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#InvasioniDigitali a Torino – Villa della Regina I social per la promozione del panorama culturale italiano

Qualcuno di voi avrà sentito parlare in questi giorni di #InvasioniDigitali.

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La mia cucina: la foodblogger cucina qui!

Quando ho letto del contest di Betulla “La food-blogger cucina qui ho subito pensato di partecipare. Per parlare un po’ di me? Per raccontare del luogo dove passo davvero tante ore al giorno?
Un po’ per questo, d’accordo…ma soprattutto per mettere sotto i riflettori lei, la mia cucina!
Se ancora non siete stati travolti dal vortice del foodblogging molto probabilmente non capirete fino in fondo tutto questo entusiasmo: siete immuni dall’attrazione per le caccavelle, dalla mania per la luce giusta, dai luoghi studiati apposta per organizzare cene e, mai dire mai, un bel corso di cucina…ma chi c’è dentro fino al collo sa che questa diventa a poco a poco una malattia!
Per lungo tempo ho portato avanti questo blog da un cucinino minuscolo di 1 metro per 1 metro e quando si è profilata all’orizzonte l’idea di cambiare casa, avevo una sola idea fissa: la MIA cucina.
Volevo luce, naturalmente, perchè ci potessi fare tutte le foto che desideravo. Volevo spazio, perchè ci stesse un bel tavolo grande, e questo tavolo doveva poter diventare ancora più grande per accogliere delle belle cene, volevo che ci fosse lo spazio per tutte le caccavelle, ma volevo anche evitare troppi pensili che restringono la percezione.
Sono stata fortunata. La casa che abbiamo scelto ha una cucina ampia, con doppia finestra, che si affaccia su un piccolo cortile che, con la bella stagione, mi ha permesso di scattare le foto anche all’aperto, mentre iniziavo a prendere confidenza con la reflex. 
La parete con gli attacchi per gli elettrodomestici mi ha permesso di sviluppare la cucina su una linea, così l’altra parete è rimasta libera per dare spazio ad una mia insana idea…
Volevo una parete colorata che parlasse di me e che fosse riconoscibile anche nelle foto.
Quella
parete da qualche mese è diventata lo sfondo per l’header del mio blog,
che ogni mese cambia e si popola dei frutti di stagione
.
Lo confesso, siamo qui da 11 mesi e ancora mancano le tende…ma ci rifaremo presto!


E ne approfitto per lanciare un appello: caro signor Ikea, se capiti qui e ti accorgi come nell’anno passato abbiamo contribuito agli utili della tua azienda e vuoi ringraziarci con un buono omaggio…ma anche se vuoi solo ringraziarci…ecco, noi siamo qui!
Con queste farneticazioni e immagini della mia cucina partecipo al contest di Betulla “La food-blogger cucina qui” in collaborazione con Ros.

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Oggi il forno è spento: vi parlo un po’ di me!

Un passaparola si aggira furtivo in rete da qualche mese…e mi son detta che sia un richiamo anche per me?
 
“Blogger We Want You!” è la ricerca che Grazia.it lancia per trovare i propri blogger-collaboratori.
Del magazine Grazia.it io sono addict delle sezioni lifestyle e fashion… ma è su itblogs che vado ad arenarmi: ancora una volta sulle blogger che scrivono di lifestyle, fonte inesauribile di spunto e divertimento, e sulle “food”: ilcavolettodibruxelles vi dice qualcosa? 😉

Adesso tocca a me presentarmi: blogger nell’animo, mi trovate sempre in rete, finestra smisurata su un mondo che vorrei toccare. Un po’ retrò nella sostanza, ho uno stile di vita anni ’50: lentezza in cucina e cene allestite a modo, oggetti vissuti che raccontano una storia, profumo di pane tra le pareti domestiche, torta fatta in casa a colazione, la spesa al mercato su una bici stracarica e sgangherata. Impasto e inforno, friggo, trito e taglio, salto e condisco…e la cucina è il posto dove proprio non riesco a stare ferma.
Questo bombardamento culinario si svolge in una casa con cortile, in una zona tranquilla della mia città, Torino, a cinquanta piccoli saltelli dal Po.

La mia cucina non è solo una coccola per il cuore e lo stomaco, ma è il pretesto per scoprire e raccontare storie avvicenti. Come una Indiana Jones al femminile, in gonnella e grembiule, ricerco e trovo viaggi millenari di cibi che hanno attraversato il globo in lungo e in largo; storie di produttori appassionati che oggi riscoprono il valore della tradizione e del “fatto con amore”; ricette che, come formule magiche, si trovano condivise da madri di famiglia a chilometri di distanza, seguendo i flussi migratori e le vicende storiche, mutando nel nome ma spesso non nella sostanza.
Non di sole ricette ci si nutre qui, ma di pittura e arte, storia e letteratura, e il cibo diventa un succoso pretesto per chiacchierare.
Così accade che vi racconti di un antico piatto piemontese, mentre vi mostro uno dei palazzi più curiosi di Torino, poi, all’ora del té, approfondiamo insieme la conoscenza di una pittrice americana del XIX secolo; più tardi, rendiamo giustizia a Maria Antonietta che non disse mai <<che mangino le brioches…>> e nel frattempo le prepariamo in casa; facciamo un salto a Perugia o a Lisbona… o in tempo di Carnevale e fritole a Venezia.

La mia cucina è un atto d’amore, non solo verso chi si siede a tavola con me, ma anche verso me stessa, e se è normale dedicare del tempo a scegliere cosa mettere addosso, ai capelli, al trucco, ancora più importante è dedicare del tempo a cosa si mette in pancia.
L’atmosfera che mi piace comunicare è quella di una cucina alla portata
di tutti
, una cucina di casa, che sia quotidiana o soltanto domenicale, per il puro gusto di prendersi cura di chi amiamo.
Riscoprire la lenta cucina tradizionale, non vuol dire fare sempre i
salti mortali: talvolta basta organizzarsi con un po’ di anticipo e con i tanti alleati che oggi, al contrario di un tempo, abbiamo in cucina, dagli elettrodomestici al congelatore.
Da qualche mese sto dedicando più attenzione alla fotografia…la strada è ancora lunga, ma molto stimolante!
Ora non mi resta che fare appello ai miei “25 lettori” per raccogliere qualche voto e concorrere a “Blogger We Want You” per Grazia.it. Basta cliccare qui o sul bottoncino a lato, per entrare sul mio profilo e regalarmi un cuoricino!

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Una nuova serata per Platti Atelier del Gusto, va in scena la cucina lucana

Chi mi segue sa quando è nato il mio recente amore per la Basilicata.
Un amore nato con il contest #IoChef lanciato in occasione del 27°
congresso nazionale della Federazione Italiana Cuochi (FIC),
organizzato dall’Unione Regionale Cuochi Lucani, che si è svolto a
Metaponto dal 7 al 10 ottobre 2013.  
In quell’occasione avevo presentato una ricetta a base di melanzana rossa di Rotonda DOP, pane di Matera IGP e peperone crusco di Senise, insieme a un saporito ragù di polpo e qui potete trovare tante indicazioni su questi prodotti.
La mia conoscenza dei prodotti lucani si è evoluta ancora con un altro contest, #MangiareMatera, dove i protagonisti erano il Pane di Matera e le farine di grano duro lucane, recentemente conclusosi con un riconoscimento anche per me: sono arrivata terza nella categoria primi piatti con i Fagottini di Semola di Grano Duro ripieni di platessa ed erbe fini. Questo contest ha anche portato alla pubblicazione di un libro, Grano Duro, Oro Giallo, con tante ricette di bravissimi bloggers.
Ora sono qui a raccontarvi dell’imminente nuovo appuntamento del Caffé Platti per le serate Atelier del Gusto che si svolgerà il 25 e il 26 febbraio prossimi. La protagonista della serata sarà la Lucania e l’attore un altro promettente chef emergente: Matteo Malacarne, chef del ristorante Don Matteo di Matera, ubicato all’interno di Palazzo Gattini, nel cuore dei Sassi. Ancora una volta si tratta di una storia familiare, la mamma e il papà di Matteo lavorano nel ristorante di famiglia, in cucina e in sala. Ancora una volta la promessa di gusti sorprendenti, grazie ai prodotti del territorio.
Qui il menù della serata:

Aperitivo di benvenuto
Panecotto con le rape e pezzentella al finocchietto con passato di zucca rossa e lampascione leggermente croccante
Carciofo con fonduta al pistacchio, cannolo al pecorino di Moliterno, crema caprina e antica insalata di arance, finocchio e melagrana
Triscidd poverelli di casa 
Olio Nuovo…terriccio di zafaran e polpa di acciughe rifiniti con mollica di pane cafone
Scorzette di mandorle di grano Senatore con salsiccia fresca e funghi cardoncelli delle Murge
Involtino di ricciola alla moda Lucana purea di ceci neri e petali di peperone crusco di Senise
Lo Spumone di Matera agli amaretti e noci mascoline con colatura di cacao amaro e…
…la ricotta di pecora allo strazzone al Cordial Caffè e miele di sulla
i vini in abbinamento:
Metodo Classico “Centosanti – sb.2012 – cantina Michele Dragone
Malandrina 2010 – Moro- Cantina Masseria Cardillo, Bernalda
Cordial Caffè Lucano – Cav. P.Vena – Pisticci Scalo
(il costo della serata è di 65€/vini inclusi)
Molti ingredienti presentati in menù rappresentano alcuni dei numerosi presidi e tipicità lucani.
La Pezzentella, anzitutto, tipico salame della montagna materana e presidio Slow Food; poi il Canestrato di Moliterno, formaggio di pecora e capra, maturato nei caratteristici canestri di giunco e con riconoscimento IGP; i triscidd, sono i famosi strascinati, pasta tipica lucana, fatta in casa; il pane di Matera, tra i più pregiati pani d’Italia; i funghi cardoncelli delle Murge appulo-lucane; i ceci neri della Murgia Carsica (io avevo assaggiato quelli di Pomarico); i peperoni cruschi di Senise IGP (potete trovare qualche cenno sul mio post del contest) e il misterioso Zafaran, che non è zafferano ma polvere di peperoni cruschi, dorata e saporita; poi il grano Senatore Cappelli, una delle più antiche e pregiate varietà italiane; e ancora la ricotta di pecora allo strazzone.
Non vedo l’ora che arrivi il 26 febbraio, quando potrò assaggiare tutte queste specialità nella raffinata interpretazione di Matteo Malacarne. E se non avete in programma un imminente viaggio in terra lucana, vi consiglio di approfittare di questa occasione per assaggiare la cucina del Don Matteo, in trasferta sabauda.

Per informazioni e prenotazioni per le serate del 25 e 26 febbraio, potete chiamare lo 011.5069056. 
E per seguire la mia degustazione: #plattiseratalucana #Platti e #AtelierDelGusto.
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Perugina, il Museo e la Scuola del Cioccolato

C’eravamo lasciati con uno sguardo su Perugia:

Ma ora parliamo di baci.
Come la celebre “Carezza in un pugno” di Celentano, anche i Baci Perugina nascono da… un cazzotto.

Nel 1922 la signora Luisa Spagnoli, per recuperare gli scarti della lavorazione delle nocciole, una granella troppo sottile, pensa di farne praline, impreziosite da una nocciola intera in cima e ricoperte da un delizioso fondente alla vaniglia. Per la forma irregolare li battezza “cazzotti”. Giovanni Buitoni cambia il nome in Baci, immaginando il cliente che entra in negozio: 

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«Signorina, mi dà un bacio?»

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«Certo, Signore, ecco a lei un Bacio.». E con una punta di malizia e romanticismo nasce il prodotto che più di tutti segnerà la storia di questa azienza.

Nel 1915 la Perugina aveva abbandonato il centro città per lo stabilimento di Fontivegge, nella periferia di Perugia, con macchine modernissime per l’epoca. In quel momento si configura il passaggio da bottega artigianale a moderna industria, innescando una serie di cambiamenti innovativi per l’epoca, tra i quali spicca il risalto dato alla comunicazione pubblicitaria.
La pubblicità è momento fondamentale anche per il Bacio, affidata per tutti gli anni ’30, all’inventiva di Federico Seneca, che trasforma il celebre “Bacio” del pittore romantico Francesco Hayez, nei due innamorati del Bacio Perugina.

La comunicazione pubblicitaria, qui come non mai ce ne rendiamo conto, segue il costume e il cioccolato diventa, di volta in volta, trasgressivo, passionale o ancora rassicurante e familiare e passa dal dono tra innamorati alla dimensione familiare.


Il Museo Storico Perugina, nato nel 1997, per i 90 anni dell’azienda, racconta questa storia.
Oggi è possibile compiere un viaggio nel cioccolato, attraverso la sua storia, la storia della Perugina, e la sua comunicazione.

Tra réclame pubblicitarie che ormai ci fanno sorridere, per i cambiamenti di stile che si sono compiuti, e testimonianze di personaggi celebri, il viaggio è affascinante.
Il primo testimonial celebre è Mussolini che nel 1923, durante una visita alla fabbrica, afferma: «Vi dico e vi autorizzo a ripetere che il vostro cioccolato è davvero squisito.». Le sue parole, prontamente appuntate dai testimoni, vengono altrettanto prontamente ritrattate perchè l’immagine tutta d’un pezzo del duce non poteva indulgere su consigli pubblicitari. 
Ci pensa Gabriele D’Annunzio a mettere in risalto la delicatezza delle confezioni.

Qui i versi di Totò per l’amato cioccolato.
La storia della Perugina è d’altronde legata a doppio filo alla Storia d’Italia: vediamo succedersi guerre e crisi, e periodi di ripresa e prosperità.
All’interno del museo è bellissimo perdersi tra le vecchie pubblicità e le foto d’epoca delle operaie al lavoro e fare il confronto con le moderne linee di produzione, attraverso la visita alla fabbrica in funzione.

Il periodo migliore per una visita, per vedere le macchine al lavoro, va dal mese di luglio al mese di marzo, quando la produzione dei prodotti è al massimo, mentre si fermano verso l’arrivo della stagione estiva.
Presso la Casa del Cioccolato non si trova solo il museo, ma anche la Scuola del Cioccolato. Qui si possono seguire corsi completi e diversi per durata e approfondimento per imparare tutti i segreti della lavorazione del cioccolato. Un mastro cioccolataio, nel nostro caso Massimiliano, mostra tutti i procedimenti ed ognuno li ripete nella propria postazione, portando poi a casa i cioccolatini prodotti.

Noi abbiamo imparato a fare i “Nudi”, ma le preparazioni sono diverse, per un’offerta variegata è un’esperienza sempre nuova. Preparando le specialità di casa Perugina si imparano i fondamenti della lavorazione del cioccolato, il temperaggio del cioccolato, la ganache, la pralina, applicabili poi in diversi prodotti finali:…poi serve solo un po’ di fantasia per inventarne di nuovi.

Se capitate in Umbria e a Perugia per una vacanza, cercate di mettere in programma una visita a questa strabiliante vetrina sulla storia e sul costume italiano.
Tutte le informazioni di visita e prenotazione le trovate a questi link:
Casa del Cioccolato 
Scuola del Cioccolato

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Disfida Focaccia con due miti del “cibo da strada” ligure

Vi ricordate della giornata alla focacceria Lagrange? E vi ricordate del contest e della mia focaccia genovese-piemontese?

Ecco, con quella focaccia ho catturato l’attenzione di Salvatore Lo Porto e presto (spero) la prepareremo insieme.
Nell’attesa vi racconto cosa è successo il 3 dicembre in un’altra focacceria del circuito, precisamente alla Focacceria Sant’Agostino di via San’Agostino 6 a Torino.

A darsi appuntamento qui, due dei miti liguri del cibo da strada: Biagio Palombo, il mitico Biagio della Baracchetta di Recco, e Vittorio Caviglia, in un momento di godereccia condivisione di saperi.
Biagio della Baracchetta ha portato con sé tutto il sapere maturato in anni di produzione di una delle più buone e autentiche focacce di Recco; Vittorio ha condiviso invece tutte le regole per produrre la farinata perfetta, del giusto spessore, croccante in superficie e morbida all’interno.
Questa disfida tra Farinata e Focaccia di Recco è stata giocata all’insegna della più grande umiltà, con la regola, ripetuta più volte, che alla base di un ottimo risultato c’è un duro e costante lavoro.
Abbiamo scoperto che la focaccia di Recco richiede una buona manualità, ma il segreto sta nell’elasticità dell’impasto e che la farinata vuole soprattutto un buon equilibrio tra gli ingredienti e un forno molto caldo e che sia perfettamente in bolla.
Abbiamo scoperto che le teglie tonde non sono tutte uguali e che richiedono un trattamento speciale.
abbiamo scoperto soprattutto che le cose più buone sono quelle più semplici: pochi ingredienti di qualità e la passione di una vita.

Qui sotto trovate alcune foto della serata e in fondo la mia focaccia di Recco e la mia farinata (prima della disfida focaccia…non credevate mica che vi avrei rivelato tutti i segreti di Biagio e Vittorio?!?).

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Una giornata al Training Center Lavazza: un biscotto ispirato dal caffé!

Lavazza è in Italia e nel mondo sinonimo di caffè ed è una delle più grandi aziende della mia città.

Io mi ricordo delle campagne pubblicitarie con Nino Manfredi, i miei genitori ricordano certamente le lattine sottovuoto con l’apertura ad anello, e il caballero misterioso con la dolce Carmencita.
L’azienda nasce a Torino nel 1895 dallo spirito imprenditoriale di Luigi Lavazza, figlio di agricoltori ma con un’anima votata al commercio. Nel 1910, proprio dalla sua intuizione nasce il caffé in miscela, mentre i concorrenti si limitavano a commerciare le singole varietà. La miscela ha il meritato successo e la Lavazza si trasferisce nei locali più grandi di via San Tommaso.
Nel 1923 il caffè comincia ad essere venduto già confezionato, cosa che migliora la conservazione e il trasporto, e nel 1927 la Lavazza diviene Società per Azioni.
L’azienda supera le difficoltà di due guerre mondiali e del periodo di autarchia, e non smette di espandersi, fino a culminare con una vera e propria rivoluzione per l’epoca: la creazione dei sacchetti con il proprio marchio.
Nel 1950 il primo slogan pubblicitario è “caffè Lavazza, paradiso in tazza… e credo che i moderni pubblicitari prenderanno da qui ispirazione per le pubblicità televisive ambientate in paradiso.
A proposito di pubblicità, Lavazza collabora con lo studio Testa fin dal 1959.


Nel 1979 nasce il Centro Luigi Lavazza per gli Studi e le Ricerche sul Caffè, attuale Training Center, mentre nel 1982 l’azienda apre la prima filiale estera a Parigi.

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Nel 1993 la Lavazza abbraccia l’arte e nasce il primo calendario firmato da Helmut Newton.
Senza mai abbandonare la tradizione del caffè italiano con la moka, Lavazza ha percorso con entusiasmo la ricerca tecnologica per un sistema che faccia affezionare gli italiani anche all’espresso da casa.

La Lavazza Blue viene lanciata nel 2003 ed è solo il primo passo verso l’espresso da casa.
Nell’ottobre del 2007 nasce A Modo Mio: la macchina funziona con capsule predosate acquistabili al supermercato; se prima possedere una macchina da espresso era davvero uno status symbol, oggi  l’espresso da casa diventa davvero alla portata di tutti!
Ancora di più con il nuovo sistema

P { margin-bottom: 0.21cmÈspria, appena uscito sul mercato, dove il sistema  A Modo Mio è coniugato con un design davvero essenziale e misure ridottissime, che permettono di collocarla in qualsiasi cucina.

La visita al Training Center Lavazza, non è stata per me soltanto molto istruttiva, ma in un certo senso d’ispirazione. Non avete idea di quanto si possa nascondere in una tazzina di caffè! Una storia che si perde nella leggenda, dal pastorello etiope Khaldi fino ai giorni nostri; la sorpresa della tostatura, dal profumo di popcorn a quello di cioccolato; l’armonia di un flavour, sensazione simultanea di gusto, aroma e percezione tattile.

Un espresso di qualità si riconosce dalla tessitura della crema, l’aroma fruttato e tostato abbinato alla dolcezza e alla corposità e noi abbiamo provato a lasciarci condurre in un’approfondita analisi sensoriale
Siamo foodblogger, e il nostro senso principe è il gusto, quindi se all’analisi dei profumi abbiamo incontrato qualche difficoltà, gli abbinamenti di gusti ci hanno lasciate a dir poco entusiaste. 
Ogni miscela A Modo Mio è stata associata ad alcuni sapori/abbinamenti che ne valorizzano le note più aromatiche. 
Da lì all’idea di abbinarci un biscotto il passo è stato breve.
Così nasce questo biscotto divino, da abbinare all’espresso “Divinamente”, una delle selezioni particolari di A Modo Mio (in tutto troviamo ben 10 miscele, tra cui il decaffeinato e il caffé lungo).

Il gusto del dattero e quello del cioccolato fondente, risvegliano le stesse note presenti nella miscela, un espresso che viene descritto come <<vellutato, con gusto raffinato e cioccolato>>, e ricordano la medesima texture…perchè a volte solo il caffè non basta!! 😉

La ricetta: Biscotto morbido con cioccolato fondente e dattero per un espresso …divinamente A Modo Mio

ingredienti per 30-40 biscotti:

una ventina di datteri
2 cucchiai di grappa 
175g di farina 00
1/2 cucchiaino scarso di lievito in polvere 
140 g di cioccolato fondente (meglio al 70%)
 
45 g di burro
150 g di zucchero
 
2 uova grandi

Dividere i datteri a metà, togliere il nocciolo e metterli a bagno in acqua tiepida con la grappa.
Far fondere in un pentolino il burro con il cioccolato tagliato a pezzetti.
Sbattere le uova con lo zucchero con l’aiuto di una forchetta.
Quando si sarà intiepidito, aggiungere il burro e il cioccolato fuso, e mescolare bene. Poi aggiungere la farina addizionata del lievito, facendola ben assorbire all’impasto.
Riporre l’impasto in frigorifero per 1 ora e mezza.
Passato il tempo, scolare i datteri, che saranno diventati morbidissimi; inumidirsi le mani e formare una piccola biglia di impasto, del diametro di circa 2,5 cm, schiacciarla sul palmo della mano, mettere una metà dattero e ricoprire con un’altra biglia di impasto, senza schiacciare troppo, come per formare un sandwich e deporlo su una teglia foderata di carta forno.
In cottura il biscotto avvolgerà il dattero quasi completamente, lasciando intuire qualcosina del ripieno…
Ripetere l’operazione fino ad esaurire tutto l’impasto e i datteri.
Infornare ogni teglia per circa 12 minuti a 170°C.
Lasciar raffreddare completamente prima di gustare con la miscela Divinamente di Lavazza A Modo Mio.

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La carne bovina di razza piemontese

Vi ho già parlato della giornata del 14 settembre dove, a Busca, ho potuto partecipare alla Sagra del Toro allo Spiedo e al press tour ad essa dedicato.
Questa volta, però volevo lasciare qualche nota in più riguardo alla carne di Razza Piemontese.
In casa consumiamo decisamente poca carne, ma ci piace e, proprio perchè il consumo è così selettivo, vogliamo scegliere il meglio. 
Conoscere tutte le caratteristiche della razza bovina piemontese ci ha aiutato in questo senso e abbiamo definitivamente capito la fortuna di avere una vera eccellenza ad un passo da casa.
Mi sono innanzitutto documentata sulle varie razze ed ho scoperto che è la Piemontese la razza bovina più diffusa in Italia, un tempo utilizzata anche per il latte e per il lavoro nei campi, ed oggi essenzialmente per la carne.
Per la loro conformazione i bovini di Razza Piemontese hanno una resa di carne superiore alle altre razze, grazie alla ridotta dimensione delle ossa e al basso contenuto di grasso di copertura e tessuto connettivo.

Durante la visita di un allevamento tipico della zona di Busca, ci è stato spiegato che i bovini piemontesi hanno bisogno, per la loro corretta crescita, di stalle di tipo tradizionale, quelle che vediamo nelle immagini sono strutture risalenti agli anni ’20 del XX secolo. L’ambiente deve essere tranquillo e silenzioso e già questo fa capire che un allevamento di tipo intensivo non potrebbe conciliarsi con la salute di questi animali.

I controlli sono rigorosissimi anche per quel che riguarda il tipo di cibo che viene somministrato agli animali e solo dopo una lunghissima serie di controlli la carne si fregia del marchio COALVI, consorzio di protezione della razza piemontese.

Ma non è finita perchè l’etichetta con tutte le informazioni sulla carne, accompagna il prodotto sezionato fin sulla nostra tavola. Dalle informazioni presenti sulle etichette, nei preconfezionati, o leggibili sugli scontrini, possiamo sapere esattamente da dove proviene la nostra bistecca.

Per prevenire le polemiche vi confesso che è sempre difficile parlare di carne, poichè il modello di vita vegetariano è sempre più diffuso. Io ho il massimo rispetto per questo tipo di scelta e limito al massimo, per ragioni ambientaliste, il mio consumo di carne, che in media è di una o due volte alla settimana. Però è importante poter scegliere un prodotto che sappiamo provenire da bovini che hanno vissuto la loro vita nelle migliori condizioni possibili per ciò che riguarda pulizia, tranquillità e spazio vitale.

Nella carne di Razza Piemontese sono poi presenti altre virtù.

Innanzitutto una bassa presenza di grassi

L’indice aterogenico, indicatore delle probabilità della comparsa di ateroscelosi, è per la carne di razza piemontese paragonabile a quello di alcuni tipi di pesce, come l’orata selvatica, il caviale e la trota fario.
Per quanto riguarda il colesterolo i dati sono piuttosto bassi in tutti i tagli di carne, tutti sotto i 62mg/100g di carne e per il sottofiletto, perfetto per le bistecche, cala a 48,8mg/100g di carne.

Naturalmente un grande ringraziamento va a TerraViva che mi ha permesso di scoprire tutte queste informazioni. 
Con queste indicazioni in più spero che diventi più semplice scegliere il meglio, sempre limitando il consumo di carne a quella di ottima qualità e scegliendo un’alimentazione quanto più possibile varia e ricca di verdure e cereali.

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Ricordi e immagini dal blogtour #ReDolce

L’abbiamo raccontata in tutte le salse. Ne ho scritto pure qui!
Il #ReDolce è nato con noi e speriamo che abbia modo di crescere sano e forte.
I due giorni passati in compagnia dei blogger sono stati emozionanti e coinvolgenti e noi organizzatrici – io, Anna e Valeria – ne siamo uscite sicuramente arricchite, non soltanto dalla conoscenza di prodotti straordinari, e non solo Moscato, ma anche dai racconti di vita dei produttori, persone tutte diverse, da noi e tra loro, per scelta di vita ed alterne fortune, ma che fanno il proprio lavoro con passione e rigore.

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Il Roccolo e la carne piemontese a Busca

Il 14 settembre ho avuto la possibilità, grazie all’iniziativa di Terraviva, in occasione della Sagra del Toro allo Spiedo, di visitare Busca e le sue attrattive turistiche.

Si è parlato molto anche di carne di bovino piemontese, povera di colesterolo rispetto ad altre carni bovine, saporita e sana, per lo stile di vita con cui vengono allevati questi maestosi animali. Niente sfruttamento intensivo: il bovino piemontese ha bisogno di spazi piccoli, stalle che sono rimaste immutate dai primi anni del secolo scorso, e di ritmi scanditi in modo naturale dalle stagioni. Il risultato è una carne poco grassa, saporita e perfetta in ogni taglio. 
Avrò modo di parlarne più approfonditamente, ma non voglio perdere l’occasione di far conoscere, a coloro che ancora non ne hanno sentito parlare, un posto favoloso, ricco di fascino e magia, il Castello del Roccolo, che fu abitazione estiva di Roberto Tapparelli d’Azeglio e di Costanza Alfieri di Sostegno, nobili piemontesi di intelligenza e cultura.

Roberto, figlio dell’ambasciatore Cesare d’Azeglio e fratello maggiore del più celebre Massimo, viaggiò fuori dal Piemonte fin dalla tenera età, fin dalla permanenza a Firenze, quando aveva 10 anni, per poi vivere a Parigi, a Roma e nella parte più settentrionale della Germania, per poi tornare a Torino, nel 1813, dove conobbe e sposò Costanza, di soli tre anni più giovane, ed ugualmente colta ed illuminata, tanto da fondare nel capoluogo del Regno di Sardegna un salotto assai famoso e frequentato.

Con il ritorno in Piemonte Roberto si dedicò soprattutto ai suoi studi di storia dell’arte, ma fu coinvolto, anche se in maniera secondaria, nelle vicende politiche che animavano il Piemonte in quegli anni.

Nel 1821 i due coniugi, legati da amicizia anche al principe Carlo Alberto, parteciparono ai moti carbonari; una volta constatato il fallimento dell’insurrezione, pur non avendo responsabilità dirette, decisero di riparare all’estero soggiornando prima a Ginevra e poi a Parigi e qui fermandosi fino al 1826. Con il ritorno in patria suggerì a Carlo Alberto l’idea di creare un’esposizione peremanente dei tesori artistici collezionati nei secoli dalla Casa Reale. Il 2 ottobre 1832, grazie a quest’idea, vide la luce il nucleo originario delle raccolte della Galleria Sabauda di Palazzo Madama.

A questo seguirono importanti pubblicazioni, dove si abbandonava, accanto ai commenti di carattere artistico, a lunghissime digressioni sulla storia e le leggende legate alla Casa Savoia.
Nei cosiddetti ritagli di tempo si dedicò alla fondazione di diversi istituti volti all’aiuto delle classi meno abbienti. Durante l’epidemia di colera del 1835 accettò la direzione del lazzaretto, provvedendo personalmente alla cura di alcuni infermi; nello stesso anno fondò anche un asilo femminile in Piazza Gran Madre, seguito poi, in breve tempo, da una scuola per bambini e fanciulli, e dalla fondazione di una “Società per l’istituzione delle scuole infantili e del patrocinio degli alunni”. Il suo spirito, al contrario, ad esempio, di Giulia di Barolo, fu sempre rigorosamente laico e volto al miglioramento della società civile, riscontrabile anche nel tentativo di emancipazione delle comunità ebraiche e valdesi.
Attorno a quegli anni, precisamente nel 1831 Roberto e Costanza acquistarono alcuni ruderi del Castello del Roccolo e riedificarono quasi integralmente la costruzione secondo lo stile neogotico dell’epoca. Il termine roccolo fa riferimento alle reti utilizzate per catturare i piccoli uccelli selvatici. Ma questa abitazione estiva ha un fascino in più. Nelle sue decorazioni sono nascosti innumerevoli simbologie, e in ogni angolo c’è un richiamo più o meno velato ai luoghi dove Costanza e Roberto risiedettero durante il volontario esilio del 1821-1826.
Una porzione della facciata in stile neogotico con particolari dall’aria moresca

Visitare questo posto straordinario, grazie al recupero effettuato negli ultimi anni dall’associazione culturale Marcovaldo, è un viaggio emozionante.
Qui sotto alcune immagini, che spero vi diano un’idea di questo posto affascinante a pochissima distanza da Torino.

[fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Taparelli_d%27Azeglio 
http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-taparelli-marchese-d-azeglio_%28Dizionario-Biografico%29/]

L’ascesa al Castello
All’interno lo stemma dei Taparelli-D’Azeglio e il simbolico pavone
Uno dei trompe-l’oeil che, grazie ai giochi di luce, sembra ancora più realistico
La Cappella interna al giardino
I pavimenti, i soffitti stuccati, le pareti dipinte
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