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#Polska – il contest culinario dedicato alla cucina polacca – colazione

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Parte un nuovo contest che coinvolge dieci blogger italiani e dieci polacchi in una gara culinaria volta a promuovere la cucina polacca e il padiglione della Polonia a Expo Milano 2015.

Per quattro settimane consecutive pubblicheremo sui nostri blog le ricette ispirate dai prodotti tipici polacchi che abbiamo ricevuto.

La prima settimana è quella dedicata alle ricette della colazione.

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ai fornelli, buffet salato, ricette originali, verdure e contorni

Carote al forno con formaggio erborinato, marmellata di agrumi e mandorle

Pranzetto leggero per dare il benvenuto alla primavera? Eccoci con carotine freschissime, col ciuffo, mandorle, marmellata di agrumi e formaggio erborinato. Bastano 20 minuti per portare a tavola questa delizia.

Questa volta vorrei parlarvi di un formaggio saporitissimo che ho scoperto per caso e che ha una curiosa storia. Il signor Basil Weixler all’inizio del ‘900, aveva a Waging am See, un paesello della Baviera che ancora oggi è rimasto così, come vedete qui a fianco, un piccolo caseificio che serviva il paese e i villaggi limitrofi. Il signor Weixler faceva il suo lavoro con passione, si documentava, studiava e proprio analizzando i gusti dell’epoca si accorse che i formaggi blu riscuotevano un grande successo di pubblico. Così progettò e inventò il suo “blu” Bergader Edelpilz, chiamandolo “Roquefort bavarese di montagna”. La consistenza e il sapore sono in effetti molto simili al formaggio francese di cui vi avevo raccontato la storia anche qui.
Ehheheheh! Ma i francesi ci tengono a queste cose…non per niente il loro Roquefort è stato uno dei primi prodotti AOC; e quindi si affrettarono subito a citare in giudizio il signor Weixler che, portato in tribunale perse la causa. In realtà questa disavventura gli valse una popolarità enorme: la
stampa raccontò tutto lo svolgimento del processo, regalado un’enorme
notorietà al formaggio appena nato. Il Bergader Edelpilz cominciava la sua carrierà sotto i migliori auspici e, dal 1902, è ancora disponibile nella sua ricetta originale.

Ne approfitto pure per ricordarvi il nostro contest “Sedici” che questo mese (fino al 12 aprile) vede scendere in campo i #Sedici_Caseari. Che ne pensate ad esempio di formaggio erborinato+pompelmo? 😉

La ricetta: Carote al forno con formaggio erborinato, confettura di agrumi e mandorle
un mazzetto di carotine fresche
30-40 g di formaggio erborinato (per me Bergader, va bene anche un altro erborinato leggermente piccante)
una manciata di mandorle a scaglie o a filetti
tre cucchiaini colmi di marmellata di agrumi (per me Fiordifrutta Rigoni d’Asiago agli agrumi)
sale
pepe
olio extravergine d’oliva

Tagliare le carote in due o in quattro nel senso della lunghezza. Disporle in una pirofila appena unta d’olio. Salarle, peparle e irrorarle con un filo d’olio extravergine. Sbriciolare sopra il formaggio erborinato, le mandorle e la marmellata. Mettere in forno già caldo a 190° per 20 minuti circa.

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Sedici: l’alchimia dei sapori – il contest – ep. 2 Caseari

E la prima puntata del nostro glorioso contest #Sedici è andata.

Pensavamo fosse più semplice, soprattutto ci aspettavamo che con poche ricette fosse più facile decretare i due vincitori. Invece la qualità dei vostri 26 contributi e la vostra voglia di sperimentare ci hanno stupite e pure stese.

Abbiamo deciso di votare separatamente con punteggio numerico ogni ricetta pervenuta. Alla fine abbiamo conteggiato i punteggi di ciascuna ricetta e discusso insieme i parimerito.

Vince l’asso pigliatutto Elisa de Il Fiordicappero con le madeleines limone e cioccolato e su questo devo dire che il mio viaggio a Parigi non ancora concluso può avere condizionato il giudizio mio e delle mie compagne, che ci siamo trovate d’accordo nell’immergerci in memorie proustoviane e pucciare queste meraviglie nella nostra tazza di infuso di tiglio.

Assieme a lei vince Valentina di An Experimental Cook con i suoi tagliolini soba con pollo all’arancia e zenzero e broccoli, direttamente da Tokio…e poi provate ad immaginare quanta voglia abbiamo di viaggiare e di provare gusti nuovi! Qui particolarmente interessante è la marinatura del pollo in succo d’arancia e zenzero.

Per questa volta ci possiamo ritenere più che soddisfatte, perchè abbiamo visto tanta voglia di provare a sperimentare e ci auguriamo che anche gli abbinamenti a prima vista più inconsueti vi stimolino a provare durante i prossimi appuntamenti. Certo è che sfogliando l’album delle vostre foto, vediamo tante ricette che ci hanno colpito per fantasia e colore…e speriamo che la prossima puntata, sebbene meno colorata, ci e vi regali la stessa soddisfazione!

Pronti, partenza, via!

Abbandonati gli agrumati, ci lanciamo di slancio nella famiglia di
questo mese: questa volta parliamo di caseari e di quanta differenza ci
possa essere tra una tipologia di formaggio e un’altra.
Nel
regolamento che trovate qui, abbiamo specificato che si partecipa con
una sola ricetta e che va chiaramente indicato l’abbinamento scelto.
Questa volta, che non c’è di mezzo febbraio- febbraietto corto corto e
maledetto
, si gioca fino al 12 13 aprile alle 23,59.

La tipologia di formaggio da me scelta è quella dei formaggi a crosta lavata.

 

Fin dal Medioevo alcuni formaggi venivano spazzolati sulla crosta esterna con acqua e sale, o con birra o brandy, per rimuovere alcune muffe indesiderate e permettere la formazione di batteri utili che andavano poi ad incidere sul colore (rossiccio-marrone) e sul sapore finale. Il risultato è la formazione di un sottocrosta particolarmente cremoso e un’aromaticità intensissima. Se lasciati fuori frigo prima del consumo, perdono la forma, rendendo difficile il taglio ed accentuano la loro cremosità. Nicky Segnit si muove su un territorio decisamente internazionale,
mentre io comincio col dirvi che il formaggio più celebre in Italia per
questa tipologia è il Taleggio, segue il Puzzone di Moena,
e va da sé, se conoscete uno o entrambi, che potete immaginare quale genere di aroma si è diffuso nel mio frigorifero.
Sono formaggi per gli amanti dei formaggi, per chi non si lascia spaventare.

Io ho scelto un formaggio francese della regione del Midi Pyrénées, il Saint Albray, dalla caratteristica forma a corona. Qui la crosta è mista, bianca e arancio, per la commistione di batteri di fermentazione rossa e di penicillum. La spazzolatura delle forme avviene manualmente, proprio per “mischiare” questi due tipi di batteri ed ottenere una colorazione melange uniforme.
L’interno è dolce e aromatico, mentre l’esterno prensenta un caratteristico gusto amarognolo.

Qui di seguito gli abbinamenti proposti da Nicky Segnit per i formaggi a crosta lavata (tutti, non solo il Saint Albray):

formaggio a crosta lavata & aglio
formaggio a crosta lavata & anice (o finocchio)
formaggio a crosta lavata & bacon
formaggio a crosta lavata & cumino
formaggio a crosta lavata & mela
formaggio a crosta lavata & noce
formaggio a crosta lavata & patata
formaggio a crosta lavata & pera

La Segnit spiega che con queste tipologie di formaggi dal gusto deciso
l’abbinamento talvolta è difficile ma i gusti decisamente dolci o particolarmente decisi come aglio oppure bacon, accettano la sfida. Un’altro modo di abbinare è quello di assecondare la sferzata del formaggio, ad esempio con patata oppure noce.
Io ho scelto di sperimentare con l’anice che, con la sua dolcezza, stempera le note amarognole del Saint Albray.

Le altre ricette da scoprire le trovate sui blog delle mie compagne:
per il formaggio fresco:
Alessandra –
Crepe agli asparagi con formaggio fresco e tartufo
e
Betulla – 
Pitta con Labna Noci e miele
per il formaggio erborinato:
Irene – Paccheri ripieni di gorgonzola su crema di broccoli e mandorle tostate
per il formaggio stagionato
Marzia – Tarte tatin di patate con caciocavallo ragusano
per il formaggio di capra
Velia – Tortelloni di noci su fondutina di toma di capra

Ed ecco il mio abbinamento:

La ricetta: Sandwich di pane alle patate e all’anice 
con formaggio a crosta lavata e finocchio marinato
per il pane alle patate e anice:
200 g di farina di grano tenero semintegrale macinata a pietra
50 g di farina di farro
125 g di patate lessate, scolate e schiacciate
120 g di acqua
1 cucchiaino colmo di lievito di birra disidratato
1 cucchiaino di miele
5 g di sale
1 cucchiaio di semi di anice (o finocchio)
1 cucchiaio colmo di olio di oliva extravergine
curcuma qb

per i finocchi marinati:
1 finocchio tenero (maschio) privato della foglia esterna più dura
olio evo (una qualità non troppo piccante)
sale
pepe nero macinato al momento

per ogni sandwich, 3 fettine di formaggio Sant’Albray

Sciogliere il lievito di birra nell’acqua tiepida con il miele. Mescolare le farine con le patate schiacciate, aggiungere l’acqua con il lievito e cominciare ad impastare. A impasto formato aggiungere il sale, poi l’olio e i semini di anice e continuare a lavorare finchè non si forma un  impasto liscio. Mettere a lievitare in una ciotola leggermente unta, in un luogo tiepido.
Quando l’impasto sarà raddoppiato, sgonfiarlo e lavorarlo arrotolandolo su se stesso. Formare un torchon o una treccia e deporlo in uno stampo da plumcake di circa 20×10 cm. Spolverare di curcuma. Aspettare che il pane raggiunga il bordo della teglia, poi infornare a 200° per circa 25 minuti. Battere il pane sul fondo per controllare la cottura prima di sfornare definitivamente.

Preparare i finocchi marinati mezz’ora o un’ora prima di servire: lavarli e tagliarli sottilissimi con la mandolina. Condire con olio, sale e pepe.

Su ogni fetta di pane all’anice deporre un po’ di insalatina di finocchio con il suo sughetto, compleare con le fette di Sant’Albray e mettere in forno tiepido per 5 minuti, in modo che il formaggio si sciolga.

 

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Focaccia con fichi e noci, ripiena di Gruyère DOP per #noiCHEESEamo

Ecco la seconda ricetta per il contest #noiCHEESEamo promosso da Formaggi Svizzeri e Peperoni e Patate

Questa volta la ricetta del cuore non poteva che essere una focaccia, con una percentuale di farro nell’impasto ed arricchita di noci e fichi secchi che si sposano ottimamente con il Gruvière.
Per chi ancora fa confusione, il Gruvière non ha i buchi! Ha invece una pasta compatta e saporita, tutto merito della spazzolatura della crosta con acqua e sale. Per ogni forma da 35 chili vengono utilizzati oltre 400 litri di latte crudo.
Tutte le altre differenza tra Emmentaler e Gruyère le trovate qui nel post della prima ricetta, assieme a delle golose ciambelle salate.
Il sapore del Gruyère è intenso e gustoso, quello dei formaggi d’alpeggio, e sposarlo con la dolcezza dei fichi secchi è stato assolutamente naturale. L’impasto della focaccia è anche reso prezioso dall’uso della farina di farro e dalle noci.
 

La ricetta: Focaccia con fichi e noci, ripiena di Gruyère
100 g di farina
100 g di farina di farro
50 g di noci pesate già sgusciate
80 g di fichi secchi, ammorbiditi 5 minuti in acqua
6 g di lievito di birra fresco
1 cucchiaio d’olio extravergine d’oliva
1 cucchiaino raso di sale
120 g di Gruyère tagliato a fettine di circa 0,8 cm di spessore

Sgusciare le noci, pesarne 50 g e sminuzzarle al coltello. Tagliare a cubetti di un cm i fichi secchi e ammorbidirli per 5 minuti in acqua tiepida.
Mescolare le due farine con le noci sminuzzate; sciogliere il lievito di birra in 110 g di acqua.
Cominciare ad impastare, poi aggiungere l’olio e il sale. Infine i fichi, distribuendoli bene nell’impasto. Formare una panetto tondeggiante e metterlo a lievitare in una ciotola leggermente unta, al tiepido.

Quando il panetto è raddoppiato di volume  dividerlo in due pezzi uguali. Stendere il primo pezzo in una teglia rettagolare antiaderente, unta di olio, cm gdhja x jsakgsd, aiutandosi con le dita unte d’olio. Sulla superficie disporre regolarmente il Gruyère a pezzetti e coprire il tutto con il secondo pezzo di focaccia, stendendolo sulla prima e schiacciandolo bene, sigillando i bordi.
Lasciar lievitare per mezz’ora. Poi scaldare il forno a 200°.
Quando il forno è già caldo, formare in superficie delle fossette con le dita; spennellare la focaccia con poco olio d’oliva, spingendolo anche nelle fossette. Poi versare sul fondo della teglia mezzo bicchiere d’acqua, facendo in modo che un poco d’acqua resti anche nelle fossettine, per tenerle umide. Infornare per 20 minuti, sfornare e tagliare a pezzi. Servire subito, quando il formaggio è ancora filante.

 
 

 

Con questa ricetta partecipo al contest #noiCHEESEamo di Formaggi Svizzeri con Peperoni e Patate:

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Ciambelle salate con Emmentaler DOP, cipolla e timo Golose ciambelle al formaggio, lo spuntino sostanzioso e perfetto

Ancora una volta gareggio nel contest dei Formaggi Svizzeri, promosso da Peperoni e Patate: #noiCHEESEamo” e quest’anno tocca a una ricetta del cuore: le ciambelle salate!

 

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Ciambelle salate con Emmentaler DOP, cipolla e timo Golose ciambelle al formaggio, lo spuntino sostanzioso e perfetto" class="facebook-share"> Ciambelle salate con Emmentaler DOP, cipolla e timo Golose ciambelle al formaggio, lo spuntino sostanzioso e perfetto" class="twitter-share"> Ciambelle salate con Emmentaler DOP, cipolla e timo Golose ciambelle al formaggio, lo spuntino sostanzioso e perfetto" class="googleplus-share"> Ciambelle salate con Emmentaler DOP, cipolla e timo Golose ciambelle al formaggio, lo spuntino sostanzioso e perfetto" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2014/10/emmentaler_3-565x660.jpg" class="pinterest-share">
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Insalata d’orzo con pere e gorgonzola Non la solita insalata di cereali

Oggi una ricetta con pochissime parole.
Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere, e al mio fidanzato non far sapere che esiste un modo davvero saporito per gustare l’insalata d’orzo!
 

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Insalata d’orzo con pere e gorgonzola Non la solita insalata di cereali" class="facebook-share"> Insalata d’orzo con pere e gorgonzola Non la solita insalata di cereali" class="twitter-share"> Insalata d’orzo con pere e gorgonzola Non la solita insalata di cereali" class="googleplus-share"> Insalata d’orzo con pere e gorgonzola Non la solita insalata di cereali" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2014/08/orzo-e-gorgo_evidenza.jpg" class="pinterest-share">
ai fornelli, ricette tradizionali

Tartiflette, e il calendario “La France à table”

Il nuovo anno comincia alla grande.
Lo scorso gennaio iniziavo timidamente ad usare questa reflex di seconda mano, con poche nozioni di base e, devo dire, una certa diffidenza… i primi scatti e poi 

P { margin-bottom: 0.21cm; }«no, no, no…non mi piace affatto

P { margin-bottom: 0.21cm; }» e il consueto rifiuto che le novità provocano in me, abitudinario segno di terra, con le radici ben affondate nel solido terreno, anche se il vento mi agita i capelli.

Eccoci ad oggi. 
La diffidenza si è trasformata in amore per questo strumento con cui amo giocare. Certo la strada è ancora lunga, inizio solo ora a prendere confidenza con la luce, quella del mio cortile, quella che entra in cucina verso l’ora di pranzo.
Questo è il primo frutto di questo percorso, ed insieme è un’idea per passare insieme tutto l’anno.
http://issuu.com/ricettedicultura/docs/la_france_a___table_-_calendario_20
P { margin-bottom: 0.21cm; }

Per
ogni mese troverete un piatto della cucina tradizionale francese
, cucinato e talvolta rielaborato da me, con una
piccola curiosità sulla sua storia; la ricetta invece sarà sul blog ogni 1° del mese.
Se
vorrete seguirmi nell’avventura, mi piacerebbe se provaste a
reinterpretare il piatto del mese, a modo vostro, tutte le volte che la
ricetta vi ispirerà
. Se l’avete già cucinato in passato segnalatemi nei commenti la vostra versione…così potrò creare per ogni ricetta una
personalissima raccolta di versioni diverse.
Eccoci alla ricetta del mese di gennaio.

Perdonatemi se dopo i bagordi di Natale e Capodanno non pubblico un piatto detox. D’altronde siamo a gennaio, fuori fa freddo, ed è il momento giusto per i caldi piatti della cucina di montagna.

La tartiflette è un piatto nato negli anni ’80, messo a punto dal Syndicat Interprofessionnel du Reblochon, per promuoverne la vendita e l’utilizzo. I francesi dell’Alta Savoia probabilmente non l’avevano mai mangiata prima e se la sono trovata davanti, riproposta in tutti i ristoranti d’alta quota, posti ai limiti delle piste da sci.

Il Reblochon, per contro, è un formaggio molto antico; pare sia stato prodotto in Alta Savoia, in particolare nella zona del massiccio dell’Aravis, già dal XIII secolo, e la storia racconta che la sua “invenzione” sia legata ad una furberia degli allevatori.
Essi dovevano pagare un affitto, per gli alpeggi che occupavano, che era calcolato proporzionalmente in base al latte prodotto. Il giorno in cui era stabilita la misurazione delle “quote latte” essi mungevano un po’ di meno le proprie mucche, per ingannare il proprietario sulla quantità di latte che potevano produrre. Quando i proprietari, concluse le misurazioni, si allontanavano, gli allevatori effettuavano una seconda mungitura, anticamente detta il re-blochait: con questo latte producevano questo formaggio.
Nel 1958 il Reblochon ottiene la AOC, oggi trasformata in AOP, appelation d’origine protegée.
Si tratta di un formaggio a latte crudo, con una pasta morbida color avorio e una crosta dalle sfumature giallino-arancio. Ha un odore molto intenso, come molti formaggi di questa tipologia.
Ne esistono due qualità: il Reblochon latier, prodotto da più partite di latte, e il Reblochon fermier,  più pregiato, perchè prodotto dal latte di una sola fattoria. Inoltre il Reblochon può essere prodotto solo dal latte di alcune razze bovine: Abbondanza, Tarina e Montbéliarde.
Nella stagione dell’anno in cui le vacche sono in alpeggio e si nutrono di erbe, il sapore del Reblochon prodotto è arricchito dagli aromi dei fiori di montagna e dell’erba fresca e grassa dell’estate.
Come spunto per l’elaborazione della tartiflette, dal nome  patois della patata, la tartiflà, è stata scelta un’antica ricetta tradizionale, la pelà: si trattava di patate tagliate a grossi cubi, di solito senza togliere la buccia, e rosolate in padella con cipolla e pancetta, ricoperte poi da Reblochon e fatte cuocere a lungo finchè il formaggio non era sciolto e dorato e il cuore delle patate ben cotto. La preparazione prende il nome dalla padella in cui veniva cotta, la pelà, appunto, una grossa padella con un lungo manico.
Nella tartiflette troviamo gli stessi ingredienti, ma le patate sono prima lessate in acqua, poi sbucciate e tagliate a rondelle. Vengono alternate a strati di cipolla e pancetta e ricoperte infine da uno strato di Reblochon, che in forno andrà a sciogliersi, mentre gli strati si fonderanno ed insaporiranno.
Questo piatto è di una semplicità disarmante e per questo è così buono.

La ricetta: Tartiflette
(per due persone)
2 patate medie
1 grossa cipolla
50 g di pancetta  
circa 1/3 di una formetta di Reblochon
olio evo
sale, pepe
Far lessare le patate in acqua, già sbucciate e tagliate a rondelle, per qualche minuto in modo che si ammorbidiscano, ma restino sode.
Nel frattempo tagliare finemente la cipolla e farla ammorbidire, senza che scurisca, in un paio di cucchiai d’olio. Quando hanno assorbito l’olio, aggiungere la pancetta tagliata a cubetti e mescolare per qualche minuto, a fuoco vivace, assieme alla cipolla.
In due cocottine da forno ho messo le patate a strati intervallati da cipolla e pancetta. In cima ho completato con fettine di reblochon, con tutta la buccia, fino a coprire completamente le patate sottostanti.
Ho infornato a 180° per circa 20 minuti, fino a doratura.

Ed ora che aspettate a provarla?

L’hanno reinterpretata:
Irene di Stuzzichevole: con la verza e la fontina.






 

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Gnocchi di zucca con funghi orecchione e scaglie di Wensleydale Blue

Tra le varie ricette con la zucca, protagonista acclamata della mia tavola di ottobre e novembre, spiccano questi gnocchi, impastati con pochissima farina, in modo da non coprire il gusto dell’ortaggio e da non produrre uno gnocco troppo duro. Per cuocerli mi sono aiutata con due cucchiai e li ho formati gettandoli direttamente nell’acqua bollente con una sorta di precottura per un paio di minuti, poi li ho scolati con una schiumarola e deposti su un grande piatto piano, per poi finire la cottura in modo uniforme dopo averli sbollentati tutti.
Accanto ai funghi orecchione che, tagliati a listarelle sono perfetti da abbinare alla dolcezza della zucca, ho voluto mettere delle scaglie di Wensleydale Blue, un formaggio blu inglese pregiatissimo, e premiato in diverse manifestazioni, che ho avuto il piacere di assaggiare a Cheese2013.
La storia dice che il Wensleydale venne introdotto in Inghilterra da un gruppo di monaci-casari proveniente dalla zona del Roquefort in Francia. Ciò significa che i due formaggi potrebbero essere parenti, inizialmente prodotti entrambi con latte di pecora e poi di mucca a partire dal XIV secolo, per ciò che riguarda il Wensleydale. Il latte di pecora era ancora utilizzato in quanto favoriva la formazione delle particolari muffe blu; di contro la versione bianca era diffusa pochissimo, al contrario di ciò che avviene oggi.
La lavorazione di questo formaggio venne a tal punto acquisita dalle popolazioni locali che anche con lo scioglimento dei monasteri, durante la riforma anglicana, la produzione fu portata avanti.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la maggior parte del latte venne destinata alla produzione del tradizionale Cheddar, ma dopo la fine del conflitto si tornò a produrre il Wensleydale.
Attualmente la produzione di quello bianco è preponderante e il Wensleydale Blue è un prodotto di nicchia e per questa ragione pregiatissimo! George Orwell lo definì secondo solo allo Stilton tra i formaggi britannici, nel suo saggio “In Defence of English Cooking“.
Se vi è venuta la curiosità di assaggiarlo potete trovare la vendita online anche qui.
Non lasciatevi scoraggiare dal prezzo: è un formaggio premiato, paragonabile ai migliori formaggi italiani!

La ricetta: Gnocchi di zucca con funghi orecchione e Wensleydale Blue

(per 4 persone)
circa 500 g di polpa di zucca
150-200 g di farina 
1 uovo piccolo
200 g di funghi orecchione
50 g di Wensleydale Blue

Perchè la zucca sia ben asciutta occorre cuocerla in forno, a spicchi, finchè non è morbida. Una volta cotta, l’ho liberata dalla buccia, tritata e fatta asciugare in padella per qualche minuto con un filo d’olio.
Ho messo il tutto in una ciotola, ho fatto intiepidire ed ho aggiunto la farina e l’uovo. Può darsi che 150 g di farina sia sufficiente, altrimenti bisognerà aggiungerne un po’. L’impasto resterà comunque molto morbido.
Io preparo una pentola d’acqua, la porto ad ebollizione e regolo di sale, poi tuffo gli gnocchi, pochi per volta, formandoli con due cucchiai. Man mano che vengono a galla li scolo subito su un grande piatto piano.
Esaurito tutto l’impasto, verso di nuovo tutti gli gnocchi in pentola e faccio finire la cottura, prima di passarli in padella con il condimento.

Il sugo l’ho preparato in precedenza, rosolando un grosso spicchio d’aglio nell’olio, senza farlo scurire. Poi ho aggiunto i funghi, puliti e tagliati a lunghe listerelle sottili. Ho fatto insaporire ed ammorbidire, aggiungendo una spruzzata di vino e un poco d’acqua all’occorrenza. Infine ho regolato di sale.

Quando gli gnocchi sono cotti, passarli nella padella con i funghi; completare ogni piatto con le scaglie di Wensleydale Blue, tenuto in frigo fino all’ultimo.

ai fornelli, ricette originali

Risotto al prosecco con burrata e acciughe

Tra i prodotti freschi che ho avuto il piacere di assaggiare c’è la burrata, un altro simbolo della cultura casearia pugliese, assieme al caciocavallo e alla mozzarella fiordilatte.
La burrata nasce come prodotto di riciclo. E anche questa volta un prodotto del riuso per non sprecare nulla diventa una vera delizia. I pezzettini di pasta filata che trovate all’interno del guscio di mozzarella, sono i residui della lavorazione della mozzarella stessa. A questi viene aggiunta della panna, dolce e cremosa, quella che sentite persitere a lungo sul palato, quando mordete la burrata. Infine all’esterno c’è un sottile guscio di mozzarella per contener il tutto.
La burrata è deliziosa da mangiare freschissima, e qui Pioggia è un campione a inviarvi ciò che ordinate in un tempo davvero record: meno di 24 ore e con la spedizione gratuita
Ma se volete un altro modo per farla entrare nei vostri piatti vi consiglio questo risotto: la burrata si scioglie, lo rende cremoso, a tratti filante e dolce, accanto al sapido delle acciughe, insomma un matrimonio tra nord e sud perfettamente riuscito.
Per questo piatto ho usato il Riso Buono La Mondina, che viene prodotto a Casalbeltrame, città slow e patria del riso, dove si trova l’azienda dei Guidobono Cavalchini, proprietari dell’azienda che produce riso dal XVIII secolo. 
Chi mi conosce capirà che per me questo riso non è solo un ottimo prodotto, non per caso scelto da molti chef di altissimo livello, ma diventa anche un’operazione romantica di recupero del passato legato a filo doppio ad un territorio tutto da scoprire.

La ricetta: Risotto al prosecco con burrata e acciughe
(per due persone)
150 g di riso carnaroli
1 scalogno medio
brodo vegetale (circa 500 ml, preparato come nella spiegazione)
1 cucchiaino di burro
olio evo
1/2 bicchiere di prosecco più due cucchiai
125 g di burrata (metà per il risotto e metà per decorare il piatto – ricordatevi di tenerla a temperatura ambiente almeno un’ora prima di cominciare)
4 filetti di acciuga ricavati da due acciughe sotto sale, sciacquate bene con acqua e aceto e liberate dalla lisca
2 filettini d’acciuga sott’olio
Ho innanzitutto preparato il brodo vegetale, con carota, porro, sedano e patata in 700 ml di acqua fredda, con l’aggiunta di olio extravergine d’oliva. Non ho aggiunto sale, preferendo regolare dopo aver insaporito con le acciughe.
Con il brodo pronto e già ridotto e tenuto in caldo a fuoco bassissimo, ho iniziato a tagliare sottilmente lo scalogno e a farlo ammorbidire in una pentola larga e dal fondo spesso con due cucchiai d’olio e 1 cucchiaino di burro. Ho stufato con un paio di cucchiai di prosecco, rigirando spesso lo scalogno in modo che non prendesse colore, ma non fosse troppo brodoso.
Quando era morbido ho aggiunto il riso, facendolo tostare in padella, rigirandolo con delicatezza.
Ho sfumato con il mezzo bicchiere di prosecco, fino a farlo evaporare a fiamma alta quasi del tutto, poi ho aggiunto i filetti di acciuga e li ho fatti sciogliere nel liquido rimasto.
A questo punto ho iniziato ad aggiungere il brodo, proseguendo la cottura del riso a fuoco moderato. Quando la cottura era a posto ho assaggiato per regolare di sale ed ho aggiunto mezza burrata tagliata a pezzettini. Ho spento il fuoco e coperto la pentola, lasciando riposare per due minuti.
Ho distribuito nei piatti, decorando con uno spicchio di burrata e un filetto di acciuga sottol’olio.

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