Tag

tea_time

ai fornelli

Blueberry pies – le tortine di mirtilli

Ecco una delle torte anglosassoni per eccellenza, da me eletta, a Ferragosto, torta dell’estate. Ho preso spunto dalla ricetta di Sonia, omettendo le mandorle nel ripieno e preferendo anch’io la presentazione in monoporzione, perchè in questo modo tutti possono gustare la stessa quantità di crosta croccante e di morbido scuro ripieno, anche se ritengo che questa torta e le pies in genere conservano un certo fascino anche preparate in versione classica, con il ripieno adagiato in un contenitore da forno, magari un vecchio piatto di ferrosmalto, e la copertura di croccantissima pastafrolla: guardate qui.
La ricetta: Blueberry pie
(per otto tortine del diametro di 9-10 cm)
200 g di farina 00
100 g di burro
80 g di zucchero
2 tuorli
1 pizzico di sale
250 g di mirtilli
1 limone
2 cucchiai colmi di zucchero di canna
foglie di menta fresca 

Per prima cosa ho sciacquato e asciugato i mirtilli. Li ho messi in una ciotola e vi ho aggiunto le foglioline di menta tagliate a pezzettini, lo zucchero di canna e le zeste di limone. Ho coperto con pellicola e lasciato aromatizzare.

Nel frattempo ho preparato la frolla, facendo prima sabbiare il burro ocn lo zucchero e la farina e l’ho fatta riposare per una mezz’oretta in frigo.
Ho steso la frolla molto sottile, con l’aiuto di un po’ di farina e ho ritagliato 8 cerchi di grandezza tale da foderare degli stampini da muffin di silicone. Ho messo in ciascuno stampino un oezzetto di stagnola e una manciata di fagioli per far cuocere i fondi in bianco. Ho infornato a 180° per 15 minuti circa.
Mentre cuocevano le basi ho preparato i coperchi e ho inciso il centro di ognuno a croce, con la punta di un coltello.
Ho riempito i gusci precedentemente infornati con i mirtilli e ho sigillato il coperchietto di pasta alla base. Ho spennellato su ciascun coperchio un poco di latte e un pizzico di zucchero di canna. Ho ri-infornato per altri 15 minuti a 180°.
ai fornelli, ricette tradizionali

Scones ripieni di gelato al pistacchio Pepino

Oggi facciamo un viaggio fin nella Scozia medievale nel piccolo villaggio di Scone. Come era comune all’epoca, l’agglomerato di case era sorto attorno ad una grande abbazia, famosa per custodire una pietra speciale: la pietra rossa su cui Giacobbe ebbe un sogno premonitore e che portava il segno del bastone di Mosè che la colpì con forza per farne scaturire dell’acqua per dissetare gli ebrei in fuga nel deserto.
Di come la pietra si volata dalla terra promessa fino nell’isola britannica non viene data alcuna spiegazione, ma al giorno d’oggi è ormai appurato che si tratta di roccia appartenente al suolo scozzese.
La leggenda racconta che quella pietra, conosciuta anche come Pietra del Destino, avesse il potere di portare prestigio e fortuna ai sovrani che venivano incoronati sopra di essa e dunque di diritto divenne pietra dei re e simbolo del loro potere, dai re Scoti di Dál Riata, il regno che si estendeva dalle coste nord-occidentali della Scozia fino alla contea di Antrim in Irlanda settentrionale, fino ai re storici, come Kenneth I di Scozia.
Nel 1296 Edoardo I d’Inghilterra dopo aver conquistato il Galles, sedò la rivolta degli Scoti e per dare un ulteriore colpo alla loro impudenza si appropriò della preziosa pietra rossa. Il blocco di arenaria venne trasportato fino a Londra, nell’abbazia di Westminster, e venne posta alla base del trono di incoronazione.
Qui rimase fino al 1996, presenziando a tutte le incoronazioni dei Re di Gran Bretagna, dopo aver anche  rischiato di frantumarsi a causa di un attentato nel 1914.
Oggi la si può ammirare al castello di Edimburgo, ma questa famosa pietra è legata anche ad un’altra leggenda: si crede che abbiano dato il nome ai più famosi dolcetti da té del Regno Unito, gli scones.
Si tratta di cubotti tondeggianti che sono a metà tra una pastafrolla e un paninetto. 
Possono essere dolci o salati, talvolta sono punteggiati di uva passa, e vengono tradizionalmente divisi a metà con le mani per essere farciti di burro e marmellata di arance o di ingredienti salati.
Per l’utilizzo di lievito chimico o di bicarbonato e cremor tartaro vengono anche definiti quick-bread o quick-cake e, se sono deliziosi anche da soli, appena fatti, soprattutto tiepidi, sono ancor più adatti all’inzuppo dopo un giorno, quando perdono un poco della loro morbidezza.
Io li ho preparati sostituendo parte del latte con dello yogurt intero, per renderli più soffici.
Adesso che il gelato Pepino è volato a Londra per far da dessert ai panini gourmet de Il Panino Giusto, mi è sembrato naturale affiancarlo a queste “pietre” da Re e ad un tè delle cinque d’eccezione.
La ricetta: Scones con gelato al pistacchio
400 g di farina 0
8 g di lievito per dolci (circa 1/2 bustina)
1 pizzico di sale
100 g di zucchero
50 g di burro
50 g di yogurt greco
160 g latte intero
120 g di uva passa
1 uovo (per spennellare la superficie)
Ho setacciato la farina con il lievito e il pizzico di sale, ho aggiunto anche lo zucchero e poi ho iniziato ad impastare con il burro tagliato a cubetti, come si fa con la pasta frolla; ho gradualmente aggiunto il latte ed infine lo yogurt, fino a formare un impasto lavorabile. Ho aggiunto l’uvetta e l’ho distribuita nell’impasto. Ho raccolto il tutto a panetto e l’ho lasciato riposare 10 minuti. Ho ripreso l’impasto l’ho steso sulla spianatoia infarinata ad un’altezza di 1,5 cme con una formina per biscotti ho ritagliato tanti dischetti di 5 cm di diametro. Ho spennellato ogni dischetto con l’uovo sbattuto con un pizzico di zucchero ed ho infornato a 180° finchè non erano ben dorati.
Quando gli scones sono diventati tiepidi li ho aperti a metà ed ho farcito ognuno con un cucchiaio di gelato Pepino al pistacchio, perfetto da accostare al sapore dell’uva passa. Lasciate che il gelato a contatto con lo scone caldo si ammorbidisca ed inzuppi tutta la pasta e poi…gnamm!!
ai fornelli, ricette tradizionali, storia & cultura

Tea Time con gli alfajores de maicena e il tè nero Darjeeling

Con il Tea Time di oggi assaggiamo profumi e sapori di due luoghi lontanissimi tra loro.
Incontriamo i celebri Alfajores de Maicena dall’Argentina e il tè Darjeeling di Coccole dall’India.

Gli Alfajores sono diffusi in tutto il sud America, non sono tipici soltanto in Argentina, anche se all’Argentina, oggi, si deve la loro maggior popolarità, grazie a marchi importanti.

Ma partiamo dalle origini: lo dice chiaramente la radice al- del nome, l’Alfajor non può che avere origini arabe – alfajor deriva da al-hasù, che significa ripieno.
Di cosa fossero ripieni i primi alfajores non si può dire con certezza, molto probabilmente una crema o una marmellata. Durante la dominazione araba della penisola iberica, gli alfajores furono importati in Spagna e ancora oggi, in Andalusia, si utilizza questo tipo di farcitura. Gli Alfajores andalusi sono tipici delle festività natalizie e vengono arricchiti con noci, mandorle e miele; in alcuni casi sono ripieni di pasta di miele.

Una volta conquistati i golosi di Spagna, questi dolcetti erano pronti a fare un altro viaggio: li ritroviamo in America Latina al seguito delle truppe dei conquistadores, precisamente in Venezuela e in Perù, menzionati nelle razioni dei soldati.
Gli Alfajores del Nuovo Mondo mutarono e ben presto ebbero assai poco a che vedere con i genitori spagnoli, diventano semplicemente due biscotti farciti, con l’immancabile ripieno al centro. Pian piano, diventando dolci prodotti sul territorio, venne mutato anche il ripieno; pare che proprio in Perù si cominciarono a farcire di manjar blanco, la versione peruviana del dulce de leche argentino.

Pare che il primo dulce de leche venne prodotto accidentalmente quando nel XIX secolo, una mulatta a servizio presso il General Rosas, militare e politico argentino, dimenticò sul fuoco la lechada, latte caldo con zucchero per aromatizzare il matè; passato il punto di cottura il latte con lo zucchero cambiò colore e consistenza, diventando cremoso.
Il dulce de leche, dalla consistenza densa e cremosa, venne subito ritenuto adattissimo per farcire gli alfajores che, proprio con il dulce de leche e una copertura di cioccolato fondente conquistarono tutto il Sud America.
Pare che soltanto in Argentina ne vengano consumati 6 milioni al giorno…un cifra straordinaria. Gli alfajores rappresentano anche il classico souvenir da portare dai luoghi di villeggiatura. I più celebri sono infatti di marca Havanna e Balcarce, nati negli anni ’50 a Mar de la Plata,  nota località marittima.

La caratteristica più sorprendente degli alfajores, è la straordinaria consistenza friabile data dalla maizena, che ben si sposa con il morbido ripieno interno.

Questi biscottini golosissimi mi sembravano abbinarsi bene con il tè nero del Darjeeling di Coccole.
Il termine Darjeeling deriva da dorjie, fulmine, e ling, luogo; significa perciò terra dei fulmini. Il suo clima la rese famosa al tempo dell’impero Britannico in India, quando gli occidentali scappavano dal clima asfissiante delle pianure per rifugiarsi in montagna.
Il Darjeeling è noto principalmente oggi per due cose, il suo straordinario tè nero, detto lo champagne dei tè, e la ferrovia himalayana del Darjeeling, patrimonio mondiale UNESCO.


In realtà la coltivazione del tè in questa zona iniziò soltanto nel 1841, quando il medico Dr. Campbell importò in questa zona semi di tè provenienti dalla Cina, con l’intento di provare a coltivarli. La produzione viene fatta tutt’oggi nei Tea Garden e lo straordinario terroir del Darjeeling contribuisce assieme al clima ventilato a rendere questo tè unico. 
La coltivazione viene svolta al 60% da donne, a livello poco più che familiare, nonostante si nutra un commercio a livello mondiale. Non per nulla questo tè è anche quello più falsificato: di 40.000 tonnellate messe in commercio, solo 10.000 tonnellate sono di “vero” darjeeling.

Con un’infusione corretta si ottiene un tè chiaro, dal gusto dolce e delicatamente tannico.
Questo tè si è sposato ottimamente con i morbidi alfajores, perché tende a temperare l’eccessiva dolcezza del dulche de leche: abbinamento bilanciatissimo e sicuramente da ripetere!

La ricetta: Alfajores de Maicena con dulce de leche
Ingredienti (per circa 20 alfajores):
50 g di zucchero
65 g di burro morbido
37 g di tuorlo (circa 2)
90 g di maizena
60 g di farina 00
1/2 cucchiaino di lievito per dolci
1 punta di cucchiaino di bicarbonato
1 pizzico di sale

Per il dulce de leche trovi la ricetta qui.

Ho montato con la frusta burro morbido e zucchero fino ad ottenere un composto molto omogeneo e spumoso.
Ho aggiunto poco per volta i tuorli con un pizzico di sale.
Ho setacciato insieme farina lievito e bicarbonato e li ho amalgamati delicatamente al composto di burro e tuorlo.
Ottenuta una palla molto morbida, l’ho avvolta in pellicola e l’ho messa a raffreddare in frigo per circa 1 ora.

Ripreso l’impasto l’ho steso in piccole quantità in una sfoglia spessa 4-5 mm. Ho ricavato dei tondi con un bicchiere del diametro di 4 cm e nella metà di questi tondi ho ricavato un buco centrale con un tappo. Ho deposto i biscotti su una teglia coperta di carta forno e infornato a 180° per 10-12 minuti, eventualmente abbassando leggermente se il vostro forno, come il mio, tende ad aumentare di temperatura, senza far prendere colore e procedendo così fino ad esaurimento dei biscotti.
Li ho lasciati raffreddare e poi accoppiati a due a due mettendo al centro del biscotto senza buco un cucchiaino di dulce de leche e coprendolo con un biscotto bucato.

Volendo si possono coprire di un sottilissimo strato di cioccolato fondente fuso, ma io li ho mangiati così!

ai fornelli, storia & cultura

Il tè nel deserto: tè verde alla menta con pasticcini marocchini

Eccoci all’appuntamento con i meravigliosi tè di Coccole e nuovi dolcetti da provare!
Dopo aver visto, nei passati Tea Time, alcune usanze cinesi e giapponesi e il tè in Inghilterra nel primo Ottocento,
non potevano mancare alcuni cenni sulla tradizione del tè in Marocco,
paese dove esiste un rituale del tè molto sentito e con forti valenze
sociali. 
Il tè in Marocco si beve in molti momenti della giornata, prima
dei pasti, come aperitivo ma anche alla fine, come digestivo. Si beve
per dare il benvenuto ad un ospite, ma anche durante la giornata per una
pausa, o come accompagnamento allo studio e alla lettura. Il tè in
questione è sempre un tè verde, introdotto dagli Arabi secoli or sono, 
aromatizzato da menta fresca.

Esiste poi una serie di gesti durante la preparazione dell’infuso che
vengono tramandati da secoli in modo sempre uguale e che si
differenziano dalle differenti culture del tè, facendo del rito marocchino del tè un
momento unico e magico.

La tipica teiera marocchina
Per ripetere il rituale  a casa si dovrebbe possedere una teiera come quelle originali marocchine, alte, eleganti e d’argento con un beccuccio lungo e sottile. Da qui il tè viene versato da una certa altezza per essere ben ossigenato.
Ma partiamo dal principio.
L’erba utilizzata per aromatizzare è talvolta menta fresca, talvolta un mazzetto composto da menta e salvia. La menta marocchina è la più profumata e ricca di mentolo e viene usata non a caso, visto che è un erba ricca di proprietà utili, in particolare se si è esposti ai climi caldi come quello del Maghreb. La menta è un analgesico naturale utile per lo stomaco e l’intestino, rafforza le fibre muscolari dello stomaco e riduce le fermentazioni, inoltre induce appetito e favorisce la digestione. Insomma si tratta di un’erba che una fûdblogger dovrebbe tenere sempre in tasca!! 😉
L’altro componente fondamentale del tè marocchino è lo zucchero che viene messo in grande quantità, direttamente nella teiera, ma che poi risulta assolutamente equilibrato all’assaggio, poiché il tè verde non è una qualità di tè particolarmente dolce al naturale.
 
Le fasi per la preparazione sono le seguenti:
– l’acqua viene messa a bollire;
– nella teiera vengono messe le foglie di tè;
– nella teiera viene versata un po’ d’acqua bollente, utile per risciacquare la teiera dalla polvere e per bagnare le foglie di tè che vengono in questo modo vengono private della teina più aggressiva; l’acqua viene fatta girare velocemente e poi gettata avendo cura di non far scivolare via anche le foglie di tè;
– nella teiera vengono aggiunti i rametti di menta (e di salvia, talvolta) e viene versata l’acqua per l’infusione;
– viene aggiunto lo zucchero in quantità notevole, circa un cucchiaio di zucchero di canna a persona, e la teiera viene rimessa sul fuoco per qualche minuto, senza mai far prendere il bollore;
– si assaggia e si regola ancora di zucchero;
– dopo 5 minuti di infusione il tè può essere versato avendo cura di ossigenarlo; questo passaggio si fa versando il tè da un’altezza notevole, 15 o 20 cm, nei piccoli bicchierini di vetro decorato;
– a questo punto il tè può essere gustato e  sarà perfetto, dolce e aromatico al punto giusto.
Io ho usato i cuori di tè verde di Coccole che avevo già abbinato in passato ad altri biscottini.
Al tè vengono accompagnati i dolci tipici del Marocco, i Ghouriba e i Kaab El Ghzl, le corna di gazzella, e molti altri.
Sono pasticcini a base di mandorle, profumatissimi e spiccatamente dolci, per reggere la dolcezza del tè alla menta.
Io ho provato a riprodurli, estrapolando la ricetta che, fra le tante, mi sembrava più convincente.

La ricetta: Kaab El Ghzl (Corna di gazzella)
(ingredienti per 30 pezzi)

Per la pasta:
60 g di semola di grano duro
40 g di farina 00
1/3 di fialetta di essenza di fiore d’arancio ( o un cucchiaio di acqua di fiori d’arancio)
1 cucchiaio di burro
Acqua qb (o albume)
 
Per il ripieno:
200 g di mandorle pelate
100 g di zucchero a velo
un pizzico di sale
15 g di burro
1/3 di fialetta di essenza di fiore d’arancio
acqua qb

Preparazione :
Ho mescolato la farina con il burro, l’essenza di fiori d’arancio e un po’ d’acqua  (potete anche usare l’albume) fino a formare una pasta morbida e lavorabile. Ho lavorato la pasta per 5 minuti e poi l’ho avvolta nella pellicola e fatta riposare per mezz’ora.

Nel frattempo ho preparato il ripieno. Ho tritato finemente le mandorle, le ho mischiate con lo zucchero a velo e il burro sciolto. Ho aggiunto gli altri ingredienti e per ultima un po’ d’acqua per formare un impasto compatto.

Ho steso la pasta sulla spianatoia, fino a renderla sottilissima. Con un coppapasta ho ricavato dei cerchi di 8 cm di diametro. Su ogni cerchio ho deposto un salsicciotto di ripieno. Le corna di gazzella si ricavano piegando la pasta sul ripieno, come un raviolo, e poi arcuando e pizzicando il dolcetto.

I dolcetti vanno fatti cuocere in forno caldo a 160° per circa 15 minuti.

La ricetta: Ghouriba alla cannella 

(ingredienti per 25 pezzi)

80 g di farina di semola
45 g di farina 00
50 g di olio di semi
35 g di mandorle tritate
65 g di zucchero a velo
½ uovo sbattuto con un pizzico di sale
la buccia grattugiata di mezzo limone
1 cucchiaino di cannella in polvere
1 cucchiaino di lievito per dolci
zucchero a velo per rifinire

Preparazione
Ho lavorato insieme le due farine e l’olio fino a farli sabbiare. Ho aggiunto poi lo zucchero a velo, le mandorle tritate, il lievito, la buccia di limone e la cannella. Ho aggiunto il mezzo uovo sbattuto, fino a formare una pasta lavorabile. Ho lasciato riposare per un quarto d’ora.
Ho poi ricavato delle palline come piccole noci (che cresceranno in cottura), le ho passate nello zucchero a velo e le ho deposte distanziate sulla carta da forno.
Ho informato a 160° per 13 minuti circa.

ai fornelli

I biscottini al super limone e l’Oolong che viene da Taiwan

Il tea time di questa settimana è dedicato al tè Coccole che si presenta alla vista in modo più particolare di tutti. Infatti di tratta di tè essiccato a foglia intera. Aprendo il sacchettino sembra di trovare minuscoli boccioli; in realtà si tratta di foglie di tè arrotolate su se stesse fino a formare palline, che nell’acqua calda si inzuppano e si aprono e ritrovano la forma originaria. 
Il tè di questo tipo, detto oolong o wulong, è prodotto in Cina e a Taiwan, ed è un semi ossidato. Le foglie di tè vengono raccolte e subito fatte appassire al sole, mentre vengono agitate in grandi cesti fino a che i bordi non si frantumano, poi vengono arrotolate e finiscono di asciugare. Il termine oolong significa drago nero, ma questo tè è conosciuto anche come tè blu.
Il tè oolong di Coccole proviene da Taiwan; in
particolare viene raccolto sulle alture Dong Ding, il posto
più rinomato di Taiwan per la coltivazione del tè oolong.  
Secondo la normativa di Taiwan il processo di ossidazione è un po’ più lungo dei tè oolong cinesi e, naturalmente, a seconda di quanto dura questa ossidazione, il gusto del tè può mutare radicalmente, ma è comunque ben lontano dal gusto del tè nero. Allo stesso modo questo tè si avvicina ai tè verdi come proprietà. Vi ricordate tutte le caratteristiche benefiche del tè verde? Ecco, anche il tè blu gode di tutte quelle proprietà antiossidanti e anticolesterolo, aiuta a perdere peso e pulisce l’intestino, ma con un gusto più dolce e gentile del tè verde, che risulta invece più erbaceo!Infatti l’altra particolarità del tè oolong è la sua dolcezza. Lascia in bocca un sapore che ricorda la pesca, che diviene ancora più marcato se il tè viene leggermente dolcificato.

I biscottini di questo tea time li ho trovati su un pdf de Il Cavoletto di Bruxelles, preparati con succo e buccia di arancia. Ho pensato di farli al limone in primo luogo perché le ultime arance che si trovano in questa stagione sono troppo rosse e mature per i miei gusti, in secondo luogo perché adoro il limone!
Sono leggerissimi perché preparati con l’olio d’oliva e hanno una consistenza perfetta per il tè e la giusta frizzantezza data dal limone.


A questo punto, visto l’abbinamento con il tè oolong, sono curiosa di vedere cosa succede se rifaccio questi biscottini  sostituendo al succo di limone del succo di pesca, o meglio ancora della polpa di pesca frullata, ma dovrò aspettare l’estate per provare… Nel frattempo ci gustiamo questi al limone, sia al naturale, sia con un po’ di zucchero semolato sopra. Semplicissimi e deliziosi.

La ricetta: Biscottini al superlimone (circa 30-35)

60 g di succo di limone (1 limone e ½ biologici e succosi)
40 g di olio d’oliva
60 g di zucchero a velo
1 tuorlo
1 cucchiaino di lievito per dolci
farina (circa 200g)

per rifinire: latte e zucchero semolato

Ho grattugiato la buccia di ½ limone, poi ho spremuto il succo di un limone e mezzo.
Ho mescolato il succo con l’olio, il tuorlo, la buccia di limone, lo zucchero a velo e il lievito.
Poi ho aggiunto la farina, circa 150 prima e poi man mano fino ad ottenere un impasto lavorabile, come una pasta frolla. Ho formato una palla e l’ho avvolta con pellicola e l’ho lasciata riposare in frigo per mezz’ora.
Ho steso la pasta  a 3 mm di spessore e ho ritagliato i biscotti con la formina a stella.
Ho cotto i biscotti in forno caldo a 170° per 12-13 minuti. Con la forma a stella bisogna far attenzione che non si brucino le punte.
Se i biscotti piacciono più dolci si possono spennellare con latte freddo e passare nello zucchero semolato.

ai fornelli, ricette tradizionali, storia & cultura

I Läckerli di Basilea e il Pu Erh alle spezie

Per il Tea Time di questa settimana ho scelto un tè profumatissimo. Si tratta di una miscela di Pu Erh con diverse erbe e spezie: vi troviamo finocchio, anice, semi di cardamomo, pepe nero, cannella di ceylon, zenzero a pezzi e chiodi di garofano. Già all’apertura del sacchetto il profumo delizioso riempie l’aria, quando poi si mette in infusione è davvero un concerto di profumi diversi perfettamente equilibrati. Mentre
l’acqua si colora, i profumi si evolvono sempre più e se all’inizio è
più pungente il chiodo di garofano, poi sboccia la freschezza dei semi
di finocchio e anice. All’assaggio il tè fa da direttore d’orchestra con il suo tocco che ricorda l’affumicato, rispondono tutti gli altri gusti perfettamente armonici.
Il suggerimento di Coccole è di gustarlo anche freddo e sicuramente ci proverò. Questa volta invece l’ho assaggiato caldo con un biscotto che avesse la forza di bilanciarlo.


Ho scelto i Läckerli [o Leckerli] di Basilea. Si tratta di biscotti antichissimi, tradizionali proprio della città svizzera sul Reno, che si trova quasi al confine tra Germania e Francia.
La leggenda legata alla loro nascita parla del 1431 e del Concilio di Basilea. Si dice che per ristorare i prelati dopo le giornate intense del concilio fu creato per loro questo nutriente biscotto. Altre storie narrano di una torta, fatta con questo impasto e dalla forma rotonda come il tamburo simbolo della città, già esistente a Basilea fin dall’antichità e preparato dai monaci. All’arrivo in città degli alti prelati, i monaci, detentori della ricetta, non fecero altro che aggiungere una buona quantità di spezie adatte alla classe sociale elevata dei partecipanti al Concilio.
La ricetta tradizionale prevede solo miele  e non zucchero, come veniva fatto nel 1431, e una glassa superficiale al kirsch.
La presenza di spezie e canditi rende questo biscotto molto vicino al panpepato e ad altri dolci nordici a base di spezie. La consistenza è morbida e, come mi è stato suggerito [grazie Silvia! ;)], visto che non ho mai assaggiato gli originali, è vicina al marzapane o al panforte.
Se fate un salto a Basilea, potete trovarli alla Läckerli Huus, dove vengono sfornati di continuo, e sappiate che sono davvero più buoni dopo uno o due giorni!!
Io ho variato leggermente la ricetta, mettendo buccia di limone e arancia al posto dei canditi e un goccino di grappa al posto del kirsch.
Le spezie di questi biscotti si sposano perfettamente con i profumi del tè Pu Erh alle spezie. Ci siamo avvolti, gustando questo abbinamento, in una profumata e calda nuvola di spezie!!


La ricetta: Läckerli di Basilea
Ingredienti (circa 30 pezzi):
70 g di zucchero di canna
30 g di miele
2 uova
1 pizzico di sale
125 g di nocciole e mandorle tritate (io circa 80 g di nocciole e 45 g di mandorle)
30 g di burro fuso intiepidito
scorza di mezzo limone
scorza di mezza arancia [oppure 30 g di canditi tritati]
1 cucchiaio colmo di spezie (cannella, zenzero, noce moscata, chiodi di garofano)
125 g di farina (o piccola percentuale di integrale)


In un recipiente ho mescolato insieme le uova con un pizzico di sale, lo zucchero e il miele e montato finché non sono diventi chiari.
Ho aggiunto le nocciole e le mandorle, il burro fuso e intiepidito, la scorza di limone e arancia e le spezie, mescolando bene. Chi vuole può aggiungere in questo momento i canditi.
A questo punto ho aggiunto la farina, mescolando per farla assorbire del tutto.
L’impasto risulta come quello di una torta non troppo liquida.
L’ho steso sulla teglia (22x26cm)foderata di carta da forno, livellandolo allo spessore di 1 cm o poco più.
Ho infornato a 180°, nella parte centrale del forno per circa 20 minuti.
Subito prima di sfornare, ho preparato una glassa con 75 g di zucchero a velo, due cucchiai d’acqua e 1 cucchiaino di grappa.
Ho steso la glassa con un pennello sul “läckerlone” ancora caldo avendo l’accortezza di tagliare mezzo cm di bordo esterno che risulta più cotto. In questo modo i biscotti verranno tutti uguali.
Dopo aver steso la glassa ho subito tagliato in rettangoli di 3×4 cm, e poi lasciato asciugare la glassa prima di riporli in una scatola di latta.

ai fornelli, storia & cultura

Amaretti morbidi al limone e il tè nero Golden dello Yunnan

Questa settimana vorrei parlare di nuovo del tè in Cina e in particolare di alcune usanze legate a rapporti interpersonali e tè, per far comprendere quanto questa bevanda faccia parte della cultura cinese.
Troviamo il tè nel corteggiamento e nel matrimonio.
Fa parte della tradizione la proposta di matrimonio fatta con il tè. A casa della giovane viene inviato un intermediario che porti in dono alla famiglia delle foglie di tè. Se inizialmente venivano donate solo quelle, successivamente fra i doni ci furono anche abiti lussuosi, gioielli e bestiame. La famiglia della giovane prepara il tè e lo beve assieme all’ospite, ma è sulla ragazza che vengono puntati gli occhi: se lei berrà il tè accetterà il corteggiatore, se non lo berrà, il suo sarà un rifiuto.
La stessa famiglia può ricevere fino a quattro visite, ma se la ragazza non beve mai il tè , la proposta è stata rifiutata definitivamente.
Il tè torna in gioco durante la celebrazione del matrimonio nel  momento in cui marito e moglie dividono una tazza di tè che deve essere forte come il loro amore. Nella tazza vengono messi anche una noce di loto e un dattero rosso, simboli della fecondità e della felicità.
Un tempo la sposa andava a vivere, dopo il matrimonio, a casa dei suoceri ed ogni mattina le toccava servir loro il tè in segno di rispetto.

Offrire il tè indica riverenza anche in altri casi: chi reca offesa ad un anziano non ha altro modo di chiedere scusa se non offrire del tè in ginocchio; se l’anziano accetta le scuse, il tè viene bevuto insieme. Così accade per allievo e maestro in molte arti e discipline: bere il tè insieme significa accettare il nuovo discepolo.

Anche gli antenati vengono omaggiati con il dono del tè. Sul piccolo altare casalingo esso viene deposto assieme a frutta e incenso in onore dei cari defunti e degli dei.

Questa settimana ho scelto di degustare un tè nero Golden Yunnana di Coccole. Proviene dallo Yunnan, la regione cinese al confine con il Vietnam e il Laos e la Birmania. In questa regione montuosa si è cominciato a coltivare tè solo dal 1939, ma in breve tempo si è affinata la produzione e da qui oggi proviene il miglior tè della Cina.
E’ questo il tè che i cinesi accompagnano più spesso anche alle pietanze salate. In particolare è adattissimo con il pollo alle mandorle.
Io ho pensato di accompagnarlo agli amaretti morbidi, preparati con l’aggiunta di scorza di limone. La delicatezza di questo tè si sposa perfettamente con il sapore delle mandorle e il retrogusto leggero della buccia di limone. La nota tostata non è per nulla invasiva anzi si accorda perfettamente con l’evanescente retrogusto amarognolo dei biscotti.


La ricetta: Amaretti morbidi al limone

Per circa 24 amaretti:
110 g di mandorle spellate 

20 g di mandorle con la pelle (la ricetta prevedeva quella amare, ma non le ho trovate)
140 g di zucchero
buccia grattugiata di ½ limone non trattato
1 albume

Ho tritato nel mixer le mandorle, con la pelle e senza, con un paio di cucchiai di zucchero, ad intermittenza, senza far scaldare le lame.
Ho mescolato la farina di mandorle con lo zucchero restante e la buccia grattugiata del limone.
Ho montato l’albume a lungo, circa 7-8 minuti, aggiungendo poi gradualmente la farina, mescolando dall’alto in basso.
Ho coperto la scodella con pellicola e ho messo a riposare in frigo per una notte.
Il giorno seguente ho fatto delle palline e lo ho deposte distanziate sulla carta da forno. Gli amaretti in cottura raddoppiano di diametro.
Ho infornato a 160° per 15 minuti. Gli amaretti devono restare chiari per essere della giusta morbidezza, altrimenti raffreddandosi diventano croccanti.

biscotti, dolci, ricette originali, storia & cultura

Mary Cassat, la Nocciola al Cubo e il Pu Erh 2007

nocciola al cubo_slideshow_mini 
Ci sono pittori che fanno innamorare al primo sguardo. Così è capitato quando alla ricerca di spunti per i miei post sul tè sono incappata in questa bella immagine dipinta:
Il tè delle cinque raffigura due donne all’ora del tè; sono rappresentate con pennellate di luce, nello stile impressionista, volto a delineare i volumi senza contorni netti, accostando infinite sfumature fino a formare la tonalità voluta.
Non avevo mai visto questo bel dipinto e ho cercato dunque informazioni sull’artista, così ho conosciuto Mary Cassat. Mary Cassat è la donna giusta a cui dedicare questo 8 marzo, per il suo percorso di vita, per le sue scelte, per il suo sostegno al suffragio universale.
Mary nacque nel 1844 a Pittsburgh in una famiglia molto facoltosa; il padre Robert era agente di cambio, la madre proveniva da una famiglia di banchieri. Giovanissima ebbe la possibilità di viaggiare in Europa e, dopo essere entrata in contatto con la pittura e con gli ambienti artistici, decise che quella sarebbe diventata la sua professione. Ebbe l’occasione di visitare l’Expo Universale di Parigi del 1855 e una volta tornata in America, a Philadelphia, si iscrisse a soli 15 anni alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts. Venne osteggiata dal padre che disse che avrebbe preferito vederla morta che diventare una bohèmienne. Ciò nonostante Mary decise prima di lasciare la scuola e successivamente di continuare i suoi studi in autonomia trasferendosi a Parigi.
Mary giunse in Europa nel 1866, accompagnata dalla madre e da alcune amiche di famiglia: iniziò a visitare quotidianamente il Louvre e a prendere lezioni di pittura. Nel 1868 la giuria del Salon accettò la sua Suonatrice di mandolino.
Nel 1870 a causa della guerra franco-prussiana dovette tornare in America e lì ricominciarono i contrasti con il padre che non voleva finanziare i suoi studi artistici, fino a farle scarseggiare il materiale per dipingere. Ciò nonostante Mary perseverò nei suoi propositi ed espose alcune opere alla Galleria di New York. Nel 1871 decise di tentare la fortuna a Chicago; qui perse molte delle sue opere durante un incendio, ma ebbe modo di far conoscere alcune sue opere all’arcivescovo di Pittsburgh che le commissionò le copie di due dipinti di Correggio e la finanziò per un nuovo viaggio in Europa. Mary giunse a Parma per eseguire le copie e poi visitò la Spagna per riapprodare infine a Parigi dove aveva ormai deciso di stabilire la sua residenza assieme alla sorella Lydia.
A Parigi si scontrò con il sessismo dei colleghi maschi e le sue opere vennero costantemente rifiutate al Salon.
Nel 1877 però fece la conoscenza di Edgar Degas e divenne sua allieva e sua intima amica e per alcuni addirittura sua amante. Grazie a Degas, la Cassat entrò in contatto con i circoli impressionisti che cominciavano ad organizzare esposizioni indipendenti.
L’esposizione impressionista del 1879 ottenne un discreto successo, e aggirando una critica ostile, Degas e la Cassatt vennero definiti come “i soli artisti che si distinguono… e che offrono qualche motivo di richiamo e giustificazione in una pretenziosa esposizione di allestimenti per vetrine e scarabocchi infantili”.
Mary Cassat cercò poi di organizzare delle mostre anche negli Stati Uniti e al contempo la sua pittura cominciò a discostarsi da quella impressionista per diventare più semplice e diretta. E’ il momento, l’ultimo decennio del XIX secolo, delle raffigurazioni di tante madri con bambino o nonne con nipoti in una semplicità e tenerezza incredibili. Le tecniche che sperimentò furono le più svariate, diventando un punto di riferimento per tanti giovani artisti americani.
 
Mary fu produttiva fino all’incirca al 1910. Dopo ebbe una profonda crisi creativa, ma trovò  l’energia per sostenere la causa del diritto di voto per le donne: nel 1915 presentò, nell’ambito di un’esposizione allestita per supportare il movimento femminile, una serie di 18 opere.
Dopo il 1915 soppraggiunse la cecità, dovuta a problemi di cataratta, e dovette definitivamente abbandonare la pittura. Morì infine il 14 giugno 1926, vicino a Parigi, a Château de Beaufresne.Se volete conoscere altre sue opere potete dare un’occhiata alla raccolta completa che trovate qui: http://www.marycassatt.org/the-complete-works.html***Questa mia biografia è tratta dal bell’articolo di Michele BroccolettiIl biscotto che ho scelto per questo Tea Time è un biscotto trovato su un sito americano. Cercavo un biscotto alla nocciola per poter scovare il sentore di nocciola nel mio Pu Erh di Coccole.
Io lo rinomino Nocciola al cubo perché la nocciola è presente nell’impasto, nella crema di farcitura e nella granella esterna, e il risultato non è 3 volte nocciola, ma l’assoluto esplodere del gusto.
nocciola al cubo_2
L’abbinamento con il Pu Erh è perfettamente azzeccato. La dolcezza e cremosità del biscotto viene stemperata dal gusto deciso di questo té, e la bocca viene perfettamente ripulita dalle note affumicate, senza che resti alcuna stucchevolezza. Continuo a sostenere che con questo tè non occorra zuccherare, non c’è alcuna punta di acidità, solo una dolcezza delicata e e un profumo lieve di legna bruciata. 
nocciola al cubo_3
 
Controindicazioni: farsi prendere la mano e mangiare troppi biscotti!!!
La ricetta: Biscotti “Nocciola al cubo”
100 g di nocciole piemontesi senza pellicine
170 g di farina 00
140 g di burro
60 g di crema di formaggio
75 g di zucchero
1 uovo grande
1 pizzico di sale
1 cucchiaino raso di lievito per dolci
crema di nocciole
granella di noccioleHo tritato le nocciole con la metà della farina senza farle scaldare; bastano poche scosse di frullatore.
Con le fruste elettriche ho sbattuto burro, zucchero e crema di formaggio fino a renderli ben cremosi, poi ho aggiunto l’uovo sbattuto e ho mescolato bene con una spatola.
Ho aggiunto le nocciole tritate con la farina e la farina restante mescolata con sale e lievito.
Poi ho messo l’impasto in frigo a rassodare per 1 ora.
Ho diviso l’impasto in quattro pezzi e ho creato dei salsicciotti, rotolando i pezzi di impasto su una superficie inzuccherata.
Ho rimesso in frigo i salsicciotti per raffreddarli per bene.
Ho tagliato i salsicciotti a fette di 1,5 cm di spessore, poi ho disposto queste rotelle ben distanziate sulla teglia e ho cotto a 175° per 8-10 minuti.
Quando erano freddi li ho accoppiati a due a due , riempiendo con un cucchiaino di crema di nocciole e rotolando i bordi nella granella.
nocciola al cubo_1
 
 
 
 
 

 

ai fornelli, storia & cultura

Biscotti allo zenzero candito e scaglie di fondente e il Pu Erh maturato in scorza di mandarino

Questa volta i biscotti sono nati di pari passo con l’idea dell’abbinamento.
Zenzero da abbinare con agrumi…zenzero con cioccolato…cioccolato con un Pu Erh dal gusto deciso…Trovato!!!
Ho fatto dei biscotti con zenzero e scaglie di cioccolato fondente e li ho abbinati con uno specialissimo Pu Erh. Si tratta di tè Pu Erh maturato in scorza di mandarino. In pratica ordinando questo tè da Coccole.it ci si trova davanti un piccolo capolavoro. Un mandarino svuotato dalla polpa, essiccato e ripieno di foglioline di Pu Erh. Si scarta la pellicola e un profumo delicato di tè con note agrumate arriva al naso. È davvero una coccola bere un tè così, un momento davvero speciale.
Vorrei parlare questa volta del rito del tè cinese, ma ci sono talmente tante cose da dire che comincerò solo con qualche cenno.


In Cina il tè e il rito ad esso legato hanno un‘importanza fondamentale. Non è sempre stato così, usi e costumi sul tè si sono evoluti nei secoli insieme alla società. Ad esempio inizialmente il tè era considerato un’erba di uso quotidiano non molto distante da una qualsiasi verdura e infatti l’infuso si preparava in utensili e recipienti di uso comune che venivano usati anche per altre destinazioni. Il tè si succhiava dai cucchiai e per goderne pienamente del sapore bisognava fare rumore con la bocca mentre lo si sorbiva. Oggi questa usanza è caduta in disuso!! 😉 Alcuni, però dopo aver bevuto il tè mangiano le foglie rimaste sul fondo della tazzina.
Se i primi tè venivano preparati nelle stesse pentole che servivano per cucinare il cibo, con la nascita di una più decisa distanza tra le classi sociali, si pensò anche ad utensili appositi per prepararlo e a servizi raffinatissimi per servirlo. Una buona teiera era uno status symbol e rifletteva il gusto dell’epoca e la raffinatezza del proprietario. 
Una ragione di più per sfoggiare il servizio di tazzine veniva dal fatto che offrire il tè era il primo gesto di benvenuto e quindi da questo dipendeva come ci si presentava al proprio ospite.




La ricetta: Biscotti allo zenzero candito e scaglie di cioccolato fondente abbinati al Pu Erh maturato in scorza di mandarino


Per lo zenzero candito homemade (io lo trovo perfetto anche da aggiungere allo yogurt bianco):
radice di zenzero fresco
zucchero semolato
acqua


Ho sbucciato lo zenzero e l’ho tagliato a piccoli pezzettini sottili.
Li
ho messi in un pentolino e li ho coperti d’acqua. Poi ho acceso il
fuoco bassissimo e ho lasciato sobbollire per circa un’ora.
Ho
scolato i pezzettini, li ho fatti intiepidire e li ho pesati. Ho
versato su di loro tanto zucchero quanto era il loro peso ed ho aggiunto
circa 200 ml di acqua. Ho rimesso sul fuoco bassissimo e ho lasciato
cuocere finchè l’acqua non era completamente asciugata. Qualcuno vi dà
misure ben precise per l’acqua da aggiungere. Io ho visto che la prima
quantità d’acqua si era asciugata ma lo zenzero era ancora scuro, allora
ne ho aggiunto un po’ e ho fatto caramellare di nuovo. Bisogna
regolarsi con il buonsenso.
Poi si prelevano i pezzettini con una forchetta e si mettono ad asciugare su una griglia.
Infine si rotolano nello zucchero semolato e si conservano in un barattolo di vetro, lontano dall’umidità.


Per i biscotti:
330 g di farina 00
1 cucchiaino di lievito per dolci
230 g di zucchero
2 uova
40 g di burro
1 cucchiaio di marsala
20 g di zenzero candito
30 g di cioccolato fondente (il mio era al 70%)


Il procedimento è molto semplice.
Ho disposto la farina a fontana in una ciotola capiente. L’ho miscelata con il lievito per dolci,  lo zucchero, le uova e il marsala. Ho cominciato ad impastare con un cucchiaio.
Ho aggiunto anche il burro fuso e intiepidito.
Quando l’impasto ha raggiunto una certa consistenza l’ho rovesciato sulla spianatoia e l’ho impastato a mano.
L’ho appiattito  e vi ho versato lo zenzero candito, impastando per distribuirlo
Per ultime si aggiungono le scaglie di cioccolato fondente, tenute in frigo fino all’ultimo.
Si formano dei rotoli di impasto, larghi circa 5 cm.
Si infornano su carta forno per circa 20 minuti a 175°.
Poi si prelevano e si tagliano in diagonale a fette di 1,5 cm di spessore che si ri-infornano per tostare. Ci vogliono circa 10 minuti.



Lo zenzero emerge senza essere troppo forte e piccante nei biscotti, si sposa a meraviglia con il gusto caldo del fondente. L’abbinamento con il Pu Erh maturato in scorza di mandarino è forse tra i più azzeccati finora. Il mandarino nel tè è un’idea, un’aria che si percepisce per brevi istanti, a ogni sorsata, e lascia un persistente aroma di agrumi leggero leggero. La dolcezza è resa appena più pungente dal vago sentore di affumicato che caratterizza i Pu Erh.

biscotti, dolci, storia & cultura

Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme

 L’usanza degli inglesi di prendere il tè alle 5 pare sia nata con Anna Maria Stanhope, duchessa di Bedford, che per superare lo stacco tra pranzo e cena prese l’abitudine di consumare la bevanda con i biscotti a metà pomeriggio.

Read more

Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme" class="facebook-share"> Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme" class="twitter-share"> Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme" class="googleplus-share"> Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2012/02/2012_02_22-biscotti-mais-curd-arancia-e-darjeeling-%281%29-564x660.jpg" class="pinterest-share">
ai fornelli, storia & cultura

Cuori al tè e cuori di tè…verde

Foglie e fiori della Camelia Sinensis
Oggi voglio parlare di tè verde. Dopo secoli in cui in Occidente solo il tè nero la faceva da padrone, negli ultimi anni il consumo di tè verde si è andato sempre più diffondendo.
In realtà il tè verde deriva esattamente dalla stessa pianta, la Camelia Sinensis, ciò che cambia è la preparazione delle foglie per l’infusione. In pratica le foglie raccolte vengono subito lavate a vapore ed essiccate, non vengono fatte fermentare e in questo modo restano verdi. L’infuso che ne deriva è più delicato e fresco, non particolarmente strutturato e dal gusto tendente all’erbaceo. Il colore è più chiaro, giallino, a volte tendente al verde anche in tazza, come nel caso del matcha giapponese.
In Oriente il tè verde è il più utilizzato, in Giappone ad esempio il tè nero viene riservato agli Occidentali mentre quello verde è bevanda nazionale, più bevuto dell’acqua. E proprio da qui è partito l’input per una scoperta sorprendente.
In Giappone, paese di accanitissimi fumatori, il tumore al polmone è poco incidente. Questo fatto è stato messo in correlazione con il forte consumo di tè verde e dopo analisi e ricerche è stato effettivamente dimostrato che nella bevanda è presente un polifenolo in grado di rallentare la crescita di masse tumorali. Non è l’unica proprietà, in quanto è dimostrato anche che i flavonoidi contenuti nel tè verde proteggono dall’infarto, così come i disturbi circolatori e cardiovascolari sono meno incidenti nei forti bevitori di tè.
In ultimo questo tipo di tè contribuisce ad attivare la  flora batterica intestinale e aiuta a dimagrire, perché aumenta la velocità con cui l’organismo riesce a bruciare i grassi. Questo ultimo effetto non è dovuto alla teina, come si potrebbe pensare, che invece in questo tipo di tè è meno incidente che nel tè nero, ma alle catechine che aumentano naturalmente la termogenesi e il consumo di calorie… una ragione per concedersi un biscotto in più! 😉
Bersagliati da tutte queste informazioni salutari, l’unica cosa che resta da dire è che il tè verde è anche buono. Piace a chi ama gli infusi delicati e freschi e diventa una vera golosità se “corretto” con qualche semino di vaniglia.
L’infusione consigliata per i tè verdi è a temperatura relativamente bassa, circa 75° C, e l’acqua non va versata direttamente sulle foglie per non “bruciarle”.

La merenda del giorno di San Valentino è stata l’occasione giusta per provare i cuori di tè dell’Azienda Ferri. Vengono inviati in una scatolina nera e, dopo la prima sorpresa iniziale, scopro che si tratta semplicemente di tè pressato, senza l’aggiunta di alcun additivo. La pressatura è un metodo antico, utilizzato da sempre dai mercanti per un trasporto più comodo e per proteggere il tè dall’umidità che l’avrebbe rovinato. Oggi la pressatura si utilizza per dare una forma originale al tè e l’Azienda Ferri commercializza molte eleganti tipologie di tè confezionate in questo modo.
Per ciò che riguarda i cuori, sono disponibili sia di tè verde sia di tè nero. La presentazione è deliziosa se vengono messi sul piattino, accanto alla tazza.

Io ho messo l’acqua in una teiera e poi ho immerso il cuoricino di tè per ottenere una buona tazza di infuso giallino e profumato. 

Mi è sembrato naturale accostare a questo tè verde in tazza a una ricetta di biscotti già provati altre volte, ovvero i biscotti al tè verde, con l’aggiunta di mandorle tritate.
Il gusto erbaceo del tè verde si sposa benissimo con la delicatezza delle mandorle e fa sì che nessuno dei due gusti sia predominante sull’altro.

La ricetta: Cuori al tè verde e mandorle

Ingredienti:
50 g di farina
50 g di maizena
30 di mandorle spellate e tritate
60 g di burro
60 g di zucchero di canna
1 tuorlo
1 cucchiaino di latte
2 cuori di tè verde sbriciolati

Ho lavorato il burro con lo zucchero di canna, fino a formare una crema.
Ho aggiunto i cuoricini di tè verde sbriciolati e poi ho cominciato ad incorporare maizena e farina e man mano anche il tuorlo sbattuto con un pizzico di sale. Poi ho aggiunto le mandorle tritate finemente e per lavorare meglio l’impasto ho aggiunto anche un cucchiaino di latte.
Alla fine l’impasto era abbastanza morbido e l’ho lasciato riposare coperto per circa un’ora in frigo.
Trascorso questo tempo ho fatto scaldare il forno a 180°.
Ho steso la pasta con il mattarello dell’altezza di circa mezzo centimetro e ritagliato i biscotti usando due formine a cuore di diversa grandezza.
Ho infornato e lasciato cuocere finché i bordi non erano leggermente dorati, nel mio caso circa 10-12 minuti.

error

Enjoy this blog? Please spread the word :)