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Una giornata al Training Center Lavazza: un biscotto ispirato dal caffé!

Lavazza è in Italia e nel mondo sinonimo di caffè ed è una delle più grandi aziende della mia città.

Io mi ricordo delle campagne pubblicitarie con Nino Manfredi, i miei genitori ricordano certamente le lattine sottovuoto con l’apertura ad anello, e il caballero misterioso con la dolce Carmencita.
L’azienda nasce a Torino nel 1895 dallo spirito imprenditoriale di Luigi Lavazza, figlio di agricoltori ma con un’anima votata al commercio. Nel 1910, proprio dalla sua intuizione nasce il caffé in miscela, mentre i concorrenti si limitavano a commerciare le singole varietà. La miscela ha il meritato successo e la Lavazza si trasferisce nei locali più grandi di via San Tommaso.
Nel 1923 il caffè comincia ad essere venduto già confezionato, cosa che migliora la conservazione e il trasporto, e nel 1927 la Lavazza diviene Società per Azioni.
L’azienda supera le difficoltà di due guerre mondiali e del periodo di autarchia, e non smette di espandersi, fino a culminare con una vera e propria rivoluzione per l’epoca: la creazione dei sacchetti con il proprio marchio.
Nel 1950 il primo slogan pubblicitario è “caffè Lavazza, paradiso in tazza… e credo che i moderni pubblicitari prenderanno da qui ispirazione per le pubblicità televisive ambientate in paradiso.
A proposito di pubblicità, Lavazza collabora con lo studio Testa fin dal 1959.


Nel 1979 nasce il Centro Luigi Lavazza per gli Studi e le Ricerche sul Caffè, attuale Training Center, mentre nel 1982 l’azienda apre la prima filiale estera a Parigi.

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Nel 1993 la Lavazza abbraccia l’arte e nasce il primo calendario firmato da Helmut Newton.
Senza mai abbandonare la tradizione del caffè italiano con la moka, Lavazza ha percorso con entusiasmo la ricerca tecnologica per un sistema che faccia affezionare gli italiani anche all’espresso da casa.

La Lavazza Blue viene lanciata nel 2003 ed è solo il primo passo verso l’espresso da casa.
Nell’ottobre del 2007 nasce A Modo Mio: la macchina funziona con capsule predosate acquistabili al supermercato; se prima possedere una macchina da espresso era davvero uno status symbol, oggi  l’espresso da casa diventa davvero alla portata di tutti!
Ancora di più con il nuovo sistema

P { margin-bottom: 0.21cmÈspria, appena uscito sul mercato, dove il sistema  A Modo Mio è coniugato con un design davvero essenziale e misure ridottissime, che permettono di collocarla in qualsiasi cucina.

La visita al Training Center Lavazza, non è stata per me soltanto molto istruttiva, ma in un certo senso d’ispirazione. Non avete idea di quanto si possa nascondere in una tazzina di caffè! Una storia che si perde nella leggenda, dal pastorello etiope Khaldi fino ai giorni nostri; la sorpresa della tostatura, dal profumo di popcorn a quello di cioccolato; l’armonia di un flavour, sensazione simultanea di gusto, aroma e percezione tattile.

Un espresso di qualità si riconosce dalla tessitura della crema, l’aroma fruttato e tostato abbinato alla dolcezza e alla corposità e noi abbiamo provato a lasciarci condurre in un’approfondita analisi sensoriale
Siamo foodblogger, e il nostro senso principe è il gusto, quindi se all’analisi dei profumi abbiamo incontrato qualche difficoltà, gli abbinamenti di gusti ci hanno lasciate a dir poco entusiaste. 
Ogni miscela A Modo Mio è stata associata ad alcuni sapori/abbinamenti che ne valorizzano le note più aromatiche. 
Da lì all’idea di abbinarci un biscotto il passo è stato breve.
Così nasce questo biscotto divino, da abbinare all’espresso “Divinamente”, una delle selezioni particolari di A Modo Mio (in tutto troviamo ben 10 miscele, tra cui il decaffeinato e il caffé lungo).

Il gusto del dattero e quello del cioccolato fondente, risvegliano le stesse note presenti nella miscela, un espresso che viene descritto come <<vellutato, con gusto raffinato e cioccolato>>, e ricordano la medesima texture…perchè a volte solo il caffè non basta!! 😉

La ricetta: Biscotto morbido con cioccolato fondente e dattero per un espresso …divinamente A Modo Mio

ingredienti per 30-40 biscotti:

una ventina di datteri
2 cucchiai di grappa 
175g di farina 00
1/2 cucchiaino scarso di lievito in polvere 
140 g di cioccolato fondente (meglio al 70%)
 
45 g di burro
150 g di zucchero
 
2 uova grandi

Dividere i datteri a metà, togliere il nocciolo e metterli a bagno in acqua tiepida con la grappa.
Far fondere in un pentolino il burro con il cioccolato tagliato a pezzetti.
Sbattere le uova con lo zucchero con l’aiuto di una forchetta.
Quando si sarà intiepidito, aggiungere il burro e il cioccolato fuso, e mescolare bene. Poi aggiungere la farina addizionata del lievito, facendola ben assorbire all’impasto.
Riporre l’impasto in frigorifero per 1 ora e mezza.
Passato il tempo, scolare i datteri, che saranno diventati morbidissimi; inumidirsi le mani e formare una piccola biglia di impasto, del diametro di circa 2,5 cm, schiacciarla sul palmo della mano, mettere una metà dattero e ricoprire con un’altra biglia di impasto, senza schiacciare troppo, come per formare un sandwich e deporlo su una teglia foderata di carta forno.
In cottura il biscotto avvolgerà il dattero quasi completamente, lasciando intuire qualcosina del ripieno…
Ripetere l’operazione fino ad esaurire tutto l’impasto e i datteri.
Infornare ogni teglia per circa 12 minuti a 170°C.
Lasciar raffreddare completamente prima di gustare con la miscela Divinamente di Lavazza A Modo Mio.

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ConsuMare Giusto, un aiuto per scegliere il pesce giusto

Qualcuno, molto molto attento, avrà notato il simbolo di Consumare Giusto già da qualche mese presente nella colonna laterale.
http://www.consumaregiusto.it/
Con l’arrivo delle festività, probabilmente molti di noi sceglieranno di consumare del pesce nei pasti tradizionalmente “di magro” delle vigilie. Il pesce fa bene, ma non tutto il pesce può essere consumato a cuor leggero, considerando l’impatto che una pesca troppo aggressiva può avere nei confronti dell’ambiente. Per questa ragione diventa importante saper scegliere e Consumare Giusto ci aiuta a farlo.
Gli oceani sono considerati, per il senso di vastità che trasmettono, una risorsa inesauribile. Non è vero ed alcune delle specie ittiche che consumiamo abitualmente sono sull’orlo dell’estinzione o mettono a serio rischio l’equilibrio dell’ecosistema mare.
I gamberetti che durante le feste fanno bella mostra sui buffet, sono in realtà pescati, con un sistema che mette a rischio molte altre specie; il sistema di allevamento dei gamberi tropicali è dannoso per l’ambiente, sia per la diffusione di parassiti, sia per l’utilizzo di medicinali vietati in Europa, sia per lo sfruttamento delle popolazioni locali; il consumo di tonno è il più pressante del pianeta, rinunciarvi per un po’ in favore di altre specie non può che far bene; i tonni ingrassati e i salmoni si nutrono con una dieta carnivora e quindi non sono sempre una buona scelta a tavola; ostriche, cozze e vongole sono una buona scelta se provengono da allevamenti naturali.
Consumare Giusto fornisce uno strumento di facile consultazione per scoprire se il pesce che vuoi acquistare è la tua scelta migliore; inoltre organizza gruppi d’acquisto se nella tua zona non trovi un pescivendolo etico pronto a consigliarti sulla scelta migliore; inoltre sul sito trovate gli eventi, cene, conferenze e vendite di pesce, per restare sempre aggiornati.
Se l’argomento vi sta a cuore, a partire da queste feste, cominciate ad imparare a consuMare giusto!!

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Gruyère in carrozza di pane nero per la SwissCheeseParade

Anche quest’anno partecipo al concorso con i Formaggi Svizzeri in collaborazione con Teresa di Peperoni e Patate.
L’anno scorso si era parlato di cucina italiana, se volete dare un’occhiata qui e qui.
Quest’anno la tematica è particolarmente stimolante ed attuale: lo street food.
Con il Gruyère DOP ho rielaborato una ricetta superclassica, sebbene sia una di quelle che non è semplice trovare tra gli streetfood più diffusi per le strade, con gusti e sapori nuovi: dalla mozzarella in carrozza alla Gruyère in carrozza.
Il Gruyère è un formaggio a latte crudo non pastorizzato. Le mucche sono nutrite esclusivamente a foraggio, sia d’estate, quando sono in alpeggio, sia in inverno, perchè in Svizzera è vietato l’utilizzo di qualsiasi additivo chimico e farina animale nei mangimi.
Ogni forma ha il suo passaporto di qualità, un numero attraverso il quale è possibile l’identificazione di ciascuna forma.
Per il Gruyère DOP classico ci vogliono almeno 5 mesi di stagionatura, ma esiste anche un Resèrve che viene fatto stagionare almeno dieci mesi.
Il formaggio che si ottiene ha un gusto fortemente lattoso, consistente, nel quale è riconoscibile l’alimentazione erbacea degli animali. Un gusto ricco e dolce che si sposa con altri ingredienti dal sapore deciso. La sua scioglievolezza è rapida e assoluta e filante.
Per la carrozza su cui adagiare il Gruyère ho pensato ad un pane nero di segale, dalla mollica morbida e fina, liberato dalla sottile crosticina esterna. Per la farcitura ho accompagnato il formaggio, tagliato a fettine sottilissime, perchè si sciogliesse ancora meglio, con dello scalogno, rosolato velocemente in padella con un cucchiaio d’olio, sfumato con la birra weiss e profumato con il timo.
La frittura finale deve essere rapida, giusto per conferire un po’ di croccantezza e far sciogliere il formaggio, ma senza far scurire il pane, per non interferire con i gusti del ripieno.

La ricetta: Gruyère in carrozza di pane nero con scalogno alla birra e timo
(per 4 pezzi – 2 persone)
per il pane di segale:
260 g di miscela con farina di segale (la mia aveva anche una quantità di farina bianca e sesamo e semi di girasole)
1 pizzico di lievito di birra (circa 5 g)
1 cucchiaino raso di sale
1/2 cucchiaino di zucchero di canna
100 g di acqua
30 g di latte intero
1 cucchiaio di olio evo
per il ripieno:
60-80 g di Gruyère DOP 
1 scalogno grande
1 cucchiaio d’olio evo
1 cucchiaino di timo essiccato (o un ramettino di quello fresco)
1 tazzina da caffé di birra weiss
per l’impanatura e la frittura:
farina di segale
1 uovo sbattuto
latte intero
1 pizzico di sale
olio per friggere
Per il pane:
Ho sciolto il lievito in acqua con lo zucchero; ho disposto la farina in una ciotola larga e vi ho poi versato l’acqua con lievito e il latte, tutti insieme, cominciando ad impastare prima con una forchetta e poi con le mani. Quando l’impasto era formato ho aggiunto l’olio e l’ho fatto assorbire, ed infine il sale, lavorando poi il tutto per 10 minuti.
Ho posto l’impasto in una ciotola, ho coperto con pellicola unta d’olio e risposto al caldo fino al raddoppio.
Ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato, formato un filoncino e fatto nuovamente lievitare coperto da pellicola unta d’olio e al tiepido per un’oretta.
Ho infornato a 190° fino a cottura (circa mezz’ora).
Per la farcitura:
Ho affettato finemente lo scalogno e l’ho passato in un padellino con l’olio, senza farlo scurire. Quando ho cominciato ad essere morbido ho sfumato con la birra e l’ho fatta evaporare, poi ho aggiunto il timo e fatto insaporire per un minuto.
Ho affettato finemente il Gruyère con una mandolina.
Per la Gruyère in carrozza:
Ho tagliato dal filone di pane 8 fette spesse 1 cm (meglio lasciar passare qualche ora dalla cottura…ancor meglio se è stato cotto la sera prima). Ho liberato ciascuna fetta dalla crosticina più dura. 
Su metà delle fette ho suddiviso lo scalogno, e poi fettine sottilissime di Gruyère senza uscire dai bordi; ho coperto con un’altra fetta di pane.
Ho passato ciascun “sandwich” nella farina e poi nell’uovo sbattuto con un pizzico di sale ed allungato con qualche cucchiaio di latte; poi ancora nella farina.
Ho fritto in olio bollente e asciugato brevemente su carta assorbente.
Ovviamente gustare caldo…e all’aria aperta!

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Metti una domenica ad Alba…

Ad Alba, fino al 17 novembre si sta svolgendo la 83° Fiera Internazionale del Tartufo Bianco.
Un appuntamento importantissimo e di gran prestigio per il Piemonte!

Ma in queste settimane non c’è solo il tartufo ad Alba, anche se il profumo per le strade è inebriante.
Ogni weekend è ricco di appuntamenti enogastronomici e di attrazioni per le strade.
Quest’anno ad Alba al Palazzo del Gusto si succedono, ogni sabato e domenica, interessantissimi appuntamenti con grandi Chef e con specialisti dei piatti della tradizione.
Domenica 13 ottobre la signora Marisa Asola, ottant’anni al servizio della cucina, ci ha insegnato a fare i tajarin, il piatto delle feste in ogni casa albese.
La pasta, con 7 uova e 5 tuorli per ogni chilo di farina, l’ha fatta proprio davanti ai nostri occhi, mentre Lorenzo Tablino, ex enologo di Fontanafredda e giornalista ci ha illustrato tutti i passaggi.

Era uno dei giorni dedicati ad Albaromatica, manifestazione delle spezie e dei sapori nel centro di Alba: tisane e infusi, té di ogni tipo, le spezie, le erbe aromatiche…e poi le birre aromatizzate, il cioccolato e le confetture, tutto volto a creare un delizioso spazio di conoscenza, acquisto ed approfondimento.

Nel pomeriggio ho partecipato, con Anna, alla degustazione di Moscato d’Asti DOCG, Asti Spumante e Barolo Chinato, sempre con Lorenzo Tablino a farci da guida attraverso gli aromi di questi vini.
Innanzitutto approfondiamo la polisensorialità del Moscato.

Limpido alla vista, ma fruttato e floreale al profumo: ricorda il miele, il tiglio, il gelsomino, fino al mughetto e al glicine. Spesso si distinguono sentori di salvia, pesca e albicocca.
Il gusto è dolce, naturalmente, ed inebriante, che lascia sentori aromatici al palato.
Passiamo all’Asti, ci concentriamo sul petillage, le minuscole bollicine che nascono al fondo del bicchiere e diventano più grandi risalendo. Ma attenzione! La risalita deve essere lenta lenta.
Nell’Asti l’anidride carbonica limita la percezione del dolce e quindi nello spumante risaltano le sensazioni tanniche ed acide.
Infine il Barolo Chinato, ottenuto dal vino Barolo con l’aggiunta di erbe e spezie, sull’onda dei vini medicinali ed elixir. Nato alla fine del XIX secolo conosce subito una grande fortuna.
La ricetta segreta del Chinato Cocchi è ancora tale e così verrà tramandata di padre in figlio. Si sa solo che al vino si aggiunge zucchero, alcool e infuso di erbe e spezie.
Le spezie sono una trentina, tra le quali si possono trovare cardamomo, coriandolo, garofano, cannella, vnglia, anice stellato e tante altre, e naturalmente la china, di diverse varietà. Al gusto dovrà spiccare il perfetto equibrio, nessun aroma predominante di vino o di zucchero, ma una perfetta amalgama di tutti i sapori.

Sabato prossimo, 2 novembre, sarò di nuovo ad Alba per uno degli incontri con gli Chef. Seguirò la preparazione della ricetta di Davide Palluda del ristorante All’Enoteca annesso proprio all’Enoteca Regionale del Roero di Canale, che cucinerà per noi gli “Gnocchi ripieni di erbe selvatiche, parmigiano e verdure diverse con tartufo bianco d’Alba“.
Seguitemi su Twitter con #albatruffle.

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La carne bovina di razza piemontese

Vi ho già parlato della giornata del 14 settembre dove, a Busca, ho potuto partecipare alla Sagra del Toro allo Spiedo e al press tour ad essa dedicato.
Questa volta, però volevo lasciare qualche nota in più riguardo alla carne di Razza Piemontese.
In casa consumiamo decisamente poca carne, ma ci piace e, proprio perchè il consumo è così selettivo, vogliamo scegliere il meglio. 
Conoscere tutte le caratteristiche della razza bovina piemontese ci ha aiutato in questo senso e abbiamo definitivamente capito la fortuna di avere una vera eccellenza ad un passo da casa.
Mi sono innanzitutto documentata sulle varie razze ed ho scoperto che è la Piemontese la razza bovina più diffusa in Italia, un tempo utilizzata anche per il latte e per il lavoro nei campi, ed oggi essenzialmente per la carne.
Per la loro conformazione i bovini di Razza Piemontese hanno una resa di carne superiore alle altre razze, grazie alla ridotta dimensione delle ossa e al basso contenuto di grasso di copertura e tessuto connettivo.

Durante la visita di un allevamento tipico della zona di Busca, ci è stato spiegato che i bovini piemontesi hanno bisogno, per la loro corretta crescita, di stalle di tipo tradizionale, quelle che vediamo nelle immagini sono strutture risalenti agli anni ’20 del XX secolo. L’ambiente deve essere tranquillo e silenzioso e già questo fa capire che un allevamento di tipo intensivo non potrebbe conciliarsi con la salute di questi animali.

I controlli sono rigorosissimi anche per quel che riguarda il tipo di cibo che viene somministrato agli animali e solo dopo una lunghissima serie di controlli la carne si fregia del marchio COALVI, consorzio di protezione della razza piemontese.

Ma non è finita perchè l’etichetta con tutte le informazioni sulla carne, accompagna il prodotto sezionato fin sulla nostra tavola. Dalle informazioni presenti sulle etichette, nei preconfezionati, o leggibili sugli scontrini, possiamo sapere esattamente da dove proviene la nostra bistecca.

Per prevenire le polemiche vi confesso che è sempre difficile parlare di carne, poichè il modello di vita vegetariano è sempre più diffuso. Io ho il massimo rispetto per questo tipo di scelta e limito al massimo, per ragioni ambientaliste, il mio consumo di carne, che in media è di una o due volte alla settimana. Però è importante poter scegliere un prodotto che sappiamo provenire da bovini che hanno vissuto la loro vita nelle migliori condizioni possibili per ciò che riguarda pulizia, tranquillità e spazio vitale.

Nella carne di Razza Piemontese sono poi presenti altre virtù.

Innanzitutto una bassa presenza di grassi

L’indice aterogenico, indicatore delle probabilità della comparsa di ateroscelosi, è per la carne di razza piemontese paragonabile a quello di alcuni tipi di pesce, come l’orata selvatica, il caviale e la trota fario.
Per quanto riguarda il colesterolo i dati sono piuttosto bassi in tutti i tagli di carne, tutti sotto i 62mg/100g di carne e per il sottofiletto, perfetto per le bistecche, cala a 48,8mg/100g di carne.

Naturalmente un grande ringraziamento va a TerraViva che mi ha permesso di scoprire tutte queste informazioni. 
Con queste indicazioni in più spero che diventi più semplice scegliere il meglio, sempre limitando il consumo di carne a quella di ottima qualità e scegliendo un’alimentazione quanto più possibile varia e ricca di verdure e cereali.

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La mozzarella autunnale

Ho avuto occasione di conoscere il Caseificio Pioggia in occasione di Cheese 2013 e ne sono rimasta conquistata. 
Essere conquistata da un prodotto caseario a Cheese è piuttosto difficile, visto il bombardamento formaggioso dell’evento che ogni due anni profuma la città di Bra. Il punto è che questi ragazzi fanno la differenza con un sito web perfettamente all’altezza dei loro prodotti.
A Cheese ho potuto assaggiare i loro formaggi stagionati, i caciocavalli tipici della tradizione dell’Italia Meridionale, in particolare proprio della Puglia, dove si trova il Caseificio Pioggia, a Martinafranca.
I prodotti sono buonissimi, frutto di una lavorazione accurata e pieni di storia e tradizione tra i loro ingredienti. Dal più giovane e dolce a quello più stagionato e piccantino; ci sono poi prodotti caratteristici come i caciocavalli della Massaia, un tempo prodotti dalle casalinghe che avevano a disposizione sono poco latte di ogni bestia e quindi fatto con latte misto di vacca, pecora e capra; c’è il caciocavallo Nobile prodotto con latte di mucche al pascolo e con caglio di capretto (e quindi solo in quantità limitata nel periodo natalizio); non può mancare il caciocavallo Ubriaco, delizioso e dal gusto deciso, affinato a giorni alterni nel vino Primitivo di Manduria, che fa sì che la pasta riprenda morbidezza e guadagni in colore e sapore. L’ultimo arrivato è il caciocavallo Reale, una forma grande stagionata 12 mesi, ma che proprio grazie alle sue dimensioni notevoli non si asciuga troppo e resta quasi dolce e lattosa al suo interno.

Il Caseificio Pioggia rifornisce molti ristoranti di livello della zona e recentemente i suoi prodotti hanno trovato un nuovo cliente, il ristorante Splendido dell’Hotel Ritz-Carlton di Osaka, punto di riferimento per molti gourmet ed estimatori del buon mangiare all’italiana.
Questo successo è dovuto sicuramente all’alta qualità dei prodotti, ma anche e soprattutto alla modernità del loro e-commerce.
Il sito del Caseificio Pioggia offre, come raramente accade nei siti di e-commerce, una vera e propria esperienza di conoscenza nel mondo dell’arte casearia pugliese. Non è un semplice e arido elenco dei prodotti disponibili: ogni formaggio è spiegato nel dettaglio, ogni storia è approfondita al fine di regalare un’esperienza degustativa davvero elevata e contribuisce a far venire l’acquolina in bocca.
Ora, a chi mi ha detto che anche qua si trovano ottime mozzarelle “piemontesi”, io rispondo: sì, ma il sapore di una mozzarella fiordilatte che arriva direttamente dalla Puglia, in meno di ventiquattr’ore?
Parliamo di Fiordilatte? Così è chiamata la mozzarella di latte vaccino, forse nata subito dopo o contemporaneamente alla sua sorella di latte di bufala;  il suo nome è spiegato dal gesto di mozzare la pasta filata (che poi è anche quella del caciocavallo). Probabilmente il latte utilizzato dipendeva dalla zona e dai bovini che vi si allevavano. Pare però che l’usanza di offrire mozzarella in segno di ospitalità risalga almeno al XII secolo quando i Benedettini di San Lorenzo in Capua, fecero del “pane e mozza” il loro segno distintivo quando accoglievano i componenti del Capitolo Metropolitano in pellegrinaggio al Santuario.
Da qui, dalla mozzarella fiordilatte, comincio il mio viaggio in cucina con i formaggi della Puglia.
Per la mozzarella fiordilatte,
regina della produzione casearia pugliese, tradizionalmente abbinata al
pomodoro nella caprese, ho pensato ad un abbinamento “autunnale” con
del radicchio e delle nocciole, a stemperarne la sublime dolcezza.
Presto, ve lo anticipo, arriverà anche un gustoso risotto!

La ricetta: Mozzarella con radicchio piccante e nocciole


(per due persone)
un cespo di radicchio
1 spicchio d’aglio
olio evo
sale
1 peperoncino

Ho scaldato l’olio, facendo appena rosolare lo spicchio d’aglio con il peperoncino spezzettato. Ho poi aggiunto il radicchio, lavato e tagliato a listarelle. l’ho fatto saltare in padella per un minuto, regolando di sale.
Nel piatto ho deposto il radicchio, con sopra la mozzella ed ho completato con le nocciole spezzettate. 
Il verde che vedete nel piatto, a lato, è il roch chives cress, una varietà di erba cipollina del sud est asiatico dal delicato ma persistente sapore d’aglio, delizioso sotto i denti.

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Ricordi e immagini dal blogtour #ReDolce

L’abbiamo raccontata in tutte le salse. Ne ho scritto pure qui!
Il #ReDolce è nato con noi e speriamo che abbia modo di crescere sano e forte.
I due giorni passati in compagnia dei blogger sono stati emozionanti e coinvolgenti e noi organizzatrici – io, Anna e Valeria – ne siamo uscite sicuramente arricchite, non soltanto dalla conoscenza di prodotti straordinari, e non solo Moscato, ma anche dai racconti di vita dei produttori, persone tutte diverse, da noi e tra loro, per scelta di vita ed alterne fortune, ma che fanno il proprio lavoro con passione e rigore.

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Il Roccolo e la carne piemontese a Busca

Il 14 settembre ho avuto la possibilità, grazie all’iniziativa di Terraviva, in occasione della Sagra del Toro allo Spiedo, di visitare Busca e le sue attrattive turistiche.

Si è parlato molto anche di carne di bovino piemontese, povera di colesterolo rispetto ad altre carni bovine, saporita e sana, per lo stile di vita con cui vengono allevati questi maestosi animali. Niente sfruttamento intensivo: il bovino piemontese ha bisogno di spazi piccoli, stalle che sono rimaste immutate dai primi anni del secolo scorso, e di ritmi scanditi in modo naturale dalle stagioni. Il risultato è una carne poco grassa, saporita e perfetta in ogni taglio. 
Avrò modo di parlarne più approfonditamente, ma non voglio perdere l’occasione di far conoscere, a coloro che ancora non ne hanno sentito parlare, un posto favoloso, ricco di fascino e magia, il Castello del Roccolo, che fu abitazione estiva di Roberto Tapparelli d’Azeglio e di Costanza Alfieri di Sostegno, nobili piemontesi di intelligenza e cultura.

Roberto, figlio dell’ambasciatore Cesare d’Azeglio e fratello maggiore del più celebre Massimo, viaggiò fuori dal Piemonte fin dalla tenera età, fin dalla permanenza a Firenze, quando aveva 10 anni, per poi vivere a Parigi, a Roma e nella parte più settentrionale della Germania, per poi tornare a Torino, nel 1813, dove conobbe e sposò Costanza, di soli tre anni più giovane, ed ugualmente colta ed illuminata, tanto da fondare nel capoluogo del Regno di Sardegna un salotto assai famoso e frequentato.

Con il ritorno in Piemonte Roberto si dedicò soprattutto ai suoi studi di storia dell’arte, ma fu coinvolto, anche se in maniera secondaria, nelle vicende politiche che animavano il Piemonte in quegli anni.

Nel 1821 i due coniugi, legati da amicizia anche al principe Carlo Alberto, parteciparono ai moti carbonari; una volta constatato il fallimento dell’insurrezione, pur non avendo responsabilità dirette, decisero di riparare all’estero soggiornando prima a Ginevra e poi a Parigi e qui fermandosi fino al 1826. Con il ritorno in patria suggerì a Carlo Alberto l’idea di creare un’esposizione peremanente dei tesori artistici collezionati nei secoli dalla Casa Reale. Il 2 ottobre 1832, grazie a quest’idea, vide la luce il nucleo originario delle raccolte della Galleria Sabauda di Palazzo Madama.

A questo seguirono importanti pubblicazioni, dove si abbandonava, accanto ai commenti di carattere artistico, a lunghissime digressioni sulla storia e le leggende legate alla Casa Savoia.
Nei cosiddetti ritagli di tempo si dedicò alla fondazione di diversi istituti volti all’aiuto delle classi meno abbienti. Durante l’epidemia di colera del 1835 accettò la direzione del lazzaretto, provvedendo personalmente alla cura di alcuni infermi; nello stesso anno fondò anche un asilo femminile in Piazza Gran Madre, seguito poi, in breve tempo, da una scuola per bambini e fanciulli, e dalla fondazione di una “Società per l’istituzione delle scuole infantili e del patrocinio degli alunni”. Il suo spirito, al contrario, ad esempio, di Giulia di Barolo, fu sempre rigorosamente laico e volto al miglioramento della società civile, riscontrabile anche nel tentativo di emancipazione delle comunità ebraiche e valdesi.
Attorno a quegli anni, precisamente nel 1831 Roberto e Costanza acquistarono alcuni ruderi del Castello del Roccolo e riedificarono quasi integralmente la costruzione secondo lo stile neogotico dell’epoca. Il termine roccolo fa riferimento alle reti utilizzate per catturare i piccoli uccelli selvatici. Ma questa abitazione estiva ha un fascino in più. Nelle sue decorazioni sono nascosti innumerevoli simbologie, e in ogni angolo c’è un richiamo più o meno velato ai luoghi dove Costanza e Roberto risiedettero durante il volontario esilio del 1821-1826.
Una porzione della facciata in stile neogotico con particolari dall’aria moresca

Visitare questo posto straordinario, grazie al recupero effettuato negli ultimi anni dall’associazione culturale Marcovaldo, è un viaggio emozionante.
Qui sotto alcune immagini, che spero vi diano un’idea di questo posto affascinante a pochissima distanza da Torino.

[fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Taparelli_d%27Azeglio 
http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-taparelli-marchese-d-azeglio_%28Dizionario-Biografico%29/]

L’ascesa al Castello
All’interno lo stemma dei Taparelli-D’Azeglio e il simbolico pavone
Uno dei trompe-l’oeil che, grazie ai giochi di luce, sembra ancora più realistico
La Cappella interna al giardino
I pavimenti, i soffitti stuccati, le pareti dipinte
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Cookies con riso croccante e la Vercelli Riso Expo 2013

Stamattina ho aperto la finestra ed ho trovato una “luce d’autunno”. 
Se al mattino l’aria è freddina, durante la giornata sono ancora evidenti gli strascichi dell’estate e il té caldo lascia ancora un po’ spazio a quello freddo.
Io ho imparato da Carlotta a fare l’infusione a freddo: si immergono le foglie di té in acqua fredda e si lasciano in infusione per 3-5 ore. Il risultato è un té dalla giusta intensità, ma senza le note amarognole che a volte vengono risvegliate dall’acqua bollente. 
Poi mi sono venuti in mente questi biscotti: farina bianca e farina di farro in uguali quantità e le pepite croccanti di crunchy rice al lampone di Gli Aironi. Il crunchy rice, come dice il nome stesso, è riso croccante, non soffiato, sottoposto ad una sorta di affinatura con aromi e spezie naturali. Quello al lampone non è dolce, ma conferisce solo il colore e il sapore del vero frutto. è perfetto con i formaggi freschi, ma anche nei biscotti ha dato enormi soddisfazioni, soprattutto se li si abbina ad un té ai frutti rossi, caldo o freddo, che richiama ancora il gusto dolce-acidulo del frutto.

Vi offro questi biscotti semplici e speciali in occasione della Vercelli Riso Expo 2013 che si svolgerà tra il 27 e il 29 settembre a Vercelli. Su EatPiemonte troverete qualche dettaglio in più e tanti link per approfondire il discorso sul riso e su tutto ciò che gli gira attorno.

La ricetta: Cookies con farina di farro e crunchy rice al lampone “Gli Aironi”
ingredienti:
100 g di farina 00
100 g di farina di farro
65 g di zucchero semolato
65 g di zucchero Muscovado
70 g di burro fuso
1/2 cucchiainodi bicarbonato di sodio
1 pizzico di sale
1 uovo piccolo
i semini di 1/2 bacca di vaniglia
crunchy rice Gli Aironi al lampone

Ho sbattuto con la forchetta il burro fuso e freddo con lo zucchero e i semini di vaniglia.
Ho aggiunto l’uovo e mescolato bene.
Ho aggiunto le due farine, il bicarbonato e il pizzico di sale, aggiungendo anche il crunchy rice a piacere, impastando fino ad ottenere un composto asciutto.
Ho ricavato palline tonde della grandezza di una noce e le ho messe distanziate su una placca da forno. 
Ho cotto a 170° per circa 10-12 minuti, tenendo d’occhio il grado di doratura.

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Cheese 2013, non posso mancare!

Dal 20 al 23 settembre Cheese torna a Bra per la sua ormai nona edizione.
Sarà un appuntamento immancabile per tutti gli amanti del formaggio ed anche per me. Ho già segnato una serie di espositori che voglio visitare e alcuni appuntamenti a cui vorrei partecipare.

I Laboratori del Gusto toccheranno moltissimi argomenti, dai
formaggi dell’arco alpino tra Italia e Francia, a quelli dei Pirenei;
viaggeremo dal Sudafrica alle Isole Britanniche (quando si parla di West
Cork, drizzo le orecchie) passando per il Comté del Jura e per lo
Stortignaccolo piemontese…

Da segnalare l’Arca del Gusto, che ha già a bordo più di 1250 prodotti a rischio di estinzione. 
Ogni hanno scompaiono antichi mestieri e i prodotti ad essi legati. Con il progetto Salva un Formaggio, chiunque potrà fare qualcosa a difesa delle piccole produzioni marginali, portando fisicamente a Bra un pezzettino del formaggio che rischia di scomparire. Qui si potranno vedere e conoscere in un grande album “dal vivo”.
Dopo la chiusura della manifestazione l’Arca del Gusto continuerà a viaggiare e a raccogliere tutti i prodotti che negli anni potranno diventare nuovi presìdi.

Immancabile poi l’appuntamento con i grandi ristoranti del territorio e con lo chef del QuoVadis di Soho, Londra.

Io sarò a Cheese2013 venerdì 20 per l’appuntamento con i Formaggi Ferrari, con Mariachiara a dirigere l’allegra brigata di noi foodblogger: Micol, Margherita, Elena, Valentina, Nicole, Tea e Sara.
Potrete scoprire qualcosa in più su una storia iniziata nel 1823 e seguire le mie vicende di assaggiatrice su Twitter, Facebook e Instagram con l’hashtag #FerrariFormaggi a partire dalle 11,30.
In più sabato 21 sarò di nuovo a Bra per un appuntamento con i nuovi prodotti del Caseificio pugliese Pioggia. Vi racconterò tutto in seguito, ma ricordatevi di seguire il livetwitting di sabato a partire dalle 10, 30 con l’hashtag #PioggiaCheese.

Stay Tuned!!

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