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Filetto di maiale con castagne e prugne per Mariangela Prunotto

Da tempo desideravo partecipare al contest di Cucina e Cantina e mi sono ritrovata davanti all’arduo compito di scegliere una delle confetture di Mariangela Prunotto. Se fate un giro sul loro catalogo potrete ben comprendere che non è semplice scegliere solo un gusto.
Dunque perchè la mia scelta è caduta proprio sulla marmellata di prugne? 
Mia nonna, sarda, era sarta e non è un gioco di parole!  Lei, finché l’età e la salute gliel’hanno concesso, cuciva tutto il giorno; a mano o a macchina doveva sempre avere le mani impegnate in qualche lavoro di cucito. 
Non era molto brava in cucina, e faceva un solo tipo di marmellata, proprio quella di prugne, con i frutti degli alberi accanto al nostro orto in Sardegna. 
La sua  marmellata di prugne, riconosciamolo,  non era la più buona dell’universo, perchè lei si stufava di stare davanti alla pentola a mescolare, ansiosa di rimettersi a cucire, e spesso se ne dimenticava. Quando aprivamo il vasetto, la sua marmellata sprigionava un buon profumo di prugne cotte, ma spesso, frutto di salvataggi di fortuna, aveva un retrogusto di “appiccicato”. Eppure il profumo della marmellata di prugne, la madeleine di Proust più indelebilmente scolpita nella mia memoria, mi riporta ancora oggi alle colazioni estive della mia infanzia, facendomi sentire un formicolio di piacere tra il cuore e lo stomaco.
Quando ho aperto il vasetto di confettura di prugne di Mariangela Prunotto ho sentito lo stesso profumo di allora, anche se il gusto è ovviamente molto più buono!! 
Per questa ragione l’ho scelta anche questa volta, abbinandola al filetto di maiale, in una ricetta composta tassello per tassello con i gusti che amo di più.

La ricetta: Filetto di maiale farcito con castagne e prugne con salsa alla confettura di prugne e dadini di mela cotta
1 filetto di maiale (circa 400g)
10 castagne
10 prugne secche denocciolate
1 mela grande
1/2 cipolla media
1 cucchiaino di senape di Digione
olio
sale
pepe
Per prima cosa ho sbucciato le castagne con l’aiuto di un coltellino e le ho messe a lessare in abbondante acqua. Per averle ben cotte ci vuole circa mezz’ora. Le ho lasciate intiepidire nell’acqua e poi ho tolto la pellicina.
Mentre le castagne cuocevano ho sbucciato la mela e l’ho tagliata a dadini e poi l’ho fatta cuocere a vapore sopra lo stesso pentolino.
Ho tagliato le prugne secche a fettine; nel caso fossero troppo asciutte conviene ammorbidirle in acqua calda per dieci minuti prima di affettarle.
Ho tagliato il filetto trasversalmente come fosse un panino, lasciando le estremità unite, e ho disposto nella piega interna un cucchiaio colmo di confettura di prugne. Ho farcito il filetto con le prugne a fettine e le castagne sbriciolate, ce ne vorrà circa la metà. Ho richiuso il filetto e l’ho legato stretto con lo spago da cucina.
In una pentola dal fondo spesso ho fatto ammorbidire la cipolla tritata sottile in 3 cucchiai d’olio extravergine.
Ho deposto in pentola il filetto e l’ho fatto sigillare da tutti i lati, l’ho salato e pepato. Poi ho aggiunto castagne e prugne a pezzi, avanzate dalla farcitura e colmato il fondo della pentola con un dito d’acqua. Ho coperto e proseguito la cottura, a seconda dello spessore del filetto dovrebbero bastare una ventina di minuti.
Nel frattempo ho messo in una ciotolina 3 o 4 cucchiai di confettura di prugne e l’ho mescolata con la senape di Digione. Io ho assaggiato per rendermi conto della piccantezza, ovviamente la senape non deve coprire il gusto delle prugne, quindi aggiungetela man mano.
Una volta che il filetto era cotto l’ho affettato delicatamente e disposto in un piatto accostando il sughetto di cottura con le prugne e le castagne e un cucchiaio di marmellata di prugne senapata. Io ho accompagnato la carne con la mela cotta a vapore, fatta riscaldare leggermente e condita con sale e un filo d’olio.

Con questa ricetta partecipo al contest di Valentina di Cucina e Cantina in collaborazione con Mariangela Prunotto.

ai fornelli

Filetto di maiale con anelli di cipolla e taccole ai pinoli e basilico.

Ho appena conosciuto le taccole. Lo so che è una vergogna ma non le avevo mai assaggiate e trovandole al mercato mi son detta: proviamo!!
Le taccole, dette anche piattoni, sono una via di mezzo tra i fagiolini e i piselli. Presentano un baccello verdissimo e piatto come un fagiolino che è finito sotto un camion, ma sono in realtà una varietà di pisello, infatti sono anche dette, piselli cinesi o anche “mangiatutto”. Hanno virtù positive, ma sono delicate ed adattissime anche a chi soffre di colite, al contrario del suo parente stretto. Nelle taccole in realtà i semi restano allo stato embrionale e il baccello è particolarmente tenero e dolce. Oltre ad essere una grande fonte di fibra, la taccola è ricca di caroteni, vitamine C e B9, e di una discretà quantità di ferro. Per mantenere inalterate tutte le sue proprietà, vanno cucinate in modo semplice e sono più buone se mantenute leggermente croccanti.
Io le ho usate come contorno ad un piatto di filettino di maiale rosolato in pentola, guarnito da anelli di cipolla fritti. 
Con l’arrivo del caldo mangiare la carne mi riesce più difficile. Invece questa ricetta, con questo abbinamento di sapori, è proprio nel giusto mezzo tra il fresco che ancora ci ha accompagnato in questa primavera che non voleva decollare e il primo caldo sbocciato all’improvviso.
La carne di maiale è sapida ma magra e leggera in questo taglio, le cipolle sfiziosissime e le taccole, al profumo di basilico, dolci, fresche e primaverili.

La ricetta: Filetto di maiale al vino bianco con anelli di cipolla fritti e fresco contorno di taccole con basilico e pinoli

Ingredienti per 2-3 persone:
400 g di taccole fresche
5 foglie di basilico
1 manciata di pinoli
1 cipolla  bianca grande
1 bicchiere di latte
3 cucchiai di farina
400 g di filetto di maiale
olio evo
olio di semi di arachidi per friggere
vino bianco
sale
pepe
 
Ho lavato le taccole, le ho liberate dalle due estremità; a volte può essere necessario togliere il filo lungo tutta la loro lunghezza, ma le mie erano particolarmente tenere e non ce n’è stato bisogno. Le ho tagliate a rombi di 3 cm di lunghezza. In una padella larga ho fatto tostare i pinoli per qualche istante, poi li ho tolti e tenuti da parte. In un paio di cucchiai d’olio ho messo le taccole a pezzetti e fatto saltare in padella, aggiungendo un dito di vino bianco e all’occorrenza un po’ d’acqua. Quando erano leggermente ammorbidite, ma ancora di un bel verde vivo, ho regolato di sale e aggiunto qualche foglia di basilico tagliata a pezzetti e i pinoli tostati in precedenza e fatto insaporire ancora per qualche minuto.

Nel frattempo ho tagliato la cipolla ad anelli sottili e l’ho messa a bagno nel latte. Poi ho legato strettamente il filetto di maiale con lo spago da cucina.
In una pentola dal fondo spesso ho messo due cucchiai d’olio e ho fatto rosolare a fuoco vivace il filettino di maiale da tutti i lati. Poi ho aggiunto un mezzo di bicchiere di vino bianco e l’ho fatto sfumare, infine ho proseguito la cottura a fuoco lento, aggiustando di sale e pepe e aggiungendo un poco d’acqua quando necessario. In circa 20 minuti sarà pronto, restando leggermente rosato al centro.
In un’altra padella ho messo dell’olio di semi d’arachidi e una volta caldo ho fritto le cipolle, scolate e cosparse di farina, finchè non erano dorate e croccanti.
Ho impiattato con fette spesse poco più di un cm di filetto di maiale, coperto da anelli di cipolla e affiancato dalle taccole intiepidite leggermente.

Con questa ricetta partecipo al contest Spring Food Contest di Lina del blog Spadellatissima.


 

ai fornelli, ricette tradizionali

Pollo alle olive verdi e limoni confit

Qualcuno si ricorderà che qualche post fa ho parlato dei miei limoni confit. Tra le ricette più diffuse per provare ad utilizzarli ho trovato quella del pollo alle olive verdi e limoni confit, cotto nella tajine, la tipica pentola conica marocchina, in primis quello di Zucchero e Viole e poi molti altri, che differivano per piccoli particolari.
Nel tentare di riprodurre questa ricetta, pur non avendo la tajine, ho scoperto una cosa molto interessante. La miscela aromatica che si usa per questa ed altre ricette marocchine si chiama Ras El Hanout, che significa “capo della drogheria” ed è il corrispettivo arabo del curry. Si tratta di una miscela ricchissima di erbe e spezie che è diffusa in tutto il Maghreb, con molte varianti.
Sostanzialmente i componenti canonici di questa miscela sono: noce moscata, cannella, macis, anice, curcuma, pepe rosa, pepe bianco, galanga, zenzero, chiodo di garofano, pimento, cardamomo nero, cardamomo verde, lavanda e i boccioli di rosa, diffusissimi nella cucina mediorientale. Fino al 1990 della ricetta faceva parte anche la cantaride polverizzata, che altro non è, e sono che qualcuno storcerà il naso, un piccolo coleottero diffuso in quelle regioni, che veniva essiccato e triturato. Dopo il 1990 la vendita di questo componente è stata proibita in Marocco, ma chissà che in qualche villaggio sperduto ancora non si prepari il Ras El Hanout nel modo più autentico.
Come capirete la mia Tajine di pollo con olive e limoni confit non è autentica, visto che mi  mancavano sia la tajine sia il Ras El Hanout, ma con qualche accorgimento ne è venuta fuori ugualmente un’ottima ricetta caratterizzata dalla forte personalità dei limoni.
Per avvicinarsi alla cottura in tajine la carne deve cuocere in una pentola a fondo spesso, possibilmente di coccio, a fuoco bassissimo e coperta. Il sughino che si formerà sarà perfetto per condire il cous cous da accompagnare alla carne.

La ricetta: Pollo alle olive e limoni confit

Ingredienti:
300 g di carne di pollo in filetti
1 cipolla grossa
2 spicchi d’aglio
1 grosso pomodoro tagliato a dadini
¼ di limone confit più 1 pezzetto
una manciata di olive verdi grosse (le mie erano olive Bella di Cerignola, che di solito sono olive da tavola)
olio evo
spezie (io ho usato: noce moscata, cannella, curcuma, pepe nero, paprika dolce, chiodi di garofano, coriandolo, zenzero fresco)
sale
150 g di cous cous

Preparazione:
Ho messo i filetti di pollo a marinare per circa 3 ore in una marinata che andrebbe fatta con il ras el hanout. Io ho messo olio extravergine d’oliva e le spezie che avevo, tranne lo zenzero fresco. Per le spezie regolatevi a vostro gusto e mettete in frigorifero.
Passato questo tempo, in una pentola di terracotta, ho messo a rosolare i filetti di pollo nella loro marinata, in modo che dorassero da tutti i lati; se usate le cosce di pollo è meglio, perché tendono a seccarsi di meno!
Poi ho tolto i filetti dalla pentola e aggiungendo un cucchiaio d’olio ho rosolato la cipolla sminuzzata e gli spicchi d’aglio. Ho poi aggiunto il pomodoro a dadini, lasciandolo ammorbidire per un po’.
Quando il pomodoro era quasi disfatto, ho rimesso in pentola i filetti di pollo, bagnandoli con il succo di mezzo limone, aggiungendo 2 cm di zenzero fresco grattugiato e tre mestoli d’acqua calda coprendo tutto il pollo.
Ho lasciato cuocere a pentola coperta, a fuoco lento, controllando di tanto in tanto che il pollo si asciugasse molto lentamente.
Nel frattempo ho preso il limone confit e ho ripulito bene la parte che mi serviva dal sale e dalla polpa ancora attaccata alla buccia. Ho aggiunto in pentola la buccia del limone confit e le olive verdi, lasciando cuocere ancora un po’, e verso la fine ho scoperto la pentola perché il sughetto si restringesse. Non dovrebbe essere necessario aggiungere sale, ma nel caso assaggiare e valutare!
Ho servito con del cous cous preparato in precedenza.


Nelle foto vedete anche uno splendido pane che si chiama “Pane Marocchino delle Feste”, la ricetta l’ho presa con qualche variante dal libro “Il pane fatto in casa” di Christine Ingram e Jennie Shapter; ve ne parlerò un’altra volta! 😀

ai fornelli, ricette originali

Maiale e mele con spezie e noci in una crosta graziosa

Per questa ricetta ho preso spunto qui, sul blog AmaraDolcezza della bravissima Giulia.
L’idea del pollo in ceramica bianca successivamente ricoperto dalla sfoglia mi è subito piaciuto tantissimo. L’unico problema era la mancanza delle cocottes in ceramica…
Mi sono quindi ingegnata in altro modo…
Ho pensato di fare interi gusci di sfoglia, riempiti e successivamente ricoperti dalla sfoglia stessa, e in mio aiuto sono arrivati degli stampini in silicone per muffin di cui sono totalmente entusiasta. Li ho già utilizzati diverse volte, sia come contenitori per monoporzioni di verdure al forno, sia per i classici muffin,sia per queste tortine salate di sfoglia.

Le torte di sfoglia ripiene dei più svariati ingredienti sono una preparazione molto antica. Abbozzate, ma mai valorizzate, in epoca romana, ebbero una vera esplosione nel Medioevo e indovinate un po’ da quale paese si diffusero in tutta Europa… dall’Italia, naturalmente, che in fatto di cucina ne sapeva già un bel po’. Le torte compaiono nel menù degli eremiti di Camaldoli già dal XII secolo e nel XIV sono dentro ai ricettari più diffusi. E se inizialmente sono torte di verdura in seguito diventano anche torte di carne e di formaggio e  con la cucina rinascimentale anche l’involucro, che prima era semplicemente come un pentolino, diventa commestibile.
Anche la mia ricetta ha un qualcosina di antico, frutta e carne, come Giulia, ma cambia il tipo di carne e ci sono le spezie…

La ricetta: Pie al maiale e mele con noci e spezie
Ingredienti: (con una sfoglia vengono 3 pies, quindi anche il ripieno è calcolato per 3 porzioni)
per l’involucro:
1 pasta sfoglia pronta
semini di papavero
per il ripieno:
250 g di carne di maiale magra (ho usato della lonza)
1 mela golden grande
cipolla (tagliata a pezzettini fini fini, ne avrò usata un cucchiaio circa)
1 cucchiaino di cannella
1 cucchiaino di zenzero in polvere
1 spruzzata di pepe
i gherigli di tre noci a pezzettini non troppo piccoli
vino bianco
sale
olio

Ho tagliato la carne di maiale a cubetti di 1,5cm di lato (più o meno) e l’ho bagnata con mezzo bicchiere di vino bianco.
Ho sbucciato la mela e tagliato a cubetti anche questa.
In una padella ho versato due cucchiai d’olio e ho fatto rosolare la cipolla e la mela per qualche minuto. Poi ho aggiunto il maiale, scolato, e dopo qualche minuto il suo vino bianco. Ho proseguito la cottura, facendo asciugare un pochino e nel frattempo ho aggiustato di sale, pepe e spezie e aggiunto le noci spezzettate. Tagliato a cubetti così piccoli, il maiale cuoce in un attimo.
Poi ho spento e lasciato in caldo, mentre preparavo i gusci di sfoglia.
Ho acceso il forno a 180°.

Nella sfoglia già distesa ho ritagliato tre cerchi del diametro di 12 cm. Poi con i ritagli, rimpastati e ridistesi ho preparato i coperchi.
In ogni stampino da muffin ho messo un cerchio, un terzo del maiale e mele e ricoperto con il cerchio più piccolo, saldando bene i bordi. Poi ho  bucherellato con uno stecchino da spiedini.
Quando erano pronti i tre pies, li ho infornati, giusto il tempo di far cuocere e dorare la sfoglia, circa 20 minuti.
A dieci minuti dalla fine della cottura ho aggiunto in forno anche una teglietta di cuoricini, tagliati con uno stampino da biscotti e decorati con i semini di papavero. (Ma andrebbe bene anche della paprika dolce o qualcos’altro che faccia colore).

Una volta sfornati, ho messo un pie in ogni piattino, e decorato con i cuoricini! <3 <3 <3
Se trovate la cosa un po’ sdolcinata…fate delle stelline, ecco! 😀

Con questa ricetta vorrei partecipare nella categoria “salati” al contest “Capolavori da Gustare” di Fujiko del blog “La ricetta della felicità” in collaborazione con ConGusto, scuola di cucina.

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La mia cena cinese fatta in casa

Ci pensavo già da qualche giorno, da quando avevo visto la ricetta degli involtini primavera sul blog di Vera. Ho pensato che invece di fare il solito pollo alle mandorle potevo abbinare diversi piatti.

Il caso ha voluto che incrociassi anche la foto dei Mantou in una mostra sul pane che c’è alle Ex OGR qui a Torino. Questi famigerati mantou, io non li avevo mai sentiti… Si tratta di pane cinese, un pane lievitato e poi cotto a vapore, che resta sofficioso e bianco e che si trova coniugato in diverse declinazioni anche in Giappone, Corea e Filippine. 
Alcuni li servono anche in versione dolce, facendo bocconcini piccini e bagnandoli in una salsa che assomiglia al latte condensato.
Quindi sono andata alla ricerca della ricetta dettagliata. Ho trovato diverse alternative in rete, ma alla fine ho usato, come al solito, una soluzione mia, mescolanza di tutte le altre…diminuendo un po’ le dosi, per l’esigenza di non riempirmi la casa di panini cinesi, (come Heidi aveva riempito l’armadio di panini bianchi!!! Qualcuno se la ricorda?).

Infine c’era il pollo alle mandorle, che preparo abbastanza spesso, perchè mi piacciono i piccoli pezzettini sugosi e la croccantezza delle mandorle.

Alla fine di un pomeriggio full immersion nella cucina cinese ho pensato che il detto “lavorare come uno schiavo” non era più azzeccato…quindi è stato prontamente sostituito con “lavorare come un cuoco cinese”!!!

Ora metto tutte le ricette e un po’ di foto!!!
Qǐng xiǎngyòng! [Buon appetito!]

Gli involtini primavera.

Ho seguito pari pari la ricetta di Vera che trovate qui.
Per mia comodità metto le dosi che ho utilizzato, con le quali ho confezionato 12 involtini.
per le sfoglie:
150 g di farina (anche farina di riso)
50 g di semola fine
375 g di acqua
1 cucchiaino di sale
per il ripieno:
1/3 di un cavolo cappuccio
1 carota grossa
1/2 porro
2 cucchiai di salsa di soia (io uso quella dolce, così poi regolo di sale alla fine, per non trovarsi con un cibo troppo salato nel piatto)
per friggere:
olio di arachidi
Il procedimento è spiegato molto bene, perciò non aggiungo altro, se non qualche consiglio:
–  non fare la sfoglia troppo spessa, altrimenti è a rischio rottura durante l’arrotolatura; 
–  non fare la sfoglia troppo sottile, altrimenti è a rischio rottura durante la frittura;
– mettere gli involtini pronti, in attesa di essere fritti, in un piatto leggermente unto, altrimenti c’è il rischio rottura;
– friggere bene il primo lato prima di girare l’involtino, altrimenti si è a rischio rottura;
A parte queste accortezze, è abbastanza facile farli, anche se occorre un po’ di pazienza!!!
Io ne ho fritti solo sei, gli altri li ho avvolti in pellicola per alimenti e congelati.
Il ripieno dei miei involtini mi è sembrato più saporito di qualsiasi altro assaggiato in ristorante cinese, ma credo che fosse l’adrenalina per essere riuscita a prepararli!! 🙂
belli dorati
Pollo alle mandorle
(per 2 persone)
circa 250 g di petto di pollo, (peso già privo di scarti)
35 g di mandorle pelate
salsa di soia dolce (da aggiungere a piacere)
mezzo bicchiere di vino bianco
un cucchiaio di farina
sale, olio
Per prepararlo, taglio il pollo, ben pulito, a cubettini di un cm di lato e lo metto a marinare in frigorifero, con il vino bianco e la salsa di soia. Deve marinare un paio d’ore, in modo che si insaporisca bene. Mezz’ora prima di cuocere aggiungo anche le mandorle nella marinatura.
La cottura sarà molto veloce, perchè i pezzettini così piccoli cuoceranno in un attimo, quindi la marinatura è molto importante.
Nell’olio caldo, verso i pezzettini di pollo e le mandorle, facendoli rosolare per qualche istante. Poi aggiungo il liquido di marinatura e lascio cuocere per qualche minuto.
Diluisco la farina con un cucchiaio del brodino di cottura e poi aggiungo il tutto in padella. Servirà per far rassodare il sughetto e renderlo vellutato.
Regolare di sale prima di servire.
il pollo alle mandorle
Mantou (Panini cinesi al vapore)
ingredienti (per 8 mantou, più una parte di impasto che andrà a costituire 6 baozi):
per l’impasto:
200 g di farina
1/4 di bustina di lievito secco (bustina da 7g)
la punta di un cucchiaino di zucchero
80 ml di acqua

Una parte di questi mantou sono diventati baozi, ovvero hanno accolto un po’ di ripieno dell’involtino primavera, oppure un ripieno fatto con la carne tritata di maiale. Così ripieni ci sono piaciuti di più, concettualmente assomigliano ai ravioli al vapore, ma rimangono gonfi perchè lievitati.

per il ripieno dei baozi:
qualche cucchiaiata del ripieno degli involtini primavera
3 cucchiai di carne tritata magra di maiale
due cucchiai di salsa di soia dolce
sale
un pezzetto di cipolla tritata

Ho sciolto il lievito in acqua con la punta di zucchero ed ho aspettato che si formasse la schiumetta in superficie (circa 15 minuti).
Ho cominciato ad aggiungere acqua alla farina e ad impastare con una forchetta e quando la palla si è staccata dai bordi della ciotola ho aggiunto un piccolo pizzico di sale.
Ho impastato a lungo ed energicamente sulla spianatoia, finchè la pasta non è diventata liscia.
Ho messo a lievitare in un luogo riparato.
Dopo un’ora ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato e rimesso a lievitare per un’altra mezz’ora.
Passato questo tempo ho messo su una pentola piena d’acqua la gratella per cuocere le verdure a vapore. Sarebbe meglio avere i cestini di bambù che utilizzano nei ristoranti cinesi…ma come immaginate non ne ero fornita!! 😀
Ho fatto delle palline grandi come albicocche. In realtà consiglio di farle più piccole, perchè in questo modo il panino cresce meglio e cuoce uniformente; bisogna tener presente che in cottura lieviterà e quindi bisogna lasciargli lo spazio tutto intorno.
Perchè non si attaccassero ho messo una spolverata di semola sul fondo.

i miei mantou sono un po’ grandi…
Con una parte di impasto ho fatto dei baozi. E’ sufficiente prendere una porzione di impasto schiacciarla come se fosse una focaccetta e riempirla con verdure o carne ed infine richiuderla pizzicandone il bordo. Io ho usato una parte del ripieno degli involtini primavera e un altro ripieno fatto con carne tritata di maiale, passata velocemente sul fuoco con cipolla e salsa di soia.
Poi si cuociono a vapore come i mantou.
Questi panini si servono caldi ma, se non avete una cucina professionale con cento fornelli, potete tenerli in un piatto, a portata di calore, mentre si finiscono di preparare gli altri piatti!!! 

Quelli tondi sono baozi con verdure, quelli lunghi baozi con carne…brutti ma buoni
Ecco il ripieno del baozi

Vi lascio con una breve leggenda sulla nascita dei mantou.

Si narra che il conquistatore Zhuge Liang di ritorno da una delle sue campagne di conquista si trovò davanti un fiume talmente impetuoso che sembrava impossibile guadarlo. Un saggio gli disse che era usanza sacrificare cinquanta uomini per placare gli dei dell’acqua, ma Zhuge Liang era stanco di spargere sangue. Allora fece macellare le bestie che viaggiavano insieme all’esercito e con la loro carne farcì dei panini a forma di testa, tondi sopra e piatti alla base, che fece gettare nel fiume. Dopo che l’attraversamento ebbe successo, ribattezzò questi panini mantou, ovvero testa di barbaro.
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La storia di Arthur Guinness e l’Irish Guinness Beef Stew

Un po’ di storia… 😉
Ritratto di Arthur Guinness
Arthur Guinness nacque a Celbridge nel 1725 nella contea di Kildare, e qui venne spillata la prima pinta di birra Guinness, nell’attuale Mucky Duck Pub.
La famiglia vantava di discendere dall’antico clan dei Magennis della contea di Down, ma la cosa non è provata, pare essere più la conseguenza del successo dell’impresa e del tentativo di elevarne ulteriormente il nome.
Il padre Richard Guinness era l’amministratore delle terre di Arthur Price, arcivescovo di Cashel e padrino di battesimo del piccolo Arthur, e forse produsse birra artigianale per i lavoratori della tenuta, come spesso accadeva in campagna.
Arthur Price ricompensò generosamente il suo fattore, lasciando in eredità, nel 1752, ad ogni membro della famiglia Guinness, ben 100 sterline che all’epoca rappresentavano una piccola fortuna.
Nel 1751 Arthur Guinness aveva già fondato una birreria a Leixlip, iniziando a produrre birra ale, cioè ad alta fermentazione a temperature elevate. Utilizzava quindi il procedimento più antico, ancora oggi ben radicato nella cultura anglosassone e fiamminga, che dà luogo ad una birra ambrata, con gusto fruttato, con un amaro più o meno pronunciato.
la firma sul contratto d’affitto della St.JamesGateBrewery
Qualche anno dopo, nel 1759, Guinness fiutò un vero affare e, lasciando al fratello minore la direzione della piccola impresa di Leixlip, si trasferì a Dublino, al St. James Gate Brewery, riuscendo ad affittare questo sito completamente abbandonato per 45 sterline all’anno, con un contratto della durata di 9000 (!!!) anni.
Pare che Guinness continuò a produrre principalmente birra ale  fino al 1778, facendo intanto esperimenti sulla scura.
Nel 1761 sposò Olivia Whitmore, da cui ebbe 21 figli, dei quali soltanto 10 raggiunsero l’età adulta, e soltanto tre di loro divennero birrai; gli altri discendenti furono missionari, politici e letterati.
Dal 1764 abitò nel North Side di Dublino che in quegli anni era la parte migliore della città, prima di cedere il passo al South Liffey, verso la fine del XVIII secolo. La Beaumont House, dove la famiglia Guinness visse, oggi fa parte del Beaumont Hospital.
L’attività di Arthur andava a gonfie vele, visto che nel 1767 fu messo a capo della Corporazione dei Mastri Birrai di Dublino.
Già dagli anni ’60 del Settecento alcuni birrai di Dublino provarono a produrre della birra porter. Con questa denominazione si indicava la stout porter ovvero una birra con caratteristiche un po’ più leggere della normale stout, prodotta ad alta fermentazione e caratterizzata da una tostatura molto marcata che le conferiva il caratteristico colore scuro, con una gradazione alcoolica abbastanza bassa ed aroma amaro intenso, tendente al cioccolato e al caffè.
Una delle prime “pubblicità” Guinness
Solo nel 1778 Guinness cominciò ad esportare birra porter, come testimoniano dai suoi libri contabili. Cominciò la massima espansione della sua attività, con conseguente allargamento dell’impresa, nel triennio 1797-99, assumendo presso di sé alcuni membri della famiglia Purser che producevano stout a Londra dagli anni ’70; in seguito, per alcuni decenni, i Purser divennero consoci.
Da questo momento Guinness si concentrò solo sulla birra scura e alla sua morte la produzione annuale aveva raggiunto le 20.000 botti.
È nota anche la sua tendenza politica, negli anni ’80 e ’90 del Settecento – e in particolare dal 1793 – come sostenitore di Henry Grattan per l’emancipazione dei cattolici, all’epoca pesantemente assoggettati alla dominazione inglese e ai possidenti irlandesi di fede protestante. Probabilmente questa sua tendenza era dovuta al fatto che Grattan volesse ridurre le tasse sulla produzione della birra e, in effetti, durante la grande ribellione del 1798, non si schierò apertamente a favore degli United Irishmen.
Nel 1801 venne prodotta ed esportata la prima West India Porter, antenata della moderna Guinness Foreign Extra Stout.
Arthur Guinness morì a Dublino nel 1803, lasciando l’impresa al figlio Arthur.
immagini pubblicitarie* del 1935, 1956, 1960, 1966
[* le immagini fin qui pubblicate provengono dal sito http://www.guinness.com/]
Con questa pappardella sulla storia di Arthur Guinness qualcuno avrà intuito che si prosegue sulla vena dell’Amarcord vacanziero.
Questo non vi sembrerà un piatto estivo…in effetti non lo è!!! E’ un piatto decisamente adatto ai climi freschi o all’inverno ma, come i miei 10 11 lettori sanno, un anno fa, stavamo per partire per il nostro viaggio in Irlanda.
Laggiù non abbiamo assaggiato tutto ciò che avremmo voluto, visto che il viaggio era abbastanza volto al risparmio… quest’anno non ci sono vacanze, ma nessuno ci vieta almeno di provare a cucinare qui tutti i piatti che in viaggio non abbiamo assaggiato, con il vantaggio che non dovremo ammettere se sono meno buoni dell’originale!!! ;D
Complice in questa impresa è innanzitutto il clima di Torino in questo luglio, fresco e ventilato…ieri sera c’erano 20 gradi, decisamente pochini per il periodo. Inoltre in mio aiuto è venuto un libricino recentemente trovato in rete, che si chiama Cuisine Irlandaise (in francese…O__o’) di Anne Wilson.
La ricetta originale è preparata con carne di bovino adulto, ma io avevo dello spezzatino di vitello a casa e l’idea di farlo all’irlandese, con una lattina di Guinness è venuta da sé. 
Me con Guinness 2010
La birra Guinness sembra quasi nera, ma controluce si possono scoprire sfumature rosso rubino. L’acqua utilizzata per la produzione è quella delle Wicklow Mountain, sebbene per gran parte della birra importata dai locali fuori dall’Irlanda venga usata acqua olandese. 
La differenza si sente!!! 
La nota più evidente è la cremosità della schiuma e anche della birra, che sembra quasi vellutata. La Guinness in bottiglia o in lattina è molto più simile a quella che abbiamo gustato a Dublino, di quella che si può assaggiare qua a Torino da tutti coloro che non sono distributori ufficiali del marchio. Nella lattina troviamo anche una particolare pallina di plastica che permette la formazione della schiuma alta e densa caratteristica della spillatura tradizionale.
Ed ora va in scena l’Irish Stew!!! 🙂
La ricetta: Irish Guinness Beef Stew
(con queste quantità ce lo siamo pappato in due!!)
400 g di spezzatino di vitellone
1 cucchiaio di burro + 2 cucchiai d’olio d’oliva (in origine erano 2 cucchiai di strutto)
1 grossa cipolla
1 spicchio d’aglio
2 cucchiai di farina
250 ml di brodo vegetale (in origine era brodo di manzo)
250 ml di Guinness (io l’ho trovata in lattina al supermercato)
1 carota a rondelle
2 foglie di lauro
1 cucchiaio di timo essiccato
8 prugne secche
pepe sale
prezzemolo fresco

La carne va fatta a pezzettini piccoli.
Intanto ho fatto sciogliere il burro nell’olio e vi ho rosolato la cipolla tagliata finemente. Poi ho aggiunto anche l’aglio e fatto rosolare il tutto.
Quando sono entrambi rosolati vanno tolti dalla casseruola e scolati.
Nel burro-olio restante va fatta rosolare la carne, poi bisogna aggiungere la farina e farla sciogliere.
Appena la farina era sciolta ho aggiunto il brodo, in una volta sola. Quando cominciava ad inspessirsi ho aggiunto la birra scura.
Quando anche con la birra il brodo cominciava a fremere ho aggiunto le cipolle rosolate in precedenza, le carote a rondelle, le prugne, il pepe e lauro e timo.
Ho lasciato cuocere per un’ora circa a fuoco bassissimo, rigirando ogni tanto, finchè il sughetto non era diventato denso e lucido e la carne era cotta.
Nei piatti ho aggiunto una spolverata di prezzemolo tritato fresco.

 
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