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Il peperone nel raviolo e la 65° Sagra del Peperone di Carmagnola

Oggi vi parlo di peperoni e della Sagra del Peperone che si svolge a due passi da Torino, a Carmagnola dal 29 agosto al 7 settembre e che è giunta ormai alla 65° edizione.

Il 30 agosto, grazie all’invito del Comune di Carmagnola, sono stata lì, tutta la giornata, con Turismo Torino, per conoscere un po’ di più la città, alcuni dei suoi produttori e la sua Sagra, una vera e propria istituzione per il territorio. Nel frattempo avevo già fatto il pieno di peperoni, meraviglioso frutto estivo, che insieme alla melanzana mi fa proprio impazzire e la settimana passata ho condiviso sulla mia pagina Facebook le vecchie ricette a base di peperoni.
Un capitolo tutto suo lo merita il Povron ëd Carmagnòla, il peperone di Carmagnola, prodotto in moltissimi comuni della provincia di Torino e in alcuni della Provincia di Cuneo.
Le varietà sono 4 e i loro suggestivi nomi in piemontese sono: il Bragheis, quadrato, il Long, ovvero il famoso Corno di Bue, presidio Slow Food, il Trottola, conosciuto anche come peperone Cuneo ed infine il Tomaticòt.

peperone quadrato di Carmagnola
Il peperone è giunto a Carmagnola nei primi anni del ‘900, e quindi in epoca relativamente recente, introdotto un orticoltore di Borgo Salsasio, ma qui ha trovato un microclima ideale. Era una pianta piuttosto giovane per l’Europa, avendo preso piede come ortaggio commestibile soltanto nell’800. In precedenza, dopo la scoperta dell’America era sì, conosciuto – Leonardo da Vinci, ad esempio estraeva dal peperone alcuni pigmenti per i suoi dipinti – ma apprezzato soltanto come pianta ornamentale. Questo non stupisce se si pensa ai suoi grandi frutti, colorati e gonfi come palloni.

Il tour di sabato, però, non era dedicato soltanto al peperone ma anche al territorio carmagnolese, ricco di spunti di ogni genere, e la Sagra può fungere da pretesto per una visita più approfondita alla scoperta dei suoi tesori. 
Parliamo intanto dell’Abbazia di Casanova, antica abbazia cistercense risalente nel suo impianto originario al XII secolo, situata lungo una delle vie francigene, che conobbe uno sviluppo ininterrotto fino al XVI secolo quando venne ceduta ai Savoia. Distrutta quasi completamente da un rovinoso incendio, la facciata attuale è in stile tardo barocco piemontese, mentre il resto del monastero e l’interno della chiesa si devono all’intervento di Giovanni Tommaso Prunotto, allievo di Juvarra, nella metà del secolo XVIII. All’interno perfettamente conservati stucchi di pregio e alcuni arredi, e gli affreschi del Guidobono e di Crivelli, mentre è da segnalare una Madonna con bambino del ‘400.

Menzione d’onore all’Ecomuseo della Canapa, in Borgo San Bernardo, per me un vero tesoro. L’Ecomuseo preserva la memoria storica di un territorio in cui le aziende a conduzione familiare che si dedicavano alla produzione di corde erano più di 800 nel XIX secolo. La signora Caterina, con chiarezza e passione, ci ha accompagnato nella scoperta della pianta della canapa, mostrandoci come veniva ricavata la fibra e come venivano poi prodotte le corde. La pianta di canapa veniva lasciata macerare e poi la fibra veniva separata dalla parte più legnosa. La fibra veniva “filata” con l’aiuto di un macchinario, anche se gran parte del lavoro era svolto a livello manuale, e con qualsiasi condizione atomosferica, spesso all’aperto, vista la necessità di un’area di lavoro “lunga”.

I fili ottenuti venivano poi intrecciati grazie all’utilizzo di una sorta di argano e a una spoletta. La spoletta, a seconda della corda che si voleva ottenere variava di dimensione e di scanalature.
La corda veniva poi bagnata e ripassata con una maglia di ferro che la rendeva liscia.

Il territorio carmagnolese ha rifornito di cordami la marina italiana per secoli, ma esisteva un tipo di corda per ogni uso e le lavorazioni erano molte.

Il giro nel centro storico mi ha piacevolmente stupito, gli scorci da scoprire sono davvero tanti. Ma l’orgoglio dei Carmagnolesi, assieme alla chiesa Collegiata dei Santi Pietro e Paolo, è l’interno di Casa Cavassa, con i soffitti a cassettoni tra i più belli della provincia torinese.
Peccato non aver potuto visitare la Sinagoga barocca, tra le più belle d’Italia, segno della presenza a Carmagnola di una fiorente comunità che sfiorava, prima dell’emancipazione del 1848, circa le 200 unità.

Non si poteva organizzare un tour a Carmagnola senza dare un esempio dei produttori gastronomici di eccellenza che con passione danno lustro alla città.
I produttori di peperoni, ovviamente; uno fra tutti La Ca Veja, azienda agricola e agriturismo dove abbiamo anche pranzato a base di peperone di Carmagnola, passando per il porro dolce lungo e per il coniglio grigio, tutte eccellenze del territorio.



Una nota va all’entusiasmo contagioso della signora Chiara di C’era una volta una ricetta, che produce nel suo laboratorio artigianale deliziose conserve a base di prodotti dell’orto, con un occhio alla tradizione e l’altro alla sperimentazione. Recentemente è stata aggiunta anche una linea di pasticceria secca. I colori e i profumi delle sue conserve mi hanno letteralmente conquistata e meritano sicuramente una seconda visita.

Nel centro di Carmagnola si trova, invece, la Pasticceria Di Claudio, dove sono nati il peperone candito e la torta al peperone, oggi presenti in fiera. Anche in questo caso è il sorriso contagioso del titolare a conquistarci, assieme agli infiniti assaggi di tutti i prodotti e alle sue esaurienti spiegazioni: ci dice “diffidate di coloro che dopo tanti anni di lavoro in pasticceria si dicono nauseati dalla dolcezza; vuol dire che non stanno più lavorando con passione“. Anche per noi blogger è così! 😉

Ultimo ma non ultimo, il Carmagnolotto, l’agnolotto tipico di Carmagnola. Presentatomi in anteprima da carmagnolesi DOC, doveva contenere la carne delle vacche anziane e non più produttive, le giore, insieme al porro lungo dolce di Carmagnola, e doveva essere servito nello stesso brodo di carne di vacca o direttamente, nudo, sul tovagliolo. A La Ca’ Veja abbiamo trovato una versione di magro, con la sfoglia di farina di canapa e il ripieno di ricotta di bufala e peperone.
Allora, qual è il vero Carmagnolotto?
Visto che, come al solito, non mi fermo alla prima notizia, ho voluto approfondire: quello di magro è il Carmagnolotto edission limità” nato proprio per venire incontro ai vegetariani e per essere meglio apprezzato durante i giorni ancora caldi della Sagra, mentre dall’autunno potrete gustare nuovamente quello classico di carne.

Sfoglia di canapa a parte, assomiglia al mio raviolo ai peperoni, sperimentato un paio di settimane fa e riproposto in due cene diverse, visto il suo successo.
Un gusto decisamente esplosivo, visto che i peperoni all’interno del ripieno li ho messi a pezzettini, ben rosolati in aglio e acciughe, dopo esser stati passati in forno per eliminare ogni traccia di buccia e renderli digeribilissimi.
Io li ho conditi con un sughetto leggero di pomodorini freschi. Ne rifarò altri, per congelarli, nelle prossime settimane, per gustarli anche in inverno!

La ricetta: Ravioli ai peperoni, con sughetto di pomodorini e cubetti di Macagn

per la sfoglia:
200 g di semola rimacinata di grano duro
125 g di acqua tiepida
1 pizzico di sale

per il ripieno:
200 g di ricotta vaccina asciutta
2 peperoni grandi
2/3 filetti di acciuga
1 grosso spicchio d’aglio
qualche foglia di prezzemolo
olio
sale

Per il ripieno:
Arrostire i peperoni in forno a 200° per 35-40 minuti. Estrarli dal forno e riporli in un sacchetto di plastica per alimenti e chiuderlo bene fino a completo raffreddamento. Poi liberare i peperoni da semi e bucce e tagliarli a quadrettini di un cm di lato.
In una padella, rosolare in due cucchiai d’olio lo spicchio d’aglio appena schiacciato. Abbassare la fiamma e sciogliere i filetti di acciuga, poi aggiungere i peperoni e farli insaporire per qualche minuto, regolando di sale. Aggiungere anche alcune foglie di prezzemolo tagliuzzate fini.

Per la sfoglia, impastare farina e acqua con il pizzico di sale fino ad ottenere una pasta liscia e morbida. Lasciarla riposare sulla spianatoia infarinata, coperta da una ciotola, per circa mezz’ora.

Stendere la sfoglia molto sottile, e formare i ravioli della forma che preferite, con all’interno un cucchiaino di ripieno: questa volta ho usato questo forma-ravioli, badando di inumidire i bordi prima di chiudere il raviolo.

Lessare i ravioli in abbondante acqua salata prima di condirli con il sugo che preferite.
Io ho fatto un sughetto veloce con uno spicchio d’aglio e pomodorini maturi, insaporito da un rametto di maggiorana e arricchito da cubetti di Macagn*.

*il Macagn (o Maccagno) è un formaggio piemontese d’alpeggio, DOP e Presidio Slow Food

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#feelingoodmonferrato – diario di bordo – giorno 3

domenica 8 giugno 2014

Ultimo giorno di #feelingoodmonferrato.
La giornata è dedicata al mondo del food, ma il tema è insolito. Infatti, mentre ci addentreremo nel territorio di Casale Monferrato, indagheremo le usanze culinarie di una presenza importante nei secoli nel territorio, la presenza della comunità ebraica.
Intanto ci siamo lasciati stupire da un paesaggio incantevole, una sorpresa, campi gialli di grano che sembra di essere molto più a sud.

A Casale ci attendono al Ristorante La Torre presso l’Hotel Candiani, dove lo chef Roberto Robotti ci guida in un vero e proprio viaggio del sapore. Le regole dell’alimentazione kosher – consentita a chi è osservante – sono davvero tante.
Le principali riguardano le carni e i pesci e le uova. Severamente proibita è la mescolanza tra le carni e i derivati del latte, il mangiare cibi prepararti di sabato, la carne di maiale e di crostacei e molluschi, ma questa è solo una semplificazione. In realtà le prescrizioni sono davvero articolate, un vero stile di vita rigoroso, che però è anche affascinante da indagare per scoprirne le ragioni.
Lo Chef Robotti inizia la sua lezione di avvicinamento alla cucina kosher dal pasto tipico di Pesach: un pasto rituale che si consuma prima del vero pasto: erbe amare, erbe aromatiche, le azzime, l’uovo sodo, la zampa di capretto o la barbabietola, la composta dolce con miele e frutta secca.

Tutto questi cibi hanno un preciso significato
Anche questa giornata c’è una sfida: suddivisi in coppie di due ci cimentiamo nella preparazione di alcune ricette tipiche della tradizione ebraica.
Anthea e Giusy prepararno le lasagne di azzime, nella ricetta di Casale Monferrato, con spinaci, uvetta e pinoli, ricetta tradizionale di Pesach.
Gian Luca e Valentina si mettono all’opera con la Shakshuka, un piatto sugoso con melanzane, peperoni e cipolle, incredibilmente versatile e saporito.
Io e Manuela siamo scelte per la preparazione del dolce, una morbida e cremosa Torta di Riso, tipica della festa di Shavuot.
Le ricette sono semplici, e sicuramente le riproporrò sul blog con delle foto degne. Per ora accontentatevi di vederle così:
Eccoci tutti insieme mentre pranziamo con i piatti preparati da noi. 
La coppia risultata vincente questa volta è quella di Gian Luca e Valentina con la loro Shakshuka.
Dopo il pranzo, questa volta leggero se confrontato con le abbuffate dei giorni precedenti, ci avventuriamo alla scoperta di Casale Monferrato che nasconde davvero tante sorprese.
Partiamo da una veloce visita della Sinagoga, antichissima e piena di segreti da scoprire. 
Gli ebrei di Casale furono influenzati dalla Chiesa Cattolica per ciò che riguarda la decorazione della loro sinagoga. Ciò significa che la decorazione, purtroppo non fotografabile, è ricchissima.
Scopriamo qui anche qualche informazione in più sulle tradizioni ebraiche.
Purtroppo il tempo è tiranno in quest’ultima giornata.
Una visita, pur veloce, la merita anche la Cattedrale di Sant’Evasio, gioiello romanico, che sarebbe da esplorare con più calma.
In un solo collage non riesco a rendere l’idea di quale capolavoro del romanico essa sia
Poi un salto ad assaggiare i krumiri di Casale, i celebri biscotti a forma di baffo, inventati nel 18 proprio sul modello dei baffi del Re Vittorio Emanuele.
E ancora il bellissimo teatro municipale ottocentesco, coevo della Scala di Milano, dietro alla cui facciata si nasconde un interno fastoso che rievoca davvero le grandes soirèes della borghesia casalese:
Sulle immagini del teatro si conclude la nostra avventura a Casale per #feelingoodmonferrato.
Naturalemente non può mancare un post riassuntivo che in via più generale del territorio: inutile dirlo, il Monferrato non è solo quello che abbiamo visto, ma anche quello che abbiamo intuito dai finestrini del nostro pulmino, o dietro le facciate dei bei palazzi. Ci sono tante cose viste e tante altre ancora da scoprire, assaggiare, raccontare.

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#feelingoodmonferrato – diario di bordo – giorno 2

sabato 7 giugno 2014

La giornata di sabato per #feelingoodmonferrato è quella dedicata all’outdoor. Ci aspettano attività all’aria aperta.
La prima si svolge all’Agriturismo Podere La Rossa, situato su un crocevia di strade tra i territori di Morsasco, Cremolino, Trisobbio e Prasco.

Il territorio è tra l’acquese e l’ovadese, tra terre da vino, castelli e boschi. Qui siamo chiamati ad immergerci nella natura circostante l’Agriturismo e, con poche indicazioni preliminari, metterci alla prova. “Vedo-tocco-annuso” è la parola d’ordine.

“Vedo” comporta il tentativo di riconoscimento delle sagome dei castelli circostanti, con l’aiuto dlla mappa, e delle tracce di animali.

Per quanto riguarda i castelli devo davvero dirvi cosa son riuscita a riconoscere nella foschia?
L’opinione che andava per la maggiore era che si trattasse dell’impronta di un cinghiale: si capisce che siamo cittadini?

 Per ciò che riguarda il “Tocco” me la sono cavata meglio:

Abbiamo imparato a riconoscere il Dolcetto dal colore delle sue venature e dalla grana della sua foglia e a distinguerlo dal Barbera

Ecco la quercia:

e l’acacia:

Con il vino è stato per me più semplice completare l’esperienza “Annuso”:

Il profumo di confettura di prugna l’ho sentito, i tannini è impossibile non sentirli, il grado alcoolico lo sentiremo anche dopo
In contemplazione degli archetti/glicerine della struttura del Dolcetto
Il Dolcetto si fa in vigna mentre il Barbera si fa in cantina: è dotato di un’acidità più spiccata che consente di abbinarlo alla carne
A questa esperienza segue un buonissimo pranzo e la premiazione per il lavoro svolto in mattinata.
A sorpresa vengo eletta vincitrice dell’esperienza, non perchè abbia azzeccato più degli altri, ma perchè ho svolto bene il mio compitino “vedendo-toccando e annusando” nel migliore dei modi.
Il premio è fantastico:
Il pomeriggio prosegue all’insegna dell’#outdoor ed io mi ero fatta un’idea troppo romantica della passeggiata in bicicletta sulle colline. Immaginate la mia faccia quando, arrivati a Novi Ligure, mi sono trovata davanti a questo: 
E immaginate il mio piazzamento… invece è Manuela a vincere la gara di potenza sulla bici a scatto fisso e la successiva corsa intorno al paese. Un po’ più difficoltosa il giro della piazza principale di Novi su mezzi prestati dal museo dei campionissimi, tra bimbi urlanti e frenetici.
Novi è deliziosa, come una piccola Genova, con i suoi palazzi dalle facciate dipinte ricchissimamente. Questa città ha dato i natali a Costante Girardengo e a Fausto Coppi e quindi ben si può comprendere quanto sia emotivamente legata al ciclismo.
Assolutamente da non perdere il Museo dei Campionissimi con biciclette antiche e moderne e tutta la storia della bicicletta dagli albori ai nostri giorni.
Siamo di nuovo in pulmino, via verso la Val Borbera, in un paesaggio di nuovo completamente differente da quelli già visti. Le alture si fanno un poco più aspre, siamo vicini alla Liguria, e in fondo alle vallate scorre il torrente Borbera.
E proprio in questo territorio nasce un formaggio speciale: da latte crudo vaccino e ovino, con, talvolta ma non sempre, una piccola percentuale di latte caprino, si produce il Montèbore. La leggenda narra che Leonardo Da Vinci, cerimoniere del banchetto per le nozze di Isabella d’Aragona, scelse questo tra i formaggi da portare in tavola. Si tratta di un formaggio antico, risalente almeno all’anno 1000, che si stava estinguendo e che dal 1999 è stato recuperato assieme alle tecniche per produrlo.
Al Caseificio ed Agriturismo Vallenostra di Mongiardino Ligure non producono solo il Montebore ma tanti altri formaggi a latte crudo e in più fanno adottare le proprie pecore, dando in cambio i loro prodotti.
Al ristorante Vallenostra abbandoniamo ogni pudore a tavola. Sebbene provati dai pasti precedenti non riuscivamo davvero ad essere morigeratiFormaggi incredibili accompagnati da una favolosa focaccia, piatti straordinari annaffiati da ottimo Timorasso.
Con questa cena straordinaria si conclude la giornata. L’ultima che ci aspetta è quella a tema food, in una zona ancora diversa per paesaggio ed offerta, il Monferrato casalese.

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#feelingoodmonferrato – diario di bordo – giorno 1

venerdì 6 giugno 2014
La sveglia suona e #feelingoodmonferrato ha ufficialmente inizio!
La giornata #fashion&wellness ci attende, Giusy e Anthea sono prontissime, noi altri un po’ meno. Io vengo subito reclutata per introdurre la prima prova alla telecamera: la ricerca dell’outfit perfetto per una giornata in campagna. Ognuno ha il suo tema ed ognuno sceglierà l’abbigliamento più adatto nelle boutiques del centro di Alessandria.
Alessandria è una città dall’aria signorile, come una dama di altri tempi, lenta e discreta, e il centro sembra fatto apposta per chiacchierare in uno dei suoi caffè o per un lento e piacevole shopping tra i suoi negozi.
La prima tappa è da Michela Mode, un negozio dall’aria d’altri tempi, una boutique piccolissima con sartoria annessa, per piccole e grandi modifiche.

Nella seconda boutique, Onires, i pois non mancavano… l’idea di un look campestre, ma anni ’50-’60 mi solleticava la fantasia…ma qui da Onires non c’era ancora quel che cercavo.

é la volta di un negozio di solo abbigliamento maschile: Trimmer’s

Qui invece, da J_Berry, ho trovato più di uno spunto, ma non posso ancora fermarmi e scegliere…c’è ancora tanto da vedere!
è il momento di Bizaar: fantasie deliziose su pantaloni alla caviglia e su magliette:
E se invece dei pantaloni scegliessi una gonna come quelle di Corso Roma?
In Via dell’Erba è stato impossibile non essere attratta dal lato del negozio dedicato ai complementi d’arredo: vorrei una casa shabby così!
Da Ferrari il “quadretto” c’è! Ma forse qualcosa mi aspetta ancora. Impossibile però non soffermarsi sugli incantevoli foulard…uno di questi starebbe davvero bene tra i miei capelli!!
Atmosfera sognante da Amidali, laboratorio di abiti, dove trovo fantasie delicatissime che “quasi profumano”!
Mcs è per uomo…ma non posso fare a meno di pensare a quei quadrettini che andrebbero bene anche per un look al femminile!
L’ultimo negozio si trova nella stupenda Galleria Guerci, una galleria urbana sul modello delle galéries commerciali di fine ‘800, con copertura in ferro e vetro. Non è un caso se la galleria è conosciuta ad Alessandria per il locale più celebre che vi si trova, la storica Pasticceria Bonadeo, famosa soprattutto per la Polenta del Marengo, tipica torta alessandrina preparata con farina di mais, e per altri biscotti e leccornie. Roba che non poteva non attirare una foodblogger…anche una impegnata in una prova fashion!!
Appena arrivo davanti alla vetrina di La Maison Settantacinque capisco che il mio viaggio mi portava proprio lì. L’idea del look anni ’50 con pantaloni a vita alta, camicetta a quadretty vichy e foulard tra i capelli, svanisce per lasciare il posto a un look ancora più romantico!

Grazie all’aiuto di Silvia sono pronta in 5 minuti e sono pure la prima a condividere il mio selfie per la sfida della mattinata!

La sfida è aperta però! Solo chi riceverà più like sui social avrà dieci punti in più per cercare di vincere #feelingoodmonferrato!

A pranzo l’atmosfera accogliente del Mezzo Litro, Vineria con Cucina ci attende!
Qui ogni giorno una cucina semplice ma ricercata si accompagna a vini d’eccellenza. Ecco cosa abbiamo mangiato:

Finito il pranzo tutti in pulmino verso le terme di Acqui,

Le Terme Lago delle Sorgenti si trovano ad Acqui, dove i percorsi termali esistono dall’epoca romana.
Il relax dura un pomeriggio intero, ma se si vuole si possono prolungare i tempi di permanenza in molte delle zone, per una giornata intera di cura di se stessi. La particolarità che riguarda queste terme è la presenza della suono-terapia: grazie alla presenza delle ciotole tibetane nel bagno di vapore, e di due gong in una delle aree relax, la cura del corpo sfocia nella cura dello spirito.
La giornata si conclude con la visita di Acqui Terme, cittadina deliziosa, con un nucleo medievale davvero bello. Da segnalare, naturalmente la Bollente, sorgente all’interno della città da cui sfocia acqua a 75°.
La cena al ristorante Osteria Enoteca La Curia è davvero speciale. So che mi sentirete dire questa cosa diverse volte nel racconto di #feelingoodmonferrato, e risulterò poco credibile. Allora venite alla Curia e assaggiate il filetto baciato, i plin fatti come si usa da queste parti, più grossi di quelli langaroli e belli cicciotti, lo stinco di fassona cotto lentamente fino a diventare morbidissimo, quasi scioglievole, e allora, come San Tommaso, crederete!

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#feelingoodmonferrato – diario di bordo – giorno 0

giovedì 5 giugno2014

Arrivo verso le 18,30 in un’assolatissima Alessandria per prendere parte a questo blogtour che è anche un’avventura…
L’albergo Alli Due Buoi Rossi è pronto ad accogliermi e con me le altre blogger: Manuela, Anthea, Giusy e Valentina. Gianluca
ci raggiungerà domani… ha avuto un contrattempo… o forse volevi
scamparti la prova di domattina? Ci hanno fatto capire che questo tour
dovremo guadagnarcelo! ;D
Ecco il mio compagno di stanza, mi aspettava qui: che #feelingoodmonferrato abbia inizio!
Da foodblogger non posso che mettere l’accento sulla cena della sera, nel ristorante Due Buoi Rossi,
all’interno dell’albergo: piatti deliziosi accompagnati da buonissimi
vini, in particolare il Barbera, che all’assaggio e per i profumi
sembrava davvero un vino più complesso.
Lo
chef, da pochissimo a capo di questa brigata di cucina si è presentato e
ci ha raccontato l’imminente cena: tradizionalissima ma con note
ammiccanti all’Oriente, in particolare per ciò che riguarda l’utilizzo
delle spezie e la croccantezza delle verdure.

Lo Chef ci racconta la cena e va particolarmente fiero del suo pane e delle sue salse: un invito a fare scarpetta?

Ci
dicono che è un amuse-bouche e noi non ci facciamo pregare per
divertirci: lingua di manzo scottata su salsa di capperi con insalatina
di stagione e fiore di zucca in pastella

Stasera il tonno è di gallina, adagiato su crema di ricotta di pecora con nocciole e accompagnato da spinacino fresco
Tajarin con ragù di coniglio e asparagi: finissimi e saporiti, una vera delizia!
E nel piatto restò solo un fegatino!
La salsa non ci è stata svelata! Manzo cotto a bassissima temperatura (dalla sera precedente) su salsa al pomodoro e…qualcos’altro…con puré di patate e barba di frate croccante.
Dulcis in fundo…più dolce di così! Meringa, con fragole, crema pasticcera e caramello!

La giornata di domani sarà più impegnativa… è già arrivato il tweet personale per la fashion avventura di domani: +atlalexala mi scrive:

andrà in giro x i negozi di . farai una GITA IN CAMPAGNA con l’abito giusto: trovalo!

Ho già qualcosa in mente, chissà se riuscirò a trovarlo! 😀

Ed ora buonanotte!

<<…Era una principessa. Ma come l’avevano ridotta la pioggia
e il temporale! L’acqua cadeva a rivoli dai suoi capelli e dai suoi vestiti, e
le entrava nelle scarpe, uscendone dalla suola. Tuttavia ella si presentò
affermando di essere una vera principessa. “E’ ciò che sapremo presto
” pensò la vecchia regina, e senza dire nulla a nessuno entrò in una
camera e mise un pisello nel letto che era in mezzo alla stanza. Quindi prese
venti materassi, li stese uno sopra l’altro sul pisello, e vi aggiunse ancora
venti piumini. Era quello il letto destinato alla principessa sconosciuta. La
principessa venne accompagnata nella camera che le era stata destinata, e si
coricò…>> [H. C. Andersen]

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Il tartufo bianco d’Alba e i Tajarin Piemontesi per Ville in Italia

Ville in Italia è una società di tour operator nata a Firenze nel 1996 che si occupa di locazioni di breve periodo in residenze di pregio e in villa, su tutto il territorio italiano. Si rivolge ad un pubblico internazionale interessato a soggiornare nel nostro paese in un contesto davvero magico.
Basta sfogliare le proposte per iniziare a sognare fin da subito.
Da qualche tempo a questa parte Ville in Italia è anche un blog che racconta il vivere italiano e le curiosità artistiche, culturali ed enogastronomiche del nostro paese.
Mi è stato chiesto di raccontare qualcosa su uno dei prodotti piemontesi più conosciuti al mondo: il tartufo. 
O si odia o si ama: vi devo dire da che parte sto?
Ecco che, pur fuori stagione, il mio flusso di pensiero mi ha portato ai ricordi della Fiera Internazionale del Tartufo di Alba e a uno dei miei piatti preferiti: i tajarin.
Qui trovate il post in inglese, mentre qua sotto potete leggerlo in italiano.
E al fondo c’è anche la ricetta dei miei tajarin, naturalmente!
Il tartufo è
un tubero che nasce vicino alle radici degli alberi, sviluppandosi come
parassita della pianta stessa. A seconda dell’albero accanto al quale si forma,
cambieranno il colore e gli aromi del tartufo stesso.
Conosciuto
fin dall’antichità, era presente nelle cucine dei sumeri che lo utilizzavano
combinato ad orzo e legumi e, successivamente, dei greci, latini e arabi.
Plinio il
Vecchio ne diede una definizione naturalista: “fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare” e
proprio questa caratteristica di casualità determinò la fortuna e il mistero
legato allo strano e imprevedibile tubero
.

cercatore medievale

La sua storia
è segnata da periodi bui – si fu in dubbio, addirittura, se fosse di natura
vegetale o animale – e nel Medioevo, considerato un’escrescenza del terreno
dotata di vita propria, era ritenuto cibo adatto solo alle streghe e ai
diavoli
.

Un tempo era
più facile da trovare, vista la maggior diffusione di boschi e foreste e per il
suo aroma, intenso ma adatto ai palati fini, venne soprannominato “aglio del
ricco
”.

In Piemonte
l’utilizzo diventò particolarmente importante a partire dal XVII secolo, ad
imitazione della cucina francese. Il tartufo nero, più diffuso, veniva usato
nelle farciture, mentre quello bianco più pregiato era usato a profusione nelle
salse e nei condimenti.
Nel ‘700,
ormai vero e proprio prodotto di lusso, veniva cercato dai nobili per
divertimento, in vere e proprie “battute di cerca”
.
Ad opera del
Re Carlo Emanuele di Savoia nel 1751 ci fu anche un tentativo di influenzare il
gusto britannico, diffondendo anche lì il piacere della battuta di cerca e
della grattata di tartufo sulle pietanze ed effettivamente qualche piccolo
tartufo venne trovato anche in terra inglese. 
Apprezzato da
eccellenti personalità, tra cui Lord Byron che lo teneva sulla scrivania al
fine di stimolargli la creatività e Alexandre Dumas
che lo definì il Sancta Sanctorum della tavola, il tartufo
d’Alba come è conosciuto oggi ottiene la sua fortuna in tempi recenti con l’albergatore
e ristoratore albese Giacomo Morra.
Giacomo Morra [immagine da gazzettadalba.it]

Nel 1949
l’intuizione: per risollevare l’economia dopo il secondo conflitto mondiale Giacomo
Morra puntò sul tartufo per farlo diventare un prodotto riconosciuto e il simbolo
di una manifestazione che attirasse l’attenzione di tutto il mondo sulle Langhe
.
Regalò il miglior esemplare raccolto quell’anno all’attrice più amata del
tempo, Rita Hayworth. Da lì ogni anno i tartufi migliori vennero donati a
personalità di rilievo tra cui Churchill, Marilyn Monroe, Sofia Loren,
Hitckcok, Pavarotti e molti altri…ed ebbero il merito di diffondere il mito
di Alba e del suo tartufo bianco nel mondo.

Anche per me
il tartufo è sinonimo di Alba, anche se lo stesso prezioso tubero è raccolto in
diverse zone del Piemonte. È il pretesto che ci spinge ogni anno a compiere
quell’ora di viaggio da Torino per la Fiera Internazionale del Tartufo, per annusare
l’aria profumata, per gustare gli ottimi vini del territorio che con questo
prodotto si sposano ottimamente, e per assaggiare piatti prelibati della
tradizione, insaporiti con il preziosissimo tubero.
Tra questi piatti
spiccano i tajarin, i tradizionali
tagliolini piemontesi, pasta all’uovo già diffusa nel XV secolo. Sottilissima è la sfoglia ed altrettanto sottili vengono “affettati”,
circa 2-3 millimetri.  Vengono conditi per tradizione con il “comodino”, un sughetto
preparato con i fegatini e altre frattaglie di pollo, oppure
semplicemente con burro fuso e profumatissimo tartufo: sono i miei preferiti.

Ecco la
ricetta per farli in casa: Tajarin
(per 4-6
porzioni)
400 g di
farina di grano tenero
3 uova intere
2 tuorli
1 pizzico di
sale
100 g di burro
1 mestolino
di brodo di carne
1 piccolo
tartufo
Disporre la
farina sulla spianatoia creando una fossetta centrale.
Versarvi le
uova intere e i tuorli, con il pizzico di sale, e cominciare ad impastare,
prima con la forchetta e poi con le mani inglobando man mano tutta la farina.
L’impasto deve risultare liscio e sodo, quindi in caso di necessità
aggiungere ancora un poco di farina oppure al contrario lavorarlo con le mani leggermente umide.
Lavorare
l’impasto sulla spianatoia per almeno dieci minuti, finché non è perfettamente liscio ed elastico.
Coprirlo con
un panno pulito inumidito e lasciarlo riposare per un’ora o due.
Riprendere
l’impasto e stenderlo sottilissimo con il mattarello o la macchina per la
pasta.

Cospargere la
sfoglia ottenuta di semola o di farina di mais ed arrotolarla su se stessa. Con
un coltello affilato tagliare i tajarin molto sottili, in fettine di 2-3 mm di larghezza, srotolarli man mano e
disporli in mucchietti.

Quando sono
tutti pronti, lessarli in abbondante acqua salata per 5 minuti.
Pulire il
tartufo con delicatezza, con l’aiuto di uno spazzolino dalle setole morbide e
di un panno.
Nel frattempo
far sciogliere il burro in una padella capiente, stemperandolo con un po’ di
brodo.
Scolare i
tajarin e metterli nella padella, facendoli insaporire con il burro fuso.
Impiattare e
grattugiarvi sopra il tartufo bianco.
…e se non è stagione di tartufi…sono buoni già così! 😉

ai fornelli, ricette tradizionali

Semolini dolci fritti: semplici golosità

Una ricetta della tradizione, immancabile nel fritto misto alla piemontese, ma che scopro essere diffusa in altre parti d’Italia. D’altronde gli ingredienti sono di una semplicità assoluta, il semolino, il latte, lo zucchero, la buccia del limone.
 
Ecco la ricetta dell’Artusi che val la pena leggere già solo per il suo lessico affascinante:
170. Fritto di Semolino
Semolino di grana fine, grammi 70 a 80.
Latte, decilitri 3.
Uova, n. l.
Zucchero, tre cucchiaini.
Burro, quanto una noce.
Sale, un pizzico.
Odore di scorza di limone.
Ponete
il latte al fuoco col burro e lo zucchero e quando comincia a bollire
versate il semolino a poco a poco, girando in pari tempo il mestolo.
Salatelo e scocciategli dentro l’uovo; mescolate e quando l’uovo si è
incorporato levate il semolino dal fuoco e distendetelo sopra a un
vassoio unto col burro o sulla spianatoia infarinata, all’altezza di un
dito. Tagliatelo a mandorle e mettetelo prima nell’uovo sbattuto poi nel
pangrattato fine e friggetelo. Spolverizzatelo di zucchero a velo, se
lo desiderate più dolce, e servitelo solo o, meglio, per contorno a un
fritto di carne.

 
Io normalmente non metto l’uovo all’interno, e faccio riposare in infusione le bucce di un limone bio nel latte caldo. 
Appena fatti sono croccantissimi, con quel dolce che appena si sente. Una coccola che sa di antico.
 
La ricetta: Semolini dolci fritti
250 ml di latte intero
50 g di semolino
25 g di zucchero
la buccia di un limone
1 uovo
pangrattato q.b.
sale
olio per friggere q.b.
zucchero semolato per guarnire q.b.
 
Per prima cosa prelevare la buccia del limone con un pelapatate. Metterla nel latte e farlo scaldare. Lasciar riposare il latte così per mezz’ora.
Riaccendere il fuoco e, quando il latte è caldo, aggiungere lo zucchero e farlo sciogliere. Quando il latte bolle, togliere le bucce di limone e versare a pioggia il semolino; mescolando, far cuocere e addensare per cinque minuti. Aggiungere 1/2 uovo sbattuto amalgamando all’impasto.
Versare il semolino così ottenuto in un piatto o una teglia rettangolare unta d’olio, dell’altezza di 1,5-2 cm e pareggiarlo con il dorso di un cucchiaio bagnato in acqua fredda.
Lasciar raffreddare e rassodare, anche tutta la notte. 
Tagliare il semolino a losanghe, passarle nell’uovo e poi nel pangrattato e friggere finchè non sono dorate.
Cospargere di zucchero semolato.
 

 

eventi&co, in viaggio

Mercatini Natalizi all’Enoteca Regionale del Moscato

Anche Mango con la sua Enoteca Regionale “Colline del Moscato” ha avuto i propri Mercatini Natalizi.
L’idea è nata vedendo quante iniziative analoghe si stavano svolgendo nei paesi limitrofi: anche il castello di Mango, con i suoi bei soffitti voltati e le sue mura spesse e cariche di storia, doveva per un weekend vestirsi a festa e fare spazio agli espositori.
La scelta è caduta sull’ultimo weekend prima di Natale, per concomitanze con altri eventi nel paese e nelle vicinanze. Molti erano certamente impegnati con le ultime corse ai regali e con l’inizio delle preparazioni per la vigilia di Natale, ma coloro che sono passati al castello hanno trovato tante opportunità per calarsi in un’atmosfera natalizia d’altri tempi, grazie alla musica e ai numerosi ospiti.

In particolare la giornata di domenica ha visto tra i protagonisti i trottolai di
Roccavignale, un piccolo borgo ligure, che sono arrivati con le loro affascinanti trottole a
filo, un gioco antico di almeno 6000 anni, con tutta l’attrezzatura
necessaria a costruirle sul momento. 
Se non siete muniti di un tornio, sappiate che vi serve un vecchio motore da lavatrice e decisamente tanta abilità manuale, ma potete imparare anche voi a costruire trottole di legno…forse non così minute e precise come queste di osso, che sono contenute da un guscio di nocciola vuoto: ce ne staranno almeno una trentina.
Per i bambini, oltre al lancio delle trottole, c’erano due laboratori creativi: quello di decorazione di biscotti, tenuto da Paola Solazzi e quello di pupazzetti di pasta al sale con Bruna Stupino.
 
Per chi lo desiderava c’era la possibilità di passeggiare intorno al castello a dorso d’asino, grazie alle splendide e docili bestie dell’Azienda Agricola Pavaglione, abituate al trekking con i bambini.

A fare il loro figurone alcuni membri della Confraternita della Nocciola, abbigliati con il loro scenografico mantello, con la proiezione di un filmato sulla Tonda Gentile delle Langhe.

Tanti banchetti di esposizione e vendita, con prodotti enogastronomici ed artigianato e tanta musica hanno accolto i visitatori, fino al culmine della giornata, la degustazione guidata di Moscato d’Asti DOCG come sempre condotta magistralmente da Lorenzo Tablino. Non solo degustazione, dunque, ma tante curiose note sul Moscato d’Asti e sull’Asti Piemonte, sulla loro storia e sui produttori; qualche curiosità sugli abbinamenti ed infine la presentazione ancora non ufficiale della raccolta di ricette dei foodbloggers che quest’estate si sono messi in gioco con una bottiglia di Moscato e tantissima fantasia, promossa dall’Enoteca Regionale del Moscato in collaborazione con Ricette di Cultura, Cucina Precaria e Due Cuori e una Forchetta.
Avremmo voluto avere più tempo, per dare anche noi il nostro contributo con qualche ricetta, ma il lavoro è proseguito lesto con il supporto e l’abnegazione di Renata Bonacina dell’azienda agricola Ca’ ad Balos, finanziatrice del progetto grafico e della stampa.
L’obiettivo era quello di mettere in vendita il prodotto già ai mercatini natalizi. Io e Anna ci siamo occupate della raccolta delle immagini, di far da tramite con l’agenzia che si è occupata della grafica e soprattutto di uniformare i testi.
Ecco una piccola anteprima del libricino:

I proventi della vendita verranno utilizzati innanzitutto per pagare le spese di elaborazione e di stampa. In futuro si spera che il libricino possa essere diffuso in enoteche e cantine per promuovere l’uso del Moscato d’Asti DOCG in cucina, in modo che non sia più relegato a vino da dessert ma che conosca una fortuna a tutto pasto!

La presentazione ufficiale sarà in primavera: forniremo a tutti le indicazioni per partecipare!

ai fornelli, ricette tradizionali

Le paste di meliga con il Pignoletto Rosso di Giaveno Un mais antico riportato al successo

La farina di mais nei biscotti regala sempre un po’ di croccantezza e rustico in più.

 

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Le paste di meliga con il Pignoletto Rosso di Giaveno Un mais antico riportato al successo" class="facebook-share"> Le paste di meliga con il Pignoletto Rosso di Giaveno Un mais antico riportato al successo" class="twitter-share"> Le paste di meliga con il Pignoletto Rosso di Giaveno Un mais antico riportato al successo" class="googleplus-share"> Le paste di meliga con il Pignoletto Rosso di Giaveno Un mais antico riportato al successo" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2018/09/meliga_4_w.jpg" class="pinterest-share">
eventi&co

Metti una domenica ad Alba…

Ad Alba, fino al 17 novembre si sta svolgendo la 83° Fiera Internazionale del Tartufo Bianco.
Un appuntamento importantissimo e di gran prestigio per il Piemonte!

Ma in queste settimane non c’è solo il tartufo ad Alba, anche se il profumo per le strade è inebriante.
Ogni weekend è ricco di appuntamenti enogastronomici e di attrazioni per le strade.
Quest’anno ad Alba al Palazzo del Gusto si succedono, ogni sabato e domenica, interessantissimi appuntamenti con grandi Chef e con specialisti dei piatti della tradizione.
Domenica 13 ottobre la signora Marisa Asola, ottant’anni al servizio della cucina, ci ha insegnato a fare i tajarin, il piatto delle feste in ogni casa albese.
La pasta, con 7 uova e 5 tuorli per ogni chilo di farina, l’ha fatta proprio davanti ai nostri occhi, mentre Lorenzo Tablino, ex enologo di Fontanafredda e giornalista ci ha illustrato tutti i passaggi.

Era uno dei giorni dedicati ad Albaromatica, manifestazione delle spezie e dei sapori nel centro di Alba: tisane e infusi, té di ogni tipo, le spezie, le erbe aromatiche…e poi le birre aromatizzate, il cioccolato e le confetture, tutto volto a creare un delizioso spazio di conoscenza, acquisto ed approfondimento.

Nel pomeriggio ho partecipato, con Anna, alla degustazione di Moscato d’Asti DOCG, Asti Spumante e Barolo Chinato, sempre con Lorenzo Tablino a farci da guida attraverso gli aromi di questi vini.
Innanzitutto approfondiamo la polisensorialità del Moscato.

Limpido alla vista, ma fruttato e floreale al profumo: ricorda il miele, il tiglio, il gelsomino, fino al mughetto e al glicine. Spesso si distinguono sentori di salvia, pesca e albicocca.
Il gusto è dolce, naturalmente, ed inebriante, che lascia sentori aromatici al palato.
Passiamo all’Asti, ci concentriamo sul petillage, le minuscole bollicine che nascono al fondo del bicchiere e diventano più grandi risalendo. Ma attenzione! La risalita deve essere lenta lenta.
Nell’Asti l’anidride carbonica limita la percezione del dolce e quindi nello spumante risaltano le sensazioni tanniche ed acide.
Infine il Barolo Chinato, ottenuto dal vino Barolo con l’aggiunta di erbe e spezie, sull’onda dei vini medicinali ed elixir. Nato alla fine del XIX secolo conosce subito una grande fortuna.
La ricetta segreta del Chinato Cocchi è ancora tale e così verrà tramandata di padre in figlio. Si sa solo che al vino si aggiunge zucchero, alcool e infuso di erbe e spezie.
Le spezie sono una trentina, tra le quali si possono trovare cardamomo, coriandolo, garofano, cannella, vnglia, anice stellato e tante altre, e naturalmente la china, di diverse varietà. Al gusto dovrà spiccare il perfetto equibrio, nessun aroma predominante di vino o di zucchero, ma una perfetta amalgama di tutti i sapori.

Sabato prossimo, 2 novembre, sarò di nuovo ad Alba per uno degli incontri con gli Chef. Seguirò la preparazione della ricetta di Davide Palluda del ristorante All’Enoteca annesso proprio all’Enoteca Regionale del Roero di Canale, che cucinerà per noi gli “Gnocchi ripieni di erbe selvatiche, parmigiano e verdure diverse con tartufo bianco d’Alba“.
Seguitemi su Twitter con #albatruffle.

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