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primi piatti, zuppe e vellutate

Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga

 
L’indivia è una delle verdure più dietetiche che esistano, ha solo 15 calorie per 100 g. Ha un sapore leggermente amarognolo, ma freschissimo. E’ l’ideale per fare il pieno di minerali, quali potassio, magnesio e fosforo.
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ai fornelli, ricette originali

Crema di patate e porri con champignons trifolati

Un post veloce veloce per una ricetta veramente semplice ma veramente speciale in queste sere fredde e nevose. Ho abbinato ad una crema fatta con patate e porri dei smeplicissimi champignons passati in padella con aglio e prezzemolo. Il gusto deciso dei funghi dà una nota in più alla delicatezza della crema di porri. Qualche fetta di pane integrale e la cena è risolta!!
La ricetta: Crema di patate e porri con champignons trifolati.
(per 2 persone)
250 g di champignons freschi
2 patate medio-piccole
1 porro
brodo vegetale (l’ho fatto sul momento con carota, cipolla, aglio e sedano)
vino bianco
olio
sale
pepe
Ho lessato le patate.
In una padella ho versato un filo d’olio e uno spicchio d’aglio schiacciato e una volta che era imbiondito ho aggiunto i funghi tagliati a fettine sottili e fatto sfumare due dita di vino bianco. I funghetti tireranno fuori un po’ d’acqua. Ho proseguito la cottura a fuoco vivace, girando spesso e regolando verso la fine della cottura con il sale.
Nel frattempo in un’altra padella ho messo a rosolare il porro tagliato sottile sottile; ho proseguito la cottura finchè non era morbido, aggiungendo man mano qualche cucchiaio di brodo. Poi ho aggiunto un po’ del brodo rimasto e le patate lessate in precedenza, ridotte in purea. Con il brodo bisogna regolare la consistenza della crema e infine regolare di sale, tenendo presente che i funghetti saranno più saporiti. 
questa volta ho dato una frullata ai porri, rendendo il tutto più cremoso, vista la presenza solida dei funghi; altre volte invece ho lasciato i porri a fili, senza che risultino assolutamente fastidiosi al palato.
Ho servito in piatti larghi, adagiando i funghetti da un lato, sopra la crema.

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Crema di porri e patate con stelline di polenta al curry

Tra gli ingredienti dell’ultima ricetta del mese di novembre non poteva mancare un’altra crema vellutata questa volta con l’amico porro!!
Ingrediente insostituibile di saporiti soffritti e brodini aromatici, non bisogna affatto relegarlo al ruolo di ingrediente secondario.
Pare che il faraone Cheope ricompensò con cento mazzi di porri un suo medico che l’aveva fatto guarire da una terribile infezione urinaria; il porro poi rappresentava uno dei cibi preferiti dell’imperatore Nerone che ne mangiava in grande quantità per schiarirsi la voce, prima delle sue esibizioni canterine.
Molte delle caratteristiche che gli attribuivano gli antichi sono le stesse che venivano attribuite alla cipolla, altrettanto antica e appartenente alla stessa famiglia, come quella di essere un potente afrodisiaco.
Nel Medioevo la scuola medica salernitana ne conferma le proprietà toniche, la capacità di curare le infiammazioni respiratorie e di aumentare la fecondità nella donna.
Scientificamente è stato dimostrato che il porro è un vero toccasana per le vie respiratorie, decongestionante ed efficace per far curare la raucedine, è anche utile per combattere l’obesità ed abbassare il colesterolo, ricco di magnesio per il sistema nervoso, di calcio per la pelle e le ossa e di vitamine.
A Cervere, in provincia di Cuneo, si tiene ogni anno una sagra in suo onore ed esiste per questo anche un “Palaporro”.
E infine guardate qui: 

questo è lo stemma del Galles e quell’ortaggio stilizzato ripetuto quattro volte altro non è che il nostro nobile porro!

La ricetta: Morbida crema di porri e patate con stelline di polenta al curry

Per la crema di porro:
3 porri
1 grossa patata
1 spicchio d’aglio
mezzo cucchiaino di timo essiccato
500 ml di brodo vegetale
1 cucchiaio di parmigiano grattugiato
olio
sale

Per le stelline di polenta:
3 cucchiai di polenta gialla precotta
1/2 cucchiaino di curry
acqua (vedi quantità sulla confezione)
sale

Ho fatto lessare la patata, l’ho sbucciata e schiacciata con la forchetta.
Nel frattempo ho preparato del brodo vegetale, con carota, porro, salvia, patata, olio e sale.
Ho tagliato i due porri a rondelle sottili e li ho messi in una casseruola con due cucchiai d’olio e l’aglio. Ho fatto soffriggere leggermente, poi ho eliminato l’aglio e aggiunto tre mestoli di brodo vegetale. Ho fatto proseguire la cottura per qualche minuto. Poi ho frullato il tutto.
Ho rimesso la crema nella casseruola, ho aggiunto la patata schiacciata, ho aggiustato di sale ed aggiunto brodo fino a raggiungere la consistenza desiderata. Per ultimo ho versato il timo, ho mescolato e coperto.

Ho preparato la polenta facendo bollire in un pentolino piccolo l’acqua necessaria a far cuocere tre cucchiai di polenta precotta, calcolando la proporzione sulle istruzioni della scatola. Nell’acqua in ebollizione ho aggiunto un pizzico di sale e mezzo cucchiaino di curry in polvere e successivamente la polenta. Ho mescolato con cura, fino all’inizio del rassodamento, poi l’ho versata in un piatto piano bagnato e l’ho lasciata 20 minuti a solidificare. Poi l’ho tagliata a stelline con un taglia biscotti.
Ho scaldato la crema di porro, aggiungendo un cucchiaio di parmigiano grattugiato, l’ho versata nelle ciotoline e ho decorato con le stelline di polenta.

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La zucca nel panino

L’ennesima vellutata, l’ennesima zucca… e l’idea è veramente semplice e buona! 
Una vellutata morbida di zucca e cipolla arricchita da un cucchiaio di yogurth. L’originalità sta nella presentazione, vista tempo fa in giro per la rete per altre cremose di verdura: la vellutata di zucca, bella arancione, arriva a tavola dentro il panino che si impregna tutto del suo sapore.
Io questa volta ho usato dei panini che avevo già a casa, ma l’ideale sarebbe farli personalmente, magari con farina integrale o di segale, con la ricetta che trovate qui!

La ricetta: Vellutata di zucca nel panino
(per 2 persone)
250 g di polpa di zucca cotta in forno
1 cipolla media
1 spicchio d’aglio
olio
sale
pepe
fresche o secche queste erbette (a seconda della disponibilità): rosmarino, salvia, maggiorana, prezzemolo, origano, menta
1 cucchiaio colmo di yogurt bianco al naturale
2 panini, meglio se con la crosta spessa, privati della calottina superiore e della mollica interna

Ho tagliato a pezzetti la zucca e l’ho messa in un pentolino, facendola insaporire con la cipolla tagliata a dadini minuscoli, lo spicchio d’aglio e due cucchiai d’olio.
Dopo qualche minuto ho tolto lo spicchio d’aglio e ho aggiunto un goccino d’acqua perché la cipolla non colorasse troppo.
Poi le erbette: rosmarino, salvia, prezzemolo e menta erano fresche tagliate finissime, origano e maggiorana erano essiccate. Vanno aggiunte secondo il gusto personale. Dopo qualche minuto la zucca sarà già bene insaporita. Si passa al frullatore, aggiungendo qualche cucchiaiata di acqua tiepida.
Poi si rimette nel pentolino, aggiustando di sale e pepe, si scalda e si versa nei panini, decorando con un ciuffetto dell’erbetta fresca che avete a porta di mano!!!

Con questa ricetta partecipo al contest “Con un po’… di zucca” organizzato da Ramona di Farina Lievito e Fantasia in collaborazione con Ballarini, nella categoria primi piatti.


pasta fresca, primi piatti, ricette tradizionali, storia & cultura

I tortelli di zucca alla mantovana

tortelli-di-zucca-mantovani 
Gonzaga ed Este. Anche senza essere storici è impossibile non conoscere questi due grandi nomi di famiglie rinascimentali. Famiglie che hanno segnato la storia di due grandi città, Mantova e Ferrara, condizionandone le vicende politiche e finanziando grandi opere d’arte e d’ingegno.
Tra queste vogliamo mettere anche il tortello di zucca?
Sì, perché il tortello – o raviolo – ripieno di zucca si sviluppa e si diffonde in alta Italia, su due direttrici che passano proprio per Ferrara e Mantova, per approdare fino a Crema, da un lato, e fino a Parma, Piacenza e Pavia dall’altro.La prima citazione scritta si ha nel 1544 da parte di Cristoforo Messisbugo, cuoco ferrarese che restò per 25 anni a servizio dai Gonzaga a Mantova. Li cita nel suo ricettario con il nome di “turtell” o “riturtell”.

Gianbattista Rossetti, cuoco del duca Alfonso II d’Este, mette per iscritto i “cappellacci” o “ritortelli” ferraresi nel ricettario pubblico dello Scalco nel 1584.

Dalla corte dei Gonzaga e degli Este, con le migrazioni del caso, i tortelli di zucca viaggiano di città in città, soprattutto al seguito degli eccellenti cuochi ebrei, cacciati con gli editti del 1629-30. Durante il viaggio culinario anche gli ingredienti subiscono delle modifiche e dall’originale mantovano e ferrarese si giunge fino a Crema (turtei cremasch) dove è addirittura la zucca a scomparire, mentre restano gli altri componenti del ripieno. Andando verso Piadena (turtel e salsa) e successivamente  verso Reggio Emilia, Parma, Piacenza e Pavia si comincia ad usare il sugo di pomodoro, anche molto abbondante, preparato con cipolla dolce e arricchito da abbondante grana grattugiato.
Altrove si alternano i condimenti – burro fuso e grana, o pomodoro – con la variante di pomodoro e funghi di Parma e Piacenza.
La forma varia da città a città, ma talvolta anche da famiglia a famiglia, da tortello a cappellaccio, da quadrato a rotondo a mezzaluna, con una sfoglia sempre sottile e all’uovo.

Tradizionalmente è il piatto della vigilia di Natale e dei giorni di festa e del giorno di Sant’Antonio.

Per imparare a farli ho guardato la signora Rosa che li prepara per Santa Lucia ed io ho seguito più o meno le sue indicazioni! In realtà una volta li ho fatti anche senza grana grattugiato e sono venuti buoni ugualmente.
tortelli mantovani (01) piccola
 
La ricetta: Tortelli di zucca alla mantovana
 
ingredienti (per 20/22 tortelli – due persone)
per il ripieno:
500 g di zucca da pulire
6/7 amaretti ridotti in polvere
1 cucchiaio di mostarda di mele
2 cucchiai di grana padano grattugiato
pangrattato (se serve per asciugare un po’ il ripieno) 
noce moscata (a piacere)
sale
 
Ho fatto cuocere la zucca in forno, poi l’ho liberata dalla scorza e l’ho frullata. Nella poltiglia di zucca ho aggiunto gli altri ingredienti, mescolando, e assaggiando…finchè il gusto non mi ha convinto. Il pangrattato potrebbe non essere indispensabile, se la vostra zucca è bella asciutta. Il ripieno va preparato la sera prima, così ha il tempo di amalgamarsi per bene in frigo. Il sapore della mostarda diverrà più evidente il giorno dopo, ad esempio. Così vi potrete regolare ed eventualmente correggere il tiro! 😉
 
per la pasta:
200 g di farina 00
2 tuorli 
1 paio di cucchiai di albume
sale
 
Ho sbattuto leggermente i tuorli con un pizzico di sale. Ho messo la farina a fontana sul tavolo e ho versato i tuorli nel centro, cominciando ad impastare. Molto probabilmente, se non avete tuorli di gallina gigante, vi servirà dell’albume per amalgamare tutta la farina… Ad ogni modo l’impasto deve essere piuttosto asciutto.
Fatto un panetto, si lascia riposare avvolto in un panno per mezz’ora. Poi ci si rimbocca le maniche e si comincia a stendere la sfoglia. (Se avete la macchinetta, buon per voi, io ho fatto con il mattarello!!!)
 
Dalla sfoglia che deve essere sottilissima, ho ricavato dei quadrati di 8 cm di lato con un coppapasta. Poi ho deposto su un angolo una pallina di ripieno e ho arrotolato il tortello da un vertice all’altro, avvolgendo la pallina, schiacciando le estremità e congiungendole a tortello…così:
 
 
Quando tutti i tortelli erano pronti, la fatica sta solo nello stendere la sfoglia, li ho fatti riposare in frigo per un po’ ed infine lessati in acqua bollente salata.
 
Il condimento tradizionale è burro fuso e grana grattugiato, ma la zucca si presta anche ad altri abbinamenti.
Io li ho conditi con 25 cm di salsiccia sbriciolata, fatta insaporire in olio evo e vino bianco, e una manciata di pinoli…erano sublimi!!!
 
tortelli-mantovani-con-zucca-e-amaretti
 
Questa volta abbiamo voluto esagerare e ci abbiamo anche abbinato un vino…le nostre ricerche ci indirizzano su un Lambrusco…noi invece ce li siamo pappati con una Bonarda vivace dell’Oltrepò pavese.

 

ai fornelli

Il tricolore nel piatto

Questa volta mi sono proprio voluta divertire…Il tema del contest di Calimera di Pillole Culinarie è la cucina tricolore e la bandiera italiana nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia e mi sono detta, beh, se così dev’essere che tricolore sia!!!
Ho pensato a tre creme morbide, da poter essere servite come antipasto in ciotoline tonde, e ho pensato a sapori “italiani” e non troppo sofisticati. Inizialmente avevo dei dubbi sull’effetto che potessero avere 3 sapori diversi accostati così da vicino.
 
Ho insaporito degli spinaci con il parmigiano, dei fagioli con aglio e cipolla, dei pomodori secchi con capperi e acciuga. Alla fine della lavorazione ciascuna crema era saporita di per sé, ma non solo: l’accostamento delle tre era addirittura strabiliante!!
Alcune dosi sono approssimative perché ho fatto un po’ ad occhio. Per quanto riguarda il tempo di preparazione ho messo fagioli cannellini e spinaci ad insaporirsi contemporaeamente e intanto ho preparato la crema di pomodori secchi. Si fa in fretta, l’unica noia è dover lavare il bicchiere del frullatore tra una crema e l’altra…cosa che potete ovviare se avete quello ad immersione.
La ricetta: Tricolore in crema  
(ne verranno 3 o 4 porzioni)

Per la crema di fagioli:
300 g di fagioli cannellini già ammollati e lessati
Sale
½ cipolla piccola
1 spicchio d’aglio
1 foglia di alloro

Per la crema di spinaci:
8 cubetti di spinaci surgelati
olio
sale
parmigiano grattugiato
1 noce di burro

Per la crema di pomodori secchi:
8 pomodori secchi sott’olio
qualche cappero
1 acciughina


Ho preparato un pentolino con la cipolla, l’aglio e una foglia di alloro, ho fatto scaldare leggermente e ho versato i cannellini lessati. Ho fatto insaporire il tutto per una decina di minuti, regolando di sale. Poi ho spento e frullato il tutto, aggiungendo dell’acqua per regolare di consistenza.

Contemporaneamente in una padella larga ho messo un filo d’olio e i cubetti di spinaci surgelati. Li ho fatti sciogliere e ho proseguito la cottura per una decina di minuti, regolando di sale. Poi ho frullato il tutto, aggiungendo un paio di cucchiaiate di crema di fagioli – che deve dare consistenza, ma non prevaricare il sapore – e il parmigiano grattugiato a piacere. Una volta riversata la crema in padella, ho aggiunto una noce di burro.

Mentre fagioli e spinaci cuocevano ho preparato la crema di pomodori secchi: ho versato 8 pomodori secchi sott’olio nel mixer con qualche cappero, un’acciughina e una cucchiaiata di cannellini ad amalgamare il tutto. Ho frullato a lungo fino ad ottenere una consistenza cremosa, aggiungendo qualche goccio d’acqua e l’olio a filo finchè non era tutto ben amalgamato e cremoso.

Crema di cannellini e crema di spinaci vanno deposte nei piatti ben calde, quella di pomodori va bene a temperatura ambiente.

Noi abbiamo accompagnato la crema tricolore con panini al latte aromatizzati al rosmarino.

Come ho detto in apertura con questa ricetta partecipo al contest “La Cucina Tricolore” di Pillole Culinarie.
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Cavatiell’ ai broccoletti e olive con Cacio Antico

I cavatelli, o cavatiell’ in dialetto molisano, sono un formato di pasta di grano duro che nasce in Molise ma che viene successivamente adottata in tutto il sud Italia: in Puglia, Calabria, Basilicata, Campania e Sicilia. Il nome si riferisce alla forma che viene data al pezzo di pasta scavandolo o “cavandolo” con la punta del pollice.
Talvolta all’impasto vengono aggiunte anche patate.
I sughi tradizionali per condire i cavatelli sono quasi tutti a base di pomodoro; a seconda delle zone vengono conditi con ragù di carne di maiale, con sugo e salsiccia, con sugo aglio e finocchio, con il cacioricotta o ancora con broccoli o cardoncelli.

I cavatelli che ho usato per questo piatto erano freschi e provenivano da Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, gentilmente offerti da Antonella e Beppe; per il condimento ho usato broccoletti freschissimi e un cacio sbricioloso di pecora che ho comprato ieri alla fiera della Coldiretti a Torino in piazza Vittorio dall’ azienda Gennargentu di Bruno Pitzalis. La denominazione di questo formaggio è “Cacio Antico” e questo nome agisce come vera e propria suggestione per preparare il palato ad un’esplosione di gusto!

La ricetta: Cavatiell’ ai broccoletti e olive con Cacio Antico
Ingredienti per 2 persone:
250 g di cavatelli freschi
250 g di broccoli (da cui ricavare solo le cimette verdi)
una decina di olive verdi
una grattugiata abbondante di cacio antico di pecora
olio
1 peperoncino secco
tre filetti di alici
sale

Ho pulito i broccoli, tenendo solo le cimette verdi. Li ho sbollentati in acqua bollente, senza  aggiungere sale, per qualche minuto. Al momento di scolarli ho tenuto l’acqua di cottura, aggiungendone un po’ per lessare successivamente la pasta.
In una grande padella ho messo tre cucchiai d’olio, il peperoncino sminuzzato e un grande spicchio d’aglio a soffriggere; poi ho tolto la padella dal fuoco e ho aggiunto i filetti di alice, facendoli sciogliere.
Ho rimesso la padella sul fuoco e vi ho aggiunto i broccoletti spezzettati grossolanamente.
Intanto ho messo a bollire l’acqua per la pasta.
Quando ho visto che i broccoli si erano ammorbiditi (non devono spappolarsi troppo) ho aggiunto le olive sminuzzate e ho regolato di sale.
Intanto ho fatto cuocere i cavatelli (per i miei bastavano 5 minuti).
Ho scolato la pasta e l’ho fatta saltare in padella con il condimento, aggiungendo un filo d’olio a crudo e il cacio antico grattugiato direttamente nel piatto.


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Il Cappon Magro dell’estate

Il Cappon Magro è un piatto di origine antica. 
Le leggende sulla sua nascita sono tante ed ognuna sembra raccontare una parte di verità.
Alcuni dicono che una preparazione simile veniva portata dai marinai sulle navi, l’aceto infatti permette la conservazione dei cibi deperibili.
Altri fanno risalire l’origine del nome alla contrapposizione tra il pesce cappone e il cappone da cortile. Per rispettare le regole alimentari del periodo quaresimale e delle altre vigilie, il cappon magro appagava l’occhio e il gusto, senza essere carne.
Altri ancora parlano della composizione scenografica a strati come di un’invenzione rinascimentale o barocca, quando le tavole imbandite davano lustro ad una casata anche con bizzarre sculture di cibo.
Altri ancora dicono che il cappon magro in origine era un cibo tutt’altro che nobile e che si facesse con gli avanzi dei banchetti recuperati dalla servitù.
Tante diverse spiegazioni per un piatto che affascina, innanzitutto per i suoi colori, per la sua struttura che sfida la gravità e infine per la freschezza datagli dall’aceto. 
Cibo tradizionale della vigilia di Natale, ma anche per il periodo quaresimale, recentemente è riproposto in ristoranti raffinati, con bellissime monoporzioni.
La sua preparazione, un po’ lunga, è facilissima e può essere preparato in casa, in anticipo e sfoderato in un battibaleno.
Io ho fatto una versione con verdure estive, quindi non ci sono broccoletti, cavolfiori e rape rosse, ma altre verdure colorate che si trovano in questo periodo.
La decorazione superficiale può essere fatta con qualsiasi frutto di mare voi abbiate a disposizione. Nelle mie monoporzioni c’era una semplice seppiolina infilzata.

La ricetta: Cappon Magro estivo
ingredienti (per 4 monoporzioni – le coppette erano di 10 cm di diametro)
4 rapanelli (più qualcuno per decorare)
una manciata di fagiolini
2 carote
2 patate medie
1 peperone
3 nasellini (piccoli, va bene qualsiasi pesce a carne bianca, quello che trovate o che vi fa più comodo utilizzare; anche avanzato, purchè sia sufficiente per fare un bello strato)
gallette del marinaio (io non sapevo dove andare a pescarle e ho usato delle gallette integrali, vanno bene anche sottili fette di pane raffermo a mollica fitta) 

per intervallare ogni strato: salsa verde alla ligure preparata almeno 24 ore prima
Ho fatto lessare in acqua salata le verdure separatamente, in modo che fossero al dente, le ho affettate e condite in tanti piattini separati con olio e qualche goccia di aceto. Man mano che si raffreddano si possono mettere in frigo, in attesa che tutte le verdure siano pronte.
Ho lessato il pesce e l’ho condito con olio e limone.
Ho rivestito le ciotole con pellicola per alimenti, poi ho cominciato a mettere gli strati di verdurine.
Prima le fettine di ravanello, poi fagiolini, rondelle di carota, fette sottili di patata, listarelle di peperone, uno strato spesso di pesce a filetti. Ogni strato deve essere intervallato dalla salsa verde alla ligure.
Sopra il pesce ho messo la galletta, pressando bene e poi spruzzandola di aceto.
Ho ripiegato i lembi di pellicola sulla galletta, richiudendo il tutto e mettendo le ciotole in frigo.
Io ho lasciato in frigo una notte intera, tutti gli ingredienti si compattano ben bene e si insaporiscono di salsa.
Al momento di servire, ho capovolto le ciotole nel piatto e decorato con una seppiolina sbollentata e portato in tavola con focaccia genovese ancora tiepida fatta con questa ricetta di Vittorio Viarengo.

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La mia cena cinese fatta in casa

Ci pensavo già da qualche giorno, da quando avevo visto la ricetta degli involtini primavera sul blog di Vera. Ho pensato che invece di fare il solito pollo alle mandorle potevo abbinare diversi piatti.

Il caso ha voluto che incrociassi anche la foto dei Mantou in una mostra sul pane che c’è alle Ex OGR qui a Torino. Questi famigerati mantou, io non li avevo mai sentiti… Si tratta di pane cinese, un pane lievitato e poi cotto a vapore, che resta sofficioso e bianco e che si trova coniugato in diverse declinazioni anche in Giappone, Corea e Filippine. 
Alcuni li servono anche in versione dolce, facendo bocconcini piccini e bagnandoli in una salsa che assomiglia al latte condensato.
Quindi sono andata alla ricerca della ricetta dettagliata. Ho trovato diverse alternative in rete, ma alla fine ho usato, come al solito, una soluzione mia, mescolanza di tutte le altre…diminuendo un po’ le dosi, per l’esigenza di non riempirmi la casa di panini cinesi, (come Heidi aveva riempito l’armadio di panini bianchi!!! Qualcuno se la ricorda?).

Infine c’era il pollo alle mandorle, che preparo abbastanza spesso, perchè mi piacciono i piccoli pezzettini sugosi e la croccantezza delle mandorle.

Alla fine di un pomeriggio full immersion nella cucina cinese ho pensato che il detto “lavorare come uno schiavo” non era più azzeccato…quindi è stato prontamente sostituito con “lavorare come un cuoco cinese”!!!

Ora metto tutte le ricette e un po’ di foto!!!
Qǐng xiǎngyòng! [Buon appetito!]

Gli involtini primavera.

Ho seguito pari pari la ricetta di Vera che trovate qui.
Per mia comodità metto le dosi che ho utilizzato, con le quali ho confezionato 12 involtini.
per le sfoglie:
150 g di farina (anche farina di riso)
50 g di semola fine
375 g di acqua
1 cucchiaino di sale
per il ripieno:
1/3 di un cavolo cappuccio
1 carota grossa
1/2 porro
2 cucchiai di salsa di soia (io uso quella dolce, così poi regolo di sale alla fine, per non trovarsi con un cibo troppo salato nel piatto)
per friggere:
olio di arachidi
Il procedimento è spiegato molto bene, perciò non aggiungo altro, se non qualche consiglio:
–  non fare la sfoglia troppo spessa, altrimenti è a rischio rottura durante l’arrotolatura; 
–  non fare la sfoglia troppo sottile, altrimenti è a rischio rottura durante la frittura;
– mettere gli involtini pronti, in attesa di essere fritti, in un piatto leggermente unto, altrimenti c’è il rischio rottura;
– friggere bene il primo lato prima di girare l’involtino, altrimenti si è a rischio rottura;
A parte queste accortezze, è abbastanza facile farli, anche se occorre un po’ di pazienza!!!
Io ne ho fritti solo sei, gli altri li ho avvolti in pellicola per alimenti e congelati.
Il ripieno dei miei involtini mi è sembrato più saporito di qualsiasi altro assaggiato in ristorante cinese, ma credo che fosse l’adrenalina per essere riuscita a prepararli!! 🙂
belli dorati
Pollo alle mandorle
(per 2 persone)
circa 250 g di petto di pollo, (peso già privo di scarti)
35 g di mandorle pelate
salsa di soia dolce (da aggiungere a piacere)
mezzo bicchiere di vino bianco
un cucchiaio di farina
sale, olio
Per prepararlo, taglio il pollo, ben pulito, a cubettini di un cm di lato e lo metto a marinare in frigorifero, con il vino bianco e la salsa di soia. Deve marinare un paio d’ore, in modo che si insaporisca bene. Mezz’ora prima di cuocere aggiungo anche le mandorle nella marinatura.
La cottura sarà molto veloce, perchè i pezzettini così piccoli cuoceranno in un attimo, quindi la marinatura è molto importante.
Nell’olio caldo, verso i pezzettini di pollo e le mandorle, facendoli rosolare per qualche istante. Poi aggiungo il liquido di marinatura e lascio cuocere per qualche minuto.
Diluisco la farina con un cucchiaio del brodino di cottura e poi aggiungo il tutto in padella. Servirà per far rassodare il sughetto e renderlo vellutato.
Regolare di sale prima di servire.
il pollo alle mandorle
Mantou (Panini cinesi al vapore)
ingredienti (per 8 mantou, più una parte di impasto che andrà a costituire 6 baozi):
per l’impasto:
200 g di farina
1/4 di bustina di lievito secco (bustina da 7g)
la punta di un cucchiaino di zucchero
80 ml di acqua

Una parte di questi mantou sono diventati baozi, ovvero hanno accolto un po’ di ripieno dell’involtino primavera, oppure un ripieno fatto con la carne tritata di maiale. Così ripieni ci sono piaciuti di più, concettualmente assomigliano ai ravioli al vapore, ma rimangono gonfi perchè lievitati.

per il ripieno dei baozi:
qualche cucchiaiata del ripieno degli involtini primavera
3 cucchiai di carne tritata magra di maiale
due cucchiai di salsa di soia dolce
sale
un pezzetto di cipolla tritata

Ho sciolto il lievito in acqua con la punta di zucchero ed ho aspettato che si formasse la schiumetta in superficie (circa 15 minuti).
Ho cominciato ad aggiungere acqua alla farina e ad impastare con una forchetta e quando la palla si è staccata dai bordi della ciotola ho aggiunto un piccolo pizzico di sale.
Ho impastato a lungo ed energicamente sulla spianatoia, finchè la pasta non è diventata liscia.
Ho messo a lievitare in un luogo riparato.
Dopo un’ora ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato e rimesso a lievitare per un’altra mezz’ora.
Passato questo tempo ho messo su una pentola piena d’acqua la gratella per cuocere le verdure a vapore. Sarebbe meglio avere i cestini di bambù che utilizzano nei ristoranti cinesi…ma come immaginate non ne ero fornita!! 😀
Ho fatto delle palline grandi come albicocche. In realtà consiglio di farle più piccole, perchè in questo modo il panino cresce meglio e cuoce uniformente; bisogna tener presente che in cottura lieviterà e quindi bisogna lasciargli lo spazio tutto intorno.
Perchè non si attaccassero ho messo una spolverata di semola sul fondo.

i miei mantou sono un po’ grandi…
Con una parte di impasto ho fatto dei baozi. E’ sufficiente prendere una porzione di impasto schiacciarla come se fosse una focaccetta e riempirla con verdure o carne ed infine richiuderla pizzicandone il bordo. Io ho usato una parte del ripieno degli involtini primavera e un altro ripieno fatto con carne tritata di maiale, passata velocemente sul fuoco con cipolla e salsa di soia.
Poi si cuociono a vapore come i mantou.
Questi panini si servono caldi ma, se non avete una cucina professionale con cento fornelli, potete tenerli in un piatto, a portata di calore, mentre si finiscono di preparare gli altri piatti!!! 

Quelli tondi sono baozi con verdure, quelli lunghi baozi con carne…brutti ma buoni
Ecco il ripieno del baozi

Vi lascio con una breve leggenda sulla nascita dei mantou.

Si narra che il conquistatore Zhuge Liang di ritorno da una delle sue campagne di conquista si trovò davanti un fiume talmente impetuoso che sembrava impossibile guadarlo. Un saggio gli disse che era usanza sacrificare cinquanta uomini per placare gli dei dell’acqua, ma Zhuge Liang era stanco di spargere sangue. Allora fece macellare le bestie che viaggiavano insieme all’esercito e con la loro carne farcì dei panini a forma di testa, tondi sopra e piatti alla base, che fece gettare nel fiume. Dopo che l’attraversamento ebbe successo, ribattezzò questi panini mantou, ovvero testa di barbaro.
ai fornelli, storia & cultura

Sformatini di couscous con pomodorini, vongole e feta

Il couscous è un piatto antichissimo che affonda le sue radici nella leggenda, infatti si narra che Re Salomone se ne fosse cibato per trovare sollievo dalle pene d’amore provate per la Regina di Saba.
Lasciando la leggenda per la storia, la prima menzione del piatto con questo nome è in un libro andaluso di cucina del XIII secolo. L’autore del volume parla di una meravigliosa ricetta da lui gustata a Marrakesh, l’alcuzcuz fitiyani, descrivendone la ricetta e specificando che esso era già ben conosciuto in tutto il mondo. Non esagerava, visto che durante la dinastia Nasrid, che governò Granada in quegli anni, al couscous era stato addirittura dedicato un poema.
In Andalusia e in tutta la Spagna il couscous era arrivato con gli arabi, ma è assai più probabile che la più importante diffusione sia avvenuta attraverso le migrazioni delle popolazioni berbere del Nord Africa. Infatti in lingua berbera il couscous viene chiamato kuskusu, kisksu, siksu, kusksi, kuskus, a seconda dei dialetti, ma non è mai preceduto dall’articolo al, come avviene nelle pietanze di origine araba.
Linguisti e antropologi, non sazi di notizie e couscous, ipotizzano che le radici di questo cibo si possano far risalire all’Africa sub sahariana e che quello che è stato poi traslato in Europa non sia altro che una rielaborazione di un piatto preparato dalle schiave nere dei tuareg e delle facoltose famiglie marocchine. Il piatto d’origine è ancora ben noto in Senegal e viene chiamato bassi salté; si tratta di un piatto da pastori che ben si adattava al nomadismo degli antichi berberi.
Esiste anche una geografia del couscous che scorrendo la superficie del Nord Africa si ferma all’improvviso al golfo della Sirte, a metà della costa libica, cedendo il passo, verso Oriente al bulghur, letteralmente “grano spezzato”.
Oggi indichiamo con couscous sia la semola preparata appositamente, sia il piatto finito con accompagnamento di carni e verdure. In Nord Africa si serve tradizionalmente in un grande vassoio rotondo, dove attingono tutti i commensali. Basta questo per capire la ritualità e convivialità di questo piatto. Esso segna anche la fine del Ramadan, assumendo una connotazione positiva di abbondanza e benedizione divina.
Rituale anche la sua tradizionale preparazione, alla quale si dedicavano, naturalmente, le donne; esse si riunivano tutte insieme per vari giorni, per preparare una grande quantità di cous cous in grani che si poteva poi conservare per dei mesi. Durante la cottura a vapore della semola non bisognava parlare di cose nefaste ma solo di affetti e di buoni propositi, ma il carattere rituale della preparazione attirò in Spagna l’attenzione nefasta dell’Inquisizione che arrivò a proibirne l’uso!!! Non con grande successo, a quanto pare, visto che il piatto proibito è arrivato fino ai giorni nostri e ormai dappertutto, tanto che si potrebbe creare una mappa dei flussi migratori, seguendo i granelli di couscous.
Lo troviamo in Italia, nel trapanese, cucinato sotto forma di zuppa di pesce ma, fatto ancor più sorprendente, lo troviamo a pieno titolo nella cucina brasiliana, unico risultato positivo della nefasta tratta degli schiavi dall’Africa occidentale, fino a diventare piatto simbolo di Sao Paulo sotto forma di sformato e di dolce.
Per noi mangiarlo è molto più semplice! Il couscous si trova precotto e dà rapidi ed ottimi risultati! L’ideale è accompagnarlo alle carni e verdure della tradizione o a un piatto umido di pesce, ma per uno spuntino leggero, durante la calura estiva, ce lo concediamo anche così.

La ricetta: Sformatini di couscous con pomodorini, vongole e feta
Non faccio la lista degli ingredienti, perchè mi sono regolata ad occhio.
Il cous cous basta reidratarlo ed è pronto in un attimo; le vongole erano in barattolino, e le ho fatte solo saltare in padella con olio, aglio, un dito di vino bianco e prezzemolo, badando a lasciarle umide, perchè il loro sughino condirà il couscous; la feta l’ho tagliata a dadini, i pomodorini anche e li ho conditi con olio e sale e lasciati insaporire per una ventina di minuti.
Poi ho mischiato tutti gli ingredienti al couscous appena tiepido, ho unto due stampini e vi ho messo il tutto all’interno. Poi ho pressato bene e messo in frigo.
Al momento di servire ho capovolto lo stampino nel piatto e via!
La cosa più lunga da fare sono state le foto!!! 😀

ai fornelli

Cavoli a Merenda ovvero la Sfoglia del Cavolo!!! (per il contest di Cristina di Pan per Focaccia)

Il sottotitolo sarebbe “come trasformare una ricetta dal nome poco appetibile in una vera prelibatezza“.
In effetti sfido molti di voi a farsi venire l’acquolina davanti a una pausa pranzo a base di pastasfoglia farcita di cavolo. E io stessa, fino a poco tempo fa non me lo sarei sognato neppure!! Poi è arrivato questo periodo di sperimentazioni – e il blog – e il cavolo è entrato a pieno titolo nella mia cucina. Con successo direi.
Ho pensato che questa ricetta fosse adatta al contest “Una gita senza formaggio” di Cristina del blog Pan per Focaccia , perchè è ad alta percentuale di portabilità, perchè il cavolo si trova tutto l’anno, perchè è più buona fredda che appena sfornata e sicuramente non è la solita torta!!!
Inoltre la preparazione è veloce ed occorrono pochi insaporitori, che di solito abbiamo in casa!
Un’idea in più potrebbe essere fare delle monoporzioni, ancora più comode da mangiare fuori casa.
Per una tortiera da 23 cm ho usato:
mezzo cavolo bianco
1 spicchio d’aglio
3 filetti di acciuga
olive verdi e nere a piacere
fettine di speck (circa 100 g, in quantità tale da rivestire il fondo della teglia)
1 peperoncino
olio evo
sale
Ho pulito il mezzo cavolo e l’ho affettato finemente, per ottenere delle striscioline di mezzo cm di larghezza.
Intanto in una padella larga ho messo qualche cucchiaio di olio extravergine d’oliva e un grosso spicchio d’aglio a soffriggere leggermente. Se vi piace potete aggiungere un peperoncino secco sbriciolato [a me piace!!! :)].
Poi ho tolto la padella dal fuoco, ho fatto intiepidire leggermente l’olio, perchè non schizzasse, e vi ho versato le acciughine, facendole sciogliere.
Ho rimesso la padella sul fuoco, ho aggiunto quasi subito il cavolo tagliato finemente facendolo insaporire. Ho aggiunto le olive verdi e nere snocciolate, ho aggiustato di sale e ho fatto cuocere per circa dieci minuti, rigirando ogni tanto. Il cavolo deve restare croccante e quindi non deve cuocere di più.
Ho lasciato intiepidire il tutto.
Poi ho riscaldato il forno a 180°.
Ho steso la sfoglia nella teglia e l’ho rivestita con le fette di speck, salendo anche un pochino sul bordo.
Vi ho versato il cavolo e ho ripiegato il bordo di sfoglia verso l’interno.
Lasciare in forno fino a doratura, dai 30 ai 40 minuti.
Si gusta fredda o leggermente tiepida!!!  Provatela!!!
Con questa ricetta, come ho detto sopra, partecipo al contest di Cristina “Una gita senza formaggio”.
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