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Gruyère in carrozza di pane nero per la SwissCheeseParade

Anche quest’anno partecipo al concorso con i Formaggi Svizzeri in collaborazione con Teresa di Peperoni e Patate.
L’anno scorso si era parlato di cucina italiana, se volete dare un’occhiata qui e qui.
Quest’anno la tematica è particolarmente stimolante ed attuale: lo street food.
Con il Gruyère DOP ho rielaborato una ricetta superclassica, sebbene sia una di quelle che non è semplice trovare tra gli streetfood più diffusi per le strade, con gusti e sapori nuovi: dalla mozzarella in carrozza alla Gruyère in carrozza.
Il Gruyère è un formaggio a latte crudo non pastorizzato. Le mucche sono nutrite esclusivamente a foraggio, sia d’estate, quando sono in alpeggio, sia in inverno, perchè in Svizzera è vietato l’utilizzo di qualsiasi additivo chimico e farina animale nei mangimi.
Ogni forma ha il suo passaporto di qualità, un numero attraverso il quale è possibile l’identificazione di ciascuna forma.
Per il Gruyère DOP classico ci vogliono almeno 5 mesi di stagionatura, ma esiste anche un Resèrve che viene fatto stagionare almeno dieci mesi.
Il formaggio che si ottiene ha un gusto fortemente lattoso, consistente, nel quale è riconoscibile l’alimentazione erbacea degli animali. Un gusto ricco e dolce che si sposa con altri ingredienti dal sapore deciso. La sua scioglievolezza è rapida e assoluta e filante.
Per la carrozza su cui adagiare il Gruyère ho pensato ad un pane nero di segale, dalla mollica morbida e fina, liberato dalla sottile crosticina esterna. Per la farcitura ho accompagnato il formaggio, tagliato a fettine sottilissime, perchè si sciogliesse ancora meglio, con dello scalogno, rosolato velocemente in padella con un cucchiaio d’olio, sfumato con la birra weiss e profumato con il timo.
La frittura finale deve essere rapida, giusto per conferire un po’ di croccantezza e far sciogliere il formaggio, ma senza far scurire il pane, per non interferire con i gusti del ripieno.

La ricetta: Gruyère in carrozza di pane nero con scalogno alla birra e timo
(per 4 pezzi – 2 persone)
per il pane di segale:
260 g di miscela con farina di segale (la mia aveva anche una quantità di farina bianca e sesamo e semi di girasole)
1 pizzico di lievito di birra (circa 5 g)
1 cucchiaino raso di sale
1/2 cucchiaino di zucchero di canna
100 g di acqua
30 g di latte intero
1 cucchiaio di olio evo
per il ripieno:
60-80 g di Gruyère DOP 
1 scalogno grande
1 cucchiaio d’olio evo
1 cucchiaino di timo essiccato (o un ramettino di quello fresco)
1 tazzina da caffé di birra weiss
per l’impanatura e la frittura:
farina di segale
1 uovo sbattuto
latte intero
1 pizzico di sale
olio per friggere
Per il pane:
Ho sciolto il lievito in acqua con lo zucchero; ho disposto la farina in una ciotola larga e vi ho poi versato l’acqua con lievito e il latte, tutti insieme, cominciando ad impastare prima con una forchetta e poi con le mani. Quando l’impasto era formato ho aggiunto l’olio e l’ho fatto assorbire, ed infine il sale, lavorando poi il tutto per 10 minuti.
Ho posto l’impasto in una ciotola, ho coperto con pellicola unta d’olio e risposto al caldo fino al raddoppio.
Ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato, formato un filoncino e fatto nuovamente lievitare coperto da pellicola unta d’olio e al tiepido per un’oretta.
Ho infornato a 190° fino a cottura (circa mezz’ora).
Per la farcitura:
Ho affettato finemente lo scalogno e l’ho passato in un padellino con l’olio, senza farlo scurire. Quando ho cominciato ad essere morbido ho sfumato con la birra e l’ho fatta evaporare, poi ho aggiunto il timo e fatto insaporire per un minuto.
Ho affettato finemente il Gruyère con una mandolina.
Per la Gruyère in carrozza:
Ho tagliato dal filone di pane 8 fette spesse 1 cm (meglio lasciar passare qualche ora dalla cottura…ancor meglio se è stato cotto la sera prima). Ho liberato ciascuna fetta dalla crosticina più dura. 
Su metà delle fette ho suddiviso lo scalogno, e poi fettine sottilissime di Gruyère senza uscire dai bordi; ho coperto con un’altra fetta di pane.
Ho passato ciascun “sandwich” nella farina e poi nell’uovo sbattuto con un pizzico di sale ed allungato con qualche cucchiaio di latte; poi ancora nella farina.
Ho fritto in olio bollente e asciugato brevemente su carta assorbente.
Ovviamente gustare caldo…e all’aria aperta!

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La mozzarella autunnale

Ho avuto occasione di conoscere il Caseificio Pioggia in occasione di Cheese 2013 e ne sono rimasta conquistata. 
Essere conquistata da un prodotto caseario a Cheese è piuttosto difficile, visto il bombardamento formaggioso dell’evento che ogni due anni profuma la città di Bra. Il punto è che questi ragazzi fanno la differenza con un sito web perfettamente all’altezza dei loro prodotti.
A Cheese ho potuto assaggiare i loro formaggi stagionati, i caciocavalli tipici della tradizione dell’Italia Meridionale, in particolare proprio della Puglia, dove si trova il Caseificio Pioggia, a Martinafranca.
I prodotti sono buonissimi, frutto di una lavorazione accurata e pieni di storia e tradizione tra i loro ingredienti. Dal più giovane e dolce a quello più stagionato e piccantino; ci sono poi prodotti caratteristici come i caciocavalli della Massaia, un tempo prodotti dalle casalinghe che avevano a disposizione sono poco latte di ogni bestia e quindi fatto con latte misto di vacca, pecora e capra; c’è il caciocavallo Nobile prodotto con latte di mucche al pascolo e con caglio di capretto (e quindi solo in quantità limitata nel periodo natalizio); non può mancare il caciocavallo Ubriaco, delizioso e dal gusto deciso, affinato a giorni alterni nel vino Primitivo di Manduria, che fa sì che la pasta riprenda morbidezza e guadagni in colore e sapore. L’ultimo arrivato è il caciocavallo Reale, una forma grande stagionata 12 mesi, ma che proprio grazie alle sue dimensioni notevoli non si asciuga troppo e resta quasi dolce e lattosa al suo interno.

Il Caseificio Pioggia rifornisce molti ristoranti di livello della zona e recentemente i suoi prodotti hanno trovato un nuovo cliente, il ristorante Splendido dell’Hotel Ritz-Carlton di Osaka, punto di riferimento per molti gourmet ed estimatori del buon mangiare all’italiana.
Questo successo è dovuto sicuramente all’alta qualità dei prodotti, ma anche e soprattutto alla modernità del loro e-commerce.
Il sito del Caseificio Pioggia offre, come raramente accade nei siti di e-commerce, una vera e propria esperienza di conoscenza nel mondo dell’arte casearia pugliese. Non è un semplice e arido elenco dei prodotti disponibili: ogni formaggio è spiegato nel dettaglio, ogni storia è approfondita al fine di regalare un’esperienza degustativa davvero elevata e contribuisce a far venire l’acquolina in bocca.
Ora, a chi mi ha detto che anche qua si trovano ottime mozzarelle “piemontesi”, io rispondo: sì, ma il sapore di una mozzarella fiordilatte che arriva direttamente dalla Puglia, in meno di ventiquattr’ore?
Parliamo di Fiordilatte? Così è chiamata la mozzarella di latte vaccino, forse nata subito dopo o contemporaneamente alla sua sorella di latte di bufala;  il suo nome è spiegato dal gesto di mozzare la pasta filata (che poi è anche quella del caciocavallo). Probabilmente il latte utilizzato dipendeva dalla zona e dai bovini che vi si allevavano. Pare però che l’usanza di offrire mozzarella in segno di ospitalità risalga almeno al XII secolo quando i Benedettini di San Lorenzo in Capua, fecero del “pane e mozza” il loro segno distintivo quando accoglievano i componenti del Capitolo Metropolitano in pellegrinaggio al Santuario.
Da qui, dalla mozzarella fiordilatte, comincio il mio viaggio in cucina con i formaggi della Puglia.
Per la mozzarella fiordilatte,
regina della produzione casearia pugliese, tradizionalmente abbinata al
pomodoro nella caprese, ho pensato ad un abbinamento “autunnale” con
del radicchio e delle nocciole, a stemperarne la sublime dolcezza.
Presto, ve lo anticipo, arriverà anche un gustoso risotto!

La ricetta: Mozzarella con radicchio piccante e nocciole


(per due persone)
un cespo di radicchio
1 spicchio d’aglio
olio evo
sale
1 peperoncino

Ho scaldato l’olio, facendo appena rosolare lo spicchio d’aglio con il peperoncino spezzettato. Ho poi aggiunto il radicchio, lavato e tagliato a listarelle. l’ho fatto saltare in padella per un minuto, regolando di sale.
Nel piatto ho deposto il radicchio, con sopra la mozzella ed ho completato con le nocciole spezzettate. 
Il verde che vedete nel piatto, a lato, è il roch chives cress, una varietà di erba cipollina del sud est asiatico dal delicato ma persistente sapore d’aglio, delizioso sotto i denti.

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Tarte salata alle tre farine con cavolo cappuccio, pere e Roquefort. La storia del Roquefort, pregiato formaggio francese e una torta salata

Rocquefort
In lingua occitana è il Rocafort, ma ovunque è conosciuto come Roquefort ed è, a detta di molti, uno dei formaggi più buoni al mondo, proclamato da Diderot come       «le roi des fromages».
 

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Cheese 2013, non posso mancare!

Dal 20 al 23 settembre Cheese torna a Bra per la sua ormai nona edizione.
Sarà un appuntamento immancabile per tutti gli amanti del formaggio ed anche per me. Ho già segnato una serie di espositori che voglio visitare e alcuni appuntamenti a cui vorrei partecipare.

I Laboratori del Gusto toccheranno moltissimi argomenti, dai
formaggi dell’arco alpino tra Italia e Francia, a quelli dei Pirenei;
viaggeremo dal Sudafrica alle Isole Britanniche (quando si parla di West
Cork, drizzo le orecchie) passando per il Comté del Jura e per lo
Stortignaccolo piemontese…

Da segnalare l’Arca del Gusto, che ha già a bordo più di 1250 prodotti a rischio di estinzione. 
Ogni hanno scompaiono antichi mestieri e i prodotti ad essi legati. Con il progetto Salva un Formaggio, chiunque potrà fare qualcosa a difesa delle piccole produzioni marginali, portando fisicamente a Bra un pezzettino del formaggio che rischia di scomparire. Qui si potranno vedere e conoscere in un grande album “dal vivo”.
Dopo la chiusura della manifestazione l’Arca del Gusto continuerà a viaggiare e a raccogliere tutti i prodotti che negli anni potranno diventare nuovi presìdi.

Immancabile poi l’appuntamento con i grandi ristoranti del territorio e con lo chef del QuoVadis di Soho, Londra.

Io sarò a Cheese2013 venerdì 20 per l’appuntamento con i Formaggi Ferrari, con Mariachiara a dirigere l’allegra brigata di noi foodblogger: Micol, Margherita, Elena, Valentina, Nicole, Tea e Sara.
Potrete scoprire qualcosa in più su una storia iniziata nel 1823 e seguire le mie vicende di assaggiatrice su Twitter, Facebook e Instagram con l’hashtag #FerrariFormaggi a partire dalle 11,30.
In più sabato 21 sarò di nuovo a Bra per un appuntamento con i nuovi prodotti del Caseificio pugliese Pioggia. Vi racconterò tutto in seguito, ma ricordatevi di seguire il livetwitting di sabato a partire dalle 10, 30 con l’hashtag #PioggiaCheese.

Stay Tuned!!

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Parmigiana di melanzane o melanzane alla parmigiana?

Nell’approcciarsi a questa ricetta che è senza dubbio ai primi posti (forse al primo) tra le mie preferite, bisogna identificare innanzitutto le questioni fondamentali.
1. spiegare l’origine del suo controverso e oscuro nome
2. svelare la ricetta tradizionale, prima di avventurarsi in estrose varianti
3. scoprire qualche indizio sulla sua regione di origine
 
Premesso che di certo e certificato, come spesso accade in molte ricette tipiche italiane, abbiamo quasi nulla, di sicuroci resta tra le mani una fetta di uno dei piatti cardine della tradizione, forse a parimerito con la lasagna, che lascia colare un po’ di sugo di qua, un po’ di formaggio fuso di là e ci disegna un antipatico rotolino sui fianchi mentre ci regala attimi di pura gioia.
 
Cerchiamo di affrontare un problema alla volta.
 
Partiamo dall’origine del suo nome. Deriva dalla
città di Parma? O dalla parmiciana, che in Sicilia indica la persiana,
che ricorda coi suoi listarelli di legno sovrapposti  il sovrapporsi di
strati di melanzane e condimento? Qualcuno dice addirittura che
melanzane alla parmigiana, si chiamino così perchè fatte con il
parmigiano… 
No, niente parmigiano!
Chi
se ne intende dice che la spiegazione etimologica più probabile sia
“melanzane cucinate all’uso della città di Parma”, dove nel Medioevo
nacquero le torte parmigiane, formate di tanti strati sovrapposti e
farciti. Come questa preparazione sia migrata da Parma fino in Sicilia attraversando secoli e reinventandosi con ingredienti nel medioevo ancora non conosciuti lascia indizi lungo lo stivale che assomigliano alle bricioline di Hansel e Gretel.
 
E dunque qual è la ricetta più antica o quella originale? Da quando questo modo di cucinare la melanzana venne chiamato proprio così? Se la ricetta ispiratrice è medievale, d’altro canto il pomodoro ci arriva dall’altra parte del globo solo dopo la scoperta dell’America e la melanzana, che invece veniva anche dall’Africa, conquistò la fiducia dei palati solo nel tardo Settecento. 
Alcuni ipotizzano che le prime “parmigiane” fossero composte di strati di zucche o zucchine e che quindi la ricetta sia nata ben prima, ed abbia in seguito trovato con la melanzana la sua versione meglio riuscita. 
Lo stesso discorso si può fare con i formaggi che vi si trovano. C’è ci suggerisce la mozzarella fiordilatte, ben scolata: questo indicherebbe una diffusione pugliese; c’è chi dice che il piatto si confeziona con la mozzarella di bufala, ma io che adoro il gusto pungente di questo formaggio, non me la sentirei di imprigionarlo tra strati di melanzana e sugo; c’è chi suggerisce la provola affumicata, che secondo me rappresenta un buon compromesso, perchè è un formaggio asciutto ma molto saporito. Qualcuno aggiunge del prosciutto cotto, qualcun altro la salsiccia stagionata di Napoli, salame piccante che quando diventa troppo asciutto trova riutilizzo in diversi piatti cotti, tra cui la parmigiana e il gattò di patate.
Le melanzane, invece, come vanno cotte? Fritte senza dubbio, ma l’infarinatura preliminare consente, invece di appesantire il piatto, di renderlo molto più leggero, perchè in questo modo le melanzane non assorbono molto olio e restano più asciutte e croccanti.
La cottura in padella è sicuramente spiegata dal fatto che i forni di un tempo erano molto differenti da quelli odierni e la cottura su fuoco consentiva un controllo maggiore di un cibo che praticamente era già cotto.
Ma a quale regione si può attribuire la paternità di questo piatto? A seconda di quel
che ci si mette dentro molte regioni di mezza Italia se ne arrogano
l’invenzione. Ed è un po’ vero ogni volta: la melanzana petonciana lunga di Sicilia, la provola affumicata o la Mozzarella di Bufala, il salame di Napoli e qualche fetta di prosciutto cotto e persino una spolverata di Parmigiano, se non avete a disposizione il caciocavallo stagionato. Anche la Puglia e la Calabria ne preparano una loro versione…e, se l’avete assaggiata anche una sola volta nella vita, volete dar loro torto? 
Qualsiasi massaia e qualsiasi regione abbia raggiunto e conquistato, la prima versione per iscritto è quella di Ippolito Cavalcanti in “Cusina casarinola co la lengua napolitana” del 1839:

Melanzane alla parmigiana,

 

« … e le
farai friggere; e poi le disporrai in una teglia a strato a strato con
il formaggio, basilico e brodo di stufato o con salsa di pomodoro; e
coperte le farai stufare.
 »
[Ippolito Cavalcanti, “Cusina casarinola co la lengua napolitana, Cucina casareccia in lingua napolitana]
[fonti: 
http://www.lucianopignataro.it/a/perche-la-parmigiana-si-chiama-parmigiana/13687/
http://www.lucianopignataro.it/a/ricette-cult-la-parmigiana-di-melanzane/13053/
http://it.wikipedia.org/wiki/Parmigiana_di_melanzane]
 
 

Ed io dalla ricetta napoletana parto per la mia versione, dopo aver scartabellato in rete mille alternative…

 

La ricetta: Parmigiana di melanzane
3 melanzane lunghe medie
300 g di pelati
1 pezzo di salsiccia di Napoli
150 g di provola affumicata
2 fette sottili di prosciutto cotto
farina
olio per friggere
olio evo
sale
caciocavallo grattugiato grossolanamente (4-5 cucchiai)
4-5 foglie di basilico

Senza sbucciarle ho tagliato le melanzane a fette di 1 cm. Le ho salate e messe a perdere acqua sotto un peso.
Ho preparato il sugo, rosolando uno spicchio d’aglio in un pentolino con 4 cucchiai d’olio evo. Ho aggiunto i pelati tritati grossolanamente con coltello e forchetta. Ho lasciato cuocere per un po’, aggiungendo anche una foglia di basilico.
Ho asciugato le fette di melanzane con un panno pulito e ho messo l’olio per friggere a scaldare sul fuoco. Quando era caldo ho fritto le fette di melanzana, passando ognuna in un piatto di farina da entrambi i lati. Le ho messe a scolare un po’ d’olio su fogli di carta assorbente.
nelfrattempo ho tagliato il salame a dadini e la provola a fettine sottili.
Ho preso una padella del diametro di 22 cm. Ho unto il fondo e versato qualche cucchiaio di sugo.
Poi ho cominciato con uno strato di melanzane e a seguire gli altri ingredienti alternati, una volta il salame e una volta il prosciutto e uno strato sì e uno no il caciocavallo, riservando per ogni strato, però, sugo e provola. esaurite le melanzane ho coperto il tutto con il restante caciocavallo grattugiato e ho coperto.
A fuoco dolcissimo ho lasciato “pipiare”, ovvero ho lasciato che il coperchio si sollevasse leggermente per il vapore, per una decina di minuti, giusto il tempo che tutto il formaggio si sciogliesse.
Far raffreddare un poco prima di tagliare a fette. Si mangia tiepida (così si distingueranno tutti i sapori,), oppure anche fredda!

 
 

 

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Cascina Fontanacervo: la visita al caseificio

Cascina Fontanacervo è un posto speciale vicino a Villastellone. La famiglia Crivello ci vive e ci lavora dal XVII secolo ed io trovo affascinante immaginare questi campi, che sono ora coltivati a foraggio per il bestiame, ancora attraversati dai cervi e dalla selvaggina. 
Il nucleo originario della cascina è quello del ‘600 e molte delle attività vengono svolte con la stessa naturalità e semplicità di un tempo, anche se ora ci sono i macchinari ad alleggerire il lavoro.
Dal semplice allevamento di mucche da latte, la famiglia Crivello è passata alla trasformazione in yogurt negli anni ’90 e successivamente alla produzione di formaggi.
Oggi sono Maestri del Gusto, ciò significa che hanno ottenuto un riconoscimento dalla Camera di Commercio di Torino per aver svolto il loro lavoro in modo sano e genuino.
La filiera produttiva è interamente svolta in cascina e nei campi limitrofi, con un’evidente minimizzazione dei trasporti e dell’inquinamento ambientale.
Proprio davanti alla cascina vengono coltivati erba e granoturco destinati al bestiame, senza l’uso di concime chimico, ma con il solo utilizzo del liquame animale. 
A pochi passi dai campi, le mucche, di razza Frisona e di razza Jersey, vengono foraggiate con alimenti completamente naturali e la media produttiva è tenuta volutamente bassa per dare una migliore qualità della vita all’animale: ogni mucca produce mediamente 20 litri di latte al giorno, contro i 35 degli allevamenti intensivi.
Il latte subito dopo la mungitura viene trasportato senza venire a contatto con l’aria esterna fino ai locali per la lavorazione. Questa è affidata al Mastro Casaro e ad altri specialisti che trasformano il latte in yogurt e formaggi senza utilizzare ingredienti chimici, né addensanti e coloranti, ma solo latte, caglio e sale. 
Anche gli imballaggi sono ridotti al minimo, e si privilegiano quelli riciclabili, come il cartone e il vetro.
I prodotti sono davvero tanti; il latte e la panna, innanzitutto, seguita dal burro, dalle creme-dessert, dagli yogurt, in tanti gusti diversi e nella variante probiotica; poi vengono i formaggi freschi, i tomini e i tomini a rotolo (quelli da fare elettrici o al verde), la freschissima, la crema contadina (che è come lo stracchino), poi il primo sale, la mozzarella, le robiole e poi la ricotta; infine ci sono dei formaggi a media stagionatura: la Turineisa (30 giorni), la Granda (60 giorni), la Sabauda (90 giorni) e poi le mie preferite, le tenere Paglierine con stagionatura di 20 giorni, che un tempo venivano poste a maturare sulla paglia e mentre all’esterno si formava una crosta bianca, su cui restava impresso il reticolo di paglia sul quale erano appoggiate, l’interno si trasformava rapidamente in una crema morbida e delicata.
Infine un tocco di golosità: Fontanacervo produce anche del gelato delizioso…io l’ho assaggiato ed è ricco e cremoso. A proposito di gelato voglio parlarvi di un appuntamento che i golosi e i curiosi non possono farsi scappare: sabato 25 maggio, dalle 11 alle 18, ci sarà l’Open Day di Fontanacervo, durante il quale sarà possibile visitare la cascina e il caseificio, vedere le mucche e i vitellini e capire come vengono prodotti i loro formaggi. Inoltre sarà possibile assaggiare il gelato Fontanacervo ed il ricavato dalla vendita delle coppette sarà interamente devoluto in beneficienza alle Figlie di Maria Ausiliatrice per l’acquisto di un generatore in Congo. 
Trovate ulteriori informazioni sul loro sito e sulla pagina Facebook dell’evento. Occorre registrarsi!!
Spero di avervi suscitato un po’ di curiosità e vi lascio con una ricetta fatta apposta per la deliziosa Paglierina, un flan di asparagi delicatissimo che ben si sposa con la crema dolce del formaggio e con il croccante del pane azimo.
La ricetta: Flan di Asparagi con Paglierina Fontanacervo e Pane Azimo cotto in padella
500 g di asparagi 
1/2 cipolla piccola
erba cipollina
olio
sale
pepe bianco
2 uova
parmigiano grattugiato
Ho lavato gli asparagi e, tenendo le punte da sbollentare a parte, ho tagliato i gambi a rondelline sottili.
In una padella con 2 cucchiai d’olio ho fatto rosolare la cipolla sminuzzata e le rondelline di asparagi, stufandole con acqua finché non sono diventate morbide. Ho regolato di sale e pepe e profumato con dell’erba cipollina.
Ho frullato questo composto finemente, poi ho messo da parte qualche cucchiaio di purea di asparagi e nella restante ho aggiunto le uova e due cucchiai di parmigiano grattugiato.
Ho diviso il composto in pirottini di silicone ed ho infornato a bagnomaria a 190° finchè non sono diventati sodi. 
Nel frattempo ho preparato il pane azimo, la ricetta è questa del blog Cris e Max in cucina.Ho usato 200 g di farina, 50 ml d’acqua, un pizzico di sale e 1 cucchiaio d’olio. L’impasto deve riposare un quarto d’ora e poi può essere cotto in padella.
Ho servito i flan ben caldi deponendoli su una cucchiaiata di purea di asparagi, con sopra le puntine sbollentate in acqua salata, con un’insalatina di valeriana, gli spicchi di Paglierina e il pane azimo.
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Tartrà per tutte le stagioni, ai peperoni o alla zucca, per La Svizzera nel Piatto.

Per La Svizzera nel Piatto, il contest organizzato dal Consorzio Formaggi della Svizzera in collaborazione con il blog di Teresa, Peperoni e Patate, bisognava elaborare una ricetta tradizionale italiana e reinterpretarla con l’utilizzo dei formaggi svizzeri più famosi.
Per questa prima ricetta – ma ne arriverà prestissimo un’altra – ho scelto lo Sbrinz, il più antico formaggio svizzero, il cui commerciò è documentato già nel 1530, quando mercanti a dorso di mulo portavano in Italia, attraverso i valichi alpini le enormi forme di Sbrinz scambiandole con sale e vino.
Lo Sbrinz è fatto con latte di vacca, non pastorizzato. La maturazione minima è di 16 mesi, ma diventa ideale a 18 mesi, quando diventa friabile e tenero ma piacevolmente piccantino e aromatico.
Lo Sbrinz possiede il marchio AOC (appellation d’origine controllèe) dal 2002 ed è un componente ideale per i taglieri ma anche il classico formaggio da grattugia.
Per la ricetta da presentare al contest sono andata a scovare una tradizionalissima ricetta piemontese, la tartrà. Si tratta di un budino di latte e panna, insaporito con tante erbe aromatiche dal gusto delizioso che ben si sposano con un formaggio prodotto con latte di mucche che si sono nutrite di grasse erbe alpine. La tartrà è un piatto versatilissimo che a seconda delle stagioni si può reinterpretare con un accompagnamento diverso.
Io ne ho proposte due versioni, una, per il primo autunno, con i peperoni e le acciughe e un’altra, per l’autunno avanzato, con la zucca e la pancetta.
La ricetta: Tartrà piemontese accompagnata da salse di verdura.
Per la tartrà (6 budini):
2 uova + 1 tuorlo
250 ml di latte intero
100 ml di panna da cucina
100 g di Sbrinz AOC grattugiato
1 porro
un trito composto da salvia, timo, rosmarino e alloro
20 g di burro
sale e pepe
Per la salsa al peperone:
1 peperone grande
1 grosso spicchio d’aglio
4 filetti di acciuga
olio d’oliva extravergine
50 ml di vino bianco
Per la crema di zucca:
300 g di zucca già pulita e lessata
½ cipolla piccola
70 g di pancetta affumicata
1 rametto di rosmarino
Ho fatto sciogliere il burro in un pentolino, aggiungendo il trito di erbe aromatiche e il porro tagliato finemente. Ho lasciato ammorbidire il porro per qualche minuto poi ho aggiunto la panna liquida, spegnendo quasi subito la fiamma e continuando a mescolare fino ad intiepidimento. A questo punto molti filtrano il tutto; io ho  invece lasciato le erbe aromatiche e il porro, in modo che il sapore fosse più intenso.
Ho sbattuto le uova con una bella presa di sale e una spolverata di pepe, aggiungendo lo Sbrinz grattugiato e il latte tiepido.
Ho unito i due composti e mescolato con cura; poi ho suddiviso in 6 pirottini da muffin grandi di silicone ed ho messo a cuocere in forno caldo a 190° a bagnomaria; in pratica in una teglia larga ho messo due dita di acqua calda e vi ho deposto tutti i pirottini con la tartrà liquida.
Quando i budini si saranno solidificati saranno pronti, nel caso si scurissero troppo coprirli con un foglio di alluminio.
Per la salsa di peperoni:
Ho tagliato il peperone a pezzettini minuti e l’ho messo a rosolare con l’aglio e un giro d’olio evo. Ho sfumato con il vino proseguendo la cottura Quando era morbido ho aggiunto le acciughe tagliate a pezzettini e le ho fatte sciogliere. Ho passato tutto al frullatore, togliendo l’aglio e regolando di sale.
Per la crema di zucca:
Ho fatto rosolare la cipolla tagliata sottile in un filo d’olio. Ho aggiunto la zucca lessata a cubetti, e insaporito con del rosmarino. Quando il tutto era morbido, ho frullato e regolato di sale. Da parte ho stufato della pancetta a cubetti, con un filo di vino.
Per comporre il piatto è sufficiente liberare la tartrà dal pirottino ed accostarvici la salsa che avete scelto. Per quella di zucca, decorare con i cubetti di pancetta.
Con questa ricetta partecipo al contest La Svizzera nel Piatto del blog Peperoni e Patate in collaborazione con il Consorzio Formaggi della Svizzera.
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Alla Fiera della Toma di Condove

Ieri sono stata alla Fiera della Toma di Condove, giunta ormai alla XXIII edizione.
Lascio che siano le immagini a parlare e a raccontare (solo in parte) questa ricchissima manifestazione, assolutamente imperdibile per chi ama il formaggio.

Siamo stati realmente travolti da una miriade di colori e profumi, come accade nelle autentiche Fiere di montagna. Non solo formaggi, la toma e tutte le sue varianti, ma i biscotti, canestrelli ancora caldi, e torcetti, le caldarroste, le mille sfumature del miele, e tante tante mele di montagna.
Al banchetto allestito per le foodbloggers, che proponevano una ricetta all’ora, ho avuto il piacere di salutare Ambra, Silvia, Anastasia e Ale. C’erano anche Alessandra e Lia.
Ma l’esperienza che ricorderò con più piacere è stata la visita guidata alla Cascina Vercellino, inserita nel programma Cascine Aperte.
Abbiamo avuto la possibilità di visitare la loro piccola impresa a conduzione completamnete familiare,  dove tutti sono coinvolti nel lavoro del caseificio, dall’anziana nonna, ai figli più giovani; abbiamo visto le mucche da latte, il piccolo laboratorio, la cascina tutta e abbiamo gustato formaggi e yogurt deliziosi, che conservano tutto il sapore dell’autenticità. Niente a che vedere con i caseifici dove ormai la produzione è del tutto industriale. Anche i loro prezzi di vendita sono estremamente competitivi, a prova che un prodotto veramente genuino non sempre si deve pagare di più.

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Pizza ripiena di caprino ed erbette all’aglio

Dall’alto sembra una focaccia alta, quasi banale nella sua semplicità: olive e pomodorini. In realtà nasconde una sorpresa, un soffice ripieno di caprino fresco, con la marcia in più, saporitissima, di un’aggiunta di aglio ed erbette, che danno a questo piatto un tono così rustico, ma al tempo stesso un’aria un po’ chic alla francese…
Il segreto è stendere lo strato superiore sottilissimo, in modo che resti un po’ croccantino e leggero; più corposo e gonfio sarà lo strato inferiore, e la morbidezza nell’odoroso ripieno.

La ricetta: Pizza ripiena di caprino ed erbette all’aglio

300 g di farina
1 cucchiaino di sale
1/2 cucchiaino di miele
acqua
1 cucchiaio d’olio
1/3 di cubetto di lievito di birra
200 g di caprino fresco
maggiorana, menta, origano,dragoncello ed erba cipollina
1 spicchio di aglio
Ho preparato la pasta per la pizza, sciogliendo il lievito in circa 50 ml di acqua tiepida, aggiungendo 1/2 cucchiaino di miele e lasciando riposare per 10 minuti, fino alla formazione di una ricca schiumetta. Ho cominciato ad impastare la farina setacciata con il sale con questa mistura di acqua e lievito, aggiungendo poi altra acqua tiepida e un cucchiaio d’olio extravergine finchè non si è formata una bella palla morbida. Ho impastato per dieci minuti circa, poi ho messo l’impasto a lievitare per 2-3 ore.
Ho ripreso la pasta e l’ho divisa in 4 palline, due delle quali leggermente più piccine perchè serviranno per gli strati superiori. Ho steso le palline più grandi ed ho foderato due teglie tonde da 21 cm, lasciando riposare questo strato, spennellato leggermente di olio, per dieci minuti. Ho spalmato poi il caprino che avevo precedentemente insaporito con un pizzico di sale, le erbette tritate e lo spicchio d’aglio tritato finissimo (o, se preferite, spremuto).
Poi ho steso le altre due palline ed ho ricoperto il ripieno, sigillando bene il bordo esterno. Ho spennellato anche la superficie con un filo d’olio e vi ho deposto le olive tagliate a rondelle e i pomodorini, tagliati a metà, infine ho messo tutto in forno a 220° per circa 20 minuti (ma controllate che il fondo sia dorato, perchè il tempo di cottura varia da forno a forno!)

ai fornelli, ricette originali, ricette tradizionali

Caprese prêt à porter

Non è colpa mia, le regole parlavano chiaro!
Si trattava di proporre una ricetta stuzzicante, fresca e trasportabile anche per un pranzo all’aria aperta, che richiedesse un tempo di preparazione inferiore ai 30 minuti…
Mica era tanto facile…
Poi ho pensato a questa insalata, un grande classico al quale ho dato una forma un po’ diversa… e sebbene mi vergogni un po’ a chiamarla ricetta, vi assicuro che ce la si fa ampiamente!!! E pure la presentazione è deliziosa, sia che la consumiate a tavola come antipasto sfizioso, sia che chiudiate la scatolina e ve la portiate a spasso.
Vi presento la mia Caprese prêt à porter!!




La ehm…ricetta: Caprese prêt à porter
12 pomodorini ciliegino
125 g di mozzarella di bufala
olio
sale
origano
insalatina a foglia minuta
1 o 2 contenitori di plastica per uova


1. lavare i pomodorini e l’insalata, avendo cura di non staccare i gambetti dei pomodori: 2 minuti
2. tenere l’insalatina da parte e magari centrifugarla perché si asciughi, intanto tagliare a tutti i pomodorini la calottina superiore con un coltello affilato: 1 minuto
3. con delicatezza svuotare ogni pomodorino dei semi e del sughetto: 1 minuto e mezzo
4. con le mani ben asciutte mettere in ogni pomodoro svuotato un pizzichino di sale e capovolgerlo sul piatto perché perda l’acqua in eccesso: mezzo minuto


5. lasciare i pomodori capovolti per 10 minuti e intanto far scolare per almeno 5 minuti la mozzarella di bufala in un setaccio; lavare accuratamente un contenitore per le uova, con acqua e detersivo per i piatti; poi asciugarlo e disporvi all’interno le foglioline asciutte di insalata; tagliare la bufala ormai scolata a cubetti regolari: 10 minuti
6. disporre in ogni “posto-uovo” un pomodorino e versare in ciascuno un filo d’olio: 1 minuto
7. in ogni pomodoro mettere qualche cubetto di mozzarella e completare con una spolveratina di origano, poi coprire con la calottina. Ripetere l’operazione per tutti i pomodorini. :3 minuti


8. Se si vuole servire come antipasto a tavola disporre 12 pomodori in un solo contenitore per uova, altrimenti metterne 6 per ogni contenitore, coprire con qualche fogliolina d’insalata e chiudere la confezione, avendo cura poi di metterla in un sacchetto a chiusura ermetica: 1 minuto


Tempo totale impiegato: 20 minuti




Con questa ehm…ricetta partecipo al contest della Cuochina SopraffinaSpuntino sopraffino, fallo sveltino”.

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