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La Zuppa di Carote alla Crecy

La battaglia di Crecy fu una delle più importanti della Guerra dei Cent’anni, infatti il 26 agosto 1346 segnò la fine della cavalleria intesa in senso antico. Gli inglesi armati dei famosi longbow, gli archi lunghi, avendo una gittata decisamente superiore alle balestre usate fino a quel momento, evitarono lo scontro diretto, allungando le distanze tra gli eserciti nemici, e al tempo stesso abbatterono molta della cavalleria nobile francese, ancor prima che la battaglia entrasse nel vivo. 
La Francia schierava nelle sue fila tra i 50.000 e i 60.000 uomini, a seconda delle fonti dell’epoca, di cui circa 12.000 erano cavalieri, gli Inglesi erano poco più di 12.000 uomini, ma schierati a forma di cuneo lungo un terreno pianeggiante protetto ai lati da ostacoli naturali.
Ai primi lanci di frecce molti nobili francesi caddero dai cavalli feriti e furono costretti ad avanzare a piedi sotto il peso delle pesanti armature, mentre venivano nuovamente bersagliati dalle frecce nemiche. I balestrieri genovesi, sempre tra le fila francesi, non riuscirono a contrastare la potenza di fuoco.
Si racconta che il re Giovanni I di Boemia, saputo l’esito più probabile della battaglia, seppure ormai anziano e cieco, si fece legare al suo cavallo e si gettò verso l’esercito inglese urlando che prima di morire voleva combattere ancora l’ultima battaglia. Il giovanissimo Edoardo, principe di Galles, appena sedicenne e a capo di una delle sezioni dell’esercito inglese, ne rimase tanto colpito che volle per sé un’armatura uguale a quella del valoroso nemico. Il giovane “principe nero” venne anche immortalato dal pittore Julian Story in questa tela del 1888.
Al di là de La Manica, mangiare una zuppa alla Crecy significa commemorare questa celebre e drammatica battaglia, in Francia invece significa gustare le migliori carote del paese, proprio quelle di Crecy, in Piccardia, cucinate con una gustosa e confortante ricetta. La Potage Crecy viene affrontata anche da Julia Child nel suo Master of Frech Cooking e rappresenta un classico.
La zuppa può essere preparata con l’aggiunta di patate schiacciate  o con il riso per conferire cremosità. Io ho provato con il riso, che non modifica in alcun modo il sapore della zuppa e la rende molto sostanziosa senza alterare in alcun modo il sapore delle carote.
La ricetta: Zuppa di carote alla Crecy

(per 2 persone)
300 g di carote
1 cipolla
2 cucchiai di riso originario o comune da minestra
500 ml di brodo vegetale
olio extravergine di oliva 
sale
pepe bianco
era cipollina 

Ho preparato il brodo vegetale con carota, patata, cipolla, aglio e prezzemolo in acqua con olio e sale.

In una casseruola ho messo la cipolla tritata finemente, con un giro d’olio e l’ho fatta imbiondire leggermente, poi l’ho stufata con due dita di brodo e l’ho lasciata ammorbidire per 5 minuti.

Da parte ho lavato e pelato le carote e le ho tagliate a rondelle. Le ho aggiunte alla cipolla, le ho fatte insaporire e poi ho aggiunto il riso. Ho proseguito la cottura finchè le carote erano completamente morbide. Ci vorrà circa mezz’ora. Ho tenuto da parte qualche rondella di carota. Poi ho passato tutto il resto con il frullatore ad immersione fino ad ottenere una crema densa. Ho aggiunto ancora un poco di brodo e un filo d’olio in ogni piatto, decorando con una spolverata di erba cipollina, qualcuna delle rondelle di carota lasciate da parte e una macinata di pepe.


Con questa ricetta arancione partecipo alla puntata di novembre di Colors & Food dei blog di Cinzia, Essenza in Cucina, e di Valentina, My Taste For Food.

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Macarons al cacao per Ann

Questi macarons erano lì che aspettavano di essere ripescati. Li ho fatti il luglio scorso e volevo pubblicarli insieme ad altri macarons di un qualche gusto diverso, ma quando ho replicato la ricetta sono venuti un pochino rampanti e sono stati rapidamente spazzolati per non lasciare prove!!! E dunque? Queste foto restavano lì…
Le tiro fuori solo ora per la raccolta di Ann di Bperbiscotto che ha avuto la bellissima idea di raccogliere in un unico pdf tutti i dolci a base di meringa! Scopro solo ora che razza di meraviglie esistono in giro…non solo macarons e pavlove, ma anche cosine molto più complicate tipo il baked alaska!!! Tutti dolci dall’apparenza evanescente di nuvola, che poi si rivelano croccantosi e golosi. E di certo i macarons non saranno l’unica ricetta che le invierò!!!
Per questi macarons ho seguito i consigli di Ann mixandoli con la ricetta di Spigoloso
Sono stati perfetti alla prima prova, mentre la seconda volta qualche sbaglio in termini di temperatura del forno li ha fatti leggermente inclinare verso un lato!!!
La farcitura è stata una semplicissima ganache al cioccolato fondente.

La ricetta: Macarons al cacao, con farcitura al cioccolato fondente
per 25 macarons (circa 50 meringhe):
90 g di albumi (3-4 giorni prima li ho separati dai tuorli e li ho messi in frigo in un contenitore ermetico)
110 g di farina di mandorle
220 g di zucchero a velo
30 g di zucchero semolato
una puntina di sale
2-3 gocce di limone
per spolverare: cacao in polvere

Per la farcitura:
100 g di cioccolato fondente

100 g di panna fresca

La sera prima ho tirato fuori dal frigo il barattolo con gli albumi e l’ho lasciato a temperatura ambiente.
Ho passato per 10 minuti a 140° la farina di mandorle in forno. Una volta fredda l’ho miscelata allo zucchero a velo e l’ho messa in un posto ben asciutto.

Il giorno dei macarons:
Ho cominciato a montare gli albumi con il sale e il limone a velocità bassa, aggiungendo in 3 dosi lo zucchero semolato. Pian piano ho aumentato la velocità, finchè non erano perfettamente a neve.
Ho aggiunto la farina di mandorle ed ho mescolato con una spatola, l’impasto deve ricadere giù facendo una sorta di nastro e in francesce questo si dice proprio macaronner
Con la sac à poche ho formato dei dischetti di 2,5 cm di diametro, in cottura tendono ad allargarsi leggermente.
Ho sbattuto delicatamente la teglia sul tavolo per eliminare le puntine ed ho lasciato i macarons a riposare all’aria perché formassero la crosticina, devono stare almeno un’ora.

Nel frattempo ho preparato la crema per la farcitura:
Avevo già grattugiato grossolanamente il cioccolato.
Ho fatto scaldare la panna in un pentolino e poi in un altro pentolino l’ho versata sopra il cioccolato grattugiato, mescolando a fuoco bassissimo fino a completo scioglimento.
Ho lasciato raffreddare.

Ho scaldato il forno a 140° C (visto che il mio forno è piccolo, tende a scaldarsi di più, quindi non ho impostato i canonici 150°).

Prima di infornare ho spolverato delicatamente i macarons con un cucchiaio di cacao in polvere. Poche lentiggini per i miei macarons!!!
Ho infornato i macarons mettendo un cucchiaio di traverso tra lo sportello del forno e il forno stesso, perché restasse una fessura aperta.
Ho fatto cuocere per circa 13 minuti, bisogna trovare il tempo esatto calibrandolo sul proprio forno. Una volta sfornati li ho tolti dalla teglia e li ho spostati con tutta la carta forno sul tavolo freddo (se avete una superficie in marmo è ancora meglio!!!) Lo shock termico è fondamentale perché si stacchino bene dalla carta.
Lasciar raffreddare e poi farcire con la crema ben fredda. 


Con questa ricetta partecipo alla raccolta Piccola pasticceria: Macarons & Meringhe di Ann di BperBiscotto.

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Le galettes di mare con chips di melanzane

Le galettes altro non sono che delle crêpes in versione salata, tipiche della zona della Bretagna.

Conosciute come specialità della tradizione culinaria francese, in realtà la storia le vuole come originarie dell’Italia.

La leggenda narra che nel V secolo alcuni pellegrini francesi giunsero a Roma stanchi e affamati, per la festa della Candelora,  e che il Papa Gelasio, per rifocillarli, ordinò di preparare un cibo a base di farina e uova. 

I pellegrini, una volta tornati in Francia diffusero queste frittatine increspate con il nome di crêpes, dal latino crispus.
Per tutto il Medioevo furono sempre preparate con farina di vari cereali o di grano saraceno (e non farina bianca di frumento) e con acqua o vino al posto del latte, che venne introdotto solo successivamente.

Secondo la tradizione i mezzadri le preparavano e le portavano in dono ai loro padroni come simbolo di alleanza e amicizia.
Le crêpes dolci (o le galettes salate) in Francia sono rimaste il piatto tipico della Candelora, ma di fatto si preparano in tutte le stagioni, per la loro caratteristica di cibo prêt à porter, preparate non in padella ma sulla tradizionale piastra.
Val la pena di prepararle anche alla Candelora, che si sia superstizioni o no. Infatti si narra che il giorno della festa le crêpes debbano essere girate tenendo una moneta in mano; se le crêpes girano bene allora fortuna e ricchezza vi accompagneranno durante tutto l’anno. 
[fonti:
http://www.taccuinistorici.it
http://it.wikipedia.org
http://www.pilloleculinarie.it
http://buoneforchette.canalblog.com]
Per preparare queste galettes ho messo insieme alcune suggestioni: il fatto che venissero preparate originariamente con grano saraceno e che in Bretagna vengano spesso farcite con crostacei.
Io ho usato della farina di 5 cereali, un ripieno di gamberi e vongole con una leggera besciamella senza burro e ho aggiunto delle sottilissime melanzane fritte ben asciugate dall’olio; il tutto viene velocemente passato in forno.
Sebbene il tempo di preparazione sia un po’ lungo, il piatto è delizioso e può essere preparato in anticipo, lasciando alla fine solo un veloce passaggio in forno.

La ricetta: Galettes ai gamberi e vongole con chips di melanzane

Per prima cosa ho messo le fette di una mezza melanzana a scolare; le fette già salate, vanno messe sotto un peso, poi strizzate e asciugate, prima di essere fritte in olio di arachidi.

Per le galettes, (con il mio padellone da crêpes da 28 cm di diametro, ne vengono 4; se si servono come antipasto, è meglio prepararle con un padellino piccolo, ottenendone il doppio):

100g farina (50g bianca e 50 g ai 5 cereali)
15g olio d’oliva
250 ml di liquido (così suddiviso: 125 ml di latte e 125 ml d’acqua)
1 uovo
1 pizzico di sale
Si mescola la farina con l’uovo sbattuto con un pizzico di sale; ottenuta una pastella densa, ho aggiunto a poco a poco il liquido (latte + acqua) e l’olio.
Ho lasciato riposare per circa 40 minuti l’impasto.
Se dopo il riposo dovesse essere eccessivamente denso, è più difficile ottenere delle galettes sottili, quindi aggiungere ancora un goccino di latte.
Deporre a cucchiaiate l’impasto nel padellino ben oliato e farlo scorrere fino a distribuirlo su tutta la superficie. Quando la sfoglia comincia a staccarsi dai bordi è pronta per essere sollevata con una paletta e rigirata.

Cuocere tutte le galettes prima di farcirle, è più comodo!

Per il ripieno:

una quindicina di gamberetti, sbollentati e sgusciati
40 g di vongole già lessate e sgocciolate

besciamella senza burro (250ml latte, 1 cucchiaio colmo di farina, sale, pepe)

Ho messo in un pentolino il latte; mentre scaldava l’ho aggiunto a cucchiaiate alla farina, fino a formare una pastella. Ho aggiustato di sale e pepe la pastella e l’ho rimessa sul fuoco per addensarsi. Dopo pochi minuti la besciamella è pronta. A piacere si può insaporire ulteriormente con formaggio grattugiato e noce moscata, io l’ho preferita neutra dovendo aggiungerla al pesce.
Intanto ho fatto rosolare uno spicchio d’aglio in padella con due cucchiai di olio, poi ho aggiunto le vongole e i gamberetti, già sbollentati e sgusciati. Ho fatto rosolare per pochi minuti, aggiungendo anche un goccino di vino bianco.
Infine ho aggiustato di sale e poi aggiunto alla besciamella già preparata.

Ho usato questo ripieno per farcire le galettes, completandole con fettine di melanzana fritte ben scolate.
Ho arrotolato e messo in forno a 170° per 10 minuti, basta solo che si riscadino uniformemente.
Le ho poi disposte nel piatto, tagliate a metà, e completate con alcune fettine di melanzana che erano avanzate dal ripieno.

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Il Clafoutis di Ciliegie del Limousin e la mietitura nella Crau

Si avvicina il 24 giugno, San Giovanni, normalmente considerato il limite massimo per gustare le ciliegie senza il rischio di incorrere nel giuanin, il vermicello, che proprio dal Santo prende il nome. In realtà quest’anno, visto l’anticipo di stagione per le ciliegie, era previsto l’arrivo del vermetto un po’ prima del solito…ma, confidando nelle medicazioni che oggigiorno vengono fatte, direi che si possa rischiare un po’ meno di incapparvi.

La regione del Limousin
La stagione delle ciliegie più belle e succose coincide con quella della mietitura del grano e nella regione del Limousin, in Francia, un caratteristico dolce di ciliegie veniva in origine preparato proprio per essere portato nei campi e gustato durante una pausa dal duro lavoro.
Così è passato alla storia, come il dolce tipico dei contadini, poco dolce e poco elaborato da preparare, ma con una caratteristica unica: infatti le ciliegie vengono disposte nella teglia con il nocciolo e il picciolo, perché pare che proprio queste componenti trasmettano un gusto più persistente e particolare all’impasto.
Il nome clafoutis ha un’etimologia controversa; secondo alcuni la parola deriva dal dialettale clafir, che significa guarnire, riempire; per altri l’origine del nome si fa risalire al latino clavum figere, ovvero conficcare un chiodo, con riferimento alle ciliegie che vengono “piantate” nell’impasto.
Arles sulla mappa della Francia
Trovo molto poetica l’immagine dei contadini che a metà giornata, stremati, potessero contare su questa succulenta e dolce pietanza per rinfrancarsi all’ombra di un albero.
Sarebbe andata bene a Vincent van Gogh se per immortalare le fasi della mietitura fosse andato nel Limousin, dove certamente avrebbe rimediato una fetta di clafoutis.
Invece caso volle che il pittore olandese si recasse nei dintorni di Arles, in Provenza, precisamente nella piana della Crau, proprio per riuscire a dipingere dal vero i colori indescrivibili dei campi di grano. Questa pianura era una sconfinata distesa pianeggiante, che Van Gogh stesso descrisse all’amico Émile Bernard come una «piatta campagna dove non c’era niente se non… immensità… eternità».
Van Gogh era profondamente interessato a riprodurre nel modo più verosimile possibile l’atmosfera quasi estiva di giugno inoltrato, il «contrasto del blu contro l’elemento arancione del bronzo dorato del grano», impresa che gli riuscì magistralmente in questo piccolo dipinto, considerato un capolavoro del maestro e da lui stesso considerato il più riuscito, «fa passare tutto il resto in secondo piano».
Per dipingere la serie dei campi di grano l’artista lavorò nella Crau dal 12 al 20 giugno del 1888, en plein air, sotto il sole cocente, finché un’inaspettata tempesta distrusse il raccolto.
Sbocconcellando una fetta del mio clafoutis, mi godo questa incantevole opera.
Vincent Van Gogh – Paysage de Moisson – Arles 1888
La ricetta: il mio Clafoutis alle Ciliegie
per uno stampo piccolo da 20 cm di diametro ho utilizzato:
2 uova
90 g di zucchero (la ricetta originale ne prevede la metà)
70 g di farina
una manciatona di ciliegie (da riempire quasi completamente il fondo della teglia, io ne avevo un po’ meno)
Ho sbattuto le uova con lo zucchero, facendole montare un po’.
Ho aggiunto la farina setacciata, mescolando bene.
Ho disposto sulla teglia ben imburrata le ciliegie lavate accuratamente, senza togliere nocciolo e picciolo.
Ho versato sulle ciliegie, delicatamente, l’impasto di uova e farina.
Ho infornato a 170° per 30 minuti o poco più.
Quando la torta era fredda l’ho cosparsa con abbondante zucchero a velo.

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Gerard Ter Borch – Donna che sbuccia le mele (e la torta di mele caramellata alla francese!)

Gerard Ter Borch – Donna che sbuccia le mele – 1650 circa
 
 
 
Gerard ter Borch nacque nel 1617 a Zwolle nei Paesi Bassi. Cominciò a disegnare all’età di 8 anni e fu allievo di suo padre Gerard detto il Vecchio.
 
Dal 1632, dopo un breve soggiorno ad Amsterdam dove fu incoraggiato da diversi artisti, entrò nello studio di  Pieter de Molyn, ad Harleem, dove rimase fino al 1635, e da cui acquisì il gusto per la semplicità della composizione.
 
Nel 1635 si mise in viaggio visitando prima Londra e successivamente la Germania, la Francia, la Spagna e l’Italia. Nel 1641 si hanno sue notizie a Roma dove dipinse il piccolo ritratto su supporto di rame Jan six and the young lady.
 
Dopo il 1648 venne invitato a Madrid presso Filippo IV, dove poté studiare lo stile di Velasquez, ma a causa di un intrigo di corte presto si vide costretto a tornare in Olanda.
 
Si sposò nel 1654 con una delle sue nipoti a Deventer, dove divenne il borgomastro e dove i notabili della città si disputarono l’onore di farsi fare un ritratto da lui.
 
Morì a Deventer nel 1681.
 
 
 
Ter Borch fu un eccellente ritrattista, ma ancor di più pittore di genere, dedicandosi principalmente a riprodurre scene di vita domestica e familiare. Riprodusse con uno stile estremamente fedele la gente del suo tempo, dando particolare evidenza all’espressività dei personaggi, senza alcuna traccia di leggerezza o grossolanità.
 
Egli raggiunse l’eccellenza nella riproduzione di tessuti e di drappeggi, del rilucere di un vaso d’argento o nel rendere la trasparenza di una coppa di cristallo o la texture di un tappeto. I suoi colori sono sempre vibranti ed è evidente l’armonia della luce.
 
 
 
 
 
[Fonti:
 
 
Kunsthistorisches Museum, in Musei del Mondo, collana diretta da Carlo Ludovico Ragghianti, Mondadori, pp. 142-143.]
 
 
 
Il dipinto, di data incerta, ma appartenente alla piena maturità dell’artista, rappresenta una scena di intimità domestica, dove una donna sbuccia delle mele davanti allo sguardo attento di quello che potrebbe essere il figlioletto.
 

Ter Borch non si sofferma su molti particolari, ma la sua trattazione è quasi impressionista ante litteram, vista la morbidezza del colore e della luce.

 
L’attenzione dell’osservatore si sofferma principalmente sul triangolo formato dagli sguardi della donna, verso le proprie mani e del bambino verso il volto della madre. Infatti ciò che mi colpisce è il fatto che il bimbo, vero centro geometrico dell’opera, non stia aspettando le mele, quanto piuttosto sia in attento ascolto di ciò che la madre gli sta raccontando. La luce evidenzia la gota del bimbo dandogli un’espressione di morbida tenerezza.

 

Gli altri oggetti nella stanza fanno da cornice alla scena principale. Le mele nel piatto di ceramica, rese con fedeltà ma senza cadere nella maniera, e sul tavolo una lunga buccia di mela; il candelabro d’argento, anch’esso luccicante sotto i raggi di luce; la tovaglia di velluto scuro.

 
 

Ter Borch dimostra la sua perizia anche nel rappresentare l’abito con bordi di pelliccia della donna. La stoffa manda bagliori dorati e le bordure chiare sono rese con tale maestria da sembrare a rilievo.

 

Ai piedi della donna un altro particolare narrativo: il cesto con la biancheria da ricamare o rammendare, con la grossa scatola del cucito, attende che tutte le mele siano state sbucciate.

 

 
 
 
 
 

La ricetta: Torta di mele caramellata alla francese

 
Ho trovato questa idea su un blog francese e subito mi è sembrata di una golosità straordinaria e quindi l’ho voluta riproporre modificando un po’ gli ingredienti.

 

 
 

 

 
 
 
 
In Francia hanno una cosa, chiamata sucre glace, che viene utilizzato per fare il caramello. Altro non è che zucchero a velo, addizionato di fecola, così che il caramello rapprenda.
 
Non avendo questo prodotto, ho utilizzato dello zucchero normale e dopo averlo fatto caramellare con l’acqua ho aggiunto la maizena per far inspessire lo sciroppo.
 
 
 
 
 
Per una tortiera di 23 cm di diametro occorrono:
 
 
 
Fondo della torta:
 
1 pasta sfoglia pronta
 
qualche cucchiaino di zucchero
 
 
 
Mele:
 
4 mele piccole
 
25 g di burro
 
qualche cucchiaio di zucchero di canna
 
 
 
Caramello:
 
200 g di zucchero
 
½ bicchiere d’acqua
 
2 cucchiaini colmi di maizena
 
½ bicchiere di latte intero (o panna, ma io non ce l’avevo)
 
30 g di burro
 
1 pizzico di sale
 
 
 
 
 
Fondo della torta:
 
Ho messo la sfoglia in una teglia, arrotolando un bel bordo e colmandola di fagioli e l’ho fatta cuocere a 180° per 20 minuti. Poi ho tolto i fagioli e spolverato di zucchero il fondo e rimesso in forno per qualche minuto ancora, per renderla croccante.
 
 
 
Caramello al latte:
 
In un pentolino ho fatto sciogliere lo zucchero con l’acqua a fuoco lento, aggiungendo dopo la maizena. Poi fuori dal fuoco, ho aggiunto il latte e il burro e mescolato ancora per un po’, aggiungendo anche un bel pizzico di sale.
 
 
 
Mele:
 
Le ho lavate, sbucciate, tagliate a fettine e irrorate di succo di limone. Poi le ho passate in padella con il loro succo e qualche cucchiaio di zucchero di canna e 25 g di burro. Quando le mele avevano perso un po’ del loro succo, le ho messe nel fondo della torta, prima preparato e ho irrorato con un po’ di caramello al latte.
 
Ho rimesso in forno il tutto per ancora 1o minuti e infine fatto caramellare per qualche minuto sotto il grill.
 
 
 
Per servire, versare nel piattino qualche cucchiaiata di caramello al latte, tiepido, con sopra la fetta di torta e (se li avete) qualche confetto sbriciolato (io ci ho messo pezzettini di mandorla e di cioccolato).

 
 
 
 
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