tra più regioni, Borgogna, Alsazia, Champagne e Auvergne.

 
Proprio dall’Alvernia proviene la leggenda secondo cui un capo della tribù degli Alverni, pur sotto assedio da parte dei Romani, mandò a Cesare un gallo combattivo ed aggressivo, come simbolo del coraggio dei Galli. Cesare, che non era privo di senso dell’umorismo, ma neppure di sarcasmo, gli restituì il favore inviatndolo a cena e servendogli il gallo cotto nel vino. Ora, non è questo il luogo più adatto a capire se i Romani utilizzavano questo tipo di cottura, ma certo con le carni tenaci di certi galli, era necessaria una lunga marinatura in un altrettanto forte vino rosso.
Per un galletto “moderno” o un pollo ruspante la marinatura di 48 ore pare forse un po’ eccessiva, ma di sicuro conferisce sapore ed aromaticità alle carni e contribuì a suo tempo a far diventare questo piatto uno dei preferiti dai francesi, anche da “esportare”.
Stendhal insegnò alla sua cuoca a preparare il coq au vin durante la propria permanenza in Brianza.
Georges Simenon, creò sul personaggio della moglie di Maigret la perfetta divisa dell’altrettanto perfetta cuoca casalinga francese, affibbiandole il coq au vin come sua ricetta meglio riuscita.

La ricetta: Coq au Vin (ricetta rivisitata da Oenoperwez)
 
ingredienti:
1 galletto tagliato a pezzi
1 bottiglia di vino rosso (per me Nebbiolo)
2 cipolle bianche (in origine cipolline o cipollotti)
100 g di pancetta
1 cucchiaio di zucchero
1/2 bicchiere di brandy
2 cucchiai di farina
1 spicchio d’aglio
1 bouquet garni (timo, maggiorana, salvia, alloro)
300 g di champignons
olio extravergine d’oliva
1 noce di burro
sale
pepe
 
Rosolare la pancetta in pentola con tre cucchiai d’olio. Aggiungere le cipolle tagliate sottili e farle dorare rimestando per 10 minuti. Togliere cipolla e pancetta dal fuoco e tenerle da parte.
Al posto di cipolla e pancetta mettere i pezzi di galletto e farli rosolare per bene, aggiungendo un filo d’olio. Da parte riscaldate il vino con un cucchiaio di zucchero.
Quando il galletto è rosolato, salare e pepare e versarci un bicchiere di brandy e fiammeggiare, poi togliere dalla pentola anche la carne.
Sul fondo della pentola mettere a questo punto la farina, facendo leggermente imbrunire, poi mettere i pezzi di carne e il vino caldo. Aggiungere lo spicchio d’aglio schiacciato e il bouquet garni coprite e lasciate cuocere a fuoco bassissimo per un’ora.
Nel frattempo pulire gli champignons, tagliarli in quarti e farli rosolare in una noce di burro.
Aggiungere al galletto la pancetta, la cipolla e gli champignons e continuare la cottura per ancora circa 20 minuti.

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Il wurstel agricolo GusterLuiset con miele e senape e un contorno agrodolce

Vi siete mai chiesti cosa c’è dentro un wurstel? La letteratura in materia racconta di tutto…anche l’inenarrabile.
Per raccontare il proprio wurstel, l’Agrisalumeria Luiset ha invece scoperto tutte le carte in tavola, facendoci vedere gli ingredienti e la preparazione durante l’istruttiva giornata di visita alla loro azienda.
Eccoli, gli ingredienti del Guster Luiset, un wurstel di puro suino, che abbiamo visto confezionare passo dopo passo:

Unico conservante il salnitro, obbligatorio per legge nelle carni conservate e nella proporzione che vedete.

Da qui è stata illustrata la preparazione: le carni utilizzate sono le
rifilature del prosciutto
, quello che per essere cotto deve entrare in
uno stampo rettangolare come questo a destra.
Le parti in eccedenza, che non entrano nella forma, vengono quindi tagliate via e raccolte per diventare Guster.
La carne, condita con tutti gli ingredienti sopracitati, viene tritata assieme a del ghiaccio, per evitare il surriscaldamento, per tre volte, attraverso una trafila da 3 millimetri. Poi è insaccata in budello di montone, assolutamente naturale, ammorbidito in acqua calda.
Infine mani pazienti arrotolano i wurstel per appenderli e cuocerli. Anche la cottura è lenta: dura circa 90 minuti a bassa temperatura dai 50 ai 70 °C, poi il Guster viene anche affumicato con fumo liquido, il procedimento più sano per affumicare.

Gino Casetta, il fondatore di Luiset, ci spiega che più la grana di un salume è fine più è facile farci entrare di tutto. Per questo avere una così grande attenzione per il wurstel, tra l’altro uno dei salumi più amati dai bambini, è una garanzia di attenzione per tutti i suoi salumi.
Sentir parlare il signor Gino del suo mestiere è affascinante: la gavetta in salumeria per appendere tutte le tecniche di trasformazione della carne – da giovane lui andava di cascina in cascina per la macellazione del maiale – e il suo percorso fatto di esperienza e pazienza per le cose “lente”. 
La carne più adatta per la preparazione dei salumi è quella del maiale maturo, di almeno un anno di età e che ha raggiunto i 200-230 chili. Questi sono frutto di un accrescimento lento, e il risultato sono carne e grasso sodi. I maiali vengono allevati nei campi adiacenti l’azienda, nella cascina di famiglia a San Secondo di Ferrere (AT) e alla Cascina Milandra di Oviglio (AL).
Tutto il resto lo fa la perizia nelle preparazioni, nel modo di dosare le spezie e il vino. Luiset vanta una collezione di 35 prodotti diversi, per incuriosire e ingolosire ogni palato.
Una ricca gamma di questi salumi l’abbiamo provata durante il pranzo. Guardate che meraviglia:
E naturalmente abbiamo potuto assaggiare il Guster declinato in diverse ricette dello chef Bruno Cingolani del ristorante Dulcis Vitis di Alba, accompagnate dai vini dell’Azienda Agricola Pescaja.

Non potevo non contribuire con una ricetta che spesso utilizzo per le salsicce. Si è rivelato azzeccatissimo anche il contorno, con la giusta punta di agrodolce.

La ricetta: Wurstel Agricolo al forno con senape e miele con contorno di carote e sedano rapa in agrodolce

(per due persone)
3 wurstel agricoli (per me #Guster Agrisalumeria Luiset)
40 g di cipolla
1 rametto di maggiorana
1 rametto di timo
30 g di miele di tiglio
30 g di senape granulosa
1 cucchiaio di senape cremosa
1 goccino d’acqua 
100 g carota
80 g sedano rapa pesato già pulito
1 cucchiaino di zucchero di canna
1 cucchiaio di aceto
olio extravergine d’oliva
sale
pepe

Preparare le verdure, lavando e sbucciando la carota e tagliandola a nastri con il pelapatate, e pulendo il sedano rapa e tagliandolo a julienne.
Affettare la cipolla e metterla in padella con due cucchiai d’olio. Lasciarla rosolare per qualche istante senza farla scurire, poi scolarla e metterla da parte. Nell’olio aggiungere il sedano rapa, lasciarlo insaporire per un paio di minuti e poi sfumare con un goccino d’acqua. Quando l’acqua è evaporata aggiungere in padella anche le carote e ripetere il procedimento. Lasciar cuocere per 7-8 minuti. Poi regolare di sale e pepe, aggiungere lo zucchero di canna, mescolando, e sfumare con un cucchiaio d’aceto. Quando le verdure saranno di nuovo asciutte spegnere il fuoco.
Preparare l’emulsione mescolando in una ciotola le cipolle messe da parte in precedenza, il miele, la senape granulosa e quella cremosa, le erbette aromatiche diraspate.Allungare con un cucchiaino d’acqua e mettere in questo composto i wurstel tagliati a pezzi grossi. Amalgamare bene e poi trasferire il tutto in una pirofila da forno: deve essere abbastanza piccola, in modo che il tutto resti vicino e non si asciughi troppo. Infornare a 190° per 5 minuti.
Scaldare per qualche istante le verdure prima di servire assieme.
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Toad in the hole, il rospo nella tana diventa vegetariano

Il Parmigiano Reggiano lancia ogni anno una competizione internazionale la Parmigiano Reggiano Chef, ispirata ad un tema particolare: quest’anno è toccato al Cross Cooking, ovvero un modo di cucinare “trasversale” reinterpretando le ricette di altri paesi con le eccellenze del nostro.

Quale migliore occasione per sperimentare l’utilizzo del Parmigiano Reggiano in una ricetta tipica appartenente ad un’altra cultura.
Fin da subito mi sono concentrata sull’Europa, sulla quale mi sembra di essere più ferrata…ad un certo punto ecco l’illuminazione.
Il toad in the hole è un piatto tradizionale anglosassone. La locuzione significa “rospo nella tana” ma con i rospi ha davvero poco a che fare…si riferisce infatti a un pezzetto di salsiccia che viene immerso nella morbida pastella che compone la “tana”. Questa pastella si gonfia in forno tutt’intorno alla salsicccia avvolgendola completamente e gonfiandosi lascia pure un’apertura in cima, proprio come una buca scavata nel terreno.
Solitamente è accompagnato da puré di verdure, patate o sedano rapa, oppure da un sugo di cipolle.
 
Pare che una ricetta analoga di carne che viene racchiusa da una morbida pastella si trovi anche nel nostro italianissimo La Scienza in Cucina di Pellegrino Artusi con la denominazione di “Piccioni all’Inglese”. Non resta alcun dubbio quindi che questo modo di completare e cuocere la carne arrivi dal Regno Unito.
 
Ho trasposto questa ricetta in chiave “parmigianosa” e, vista la presenza del formaggio, ho preferito declinarla in leggerezza, trasformandola in vegetariana. Scegliete verdure di stagione, che sono più saporite, e le erbe e le spezie che preferite, per rielaborare questa ricetta all’infinito. E provatele anche con la salsiccia… vi assicuro che sono deliziose.

 

 

 

La ricetta: Toad in the Hole vegetariani
125 g di farina
2 uova grandi
100 ml di birra
80 ml di latte intero
50 g di Parmigiano Reggiano 14 mesi
sale
pepe
olio extravergine d’oliva
 
1 zucchina grande
1 peperone
1 cipolla
olio
sale
timo
 
Per il rospo: cominciare dalle verdure, pulendole e tagliandole a tocchetti.
Scaldare in una padella un filo d’olio e rosolarvi la cipolla affettata finemente. Aggiungere poi le verdure e far proseguire la cottura a fuoco vivace per alcuni minuti. Le verdure devono restare abbastanza sode. Regolare di sale ed insaporire con il timo.
 
Scaldare il forno a 190°.
 
Per la tana: sbattere le uova con un pizzico di sale. Aggiungere la farina tutta insieme e cominciare a mescolare aggiungendo il latte a filo. Aggiungere poi il Parmigiano Reggiano grattugiato, il pepe ed infine la birra.
Scaldare uno stampo per 12 muffin in forno con una goccia d’olio in ogni scomparto. Estrarre dal forno e mettere in ogni stapino un mestolino di impasto, fino a suddividerlo in tutte le formine.
In ogni tana mettere poi una cucchiaiata di verdure.
Infornare subito per 15 minuti, aspettando che la “tana” cresca in altezza e diventi dorata.
 
Servire subito.

 

 
 
 

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# 19 – Calendario dell’Avvento – Mercoledì Social – Speciale Natale: intimità

Eccoci al menù elaborato con Muffin e Dintorni e Cucina Precaria:
Dopo aver pregustato qui l’antipasto e qui il primo, siamo giunti al mio Natale e al mio piatto!
Per introdurre i piatti del menù natalizio abbiamo pensato di definire con una parola il Natale di ciascuna.
Io sono figlia unica. I miei parenti sono sempre stati lontani, tranne forse quando ero molto piccola quindi per me il Natale è sempre stato un po’ solitario, almeno da quando posso ricordarmene. Per questo ho sempre invidiato ed amato le tavolate chiassose ed affollate. 
Per descrivere il mio Natale ho però scelto la parola intimità. Questo non significa solitudine, ma pochi cari, i più importanti, accanto…non quelle persone che si risentono o si rivedono solo a Natale per intenderci, ma quelle persone che sempre ti fanno sentire l’atmosfera di casa.

Veniamo al mio piatto!
Prima di tutto il pesce: ho scelto dei filetti di trota salmonata e li ho alleggeriti con il mandarino. La trota è un pesce un po’ grasso e gli agrumi sono un abbinamento perfetto.

Per contorno ho scelto di cucinare i topinambour perché sono un ortaggio non molto comune, ma delizioso. Con questa salsa, che ricorda delicatamente i gusti agrumati del pesce, sono deliziosi e semplicissimi da fare!!

La ricetta: Filetti di trota salmonata al forno con mandarino e timo
1 filetto di trota salmonata per ogni commensale
olio e sale per spennellare
fette di mandarino
rametti di timo fresco
2 mandarini

per la salsa:
1 mandarino
1 cucchiaio di zucchero di canna
olio
1 pizzico di sale
1 cucchiaino colmo di senape
1 punta di cucchiaino di zenzero in polvere
1 cucchiaio di formaggio cremoso

Prima ho preparato la salsa al mandarino, sbucciando 1 mandarino grosso e facendolo lessare in acqua finché non era morbido. L’ho aperto a metà, ho tolto i semi e poi l’ho frullato fino ad ottenere la polpa. Alla polpa, in una ciotolina, ho aggiunto lo zucchero di canna, l’olio, il sale, il cucchiaino colmo di senape e lo zenzero in polvere. 

In ogni foglio di carta forno ho adagiato un filetto di trota. L’ho spennellato con un’emulsione fatta di olio sale e poco succo di mandarino. Su ogni filetto ho adagiato delle fettine sottili di mandarino e qualche rametto di timo. Poi ho chiuso il cartoccio. Ho infornato a 180° per circa 20 minuti.

Prima di servire ho aggiunto alla salsa anche il formaggio cremoso e mescolato bene.

La ricetta: Topinambour con salsa allo zenzero

500 g di topinambour
il succo di un’arancia
2 cucchiai d’olio
2 cucchiai di salsa di soia
2 cucchiaio di miele
1 cucchiaino di zenzero in polvere
1 spicchio d’aglio schiacciato

Ho lavato accuratamente i topinambour e li ho strofinati bene fino ad eliminare la buccia.
Li ho lessati in acqua bollente per 10 minuti. Poi li ho messi in una teglia e li ho irrorati con una emulsione fatta con tutti gli altri ingredienti. Poi ho infornato per una quarantina di minuti.

Con ciò ho concluso e passo il link a Muffin e Dintorni per il dolce!!

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Il merluzzo sulla tavolozza

Il film La ragazza con l’orecchino di perla di Peter Webber, ispirato al romanzo omonimo di Tracy Chevalier, a sua volta ispirato al dipinto La ragazza col turbante di Jan Vermeer è stato candidato a suo tempo ad un sacco di premi ed una valanga ne ha poi portati a casa… 
Già solo il confronto tra Scarlett Johansson e la fanciulla del quadro stupisce per l’accuratezza dei particolari. Questo fa capire molto sulla cura che è stata messa in questa piccola opera d’arte.
 
 
Tra i tanti premi portati a casa dal film, un bel gruzzolo di riconoscimenti è andato ad Eduardo Serra per la Migliore Fotografia.
 
Secondo me la fotografia, le luci, il succedersi delle inquadrature fanno di questo film un piccolo gioiello. Per tutta la durata, sebbene sia lento, non si percepisce lo scorrere del tempo, ma l’attenzione viene focalizzata sugli sguardi, bellissimi primi piano, intervallati da quadri più ampi.
 
Ognuna di queste inquadrature sembra ispirata dai quadri della tradizione olandese e fiamminga.
 
 
 
Una di queste è proprio all’inizio del film, quando ancora scorrono i titoli d’inizio.
Griet si trova nella sua casa di Delft e sta tagliando la verdura. Non la ammucchia disordinatamente, come una qualsiasi massaia affaccendata farebbe. Lei no, lei la dispone ordinatamente in un piatto come fosse una tavolozza. 
La scena del film in cui Griet affetta e dispone le verdure
La telecamera si sofferma sulle sue mani al lavoro, un lavoro preciso, lento e regolare, nell’affettare e nel disporre, roba che farebbe impallidire i moderni cuochi campioni di velocità. Ma chi ama stare in cucina sa che il piacere di cucinare è anche questo, prendersi i propri tempi, gustare i profumi e i colori, provare abbinamenti e accostamenti, lasciarsi andare a un piacevole flusso di pensieri.
La tavolozza di verdure del film mi è rimasta impressa e l’altra sera mi è tornata in mente, durante quel flusso di pensieri, mentre affettavo le verdure per cucinare il pesce.
 
La mia tavolozza è un po’ più modesta…ma ugualmente ho voluto fotografarla.
Domina il giallo delle patate, messo in risalto dal verde intenso del peperone; poi la sfumatura tenue e violetta della cipolla di Tropea e il rosso dei pomodori che si confonde con quello del tagliere.
 
Ho usato tutte queste verdure per insaporire dei filetti di merluzzo. Alla fine anche questa è un’opera d’arte.
 
la ricetta: Merluzzo alle verdure (per 2 persone)
per circa 250 g di filetti di merluzzo ho usato:
due patate grosse
due cipolle medie
un peperone
due pomodori
olio, sale,
un peperoncino secco
un grosso spicchio d’aglio
due filetti di acciuga 
prezzemolo tritato
vino bianco q.b.
 
Per prima cosa ho pulito e affettato le verdure.
Poi ho messo a soffriggere l’aglio e il peperoncino nell’olio, senza farlo dorare troppo.
Ho tolto la padella dal fuoco e ho fatto sciogliere i filetti d’acciuga nell’olio caldo.
Ho rimesso la padella sul fuoco mentre cominciavo a disporvi a strati le verdure, prima le cipolle, poi le patate, i pomodori e i peperoni, intervallando a ciascuno strato un bel pizzico di sale.
Sopra tutte le verdure ho posato i filetti di merluzzo, irrorato con un filo d’olio, un pizzico di sale e abbondante prezzemolo tritato.
Ho versato vino in abbondanza, perchè è l’unico liquido che si aggiunge, e coperto bene la padella perchè non sfiatasse.
Il pesce cuoce nei vapori di vino e verdure, insaporendosi meravigliosamente.
Ogni tanto bisogna dare una scrollatina alla padella perchè le verdure non si attacchino, aggiungendo, ma solo se occorre, un filo d’acqua.
Il piatto è pronto quando le verdure sono cotte.
Disporre nei piatti un tappeto di verdure miste e sopra i filetti di merluzzo.
 
 
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