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Piemonte

ai fornelli, ricette tradizionali

Torta dei Tetti di Dronero

Ho lungamente cercato qualche informazione sul nome così accattivante di questo dolce, cercando una spiegazione plausibile sul perchè fosse proprio dei Tetti, quando la semplicità di interpretazione ha avuto la meglio.
Tetti è una frazione del comune di Dronero, dove questa torta semplice e rustica ha avuto i natali. Perciò si tratta delle Torta di Tetti e non dei Tetti…ma ovunque si trova indicata con la seconda grafia, suggerendo romantiche leggende.
Come se ce ne fosse bisogno poi… ci troviamo in Val Maira, una delle valli occitane, dove la scarsezza degli ingredienti ha ispirato al contrario ricette ricchissime, semplici ma saporite, con la patata di montagna, il formaggio d’alpeggio, le farine rustiche come quella di segale, adatta alla contivazione in alta quota, solo se mischiata al grano che meglio resiste al vento.

[la foto di Dronero appartiene a www.naturaoccitana.it]

Si tratta di una terra splendida, ricchissima di ispirazioni e, mentre la lista delle ricette da provare si allunga, ecco a voi questa torta campagnola e rustice, poco dolce, che un tempo veniva cotta nei forni a legna, ottenendo un aspetto molto simile al comune pane.
Per correttezza le pere da utilizzare sono le Madernassa, varietà diffusa nel cuneese, in particolare nella zona di Alba. Io ho comunque utilizzato pere piccole e a polpa dura, adatte per esser cotte e cambiando la ricetta originale solo aggiungendo un cucchiaio in più di zucchero nella pasta e riducendo leggermente la quantità di amaretti e cacao.

La ricetta: Torta dei Tetti di Dronero
250 g di farina
1 uovo
3 cucchiai di zucchero
50 g di burro fuso
alcuni cucchiai di latte intero
1 cucchiaino colmo di lievito in polvere

per il ripieno
6 piccole pere da cuocere (Madernassa o Martin Sec)
2 chiodi di garofano
1 cucchiaino colmo di cannella in polvere
vino rosso (in quantità da coprire le pere, Dolcetto o Nebbiolo o Barbera)
160 g di amaretti sbriciolati
2 cucchiai di mandorle tagliate a pezzi grossi
1 cucchiaio colmo di cacao amaro in polvere
1 bicchierino di grappa
3 cucchiai di zucchero

tuorlo d’uovo per spennellare

Sbucciare le pere, tagliarle a pezzetti e metterle in una casseruola con il vino, tanto da coprirle, lo zucchero, i chiodi di garofano e la cannella. Lasciar cuocere finchè non sono morbide, poi schiacciarle con una forchetta.
Nel frattempo preparare la pasta: mescolare gli ingredienti fino a formare un composto lavorabile, aggiungendo gradualmente il latte.
Quando le pere sono pronte mescolarle con gli amaretti, il cacao, la grappa e formare un composto omogeneo.
Dividere in due parti la pasta e ricavarne due cerchi poco più grandi della teglia in cui cuoceremo il dolce (25 cm).
Deporre sul primo cerchio il ripieno, coprirlo con il secondo cerchio di pasta e rimboccare i bordi del primo, sopra il secondo, bucandolo poi con la punta di un coltello.
Spennellare con un tuorlo d’uovo (o un po’ di latte) ed infornare a 170° per circa mezz’ora o finchè il dolce è ben dorato.

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Ricordi e immagini dal blogtour #ReDolce

L’abbiamo raccontata in tutte le salse. Ne ho scritto pure qui!
Il #ReDolce è nato con noi e speriamo che abbia modo di crescere sano e forte.
I due giorni passati in compagnia dei blogger sono stati emozionanti e coinvolgenti e noi organizzatrici – io, Anna e Valeria – ne siamo uscite sicuramente arricchite, non soltanto dalla conoscenza di prodotti straordinari, e non solo Moscato, ma anche dai racconti di vita dei produttori, persone tutte diverse, da noi e tra loro, per scelta di vita ed alterne fortune, ma che fanno il proprio lavoro con passione e rigore.

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Il Roccolo e la carne piemontese a Busca

Il 14 settembre ho avuto la possibilità, grazie all’iniziativa di Terraviva, in occasione della Sagra del Toro allo Spiedo, di visitare Busca e le sue attrattive turistiche.

Si è parlato molto anche di carne di bovino piemontese, povera di colesterolo rispetto ad altre carni bovine, saporita e sana, per lo stile di vita con cui vengono allevati questi maestosi animali. Niente sfruttamento intensivo: il bovino piemontese ha bisogno di spazi piccoli, stalle che sono rimaste immutate dai primi anni del secolo scorso, e di ritmi scanditi in modo naturale dalle stagioni. Il risultato è una carne poco grassa, saporita e perfetta in ogni taglio. 
Avrò modo di parlarne più approfonditamente, ma non voglio perdere l’occasione di far conoscere, a coloro che ancora non ne hanno sentito parlare, un posto favoloso, ricco di fascino e magia, il Castello del Roccolo, che fu abitazione estiva di Roberto Tapparelli d’Azeglio e di Costanza Alfieri di Sostegno, nobili piemontesi di intelligenza e cultura.

Roberto, figlio dell’ambasciatore Cesare d’Azeglio e fratello maggiore del più celebre Massimo, viaggiò fuori dal Piemonte fin dalla tenera età, fin dalla permanenza a Firenze, quando aveva 10 anni, per poi vivere a Parigi, a Roma e nella parte più settentrionale della Germania, per poi tornare a Torino, nel 1813, dove conobbe e sposò Costanza, di soli tre anni più giovane, ed ugualmente colta ed illuminata, tanto da fondare nel capoluogo del Regno di Sardegna un salotto assai famoso e frequentato.

Con il ritorno in Piemonte Roberto si dedicò soprattutto ai suoi studi di storia dell’arte, ma fu coinvolto, anche se in maniera secondaria, nelle vicende politiche che animavano il Piemonte in quegli anni.

Nel 1821 i due coniugi, legati da amicizia anche al principe Carlo Alberto, parteciparono ai moti carbonari; una volta constatato il fallimento dell’insurrezione, pur non avendo responsabilità dirette, decisero di riparare all’estero soggiornando prima a Ginevra e poi a Parigi e qui fermandosi fino al 1826. Con il ritorno in patria suggerì a Carlo Alberto l’idea di creare un’esposizione peremanente dei tesori artistici collezionati nei secoli dalla Casa Reale. Il 2 ottobre 1832, grazie a quest’idea, vide la luce il nucleo originario delle raccolte della Galleria Sabauda di Palazzo Madama.

A questo seguirono importanti pubblicazioni, dove si abbandonava, accanto ai commenti di carattere artistico, a lunghissime digressioni sulla storia e le leggende legate alla Casa Savoia.
Nei cosiddetti ritagli di tempo si dedicò alla fondazione di diversi istituti volti all’aiuto delle classi meno abbienti. Durante l’epidemia di colera del 1835 accettò la direzione del lazzaretto, provvedendo personalmente alla cura di alcuni infermi; nello stesso anno fondò anche un asilo femminile in Piazza Gran Madre, seguito poi, in breve tempo, da una scuola per bambini e fanciulli, e dalla fondazione di una “Società per l’istituzione delle scuole infantili e del patrocinio degli alunni”. Il suo spirito, al contrario, ad esempio, di Giulia di Barolo, fu sempre rigorosamente laico e volto al miglioramento della società civile, riscontrabile anche nel tentativo di emancipazione delle comunità ebraiche e valdesi.
Attorno a quegli anni, precisamente nel 1831 Roberto e Costanza acquistarono alcuni ruderi del Castello del Roccolo e riedificarono quasi integralmente la costruzione secondo lo stile neogotico dell’epoca. Il termine roccolo fa riferimento alle reti utilizzate per catturare i piccoli uccelli selvatici. Ma questa abitazione estiva ha un fascino in più. Nelle sue decorazioni sono nascosti innumerevoli simbologie, e in ogni angolo c’è un richiamo più o meno velato ai luoghi dove Costanza e Roberto risiedettero durante il volontario esilio del 1821-1826.
Una porzione della facciata in stile neogotico con particolari dall’aria moresca

Visitare questo posto straordinario, grazie al recupero effettuato negli ultimi anni dall’associazione culturale Marcovaldo, è un viaggio emozionante.
Qui sotto alcune immagini, che spero vi diano un’idea di questo posto affascinante a pochissima distanza da Torino.

[fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Taparelli_d%27Azeglio 
http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-taparelli-marchese-d-azeglio_%28Dizionario-Biografico%29/]

L’ascesa al Castello
All’interno lo stemma dei Taparelli-D’Azeglio e il simbolico pavone
Uno dei trompe-l’oeil che, grazie ai giochi di luce, sembra ancora più realistico
La Cappella interna al giardino
I pavimenti, i soffitti stuccati, le pareti dipinte
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Cheese 2013, non posso mancare!

Dal 20 al 23 settembre Cheese torna a Bra per la sua ormai nona edizione.
Sarà un appuntamento immancabile per tutti gli amanti del formaggio ed anche per me. Ho già segnato una serie di espositori che voglio visitare e alcuni appuntamenti a cui vorrei partecipare.

I Laboratori del Gusto toccheranno moltissimi argomenti, dai
formaggi dell’arco alpino tra Italia e Francia, a quelli dei Pirenei;
viaggeremo dal Sudafrica alle Isole Britanniche (quando si parla di West
Cork, drizzo le orecchie) passando per il Comté del Jura e per lo
Stortignaccolo piemontese…

Da segnalare l’Arca del Gusto, che ha già a bordo più di 1250 prodotti a rischio di estinzione. 
Ogni hanno scompaiono antichi mestieri e i prodotti ad essi legati. Con il progetto Salva un Formaggio, chiunque potrà fare qualcosa a difesa delle piccole produzioni marginali, portando fisicamente a Bra un pezzettino del formaggio che rischia di scomparire. Qui si potranno vedere e conoscere in un grande album “dal vivo”.
Dopo la chiusura della manifestazione l’Arca del Gusto continuerà a viaggiare e a raccogliere tutti i prodotti che negli anni potranno diventare nuovi presìdi.

Immancabile poi l’appuntamento con i grandi ristoranti del territorio e con lo chef del QuoVadis di Soho, Londra.

Io sarò a Cheese2013 venerdì 20 per l’appuntamento con i Formaggi Ferrari, con Mariachiara a dirigere l’allegra brigata di noi foodblogger: Micol, Margherita, Elena, Valentina, Nicole, Tea e Sara.
Potrete scoprire qualcosa in più su una storia iniziata nel 1823 e seguire le mie vicende di assaggiatrice su Twitter, Facebook e Instagram con l’hashtag #FerrariFormaggi a partire dalle 11,30.
In più sabato 21 sarò di nuovo a Bra per un appuntamento con i nuovi prodotti del Caseificio pugliese Pioggia. Vi racconterò tutto in seguito, ma ricordatevi di seguire il livetwitting di sabato a partire dalle 10, 30 con l’hashtag #PioggiaCheese.

Stay Tuned!!

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Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano

È finalmente giunto il momento di raccontare della mia esperienza di visita presso i Molini Bongiovanni di Cambiano
La visita è avvenuta a luglio e già tempo fa ho pubblicato lo storify della giornata, ma da Twitter mi sono giunte richieste di raccontare qualcosina in più riguardo al corso di panificazione tenuto dal Maestro panificatore Giovanni Gandino.

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Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano" class="facebook-share"> Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano" class="twitter-share"> Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano" class="googleplus-share"> Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2013/09/antiqua_5.jpg" class="pinterest-share">
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Ma il mio amore è…Fenoglio: cultura e stomaco van sempre a braccetto!

È sempre emozionante parlare di un progetto personale, è come scrivere un romanzo in prima persona. Ma è proprio in prima persona che ho organizzato con Anna e Valeria la passeggiata fenogliana di domenica 21 luglio e quindi anche a me spetta questo racconto.
Qualcuno di voi ne avrà già letto qualcosa qui e qui.
Io tenterò di spiegarvi cosa è successo.
Il ritrovo è stato a Mango, presso l’Enoteca Regionale Colline del Moscato alle ore 15. La gente continuava ad arrivare…tutta…tutti coloro che si erano prenotati telefonicamente, più due adesioni dell’ultimo minuto.
La partenza è stata mezz’ora dopo: 50 persone. Il signor Donato Bosca, esperto di Fenoglio e profondo conoscitore di Mango, ha accompagnato il gruppo al fondo del paese sulla piazzetta di Porta Avene, il primo dei luoghi visti da Beppe Fenoglio all’arrivo a Mango quando si unì ai partigiani badogliani, dopo aver lasciato i rossi…

 
Da lì è partito il percorso, la porta del paese, l’albergo Italia, la casa del medichin e tanti altri caratteristici scorci che conservano il ricordo di un tempo lontano.
Raggiunto il centro di Mango, nuovamente all’Enoteca, sono state raccontate alcune note storiche sulla fondazione di Mango e sul castello dei Marchesi di Busca. 
Poi è arrivato il momento del trasferimento a San Donato di Mango.
Alla cascina di Luigi Chiarle, una pausa dissetante ha accolto i primi arrivati, ma tutti hanno avuto la possibilità di riprendere fiato, di rinfrescarsi qualche minuto e di attardarsi a visitare il museo personale di Luigi, nostro fotografo d’eccezione per la passeggiata.
Poi la partenza lungo il versante della collina, incontrando tanti aspetti della stessa natura, dello stesso ambiente: la vigna, il recinto degli asini, i tratti di bosco, il sentiero in pietra dei partigiani, lo spiazzo della cappelletta dedicata alla Madonna, poi il tratto di bosco e di noccioleto, infine il prato dorato fino al riposo in agriturismo. 

Già in cima alla prima salita c’è stato l’incontro con Paolo Tibaldi ed Enrico Bosca, il primo attore e il secondo studioso fenogliano, che si sono presentati e ci hanno subito anticipato il contenuti dei brani scelti. Il loro lavoro è stato coscienzioso: hanno scelto i brani da interpretare guardando i luoghi da attraversare, riuscendo a dare una prima infarinatura anche a chi Fenoglio non lo conosceva affatto. Non solo i racconti di sfondo partigiano, ma anche il rapporto con la religione, con la madre, con l’ambiente naturale, tanto presente in Fenoglio da diventare personaggio dei suoi scritti.
Durante la sosta alla cappelletta, i palati di indole dolce e di indole salata sono stati brevemente stuzzicati, con il Moscato d’Asti DOCG abbinato alla torta di nocciole e ai cracker fatti in casa con la gorgonzola, prima dell’ultimo sprint.
L’ultimo tratto era il più lieve, leggera discesa e poi via tra l’erba alta. 
Siamo così giunti all’agriturismo Anrì dove ci viene svelato, attraverso la lettura dell’ultimo brano, il significato del  titolo della passeggiata “Ma il mio amore è …Fenoglio” che riecheggia il titolo di un racconto dello scrittore albese “Ma il mio amore è Paco”.
Gli stomaci scalpitano, giusto un minuto per i ringraziamenti di rito e siamo tutti in fila a riempirci i piatti delle prelibatezze preparate dall’agriturismo Anrì: antipasti piemontesi, tutti quelli che potete immaginare, accompagnati dalle friciule, così saporite e croccanti che è impossibile fermarsi alla prima. E poi naturalmente i vini dell’Enoteca Regionale Colline del Moscato e i dolci e l’allegria festante di un bel gruppo eterogeneo, dove i più anziani avevano 82 anni e la più giovane 11.
A seguire i riconoscimenti del nostro lavoro, che ci hanno riempito d’orgoglio: la famiglia genovese, le tre bloggers presenti (Margherita, Cristina e Irene), Alessandro che ha subito scritto di noi, gli anziani che hanno accolto coraggiosamente la sfida della camminata, che tanto nessuno ci correva dietro, gli attori entusiasti da tanta partecipazione, i nuovi amici di Goodmakers che si sono fermati poi a chiacchierare nella piazza di Mango, al bar, fino a tardi.
Questo evento ci ha lasciato addosso l’entusiasmo per la sfida vinta e la voglia di fare molto di più per questo territorio. Di certo si ripeterà il percorso e si cercheranno nuovi itinerari. Sarebbe bello poter coinvolgere altre amministrazioni comunali, quelle dei paesi limitrofi, e altri luoghi da includere nei percorsi. Questa è la sfida che ci proponiamo per il blog tour dell’autunno al quale parteciparanno le autrici delle più belle ricette con il Moscato d’Asti, Manuela, Cristina, Margherita e Francesca, ed altri blogger e giornalisti.
Per restare sintonizzati seguite Colline del Moscato anche su facebook.
Per tutte le foto del live twitting guardate qui.
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Langhe insolite…al di là del vino, la nocciola Tonda Gentile

Langhe.
Per i non-piemontesi si tratta di quel territorio variegato a cavallo
tra cuneese e astigiano, composto da colline e vallate poco profonde, a
tratti dolce e a tratti aspro, che dà i natali ad alcuni tra i migliori vini
italiani e che è candidato a divenire patrimonio dell’UNESCO.

Vigne
a perdita d’occhio, ma soprattutto saliscendi di colline che
incorniciano i paesaggi elogiati e decantati da Pavese e Fenoglio,
nebbia autunnale e densa calura estiva
.

<<C’era
da restare accecati a voler fissare là dove il cielo d’un azzurro di
maggio si saldava alla cresta delle colline, di tutto nude fuorchè di
neve cristallizzata
.>> 
B. Fenoglio, Golia, diciotto racconti.
 

Questo
maggio l’abbiamo saggiato sulla nostra pelle e nei nostri occhi,
compagni del tour BITEG #piemonteliguria nel gruppo “Nocciole”, quando abbiamo conosciuto
l’altro volto della Langa. Langa
che non è solo vino, ma anche noccioleti e prodotti d’eccellenza ad essi legati, è
accoglienza, ospitalità, calore, anche in una delle primavere più fredde
degli ultimi anni.
La
nocciola di cui si parla è una signora nocciola, la Tonda Gentile di
Langa
, impiantata soprattutto nelle zone dell’Alta Langa, è stata
definita come la nocciola più buona al mondo, proprio per le sue
caratteristiche di dolcezza e persistenza olfattiva. La Tonda Gentile,
che già per il suo nome dovrebbe essere amata da tutti, ha anche
caratteristiche di buona resa poichè il frutto riempie quasi tutto il guscio.

Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscerla da vicino, perchè ospiti di Ca’ San Ponzio, un delizioso b&b che è anche agriturismo e dimora di charme, che si trova vicino a Barolo  nella Frazione Vergne.

 
 

Quando un ispettore della guida Michelin ha alloggiato qui mentre provava i ristoranti della zona, i proprietari di Ca’ San Ponzio l’hanno scambiato per un rappresentante di gomme, tanto da trattarlo con il consueto garbo che riservano a tutti gli ospiti e nessun trattamento di favore. E’ stato l’ispettore infine, a consigliare loro di fare richiesta per entrare nella prestigiosa guida.
Qui non si dorme solo nelle camere, posticini accoglienti e senza tempo con un alto soffitto con travi a vista che ricordano l’ambiente di un antico fienile. 

C’è la possibilità, durante la bella stagione, di campeggiare nei terreni circostanti, all’ombra – indovinate un po’ – delle piante di nocciolo, alcune delle quali vecchie di 50-60 anni. 

Qualcuno tenta anche di far incetta dei loro frutti, ci confessa Luciano, uno dei gestori, ma sono la piccola parte, tutti gli altri si accontentano di godere della fresca ombra e dello splendido panorama.

Questo cascinale esiste da tempo, da almeno 100 anni, costruito dal padre, che lavorava in paese come mugnaio. Questo spiega anche le pietre da mulino che Luciano e suo fratello hanno pazientemente riportato a splendore.

La costruzione che possiamo ammirare oggi è dovuta alla loro grande pazienza: hanno recuperato tutti i materiali da costruzione antichi e hanno fatto mettere impianti moderni in una cornice del tutto autentica.

 

La fornitissima cantina, come in ogni luogo ospitale che si rispetti, è a disposizione del cliente, ma senza alcuna formalità. Gli ospiti possono scegliere e assaggiare, segnare su un quaderno e pagare solo alla fine del soggiorno.

Nella stessa mattinata, dopo aver visto le nocciole ancora acerbe sulla pianta, ci siamo avviati verso la casa natale dei Baci di Cherasco, la Barbero Marco, confetteria e pasticceria dal 1881, che letteralmente ci ha preso per la gola. 

Guidati dal signor Torta (un nome, un destino) ci siamo lasciati rapire dalla “fabbrica di cioccolato” e non si possono contare gli assaggi che abbiamo fatto in una sola mattinata.

Ecco… non abbiamo una gran forza di volontà, ma di certo non saremmo stati così accondiscendenti se il signor Torta non avesso speso mille e più parole di descrizione puntuale ed accattivante su ogni singolo prodotto della propria azienda. Quello che ogni volta mi colpisce è la convinzione della bontà del proprio prodotto associata a una grande modestia, a un grande senso del dovere e del sacrificio e nella continua ricerca di innovazione anche nei prodotti più tradizionali.

In questo posto sono nate le delizie che vedete nella foto qui sotto, i Baci di Cherasco, un tempo chiamati “Cioccolatini Fantasia”, nocciole frantumate grossolanamente e tenute insieme da cioccolato con massa di cacao al 60%. Una vera bomba di golosità e di “vero” cioccolato!

Ma ci sono anche tante alternative per i golosi lunatici che vogliono spesso cambiar sapore.
Le praline:

 
 

Le damine, con nocciola e meringa croccantissima:

Le lumache, simbolo di Cherasco, ma ripiene di crema gianduja e miele:
 
 

E tante altre specialità create con vero amore del gusto e con un grande riguardo per la forma.

La nostra mattinata (forse perchè non avevamo assaggiato abbastanza) si conclude a tavola, nel ristorante Osteria La Torre di Cherasco, a pochi passi dalla pasticceria.
Ci accoglie un posticino delizioso, elegante ma informale dove, nonostante il poco appetito, ci vien voglia di assaggiare tutto.
Il menù cambia sempre perchè si intona ai prodotti dell’orto e alle disponibilità del mercato.
Io ho trovato assolutamente deliziosa la crema di asparagi con capesante.
La carta dei vini è ricchissima con 250 etichette per tutti i gusti.
Il dolce che ci consiglia il gestore, un sorta di budino al caramello, è una vera esplosione di sapori. Se siete amanti dei dolci, chiedetelo! Se non siete amanti, provatelo e lo diventerete!

 

Dopo questa epica mangiata, il viaggio è andato avanti, ma io per ora mi fermo qui…

Da abbinare al racconto di questa esperienza la ricetta delle torta più buona e semplice del territorio: la torta di nocciole senza farina che anche gli intolleranti al glutine possono mangiare senza problemi e che possiamo preparare facilmente anche a casa, a patto di procurarsi le nocciole giuste, la Tonda Gentile delle Langhe dal profumo delizioso e persistente.
Gli ingredienti sono pochissimi, raccontano di tempi in cui per regalare un attimo di gioia al palato non serviva (e non c’era!) molto, e quindi devono essere di ottima qualità!!

 

 

La ricetta: Torta di nocciole
la ricetta leggermente modificata è quella de Il Dolcificio, la più deliziosa e ben riuscita che io abbia mai provato.

per una teglia da 20 cm di diametro:
2 uova a temperatura ambiente
125 g di nocciole tostate Tonda e Gentile
60 g di zucchero semolato
1 bicchierino di grappa
burro per ungere la teglia

Ho tritato le nocciole con metà dello zucchero, ma lasciando qualche pezzetto più grande che è piacevole sotto i denti.
Ho sbattuto a lungo i tuorli con lo zucchero restante fino a che non diventano chiari e spumosi.
Ho aggiunto la grappa ed incorporato la farina di nocciole delicatamente.
Per ultimi ho aggiunto gli albumi montati a neve, dall’alto in basso, senza smontare il tutto.
Ho infornato per circa 30-40 minuti a 170°.

Infine ho spolverato leggermente di zucchero a velo.

 

 

 

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Acciughe al verde per MyTableBlog

La “Via del Sale” mi ha sempre affascinato… l’idea di un antico percorso, battuto da secoli, al di là delle moderne strade tracciate, che ha visto la nascita di tanti paesi e l’intessersi fitto di relazioni commerciali. La “Via del Sale” in realtà non è una sola, ma sono tante, strade e sentieri, alcuni adatti solo all’inerpicarsi dei muli, che collegavano i paesi sulla costa con le zone dell’interno per traportare il prezioso ingrediente in grado di allungare la conservazione dei cibi, secoli prima del moderno frigorifero.

Dal litorale ligure, diverse vie salivano attraverso l’Appennino verso la Pianura Padana e verso le zone collinari. Ad Alba pare che piazza Savona conservi questo nome proprio in ricordo della via di Savona, che conduceva fino al mare e da cui giungeva il sale. Oltre al sale stesso l’ingrediente che per antonomasia è legato alla “Via del Sale” è l’acciuga. Carichi di acciughe private delle interiora e messe sotto sale viaggiavano anche loro verso i territori dell’entroterra a dorso di mulo.
Le acciughe si trovano in diverse ricette piemontesi, tra cui la famosa bagna caoda.

Io ho preparato la ricetta delle acciughe al verde per MyTableBlog; nell’articolo trovate anche altre curiosità su questo delizioso piatto.
Occorre che vi dica quanto questa salsetta sia goduriosa anche solo sul pane??

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Moscato d’Asti, il Re Dolce, vi aspetta!

Finalmente ho l’onore e il piacere di introdurvi alla raccolta di ricette più fresca dell’estate.
Il protagonista è il Moscato d’Asti, un vino dalle mille sfaccettature, strettamente legato al territorio dei 52 comuni in cui viene prodotto.
Se vi iscrivete via mail a ilredolce@gmail.com riceverete il regolamento e potrete degustarlo di persona a casa vostra ed elaborare una ricetta dolce o salata o un cocktail estivo. 
Le ricette dei primi 25 30 iscritti verranno pubblicate sul sito web e sulla pagina Facebook dell’Enoteca Regionale del Moscato d’Asti e condivise su Twitter…e per qualcuno di voi ci sarà l’opportunità di conoscerlo ancor più da vicino…

Non vi anticipo nulla di più…il Team ReDolce (composto da me, Anna e Valeria) aspetta le vostre mail di iscrizione!!
ATTENZIONE PERò! Ci sono solo 25 30 possibilità di avere il Moscato d’Asti a casa vostra, perciò affrettatevi!! 😉

——–aggiornamento del 13/06/2013———-
C’è stata una tale accoglienza e un tale entusiasmo che proprio non ci aspettavamo…avevamo previsto di chiudere le iscrizioni il 20 giugno ed invece siamo arrivati al tetto massimo già stamattina!
Cosa vuol dire? Che le bottiglie son già pronte per partire e vi aggiorneremo prestissimo!
Grazie a tutti quelli che si sono iscritti!! Faremo tutto il possibile per rendere gli eventi dedicati al Moscato d’Asti veramente belli ed indimenticabili!!

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Vaie e il suo Delizioso Canestrello

Ormai sono passate due settimane, ma mi preme raccontare della mia esperienza alla Sagra del Canestrello, perchè si tratta di parlare di un prodotto tipico legato al territorio.
Ci troviamo in Valsusa, precisamente a Vaie, e il canestrello ricorda per la forma reticolata e per la sua preparazione in piastre di ghisa quadrettate altre preparazioni delle vallate limitrofe: i gofri della Val Chisone, i canestrelli a cialda canavesi e biellesi, le tegole valdostane e via discorrendo…
L’origine è comune, questi dolci venivano cotti sulle piastre usate anche per confezionare le ostie da consacrare, nei conventi, dove, da Nord a Sud, era comune la preparazione di dolci in occasione delle festività religiose.
Il canestrello di Vaie è legato al suo patrono, S.Pancrazio, ma l’impasto differisce da altri che sono semiliquidi.
Si tratta infatti di una “pastafrolla sbagliata” come ci ha spiegato il mastro pasticcere Luca Gioberto, poichè il burro viene fuso, prima di essere mescolato a farina, zucchero ed uova. Completano un pizzico di lievito e la buccia grattugiata di limone, molto abbondante, che rappresenta l’unico aroma e il gusto predominante dopo il burro. L’impasto risulta morbido e facilmente lavorabile. Viene diviso in tante palline grosse come albicocche che vengono poi pressate nella piastra di ghisa che conferisce loro il disegno caratteristico e il nome che deriva dal dialetto canesterlè, che significa formare un reticolo.
La caratteristica
piastra di ghisa è tutt’altro che maneggevole, un tempo veniva rigirata
direttamente sul fuoco e sulla stufa sfruttandone un’estremità come
perno; sui fornelletti è tutt’altra cosa e ci siamo fatte aiutare da
Luca Gioberto, ma il risultato finale è stato anche un po’ merito
nostro.

<<Il canestrello ha una ricetta che non si può sbagliare, perchè è già sbagliata>> ci ha ripetuto Luca Gioberto, minimizzando la nostra soddisfazione; si tratta piuttosto di rigore, velocità e disciplina, perchè i canestrelli siano tutto della stessa dimensione e con lo stesso grado di cottura. Lui si regola senza orologio, preparando le palline di impasto; quando ne ha fatte un certo numero sa che la cottura delle altre è giunta al termine. Ma le varianti sono tante, anche l’altezza della fiamma e naturalmente la qualità degli ingredienti.

Grazie al lavoro rigoroso dei produttori, il Canestrello di Vaie è entrato nel Paniere dei Prodotti Tipici della Provincia di Torino, tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionale della Regione Piemonte, ed è marchiato anche Dolce Val Susa e Prodotti della Valle di Susa, mentre alcuni produttori si fregiano del riconoscimento Eccellenza Artigiana Piemontese.
Vaie non è solo canestrello. Proprio grazie alla purezza delle sue acque il birrificio SorA’laMA’, di origine langarola ha deciso di insediarsi qui. Qui si producono una grande varietà di birre crude, non pastorizzate, dai profumi ed aromi con un forte carattere personale. 
In occasione della Sagra del Canestrello proprietario del birrificio ci ha spiegato con grande passione e competenza il procedimento di trasformazione dell’acqua in birra e poi abbiamo potuto mangiare tutti insieme, nel ristorante attiguo, deliziosi piatti in abbinamento alle diverse birre della gamma, premiate da Slowfood.
Le birre Sor’Ala’MA le potete assaggiare nei punti M**Bun ed acquistare anche sull’e-shop Sor’AlaMA’.
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