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ai fornelli, ricette originali, ricette tradizionali

Gnocchi di ricotta con sugo di pomodoro costoluto di Pachino IGP

Parliamo ancora una volta di pomodoro di Pachino IGP. Questa volta il protagonista è il costoluto.
Si tratta di un pomodoro grande, rispetto ai cugini ciliegino e tondo
liscio, con le coste molto marcate – da cui, appunto, il nome – e con un
bel pizzetto appuntito nella parte più bassa. Il periodo ottimale per
la produzione della tipologia è l’inverno – non dimenticate che a
Pachino siamo nell’estremità più a sud della Sicilia – e per questa
ragione sta pian piano tendendo a sostituire, nelle preferenze degli
italiani, il tondo insalataro per il consumo crudo. Viene colto ancora
di un bel verde brillante, che diventa rosso con la maturazione. Il
pomodoro costoluto richiede un terreno dall’alta salinità, per esprimere
tutta la sua aromaticità.
Come detto è ottimo per il consumo in insalata, soprattutto
quando è verde o sta appena virando verso il rosso. Quando è più maturo
diventa un ottimo pomodoro da sugo
.
Io l’ho utilizzato per creare un sugo semplicissimo di pomodoro fresco
con cui ho condito i classici gnocchi di ricotta, facilissimi da fare e
perfetti come piatto unico. Pochissimi ingredienti per una ricetta di
grande soddisfazione.

Ho letto che queste polpettine di ricotta sono tradizionali
calabresi, ma io le ho sempre mangiate preparate da mia mamma, sarda,
che ha imparato a farle da sua madre…qualcuno sa dirmi qualcosa di più? 😀
La ricetta: Gnocchi di ricotta con sugo di pomodoro costoluto di Pachino IGP

250 g di ricotta
40 g di pecorino grattugiato
1 tuorlo
pangrattato qb
3-4 pomodori costoluto di Pachino IGP
olio extravergine di oliva
sale
4-5 foglie di basilico
Per il sugo: incidere la buccia dei pomodori, sbollentarli per 5
minuti, lasciarli raffreddare e sbucciarli. Passarli al passaverdure.
Affettare finemente una cipolla, farla rosolare in due cucchiai d’olio
extravergine; poi aggiungere il pomodoro e lasciar cuocere per mezz’ora.
Regolare di sale ed aggiungere le foglie di basilico.
Per gli gnocchi: in una ciotola mescolare la ricotta con un pizzico
di sale, l’uovo, il pecorino grattugiato e tanto pangrattato quanto
serve a dare una consistenza lavorabile. Formare tante palline della
grandezza di una noce.

Portare ad ebollizione una pentola d’acqua e sbollentare gli gnocchi, poi passarli in padella nel sugo preparato in precedenza.


Le altre ricette con i pomodori di Pachino IGP le trovate qui:


ai fornelli

Brioche salata con asparagi, champignons e mozzarella

Nonostante la situazione di estrema emergenza (e aspettate che
arriverà presto un post che spiegherà tutto il finimondo successo
martedì scorso con la cancellazione del blog da parte di un attacco
hacker che “manco fossi la Banca d’Italia”) mi appresto, prima che sia
troppo tardi, a pubblicare la seconda e ultima ricetta per il contest Impastando s’impara – Blogger love Qb, con Valentina e le farine bio del Molino Grassi.Avete visto le focaccine nere impastate con la Multicereali,
vorrei ora spendere un paio di parole sulla Manitoba. Quando ho mandato
la candidatura al contest l’ho fatto perchè amo impastare e il pane e i
lievitati sono tra le ricette che più mi diverte fare, assieme alla
pasta fresca. Ero contenta di provare delle nuove farine ma non sapevo
cosa sarebbe arrivato… Ecco, queste farine mi hanno letteralmente conquistata. Assorbono i liquidi che è una meraviglia, sono piacevoli da lavorare…ma soprattutto sono saporite!
Anche il pane più semplice, come quello che faccio io 3 volte alla
settimana, insaporito con un solo cucchiaio d’olio e nient’altro, è
strabiliante con queste farine.
La Montana Manitoba*** Qb di Molino Grassi, è arricchita con farro e segale
bio, ed ha un sapore molto particolare e pieno, ben diverso dalla comune
Manitoba a cui ero abituata…
Sono farine buone, non solo da lavorare, ma proprio da gustare!
Proprio con questa seconda farina del Molino Grassi ho preparato una brioche salata ripiena di verdure di stagione.
La preparazione è piuttosto veloce, grazie al lievito di birra
disidratato, e con qualsiasi verdura spunti fuori dal frigo, diventa un
perfetto risolvi-cena!
***miscela di farina tipo 0 di grano tenero Manitoba biologico,
proveniente dalla regione delle Grandi Praterie Canadesi, a cui la
presenza di farina di farro spelta biologico, nato nella zona del Mar
Caspio 7.000 anni fa, e della farina di segale biologica regalano un
gusto particolare.

La ricetta: Brioche Salata con asparagi, champignons e mozzarella

per l’impasto:
225 g di farina Manitoba Qb Molino Grassi
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaino di zucchero
2 g di lievito di birra disidratato
20 g di burro sciolto
125 ml di latte tiepido
1 tuorlo

per il ripieno:
250 g di asparagi
150 g di champignons piccoli
125 g di mozzarella fiordilatte

In una ciotola capiente miscelare la farina con il lievito.
Aggiungere il burro fuso, intiepidito, al centro della farina e
mescolare, fino a formare un composto simile alla mollica di pane.
Aggiungere il latte tiepido, il sale, e per ultimo il tuorlo. Impastare
sulla spianatoia per almeno dieci minuti.
Riporre in una ciotola unta coprendo con pellicola e attendere il raddoppio.
Nel frattempo preparare il ripieno.
Affettare a rondelline gli asparagi, eliminando solo la parte più dura del gambo e pulire e tagliare in quarti gli champignons.
In una padella stufare le verdure con un cucchiaio d’olio, aggiungendo,
quando serve qualche goccino d’acqua, finchè non sono morbidi. Regolare
di sale e di pepe nero.
Quando l’impasto è raddoppiato, sgonfiarlo e lasciarlo riposare per
dieci minuti; poi stenderlo in una sfoglia sottile, di forma ovale.
Mettere al centro gli asparagi e champignons preparati in precedenza e
intiepiditi e la mozzarella, lasciata a temperatura ambiente e tagliata a
pezzettini.
Sui lati dell’ovale fare tanti tagli paralleli, come i denti di un
pettine e, per chiudere la brioche, intrecciare tutti i tagli,
alternandoli, partendo dall’alto.
Lasciar crescere per almeno mezz’ora.
Scaldare il forno a 200°.
Spennellare la superficie della brioche con latte tiepido.
Abbassare la temperatura del forno a 190° ed infornare subito.
Lasciar cuocere per circa 30minuti.
Attendere 5-10 minuti, prima di affettare.
La brioche si conserva benissimo fino al giorno dopo, è sufficiente riscaldarla a 100° per qualche minuto.

Con questa ricetta partecipo al contest di Molino Grassi.

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Aggiornamento del 27 aprile 2014:
Questa brioche, dalla preparazione semplicissima, che mi risolve
tanti pranzi o cene, è arrivata prima nella categoria Manitoba/Montana
al contest Blogger love Qb
.
Io sono felicissima ma soprattutto emozionata perchè andrò ad impastarla a Parma, a Cibus il 7 aprile! Ci vediamo lì! 😀

ai fornelli

Potage de Morteau, la zuppa più famosa della Franca-Contea

Questo mese, per il calendario La France à table, ci troviamo nella regione della Franche Comtée.

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È una delle poche regioni attuali che corrispondono in parte con un’antica provincia del Regno di Francia, e ciò spiega la forte identità regionale dei suoi abitanti. Prima del 1478 si parlava di una grande Contea di Borgogna, tale da rivaleggiare con il regno di Francia; successivamente ad una divisione interna, si cominciò a parlare di ducato di Borgogna e di Franca Contea.
Terra di confine fin dai tempi più antichi (e tutt’ora confina per ben 230 km con la Svizzera) si trovò spesso in situazioni di guerra e contesa fra popoli ed appartenne di volta in volta al Sacro Romano Impero, al regno di Francia e al ducato di Borgogna, fino al 1678, quando divenne definitivamente francese, dopo un trattato e dopo le perdite della sanguinosa “Guerra dei 10 Anni”.
In Franca Contea troviamo anche alcune attrazioni turistiche che da sole giustificherebbero il viaggio. 
il semicerchio realizzato
La prima è un’opera architettonica di Ledoux, uno dei padri e dei teorizzatori del neoclassicismo assieme a Boullée.
A lui viene commissionato il progetto per le Saline Reali di Arc-et-Senans, all’epoca di basilare importanza, in quanto il sal gemma era fondamentale per la conservazione dei cibi, ma anche per la produzione del vetro, e la gabella sul sale era una delle tasse più impopolari in Francia e probabilmente una di quelle che più scatenò il malcontento dei cittadini alla vigilia della Rivoluzione Francese (…assieme alle storia delle brioches, ovviamente! 😉 )
il secondo progetto
La parte di progetto realizzata, oggi Patrimonio Mondiale dell’Unesco, costituiva solo il nucleo centrale della città che si sarebbe andata a formare. Ledoux, al di là della scenografica impostazione con i colonnati classici, davanti agli edifici, e la forma a circolare del complesso principale, che richiamava le forme greche, aveva previsto una vera e propria città attorno alle Saline, con le abitazioni per gli operai e tutti i servizi, il primo tra tutti, seguito a ruota dai teorizzatori ottocenteschi di villaggi operai accanto alle fabbriche.
Forse il progetto di Ledoux era animato più dall’estremo bisogno di controllo per il prodotto finale, il sale, monopolio di stato e preziosissimo, che da veri propositi filantropici, ma resta un esempio mirabile e perfettamente recuperato, dopo il degrado visto dal 1895 al 1920.
Notre Dame du Haut à Ronchamp
La seconda attrazione è per gli appassionati di architettura contemporanea un vero caposaldo; parlo dell’opera di Le Corbusier, la Cappella di Notre Dame du Haut, costruita a Ronchamp, sul sito dove già in passato si trovava una cappella dedicata alla Vergine. Lo stile non proprio è fra i miei preferiti: essa, progettata e costruita tra il 1950 e il ’55 fa parte della corrente del bèton brut, il calcestruzzo grezzo, poi anche denominata brutalismo. Pochi fronzoli e tutta sostanza, insomma e l’utilizzo di materiali moderni e scarnamente essenziali.
Dal punto di vista della gastronomia, i prodotti tipici della Franche-Comtée sono famosi in tutto il Paese. 
Una breve parentesi la meritano i vini; siamo al confine con la Borgogna e il paragone sembrerebbe scontato, ma in realtà è la Franche Contée a fare la parte del leone, la sola regione al mondo che produca eccellenze in tutte le diverse tipologie di vino: i rossi, i bianchi, i rosé, i gialli e i vini passiti.
Ci sono poi i prodotti tipici. Moltissimi formaggi poichè ci troviamo in una regione a forte vocazione casearia. La Montbéliarde è la razza bovina a prevalenza lattiera più diffusa in Francia, e con il suo latte si producono i principali AOC francesi, tra cui il Comté.
La Belle de Morteau altro non è che una salsiccia di montagna, prodotta sopra i 600 metri ed affumicata e fa concorrenza alla sua corregionale Salsiccia di Montbéliard, che è un po’ più magra e sottile e un po’ meno affumicata.
Per tradizione, la Belle de Morteau viene esposta al fumo di trucioli di legno di ginepro e di altre piante resinose, per almeno 48 ore in tuyé, il nome caratteristico ed intraducibile dei focolari di montagna attorno ai quali si svolgeva la vita quotidiana e dove si affumicava la carne per la conservazione: un processo che durava da qualche settimana ai tre mesi durante l’anno.
Dal 2010 la Belle è diventata IGP e si riconosce per il tassellino di legno che ne chiude un’estremità e per la medaglietta che fa riferimento al produttore. I maiali, tutti nati ed allevati in zona, vengono alimentati in modo tradizionale, senza mangimi.

La ricetta, presa a grandi linee da epicurien.fr e poi modificata nelle dosi, presenta verdure diverse a seconda della stagione, ad esempio ci sono i fagiolini e gli spinaci che io non ho usato. In Francia utilizzano anche la creme fraiche che io ho omesso e una maggior quantità di latte e burro, che io ho ridotto. Ma ricordiamo sempre che si tratta di una zuppa di montagna, energetica e corroborante, sebbene la base sia di verdure povere.
Per quanto riguarda la salsiccia ho cercato una salsiccia affumicata di diametro grossino, circa 3 cm e l’ho lessata in acqua bollente, poi l’ho tagliata a fette e servita di completamento alla zuppa.
La ricetta: Zuppa al formaggio e Salsiccia di Morteau

(per 4 persone):

1 salsiccia di Morteau (o una salsiccia di maiale affumicata)
400 g di patate sbucciate e tagliate a dadi
400 g di cubetti di carote, porri, e cipolla
1 scalogno
100 g di cavolo cappuccio tagliato a striscioline
200 g di latte intero (in origine 500g)
30 g di burro (in origine 40 g di burro e 100 ml di creme fraîche)
1 cucchiaio d’olio 
100 g di Comté grattugiato (si può sostituire con un formaggio di montagna, come la fontina o la toma)
erba cipollina
sale
pepe
noce moscata
In una casseruola ho messo l’olio e il burro, li ho fatti scaldare e vi ho versato tutte le verdure, facendole insaporire per dieci minuti.
Ho ricoperto il tutto d’acqua ed ho aggiunto il latte.
Lasciar cuocere, rimestando di tanto in tanto per circa 40 minuti, senza far bollire, facendo appena fremere il brodo e il latte.
Nel frattempo bollire la salsiccia e tagliarla a fette spesse 2 cm e grattugiare grossolanamente il formaggio.
Passati i 40 minuti, aggiustare di sale, pepe e noce moscata, aggiungere il formaggio grattugiato e rimestare per farlo sciogliere, poi distribuire nelle fondine, completando con l’erba cipollina e le rondelle di salsiccia.

P { margin-bottom: 0È tutto! E se volete provarla, aspetto la vostra versione!
 

ai fornelli

Soppa tal qara ahmar da Malta per l’Abbecedario Culinario d’Europa

Questo mese per l’Abbecedario Culinario d’Europa tocca a Malta, paese ospitato dal blog Torta di Rose.
Inizio col dire che è un piccolo stato che mi affascina infinitamente, così, circondato dal mare, un arcipelago formato da tre isole. Si trova solo a 80 km dalla Sicilia e vicinissimo (si fa per dire, circa 300 km) dall’Africa. 
Il clima è caldo tutto l’anno, d’inverno la temperatura media è di 12° C e il sole la bacia per 3000 ore annue e deve essere davvero bello abitarci visto che Malta è lo stato più piccolo e densamente popolato di tutta l’Europa.
Le dominazioni si sono succedute nei secoli passati ed hanno fatto di Malta uno stato via via, fenicio, greco, cartaginese, romano, arabo, normanno, aragonese, francese ed inglese, senza scordare la più importante dominazione quella dei famosi Cavalieri di Malta: erano cavalieri monaci benedettini, costituiti come Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, durante la prima Crociata in Terra Santa, vassalli del Regno di Sicilia, stabiliti a Malta dal 1530, dopo la cacciata da Rodi, e fino al 1798, quando Napoleone, che come è risaputo era tutt’altro che religioso, li espulse dall’isola.
Dall’isola, i Cavalieri di Malta, con poche navi, ma con doti eccezionali di navigatori osteggiavano le razzie dei corsari ottomani attraverso il Mediterraneo. Attirarono le loro ire e furono cinti d’assedio nel 1565. Dopo 4 mesi i difensori di Malta erano ridotti da 9000 a 600. I turchi vennero finalmente messi in fuga dai rinforzi provenienti dalla Spagna, ma solo dopo aver perso 30000 uomini.
A quel punto, poichè era in rovina la vecchia capitale Mdina, fu necessario costruire una nuova capitale, e per farlo venne chiamato un ingegnere italiano, Francesco Laparelli, che per la vita interessante meriterebbe da solo un post tutto per sé, e che aveva già lavorato al Vaticano e Castel Sant’Angelo ed era validissimo ma anche “raccomandato” dal Papa. 
Jean Parisot de la Valette
La Valletta, che prese il nome dal Gran Maestro dell’Ordine, Jean de La Valette, nell’immagine qui accanto con un sobrio abito, fondata quindi nel 1566, venne edificata negli edifici di base nel giro di un paio d’anni, ed era completamente fortificata nel 1571, alla vigilia della famosa Battaglia di Lepanto, con attenzione estrema al progetto, con strade perpendicolari e tutte le caratteristiche di una città all’avanguardia per l’epoca. Nel giro di 15 anni, anche la cattedrale e le altre fortificazioni, furono ultimate, fatto straordinario se pensiamo alle fabbriche del Duomo di Milano o di Notre Dame. Oggi è Patrimonio Mondiale dell’Unesco, ma all’epoca della sua fondazione il promontorio era completamente deserto, una roccia della penisola del Monte Sceberras, a picco sul mare, con due insenature naturali molto profonde ed adattissime a divenire porti.
Laparelli ebbe la possibilità di progettare la città perfetta e un complesso sistema di infrastrutture: tubazioni per portare l’acqua fresca in tutta la città, il miglioramento delle condizioni igieniche attraverso le fognature ed addirittura una sorta di condizionamento dell’aria attraverso le strade strette per la particolare angolazione, rispetto alle coste, con la quale furono tracciate. La bella città finì per attirare gli abitanti delle isole vicine, non solo per la sicurezza dei suoi bastioni, ma anche per le ottime condizioni abitative.
Veduta di La Valletta del 1680

Intorno al 1630 La Valletta ospitò Caravaggio, che era stato accolto nell’Ordine dei Cavalieri di Malta per le sue doti di artista ed era in fuga da Roma, dove aveva ucciso un uomo nel corso di una rissa; anche a Malta, però, finì per mettersi nei guai e dovette scappare di nuovo!

Dopo Napoleone e la Francia nel 1798, l’arcipelago di Malta venne preso dagli inglesi per la sua posizione strategica lungo le rotte tra Gibilterra e l’istmo di Suez.
A Malta si sviluppò un forte sentimento filoitaliano dagli inizi del ‘900, con un vero e proprio picco nel 1919, quando l’esercitobritannico fece fuoco su un gruppo di manifestanti maltesi, scontenti per alcune tasse troppo alte. L’episodio è commemorato ancora oggi come Sette Giugno (in italiano), ed è festa nazionale. La simpatia maltese per l’Italia venne ancora repressa nel 1934, quando venne eliminato l’italiano dall’elenco delle lingue ufficiali a favore dell’inglese e del maltese. eppure ancora oggi molti lo parlano,
o quanto meno lo comprendono, potere dei canali tv italiani, che dalla Sicilia si prendono fin lì.
Malta ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1964 e dieci anni dopo diventò Repubblica.

Per la ricetta da presentarvi sono andata a cercare qualcosa che avesse un sapore tutto mediterraneo. Mi è balzata agli occhi questa zuppa, che unisce il pomodoro e la zucca al semolino, molto usato nei piatti mediorientali.

 

Non fatevi impressionare dal nome maltese, è semplicissima da preparare e diversa dalle solite creme di zucca, per l’equilibrio che l’acidulo pomodoro conferisce al dolce ortaggio autunnale e per la consistenza che ricorda un po’ una morbida polentina.

Se volete accompagnarla in modo tradizionale, preparate per tempo il tipico pane maltese a lievitazione lunga e a tre tempi.
[le immagini e le informazioni sono estrapolate da wikipedia, visitmalta.com e da ilovefood.com.mt]
La ricetta: Soppa tal qara ahmar (zuppa di zucca e pomodoro con semolino)
(ricetta leggermente modificata da http://www.ilovefood.com.mt)
ingredienti per 3 porzioni:
450 g di zucca, pulita e tagliata a cubi
250 g circa di polpa di pomodoro
35 g di semolino
1  cipolla 
1 cucchiaio di olio
Sale e pepe
Parmigiano grattugiato
3 fette di pane a cubetti e tostate in forno 
Ho sminuzzato finemente la cipolla e l’ho messa a dorare in un cucchaio abbondante d’olio, rigirando continuamente. Ho aggiunto il pomodoro e la zucca a cubetti ed ho lasciato insaporire per 5 minuti, mescolando continuamente. Poi ho aggiunto circa 1/2 litro d’acqua ed ho portato ad ebollizione. Ho regolato di sale e di pepe e lasciato cuocere, scoperto, finchè la zucca non era morbida, finchè quindi non potevo infilzarla facilmente con la forchetta.
Ho frullato il tutto e riportato ad ebollizione. A questo punto ho aggiunto a pioggia il semolino e fatto cuocere, sempre mescolando, per dieci minuti circa, a fuoco lentissimo.
Servire, non troppo bollente, con i cubetti di pane tostato e parmigiano a parte.

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Strudel salato con broccolo romanesco e pomodori secchi

Niente di più semplice e  veloce.
Di solito per le preparazioni salate utilizzo la brisé, ma per lo strudel salato no, ci vuole la pasta sfoglia che resta ricca e friabile intorno alla verdura.
Non aggiungo mai il formaggio, che trovo appesantisca troppo la composizione. Solo verdure, e tra queste prediligo i broccoli, in particolare il romanesco, dal gusto più delicato, che hanno una consistenza morbida che svolge la stessa funzione legante del formaggio.
Questa volta per insaporire ho aggiunto le acciughe e i pomodori secchi.

La ricetta: Strudel
ingredienti per 2 persone:
1/2 broccolo romanesco lessato
2 filetti di acciuga sott’olio
1 manciata di pomodorini secchi
olio evo
sale
1 spicchio d’aglio
1 peperoncino essiccato
1/2 rotolo di sfoglia rettangolare
Ho messo ad ammorbidire i pomodori secchi in una tazza di acqua tiepida.
In una padella ho fatto scaldare l’olio con lo spicchio d’aglio pelato e il peperoncino schiacciato. Poi ho aggiunto le acciughe, le ho fatte sciogliere battendole con il cucchiaio di legno. Ho messo i broccoli in padella e li ho fatti insaporire con i pomodori secchi, rigirando di tanto in tanto ed aggiungendo qualche goccino d’acqua. 
Quando i broccoli sono più morbidi, ma asciutti, dopo circa 6-8 minuti in padella, li ho fatti raffreddare ed infine ho farcito la sfoglia, arotolandola con l’aiuto di carta da forno.
Ho infornato a 190° per circa 20 minuti, o fino a doratura.

Lasciar intiepidire 5 minuti prima di tagliare a fette e servire.

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Gnocchi di zucca con funghi orecchione e scaglie di Wensleydale Blue

Tra le varie ricette con la zucca, protagonista acclamata della mia tavola di ottobre e novembre, spiccano questi gnocchi, impastati con pochissima farina, in modo da non coprire il gusto dell’ortaggio e da non produrre uno gnocco troppo duro. Per cuocerli mi sono aiutata con due cucchiai e li ho formati gettandoli direttamente nell’acqua bollente con una sorta di precottura per un paio di minuti, poi li ho scolati con una schiumarola e deposti su un grande piatto piano, per poi finire la cottura in modo uniforme dopo averli sbollentati tutti.
Accanto ai funghi orecchione che, tagliati a listarelle sono perfetti da abbinare alla dolcezza della zucca, ho voluto mettere delle scaglie di Wensleydale Blue, un formaggio blu inglese pregiatissimo, e premiato in diverse manifestazioni, che ho avuto il piacere di assaggiare a Cheese2013.
La storia dice che il Wensleydale venne introdotto in Inghilterra da un gruppo di monaci-casari proveniente dalla zona del Roquefort in Francia. Ciò significa che i due formaggi potrebbero essere parenti, inizialmente prodotti entrambi con latte di pecora e poi di mucca a partire dal XIV secolo, per ciò che riguarda il Wensleydale. Il latte di pecora era ancora utilizzato in quanto favoriva la formazione delle particolari muffe blu; di contro la versione bianca era diffusa pochissimo, al contrario di ciò che avviene oggi.
La lavorazione di questo formaggio venne a tal punto acquisita dalle popolazioni locali che anche con lo scioglimento dei monasteri, durante la riforma anglicana, la produzione fu portata avanti.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la maggior parte del latte venne destinata alla produzione del tradizionale Cheddar, ma dopo la fine del conflitto si tornò a produrre il Wensleydale.
Attualmente la produzione di quello bianco è preponderante e il Wensleydale Blue è un prodotto di nicchia e per questa ragione pregiatissimo! George Orwell lo definì secondo solo allo Stilton tra i formaggi britannici, nel suo saggio “In Defence of English Cooking“.
Se vi è venuta la curiosità di assaggiarlo potete trovare la vendita online anche qui.
Non lasciatevi scoraggiare dal prezzo: è un formaggio premiato, paragonabile ai migliori formaggi italiani!

La ricetta: Gnocchi di zucca con funghi orecchione e Wensleydale Blue

(per 4 persone)
circa 500 g di polpa di zucca
150-200 g di farina 
1 uovo piccolo
200 g di funghi orecchione
50 g di Wensleydale Blue

Perchè la zucca sia ben asciutta occorre cuocerla in forno, a spicchi, finchè non è morbida. Una volta cotta, l’ho liberata dalla buccia, tritata e fatta asciugare in padella per qualche minuto con un filo d’olio.
Ho messo il tutto in una ciotola, ho fatto intiepidire ed ho aggiunto la farina e l’uovo. Può darsi che 150 g di farina sia sufficiente, altrimenti bisognerà aggiungerne un po’. L’impasto resterà comunque molto morbido.
Io preparo una pentola d’acqua, la porto ad ebollizione e regolo di sale, poi tuffo gli gnocchi, pochi per volta, formandoli con due cucchiai. Man mano che vengono a galla li scolo subito su un grande piatto piano.
Esaurito tutto l’impasto, verso di nuovo tutti gli gnocchi in pentola e faccio finire la cottura, prima di passarli in padella con il condimento.

Il sugo l’ho preparato in precedenza, rosolando un grosso spicchio d’aglio nell’olio, senza farlo scurire. Poi ho aggiunto i funghi, puliti e tagliati a lunghe listerelle sottili. Ho fatto insaporire ed ammorbidire, aggiungendo una spruzzata di vino e un poco d’acqua all’occorrenza. Infine ho regolato di sale.

Quando gli gnocchi sono cotti, passarli nella padella con i funghi; completare ogni piatto con le scaglie di Wensleydale Blue, tenuto in frigo fino all’ultimo.

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Parmigiana di melanzane o melanzane alla parmigiana?

Nell’approcciarsi a questa ricetta che è senza dubbio ai primi posti (forse al primo) tra le mie preferite, bisogna identificare innanzitutto le questioni fondamentali.
1. spiegare l’origine del suo controverso e oscuro nome
2. svelare la ricetta tradizionale, prima di avventurarsi in estrose varianti
3. scoprire qualche indizio sulla sua regione di origine
 
Premesso che di certo e certificato, come spesso accade in molte ricette tipiche italiane, abbiamo quasi nulla, di sicuroci resta tra le mani una fetta di uno dei piatti cardine della tradizione, forse a parimerito con la lasagna, che lascia colare un po’ di sugo di qua, un po’ di formaggio fuso di là e ci disegna un antipatico rotolino sui fianchi mentre ci regala attimi di pura gioia.
 
Cerchiamo di affrontare un problema alla volta.
 
Partiamo dall’origine del suo nome. Deriva dalla
città di Parma? O dalla parmiciana, che in Sicilia indica la persiana,
che ricorda coi suoi listarelli di legno sovrapposti  il sovrapporsi di
strati di melanzane e condimento? Qualcuno dice addirittura che
melanzane alla parmigiana, si chiamino così perchè fatte con il
parmigiano… 
No, niente parmigiano!
Chi
se ne intende dice che la spiegazione etimologica più probabile sia
“melanzane cucinate all’uso della città di Parma”, dove nel Medioevo
nacquero le torte parmigiane, formate di tanti strati sovrapposti e
farciti. Come questa preparazione sia migrata da Parma fino in Sicilia attraversando secoli e reinventandosi con ingredienti nel medioevo ancora non conosciuti lascia indizi lungo lo stivale che assomigliano alle bricioline di Hansel e Gretel.
 
E dunque qual è la ricetta più antica o quella originale? Da quando questo modo di cucinare la melanzana venne chiamato proprio così? Se la ricetta ispiratrice è medievale, d’altro canto il pomodoro ci arriva dall’altra parte del globo solo dopo la scoperta dell’America e la melanzana, che invece veniva anche dall’Africa, conquistò la fiducia dei palati solo nel tardo Settecento. 
Alcuni ipotizzano che le prime “parmigiane” fossero composte di strati di zucche o zucchine e che quindi la ricetta sia nata ben prima, ed abbia in seguito trovato con la melanzana la sua versione meglio riuscita. 
Lo stesso discorso si può fare con i formaggi che vi si trovano. C’è ci suggerisce la mozzarella fiordilatte, ben scolata: questo indicherebbe una diffusione pugliese; c’è chi dice che il piatto si confeziona con la mozzarella di bufala, ma io che adoro il gusto pungente di questo formaggio, non me la sentirei di imprigionarlo tra strati di melanzana e sugo; c’è chi suggerisce la provola affumicata, che secondo me rappresenta un buon compromesso, perchè è un formaggio asciutto ma molto saporito. Qualcuno aggiunge del prosciutto cotto, qualcun altro la salsiccia stagionata di Napoli, salame piccante che quando diventa troppo asciutto trova riutilizzo in diversi piatti cotti, tra cui la parmigiana e il gattò di patate.
Le melanzane, invece, come vanno cotte? Fritte senza dubbio, ma l’infarinatura preliminare consente, invece di appesantire il piatto, di renderlo molto più leggero, perchè in questo modo le melanzane non assorbono molto olio e restano più asciutte e croccanti.
La cottura in padella è sicuramente spiegata dal fatto che i forni di un tempo erano molto differenti da quelli odierni e la cottura su fuoco consentiva un controllo maggiore di un cibo che praticamente era già cotto.
Ma a quale regione si può attribuire la paternità di questo piatto? A seconda di quel
che ci si mette dentro molte regioni di mezza Italia se ne arrogano
l’invenzione. Ed è un po’ vero ogni volta: la melanzana petonciana lunga di Sicilia, la provola affumicata o la Mozzarella di Bufala, il salame di Napoli e qualche fetta di prosciutto cotto e persino una spolverata di Parmigiano, se non avete a disposizione il caciocavallo stagionato. Anche la Puglia e la Calabria ne preparano una loro versione…e, se l’avete assaggiata anche una sola volta nella vita, volete dar loro torto? 
Qualsiasi massaia e qualsiasi regione abbia raggiunto e conquistato, la prima versione per iscritto è quella di Ippolito Cavalcanti in “Cusina casarinola co la lengua napolitana” del 1839:

Melanzane alla parmigiana,

 

« … e le
farai friggere; e poi le disporrai in una teglia a strato a strato con
il formaggio, basilico e brodo di stufato o con salsa di pomodoro; e
coperte le farai stufare.
 »
[Ippolito Cavalcanti, “Cusina casarinola co la lengua napolitana, Cucina casareccia in lingua napolitana]
[fonti: 
http://www.lucianopignataro.it/a/perche-la-parmigiana-si-chiama-parmigiana/13687/
http://www.lucianopignataro.it/a/ricette-cult-la-parmigiana-di-melanzane/13053/
http://it.wikipedia.org/wiki/Parmigiana_di_melanzane]
 
 

Ed io dalla ricetta napoletana parto per la mia versione, dopo aver scartabellato in rete mille alternative…

 

La ricetta: Parmigiana di melanzane
3 melanzane lunghe medie
300 g di pelati
1 pezzo di salsiccia di Napoli
150 g di provola affumicata
2 fette sottili di prosciutto cotto
farina
olio per friggere
olio evo
sale
caciocavallo grattugiato grossolanamente (4-5 cucchiai)
4-5 foglie di basilico

Senza sbucciarle ho tagliato le melanzane a fette di 1 cm. Le ho salate e messe a perdere acqua sotto un peso.
Ho preparato il sugo, rosolando uno spicchio d’aglio in un pentolino con 4 cucchiai d’olio evo. Ho aggiunto i pelati tritati grossolanamente con coltello e forchetta. Ho lasciato cuocere per un po’, aggiungendo anche una foglia di basilico.
Ho asciugato le fette di melanzane con un panno pulito e ho messo l’olio per friggere a scaldare sul fuoco. Quando era caldo ho fritto le fette di melanzana, passando ognuna in un piatto di farina da entrambi i lati. Le ho messe a scolare un po’ d’olio su fogli di carta assorbente.
nelfrattempo ho tagliato il salame a dadini e la provola a fettine sottili.
Ho preso una padella del diametro di 22 cm. Ho unto il fondo e versato qualche cucchiaio di sugo.
Poi ho cominciato con uno strato di melanzane e a seguire gli altri ingredienti alternati, una volta il salame e una volta il prosciutto e uno strato sì e uno no il caciocavallo, riservando per ogni strato, però, sugo e provola. esaurite le melanzane ho coperto il tutto con il restante caciocavallo grattugiato e ho coperto.
A fuoco dolcissimo ho lasciato “pipiare”, ovvero ho lasciato che il coperchio si sollevasse leggermente per il vapore, per una decina di minuti, giusto il tempo che tutto il formaggio si sciogliesse.
Far raffreddare un poco prima di tagliare a fette. Si mangia tiepida (così si distingueranno tutti i sapori,), oppure anche fredda!

 
 

 

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ai fornelli, ricette originali

Zuppetta di fagioli con broccoli in pastella alla paprika

Mentre il calendario dice che siamo quasi alla metà di aprile, il termometro continua a segnare tutt’al più l’inizio di marzo. La piantina di lampone è interrata e ha già due germogli. I bulbi dei gladioli non li ho ancora messi in vaso, ma lo farò nel weekend…ammesso che il tempo cambi…nel frattempo io sono stufa di guardare con apprensione le previsioni meteo e qui si continua a cucinare cibi invernali.
Ieri ho comprato dei fiori per far entrare la primavera a casa mia, oggi il sole splende!! Che sia servito? Forse questo sarà l’ultimo piatto invernale per quest’anno… 😉
La ricetta: Zuppetta di fagioli con broccoli in pastella alla paprika
300 g di fagioli cannellini già lessati

1 spicchio d’aglio

1 foglia di alloro
olio evo
sale
paprika
200 g di cimette di broccolo
70 g di farina
100 ml di acqua ghiacciata
2 cucchiai di bianco d’uovo
olio di semi per friggere
Ho sbollentato le cimette di broccolo, conservando l’acqua di cottura; poi le ho messe da parte.
Ho fatto dorare leggermente lo spicchio d’aglio intero in un pentolino con un filo d’olio, poi ho aggiunto i fagioli e li ho fatti insaporire, bagnando dopo cinque minuti con qualche mestolo dell’acqua di cottura dei broccoli. Ho regolato di sale e di paprika e ho fatto proseguire la cottura per un quarto d’ora circa, senza far asciugare troppo la zuppetta.
Ho preparato la pastella con farina, acqua e albume, senza lavorarla troppo. Nel frattempo ho fatto scaldare un padellino profondo di olio di semi e vi ho fritto i broccoli, ben tuffati nella pastella.
Ho servito la zuppetta bollente con le frittelle di broccolo e una spolverata di paprika.
ai fornelli, eventi&co, ricette originali

Culurgiones di baccalà con catalogna saltata in padella

Ho ricevuto un bellissimo regalo da Valeria: lei è venuta da me, si è lasciata coccolare, ha assaggiato con molta professionalità, ha fotografato e preso appunti e dopo aver curiosato nella mia piccola dimora ha scritto una bellissima recensione sulla mia cucina, toccando argomenti che non mi sarei aspettata.
Sono tanto felice che abbia notato la mia cura per la resa finale dei miei piatti, un po’ per perfezionismo innato (sono del segno della vergine) un po’ perchè letteralmente adoro vedere un sorriso sulla faccia di chi assaggia i miei piatti.
Questa è una delle ricette che ho preparato per lei. La mia pasta ripiena preferita, che avevate già visto anche qui, nella loro veste più tradizionale, per l’occasione si è riempita di baccalà e si è rotolata in un tuffo gioioso tra l’amaro della catalogna e il dolce dell’uvetta. Un piatto per me perfettamente riuscito per l’equilibrio dei sapori e delle consistenze, che mi farà davvero piacere riproporre in altre cene.

La ricetta: Culurgiones di baccalà con catalogna saltata

Per i culurgiones:
200 g di farina di semola di grano duro
acqua tiepida qb
sale

In una ciotola larga ho messo la semola con un bel pizzico di sale. Ho cominciato ad aggiungere l’acqua tiepida, prima mescolando con la forchetta, poi impastando con una mano, fino a formare un impasto compatto, morbido ma asciutto. L’ho messo a riposare per una mezz’oretta; nel frattempo ho preparato il ripieno.

Per il ripieno:
400 g di baccalà ammollato e dissalato
3/4 cucchiai di latte
aglio in polvere qb
olio extravergine di oliva

Ho messo il baccalà in acqua fredda con il latte e portato a lievissimo bollore a fuoco molto basso. L’acqua non deve mai bollire violentemente, altrimenti il pesce si indurirà. 
Quando i pezzetti di baccalà erano cotti, li vedrete sodi, li ho scolati e lasciati leggermente intiepidire.
In una ciotola dai bordi alti ho messo i pezzi di pesce e li ho pestati con il mestolo di legno fino a ridurli in poltiglia. Sempre battendoli ho aggiunto a filo l’olio extravergine fino a formare un composto morbido e ben amalgamato. Ho aggiunto l’aglio in polvere e mescolato ancora accuratamente.

Ho steso la pasta e creato dei cerchi di 8 cm di diametro. Ho formato i culurgiones deponendo su ogni cerchio una noce di ripieno. Se non vi ricordate come si fanno guardate qui il procedimento.
Per il condimento:
1 cespo di catalogna
1 grosso spicchio d’aglio (o 2 più piccoli)
1 acciuga sott’olio
1 peperoncino secco
1/2 bicchiere di vino bianco
una bella manciata di uva passa
olio
sale
4 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaio di pinoli

Ho lavato, tagliato a pezzi e lessato la catalogna in acqua leggermente salata. Una volta morbida l’ho immersa in acqua fredda e poi scolata e tagliata a pezzettini molto più piccoli.

In una padella capiente ho messo lo spicchio d’aglio schiacciato con 4 cucchiai d’olio, un peperoncino sbriciolato e un’acciuga sott’olio. Li ho fatti sfrigolare per qualche istante e poi ho aggiunto la catalogna. Ho sfumato con il vino e poi ho aggiunto l’uva passa ammorbidita in acqua tiepoda e fatto proseguire la cottura.

Da parte, mentre l’acqua per i culurgiones raggiungeva il bollore, ho fatto tostare i pinoli in un padellino antiaderente, aggiungendo poi il pan grattato e abbrustolendo anch’esso.

Ho lessato i culurgiones e poi li ho passati nella catalogna ad insaporire.
Ho composto i piatti ed ho decorato ciascuno con una manciata di pangrattato ai pinoli.

 

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