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La merenda ottocentesca e il biscotto Garibaldi Al fondo la ricetta dei deliziosi biscotti Garibaldi con frolla ovis mollis

 

Esattamente due anni fa vi avevo parlato della mia merenda reale a Palazzo Chiablese.
Si trattava della rievocazione di una tipica merenda settecentesca con cioccolata calda, rigorosamente preparata con acqua calda, e bagnati, i caratteristici biscotti e dolcetti da inzuppo, che venivano serviti nel ‘700, nelle case nobiliari Read more

La merenda ottocentesca e il biscotto Garibaldi Al fondo la ricetta dei deliziosi biscotti Garibaldi con frolla ovis mollis" class="facebook-share"> La merenda ottocentesca e il biscotto Garibaldi Al fondo la ricetta dei deliziosi biscotti Garibaldi con frolla ovis mollis" class="twitter-share"> La merenda ottocentesca e il biscotto Garibaldi Al fondo la ricetta dei deliziosi biscotti Garibaldi con frolla ovis mollis" class="googleplus-share"> La merenda ottocentesca e il biscotto Garibaldi Al fondo la ricetta dei deliziosi biscotti Garibaldi con frolla ovis mollis" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2015/03/Beraud_la-pasticceria_1889.jpg" class="pinterest-share">
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Blogtour #socialfoodewine, la puntata dedicata a Cuneo e ai suoi produttori d’eccellenza, e il territorio cuneese al Salone del Gusto

Grazie al più recente episodio di #socialfoodewine, con +Biteg Italy – Turismo Sviluppo Piemonte, con la collaborazione dell’ATL di Cuneo, ho avuto modo di scoprire qualche aspetto gastronomico del territorio cuneese. Il tema spaziava tra cioccolato e birre artigianali, con un’escursione sul tema dei marroni, vero e proprio tesoro cuneese, che danno vita a squisite preparazioni dolciarie, tra cui il marron glacè, da noi regalo natalizio per eccellenza, ma che oltre i confini italiani si vende e consuma con gusto tutto l’anno.

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Sant’Antonio di Ranverso, un tesoro nascosto a due passi da Torino Alle porte della Val di Susa un posto dove il tempo si è fermato

Una gita a due passi da Torino. Se amate l’arte e pensate che il Medioevo sia stato tutt’altro che “i secoli bui”, allora non potete perdervi la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso. Ho scoperto questo tesoro nascosto in un pomeriggio assolato di fine settembre. Ne avevo sentito parlare, e più volte mi ero ripromessa di visitarlo ma, come talvolta accade con i luoghi tanto vicini alla mia città, rimandare diventa una spiacevole routine.

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Sant’Antonio di Ranverso, un tesoro nascosto a due passi da Torino Alle porte della Val di Susa un posto dove il tempo si è fermato" class="facebook-share"> Sant’Antonio di Ranverso, un tesoro nascosto a due passi da Torino Alle porte della Val di Susa un posto dove il tempo si è fermato" class="twitter-share"> Sant’Antonio di Ranverso, un tesoro nascosto a due passi da Torino Alle porte della Val di Susa un posto dove il tempo si è fermato" class="googleplus-share"> Sant’Antonio di Ranverso, un tesoro nascosto a due passi da Torino Alle porte della Val di Susa un posto dove il tempo si è fermato" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2014/11/ranverso.jpg" class="pinterest-share">
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Salone del Gusto Off: scoprire l’Urban Farming a Torino #CoronaVerde e #UrbanFarming per Salone del Gusto

 
Il Salone del Gusto è alle porte, importantissimo momento turistico per la città di Torino, che dal 23 al 27 ottobre diventerà crocevia delle culture gastronomiche di tutto il mondo.
 

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Salone del Gusto Off: scoprire l’Urban Farming a Torino #CoronaVerde e #UrbanFarming per Salone del Gusto" class="facebook-share"> Salone del Gusto Off: scoprire l’Urban Farming a Torino #CoronaVerde e #UrbanFarming per Salone del Gusto" class="twitter-share"> Salone del Gusto Off: scoprire l’Urban Farming a Torino #CoronaVerde e #UrbanFarming per Salone del Gusto" class="googleplus-share"> Salone del Gusto Off: scoprire l’Urban Farming a Torino #CoronaVerde e #UrbanFarming per Salone del Gusto" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2014/10/urbanfarmingortaggi_zps5227e0b6-565x660.jpg" class="pinterest-share">
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Il peperone nel raviolo e la 65° Sagra del Peperone di Carmagnola

Oggi vi parlo di peperoni e della Sagra del Peperone che si svolge a due passi da Torino, a Carmagnola dal 29 agosto al 7 settembre e che è giunta ormai alla 65° edizione.

Il 30 agosto, grazie all’invito del Comune di Carmagnola, sono stata lì, tutta la giornata, con Turismo Torino, per conoscere un po’ di più la città, alcuni dei suoi produttori e la sua Sagra, una vera e propria istituzione per il territorio. Nel frattempo avevo già fatto il pieno di peperoni, meraviglioso frutto estivo, che insieme alla melanzana mi fa proprio impazzire e la settimana passata ho condiviso sulla mia pagina Facebook le vecchie ricette a base di peperoni.
Un capitolo tutto suo lo merita il Povron ëd Carmagnòla, il peperone di Carmagnola, prodotto in moltissimi comuni della provincia di Torino e in alcuni della Provincia di Cuneo.
Le varietà sono 4 e i loro suggestivi nomi in piemontese sono: il Bragheis, quadrato, il Long, ovvero il famoso Corno di Bue, presidio Slow Food, il Trottola, conosciuto anche come peperone Cuneo ed infine il Tomaticòt.

peperone quadrato di Carmagnola
Il peperone è giunto a Carmagnola nei primi anni del ‘900, e quindi in epoca relativamente recente, introdotto un orticoltore di Borgo Salsasio, ma qui ha trovato un microclima ideale. Era una pianta piuttosto giovane per l’Europa, avendo preso piede come ortaggio commestibile soltanto nell’800. In precedenza, dopo la scoperta dell’America era sì, conosciuto – Leonardo da Vinci, ad esempio estraeva dal peperone alcuni pigmenti per i suoi dipinti – ma apprezzato soltanto come pianta ornamentale. Questo non stupisce se si pensa ai suoi grandi frutti, colorati e gonfi come palloni.

Il tour di sabato, però, non era dedicato soltanto al peperone ma anche al territorio carmagnolese, ricco di spunti di ogni genere, e la Sagra può fungere da pretesto per una visita più approfondita alla scoperta dei suoi tesori. 
Parliamo intanto dell’Abbazia di Casanova, antica abbazia cistercense risalente nel suo impianto originario al XII secolo, situata lungo una delle vie francigene, che conobbe uno sviluppo ininterrotto fino al XVI secolo quando venne ceduta ai Savoia. Distrutta quasi completamente da un rovinoso incendio, la facciata attuale è in stile tardo barocco piemontese, mentre il resto del monastero e l’interno della chiesa si devono all’intervento di Giovanni Tommaso Prunotto, allievo di Juvarra, nella metà del secolo XVIII. All’interno perfettamente conservati stucchi di pregio e alcuni arredi, e gli affreschi del Guidobono e di Crivelli, mentre è da segnalare una Madonna con bambino del ‘400.

Menzione d’onore all’Ecomuseo della Canapa, in Borgo San Bernardo, per me un vero tesoro. L’Ecomuseo preserva la memoria storica di un territorio in cui le aziende a conduzione familiare che si dedicavano alla produzione di corde erano più di 800 nel XIX secolo. La signora Caterina, con chiarezza e passione, ci ha accompagnato nella scoperta della pianta della canapa, mostrandoci come veniva ricavata la fibra e come venivano poi prodotte le corde. La pianta di canapa veniva lasciata macerare e poi la fibra veniva separata dalla parte più legnosa. La fibra veniva “filata” con l’aiuto di un macchinario, anche se gran parte del lavoro era svolto a livello manuale, e con qualsiasi condizione atomosferica, spesso all’aperto, vista la necessità di un’area di lavoro “lunga”.

I fili ottenuti venivano poi intrecciati grazie all’utilizzo di una sorta di argano e a una spoletta. La spoletta, a seconda della corda che si voleva ottenere variava di dimensione e di scanalature.
La corda veniva poi bagnata e ripassata con una maglia di ferro che la rendeva liscia.

Il territorio carmagnolese ha rifornito di cordami la marina italiana per secoli, ma esisteva un tipo di corda per ogni uso e le lavorazioni erano molte.

Il giro nel centro storico mi ha piacevolmente stupito, gli scorci da scoprire sono davvero tanti. Ma l’orgoglio dei Carmagnolesi, assieme alla chiesa Collegiata dei Santi Pietro e Paolo, è l’interno di Casa Cavassa, con i soffitti a cassettoni tra i più belli della provincia torinese.
Peccato non aver potuto visitare la Sinagoga barocca, tra le più belle d’Italia, segno della presenza a Carmagnola di una fiorente comunità che sfiorava, prima dell’emancipazione del 1848, circa le 200 unità.

Non si poteva organizzare un tour a Carmagnola senza dare un esempio dei produttori gastronomici di eccellenza che con passione danno lustro alla città.
I produttori di peperoni, ovviamente; uno fra tutti La Ca Veja, azienda agricola e agriturismo dove abbiamo anche pranzato a base di peperone di Carmagnola, passando per il porro dolce lungo e per il coniglio grigio, tutte eccellenze del territorio.



Una nota va all’entusiasmo contagioso della signora Chiara di C’era una volta una ricetta, che produce nel suo laboratorio artigianale deliziose conserve a base di prodotti dell’orto, con un occhio alla tradizione e l’altro alla sperimentazione. Recentemente è stata aggiunta anche una linea di pasticceria secca. I colori e i profumi delle sue conserve mi hanno letteralmente conquistata e meritano sicuramente una seconda visita.

Nel centro di Carmagnola si trova, invece, la Pasticceria Di Claudio, dove sono nati il peperone candito e la torta al peperone, oggi presenti in fiera. Anche in questo caso è il sorriso contagioso del titolare a conquistarci, assieme agli infiniti assaggi di tutti i prodotti e alle sue esaurienti spiegazioni: ci dice “diffidate di coloro che dopo tanti anni di lavoro in pasticceria si dicono nauseati dalla dolcezza; vuol dire che non stanno più lavorando con passione“. Anche per noi blogger è così! 😉

Ultimo ma non ultimo, il Carmagnolotto, l’agnolotto tipico di Carmagnola. Presentatomi in anteprima da carmagnolesi DOC, doveva contenere la carne delle vacche anziane e non più produttive, le giore, insieme al porro lungo dolce di Carmagnola, e doveva essere servito nello stesso brodo di carne di vacca o direttamente, nudo, sul tovagliolo. A La Ca’ Veja abbiamo trovato una versione di magro, con la sfoglia di farina di canapa e il ripieno di ricotta di bufala e peperone.
Allora, qual è il vero Carmagnolotto?
Visto che, come al solito, non mi fermo alla prima notizia, ho voluto approfondire: quello di magro è il Carmagnolotto edission limità” nato proprio per venire incontro ai vegetariani e per essere meglio apprezzato durante i giorni ancora caldi della Sagra, mentre dall’autunno potrete gustare nuovamente quello classico di carne.

Sfoglia di canapa a parte, assomiglia al mio raviolo ai peperoni, sperimentato un paio di settimane fa e riproposto in due cene diverse, visto il suo successo.
Un gusto decisamente esplosivo, visto che i peperoni all’interno del ripieno li ho messi a pezzettini, ben rosolati in aglio e acciughe, dopo esser stati passati in forno per eliminare ogni traccia di buccia e renderli digeribilissimi.
Io li ho conditi con un sughetto leggero di pomodorini freschi. Ne rifarò altri, per congelarli, nelle prossime settimane, per gustarli anche in inverno!

La ricetta: Ravioli ai peperoni, con sughetto di pomodorini e cubetti di Macagn

per la sfoglia:
200 g di semola rimacinata di grano duro
125 g di acqua tiepida
1 pizzico di sale

per il ripieno:
200 g di ricotta vaccina asciutta
2 peperoni grandi
2/3 filetti di acciuga
1 grosso spicchio d’aglio
qualche foglia di prezzemolo
olio
sale

Per il ripieno:
Arrostire i peperoni in forno a 200° per 35-40 minuti. Estrarli dal forno e riporli in un sacchetto di plastica per alimenti e chiuderlo bene fino a completo raffreddamento. Poi liberare i peperoni da semi e bucce e tagliarli a quadrettini di un cm di lato.
In una padella, rosolare in due cucchiai d’olio lo spicchio d’aglio appena schiacciato. Abbassare la fiamma e sciogliere i filetti di acciuga, poi aggiungere i peperoni e farli insaporire per qualche minuto, regolando di sale. Aggiungere anche alcune foglie di prezzemolo tagliuzzate fini.

Per la sfoglia, impastare farina e acqua con il pizzico di sale fino ad ottenere una pasta liscia e morbida. Lasciarla riposare sulla spianatoia infarinata, coperta da una ciotola, per circa mezz’ora.

Stendere la sfoglia molto sottile, e formare i ravioli della forma che preferite, con all’interno un cucchiaino di ripieno: questa volta ho usato questo forma-ravioli, badando di inumidire i bordi prima di chiudere il raviolo.

Lessare i ravioli in abbondante acqua salata prima di condirli con il sugo che preferite.
Io ho fatto un sughetto veloce con uno spicchio d’aglio e pomodorini maturi, insaporito da un rametto di maggiorana e arricchito da cubetti di Macagn*.

*il Macagn (o Maccagno) è un formaggio piemontese d’alpeggio, DOP e Presidio Slow Food

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“Piramidi e Pentole” ad ExillesFest e i Dolcetti del Faraone

Questa non è una ricetta, è un’archeoricetta!

Parliamo di Archeoricette come avevo già fatto qui e qui. Non c’entra nulla la bistecca di brontosauro…ma ricostruzioni attendibili delle ricette che “potevano” esistere nell’antichità.
Siamo ad un nuovo capitolo e ad un nuovo libro per Gene Urciuoli e per Marta Berogno.
Si parla di Piramidi e Pentole,
ovvero di quello che è arrivato fino a noi della cultura gastronomica
egizia
L’espediente utilizzato per raccontare questi aspetti è
l’analisi dei geroglifici che parlano di alimentazione. Come accade per i reperti archeologici, in archeoricette ogni singolo alimento è interpretato come strato archeologico che deve essere contestualizzato cronologicamente e geograficamente per portare ad affascinanti interpretazioni. In alcuni casi ci sono ricette tramandate dalle fonti, in altri casi sono ricostruzioni accettabili e verosimili di quella che poteva essere l’alimentazione dell’epoca.

In questo volumetto si parte dalla parola e dal fatto che nelle decorazioni tombali egizie la rappresentazione del cibo e degli atti che ne descrivevano la preparazione aveva così tanta rilevanza: il cibo, non soltanto bisogno primario nella vita terrena, ma anche una necessità da soddisfare nell’aldilà, tanto che suppellettili per cucinare e formule per ottenere magicamente il cibo erano conservate nelle sepolture.
Questo libro a metà tra un compendio di grammatica egizia e un libro di storia dell’alimentazione, svolge il difficile compito della divulgazione anche verso un pubblico solitamente distante da questo genere di tematiche. Da un lato spiega la composizione delle scritte, dall’altro approfondisce brevemente le abitudini culinarie.
Il 31 agosto, ad Exilles, nell’ambito di ExillesFest ci sarà una nuova presentazione di questo libro, insieme agli autori Marta Berogno e Generoso Urciuoli.
Io cucinerò e racconterò una rielaborazione delle “golosità di Ramses”, mentre Irene del blog Stuzzichevole, proporrà i “Dolcetti al cipero”, entrambe tra le ricette presenti all’interno del libro.
Le “golosità di Ramses” dolcetti di cui il faraone doveva essere ghiotto, si trovano rappresentati all’interno della sepoltura del faraone Ramses III, insieme a tutte le fasi della preparazione: sicuramente un suggerimento per i servitori dell’aldilà che avrebbero potuto, in questo modo, deliziare il sovrano.  
Ho modificato la ricetta proposta per rendere questi dolcetti meno compatti. La prima volta ho aumentato la dose di formaggio di capra, ma non è stato sufficiente, quindi ho aggiunto un poco di lievito di birra.
La ricetta: Dolcetti del Faraone (in forno)
200 g di semola di grano duro
1 pizzichino di lievito di birra fresco
200 g di formaggio cremoso di capra
2 cucchiai di miele
2-3 cucchiai d’acqua

per decorare
miele q.b
2 cucchiai di semini di papavero

Sciogliere il lievito di birra nei due cucchiai d’acqua e amalgamarvi il miele.
Mescolare la farina con il formaggio fresco e la pappetta di lievito e miele e formare un impasto omogeneo e ben lavorato.
Far lievitare per un’ora circa.
Riprendere l’impasto, tagliarlo a pezzi e per ogni pezzo ricavare dei rotolini lunghi e sottili, di circa 1/2 o 1 cm di diametro. Arrotolare il rotolino su se stesso come per formare una spirale e quando la spirale ha raggiunto un diametro di circa 2 cm, tagliarla con il coltello e metterla su una teglia infarinata. Proseguire fino ad esaurire l’impasto.
Infornare a 180° C per 15 minuti circa. Sformare, deporre su un piatto ed irrorare con miele e semini di papavero.

Qui sotto la prima versione dei dolcetti, senza lievito; mantengono molto meglio la forma, ma sono troppo compatti e sebbene dolci molto lontani dal gusto odierno, volevo presentare all’ExillesFest un assaggio che fosse anche gradevole ai nostri palati.

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Da Gertosio un aperitivo speciale con i vini di 84.81Wine

A Torino ci sono posti speciali e ricchi di storia e per chi mi conosce sa che tuffarmi in un’atmosfera d’altri tempi è per me un invito a nozze.
L’amore per la pasticceria della famiglia Gertosio nasce nel lontano 1840, quando il signor Fedele Gertosio fonda la Panetteria e Pasticceria Buschese a Busca (CN). Nel 1880 ad opera di suo figlio Quinto la pasticceria si sposta nel capoluogo, a Cuneo, prima in via Nizza, e nel 1936 in via Barbaroux.
Durante la guerra il forno fu confiscato dai tedeschi ma i Gertosio trovarono il modo per rifornire anche i partigiani grazie a segretissime consegne notturne in bicicletta.
Dopo la guerra l’attività si spostò a Roma. I Gertosio vennero subito conosciuti per la spettacolare bontà dei loro dolci e per l’intraprendenza della madre Paola che con una cesta di vimini piena di maritozzi e croissant entrava per la prima volta al Bar Nord, vendendo tutta la scorta della mattinata in un colpo solo. Ben presto la mole degli affari crebbe, il laboratorio era in via Tiburtina e da lì ogni mattina partivano 5 giardinette furgonate per consegnare in tutta Roma.
Il destino fa sì che l’attività si sposti nuovamente a Torino nel 1965, e Gianni comprende che il futuro sta nella lavorazione del cioccolato.
Accanto a paste e torte di ogni genere, buona parte dell’impegno viene dedicata al cioccolato, indagando attraverso l’assaggio i gusti della clientela. Il lavoro dedicato al cioccolato permette a Gianni di essere premiato ad Annecy con un cioccolatino francese, il napolitaine. Nel mentre la moglie Giusy, con un occhio alle confezioni bellissime per le quali la pasticceria era nota, diventa la presidente delle donne pasticcere di Torino ed organizza viaggi di studio per le quote rosa della pasticceria in tutto il mondo.
Dal 1987 a tenere le redini della Pasticceria Gertosio è Massimo, che dal mattino alla sera è in negozio, ma che parla sempre di passione per ciò che fa. Inizia nel laboratorio di via Balme ed ora dal 1999 è nell’antico negozio di via Lagrange. Qui i panettoni si comincia a produrli ad ottobre e non si smette fino all’arrivo dei primi caldi, un po’ per mantenere sempre attivo il lievito madre e un po’ perchè la cientela che li conosce ama gustarli tutto l’anno, soprattutto quello con l’albicocca candita, candita da loro, naturalmente.

Nel bel locale, dichiarato da qualche anno locale storico, fanno bella mostra le targhe dei Maestri del Gusto insieme ad antiche scatole di latta di cioccolatini e biscotti e ai prodotti più speciali che qui si sfornano e si vendono.
In primo luogo la Torta Sabauda, nata negli anni ’90 dalla creatività di Gianni, ma consultando i vecchi appunti di ricette del nonno Quinto ed immaginando i gusti sofisticati della corte sabauda. Si tratta di un piccolo capolavoro confezionato con un cuore di farina di nocciole e cacao ricoperta di cioccolato gianduia che, come un prezioso guscio, ne mantiene la freschezza; 500 piccole torte sono recentemente partite per Osaka dove hanno trovato un nuovo proficuo mercato.

Accanto a lei il Sabaudo, un caffè ricoperto di panna con granella di nocciole e crema di nocciole.
A questo proposito la Crema di Nocciole Gertosio è con il 31% di nocciole Piemonte e polvere di cacao profumatissima; poi 36 ore di concaggio per un prodotto davvero ricercato.

Tra le specialità le Palle di Pietro Micca che, al largo da facili allusioni, fanno riferimento alle granate esplose dall’eroe piemontese nei cunicoli della cittadella durante l’assedio francese del 1706. Sono due meringhe alle nocciole tenute insieme da cioccolato gianduia. Anche la Torta dell’Assedio ha la stessa composizione; si narra, infatti, che nonostante la mancanza di generi di prima necessità, fosse comunque facile trovare albume e zucchero, con questi i pasticceri sabaudi confezionarono un dolce simile all’attuale specialità di Gertosio.

E se proprio non amate i dolci non ci sono scuse per portarvi un bel souvenir da Torino, c’è anche la Pasta al Cacao da condire con burro o cacao amaro e panna, come consigliato da Massimo.
Io la vedrei bene con un ragù bianco di coniglio.

Gertosio, fino al 3 agosto, anima l’estate torinese come cornice di alcuni aperitivi tematici. Ogni venerdì le sue specialità salate sono abbinate ai vini scelti dai personal winers di 84.81 Wine* oppure ad alcune birre artigianali.

La scorsa settimana toccava allo champagne Louis Brochet, un modo fresco ed informale di bere champagne. Questo venerdì sarà la volta delle birre artigianali Antagonisti.
Accanto ai vini o alle birre un aperitivo vecchio stile, con stuzzichini salati. Assolutamente da provare i cioccolatini che troverete nel piatto, sotto un guscio di cioccolato fondente troverete un bocconcino di Parmigiano Reggiano abbastanza giovane e tenero: un contrasto delizioso di sapori e consistenze, e se Massimo dice che così ha conquistato sua moglie, c’è da crederci!

*84.81Wine porta i personal winer a casa tua; conosciuto il menù che vuoi portare a tavola, Angelo Pusceddu e Christian Termini ti consigliano i vini più adatti per gli abbinamenti e ti sanno indirizzare nei doni e negli acquisti più particolari in ambito enologico.

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#feelingoodmonferrato – diario di una scoperta

Il Monferrato entra ufficialmente a far parte del Patrimonio dell’Unesco proprio in questi giorni, assieme a Langhe e Roero.
Qualcuno di voi si ricorderà del mio video di presentazione per #feelingoodmonferrato, il format-blog-tour inventato da Alexala, ente turistico della Provincia di Alessandria, per far conoscere le attrattive del proprio territorio girando e giocando e comunicando a livello dei social media.
Conoscevo già qualcosa del Monferrato, ma visitare in questa nuova chiave il territorio alessandrino è stato stimolante ed arricchente...
Prima di cimentarmi nel racconto del mio personale #feelingoodmonferrato, mi sono chiesta quale fosse il modo migliore per descrivere  i posti visti e le esperienze vissute. Talvolta, riportati per iscritto, alcuni viaggi del cuore risultano sminuiti e quindi ho sì fatto un diario puntuale e fedele, sulla falsariga delle mie pubblicazioni in tempo reale su instagram, (e le trovate qui sul blog, nei post precedenti a questo) ma ho anche deciso, per il post ufficiale da condividere sul sito di Alexala, di esternare ai miei lettori le suggestioni di questo weekend intenso e ricco, arricchito altresì da persone che molto avevavano da condividere in termini di carattere e interiorità, quello che mi ha colpito ma anche quello che vorrei vedere, che vorrei ancora conoscere di questa terra così ricca di spunti.
Partiamo dal principio: una superba accoglienza all’Hotel Alli Due Buoi Rossi e la gentilezza del nuovo chef che ci ha preparato una cena particolarmente curata.

Potete leggere tutto a questo link e tener presente questo albergo, se cercate un posto che sia proprio nel centro di Alessandria, a 5 minuti dalla stazione ferroviaria ed altri 5 dalle vie dello shopping.

Il nostro primo giorno iniziava proprio da qui, con un sms: “farai una GITA IN CAMPAGNA con l’abito giusto: trovalo!”.
Da negata dello shopping, pensavo che per cercare un outfit per una determinata occasione bisognasse farsi un’idea in testa ed andare di negozio in negozio cercando di realizzarla. Mi è stato detto, invece, (grazie Giusy) che l’approccio è sbagliato. Meglio avventurarsi con la mente a tabula rasa per farsi conquistare dai colori e dalle linee. Se anche voi siete della corrente “Chi cerca trova” provate questo nuovo approccio. Girate per negozi – noi ad Alessandria ne abbiamo girati ben 11 – toccate anche quegli abiti che non vi sembrano congeniali di primo impatto, e di sicuro, nella grande offerta a disposizione, troverete quello che fa per voi. Alessandria è una città che assomiglia a una gran dama e lo shopping tra le sue vie tocca boutiques davvero eleganti e raffinate, ma lontane dalla moda più mainstream del momento, per un’eleganza attuale ma davvero senza tempo.
Questo l’outfit scelto da me per una giornata in campagna nel delizioso negozio La Maison75 di Galleria Guerci:

Se volete sbirciare tra i negozi visitati e dove abbiamo fatto un delizioso pranzetto con vini davvero ottimi, trovate tutto a questo link.
To do list per una prossima visita:
– un lungo giro da foodblogger nella via San Lorenzo, la via dei negozi di alimentari e gastronomie, perchè ad Alessandria se c’è qualcosa di speciale a tavola allora “viene da via San Lorenzo”;
– visitare la fabbrica Borsalino, doe nasce il cappello più famoso al mondo, che ha dato tanto all’economia di questa città;
– assaggiare la Polenta di Marengo, la torta più celebre di Alessandria a base di farina di mais.
Diciamocelo, la sola idea delle Terme mette nel cuore un’idea di relax che già in partenza fa molto. La Spa Lago delle Sorgenti di Acqui è particolarmente accogliente e raffinata e ha un percorso olistico completo.
La ragione per cui dovreste sceglierla tra tante è il percorso dei suoni, le campane tibetane all’interno della stanza di vapore e, soprattutto, il bagno di gong, che risveglia emozioni sopite e profonde e libera di tutto quello che vorremmo lasciar andare ma ancora teniamo dentro.

Acqui Terme è da visitare, non solo per le sue terme, ma per il nucleo storico più alto, medievale, con le viuzze che si snodano tra antichi palazzi, come carrugi liguri, fin quando si apre all’improvviso la piazza del Duomo, alta e in pendenza.
Da fotografare e toccare La Bollente, che da sotto l’edicola ottocentesca sgorga a 74,5° risalendo dalle profondità della terra. 

Menzione d’onore da parte mia va al ristorante dove abbiamo cenato, l’Osteria Enoteca La Curia, con una cena di piatti del territorio, con plin grassottelli e saporiti, stupefacenti per chi come me è abituato a quelli piccolini, ma meno corposi dell’albese. 
Notevole anche il filetto baciato, specialità pregiata e rara di Ponzone – perchè, si sa, non esiste un albero dei filetti… – ottenuto avvolgendo il filetto in pasta di salame ed effettuando la stagionatura in budello sintetico che meglio accompagna la riduzione di volume dei due prodotti accostati.

To do list per una prossima visita:
– vedere da vicino quel che resta dell’antico acquedotto romano;
– fare un giro a Visone da Canelin, rinomatissima dolciaria del territorio che produce torroni al miele con le nocciole della zona;
– provare una delle ricette acquesi a base di baccalà, che ricorda quanto questa zona sia vicino alla liguria e al mare;
– scoprire qualcosa dell’antico quartiere ebraico di Acqui.

Il nostro secondo giorno di visite e sfide ci dà un assaggio dell’alta concentrazione dei castelli del Monferrato, tra la zona della Val Bormida e quella dell’Alto Monferrato Ovadese. Ci siamo trovati, all’Agriturismo Podere La Rossa, a Morsasco, circondati da colline alcune più dolci, altre più aspre; alcuni punti erano particolarmente boschivi altri si aprivano con sprazzi di vigna; ogni collina sulla visuale aveva il suo castello in cima: Rocca Grimalda, Cremolino, Trisobbio ed altri. Non era facile distinguerli con la foschia, ma da lì dovevano essere visibili almeno tre, che un tempo comunicavano tra loro per difendere il territorio. Questa zona è stata accomunata alla Francia per i suoi castelli, ma anche per i suoi vini. Il Dolcetto di Ovada, che non è un vino dolce, lo dico per i non-piemontesi, ma del quale si ha notizia a partire dal XVIII secolo, coltivato ad
Acqui e ad Alessandria. Naturalmente amabile non ha bisogno di lungo invecchiamento o di affinatura in botte di legno e si abbina agli antipasti piemontesi, alla pasta ripiena, alle carni non troppo elaborate.
Qui producono anche dell’ottima Barbera, questa sì, che più si presta all’invecchiamento.

Se volete scoprire qualcosa di più dell’esperienza “Vedo -Tocco-Annuso” all’Agriturismo La Rossa, che è un percorso dedicato ai bimbi e ai grandi, trovate tutto a questo link.
To do list per una prossima visita:
– visitare uno di questi castelli, anche più di uno se possibile, tutti diversi per epoca, storia, tesori nascosti;
– fare una scorpacciata di Brachetto in quel di Strevi per accompagnare tutti i miei prossimi dolci;
– scoprire un piatto antico e tipico come la Perbureira, minestra tradizionale del paese di Rocca Grimalda, con fagioli e lasagne.

A Novi Ligure, le mie aspettative di serena e rilassante passeggiata tra le colline monferrine è stata disillusa. 
Sfida di potenza e gara su mezzi improbabili mi hanno spezzato all’istante la digestione. Se amate come me le lunghe (e placide) passeggiate in bicicletta, potete recuperare l’outfit “giornata in campagna” corredarlo di cesta da pic nic ed avventurarvi su una vecchia graziella per i dolci pendii del Monferrato. Se avete un animo più sportivo potete noleggiare una mountain bike qui a Novi e fare lo stesso giro, magari un po’ meno romantico. A Novi si trova però una tappa che non ci si può perdere: il Museo dei Campionissimi.
Si tratta di un grande museo, unico nel suo genere in Italia, con una serie infinita di reperti ciclistici: da Leonardo da Vinci ai nostri giorni, dalla prima bicicletta Bianchi al femminile a quella interamente costruita in legno, ai più bizzarri cicli da lavoro, ovviamente insieme alle bici da corsa che hanno fatto la storia del ciclismo italiano.
To do list per una prossima visita:
– fare questa benedetta rilassante passeggiata sulle colline;
– scoprire qualcosa di più su Novi Ligure che è bellissima, una piccola Genova dai palazzi nobiliari dipinti e dai superbi misteriosi cortili. 

Dopo le fatiche ciclistiche del pomeriggio, un breve viaggio ci attende per svelarci un paesaggio completamente nuovo ed affascinante. Siamo in Val Borbera. Il nome del torrente significa “acqua che scorre vorticosamente” ed è proprio così: in fondo ai crinali ecco scorrere laggiù il torrente Borbera. 
Sui fianchi delle colline che sono qui quasi montagne ecco i calanchi, formazioni argillose brulle, dove l’erba non attecchisce. La difficile accessibilità ha fatto sì che il dialetto parlato nei paesi della Val Borbera resti una forma del dialetto ligure, diversa dal piemontese di altre zone.
Il paese dove si trova l’Agriturismo Vallenostra, Mongiardino Ligure conta circa 180 abitanti e il formaggio che vi si produce, il Montebore, presidio Slowfood, è qui un’istituzione. Come tutte le cose difficili da produrre si stava perdendo e solo un rigoroso recupero ha fatto sì che tornasse agli onori della cronaca, dopo essere stato nei tempi passati il formaggio scelto da Leonardo da Vinci per il banchetto di Isabella d’Aragona. La sua composizione è mista ed è rigorosamente di latte crudo vaccino e ovino (e talvolta anche caprino). Le formette vengono sovrapposte a tre a tre per ricordare la sagoma delle torri del territorio e vengono lasciate stagionare.
Esiste anche il Monteborone, composto da 5 forme sovrapposte e molto più stagionato.
Vallenostra produce anche un’altra vasta gamma di formaggi a latte crudo e se non potete farci un salto, val la pena di fare un ordine per provare le sue prelibatezze.
Dei formaggi deliziosi abbiamo avuto un soddisfacente assaggio (lo chiamiamo assaggio? Io mi sarei fermata lì!) a inizio cena, insieme a tanti piatti semplici e saporitissimi, tanto che nessuno voleva rinunciare a nulla, sebbene si fosse tutti parecchio sazi.

To do list per una prossima visita:
– mangiare tutto – ma proprio tutto, anche quello che stavolta non ci stava- l’Agriturismo Vallenostra è da incorniciare in quanto a qualità del cibo, con la certezza che tutto quello che arriva sulla vostra tavola è prodotto da loro stessi;
– fare un giro nei paesi fantasma, paeselli della zona che a causa dell’emigrazione hanno perso gran parte dei propri abitanti;
– trovare una cantina di Timorasso per una degustazione guidata: è un vino che merita!
Il nostro terzo giorno inizia con un paesaggio che ci stupisce. 
Siamo nel territorio di Casale Monferrato, le colline cambiano forma e colore per darci il benvenuto.
Casale è stata per secoli la rivale naturale di Alessandria, tanto da riuscire a rubarle, durante una scorreria, un preziosissimo crocifisso medievale in argento, oggi conservato nel Duomo di Sant’Evasio. Sotto il dominio dei Gonzaga divenne una delle più belle ed avanzate cittadelle monferrine.
Al ristorante La Torre, presso l’Hotel Candiani, qualcun altro ci aspettava, lo chef Roberto Robotti, ansioso di vederci ai fornelli ma soprattutto di spiegarci qualcosina sulla cucina kosher e sui suoi fondamenti. 
Casale ebbe per secoli un’importantissima ed ingente comunità ebraica tra i suoi abitanti, tanto che in una delle sue piazze più importanti troneggia una statua del Re Carlo Alberto che concesse con lo Statuto Albertino la libertà di culto a tutte le minoranze nel regno di Savoia, anche se in realtà fu dal 1570 che Guglielmo Gonzaga concesse agli ebrei di Casale e di altri centri del Monferrato di professare liberamente la loro religione, decretendo così lo sviluppo economico di questa città.

Se volete dettagli sulla sfida culinaria potete guardare  questo link.
Qui il nostro pranzo kosher, sintetizzato in un’immagine:

Nel pomeriggio ci aspetta la Sinagoga, la più bella del Piemonte, perchè gli ebrei di Casale subirono l’influsso del decorativismo cattolico e vollero una sinagoga altrettanto magnificiente, sebbene dall’esterno non si intuisca nulla, in linea con quelle che erano le regole pre-Statuto Albertino. Peccato non aver potuto fotografare nulla…

Subito dopo tocca a Sant’Evasio, il Duomo, capolavoro del romanico perfettamente conservato:

Non possiamo passare da Casale senza rendere omaggio ai suoi Krumiri, i biscotti nati in una serata di bisboccia, dedicati ai baffi dell’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele.

Prendiamo giusto un biscotto per darci la carica e per consentirci di arrampicarci fino in cima alla Torre Civica, 60 metri di altezza, dalla quale si gode la vista di tutta Casale.

L’ultima visita la merita il Teatro Municipale, coevo del Teatro alla Scala di Milano, una vera bomboniera ottocentesca, considerato uno dei più belli del Nord Italia per gli interni, paragonabili a quelli del Teatro Carignano di Torino, e ancora centro della vita culturale di Casale.

To do list per una prossima visita:
– una più lenta visita della città: ci sono molti palazzi e monumenti da visitare, alcuni molto belli che meritano più tempo;
– il castello dei Paleologi, 900 anni di storia, per me da non perdere;
– un giro per il Monferrato casalese, la cui dolcezza abbiao potuto solo intuire e che vanta luoghi e viste davvero commoventi.
Un ringraziamento speciale va ad ATL Alexala, a Mirella Maestri – preparatissima – a Lara Bianchi, alle due Valentine, a Sara Fiorentino, a Giorgio, dal quale temiamo il frutto delle sue riprese, a Franco del Podere La Rossa, per avermi premiata, a tutti coloro che hanno cucinato per noi – così tanto e così bene!
Per ultimi voglio ringraziare i miei compagni di viaggio, Giusy, Anthea, Gian Luca, Valentina e Manuela, con i quali abbiamo creato un gruppo affiatato, il primo ingrediente e quello fontamentale per far sì che un viaggio, qualunque viaggio, sia un successo
Spero che i miei ricordi, insieme ai miei propositi, possano ispirare qualcuno che si approccia alla visita della terra così multiforme e varia che è il Monferrato.

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#feelingoodmonferrato – diario di bordo – giorno 3

domenica 8 giugno 2014

Ultimo giorno di #feelingoodmonferrato.
La giornata è dedicata al mondo del food, ma il tema è insolito. Infatti, mentre ci addentreremo nel territorio di Casale Monferrato, indagheremo le usanze culinarie di una presenza importante nei secoli nel territorio, la presenza della comunità ebraica.
Intanto ci siamo lasciati stupire da un paesaggio incantevole, una sorpresa, campi gialli di grano che sembra di essere molto più a sud.

A Casale ci attendono al Ristorante La Torre presso l’Hotel Candiani, dove lo chef Roberto Robotti ci guida in un vero e proprio viaggio del sapore. Le regole dell’alimentazione kosher – consentita a chi è osservante – sono davvero tante.
Le principali riguardano le carni e i pesci e le uova. Severamente proibita è la mescolanza tra le carni e i derivati del latte, il mangiare cibi prepararti di sabato, la carne di maiale e di crostacei e molluschi, ma questa è solo una semplificazione. In realtà le prescrizioni sono davvero articolate, un vero stile di vita rigoroso, che però è anche affascinante da indagare per scoprirne le ragioni.
Lo Chef Robotti inizia la sua lezione di avvicinamento alla cucina kosher dal pasto tipico di Pesach: un pasto rituale che si consuma prima del vero pasto: erbe amare, erbe aromatiche, le azzime, l’uovo sodo, la zampa di capretto o la barbabietola, la composta dolce con miele e frutta secca.

Tutto questi cibi hanno un preciso significato
Anche questa giornata c’è una sfida: suddivisi in coppie di due ci cimentiamo nella preparazione di alcune ricette tipiche della tradizione ebraica.
Anthea e Giusy prepararno le lasagne di azzime, nella ricetta di Casale Monferrato, con spinaci, uvetta e pinoli, ricetta tradizionale di Pesach.
Gian Luca e Valentina si mettono all’opera con la Shakshuka, un piatto sugoso con melanzane, peperoni e cipolle, incredibilmente versatile e saporito.
Io e Manuela siamo scelte per la preparazione del dolce, una morbida e cremosa Torta di Riso, tipica della festa di Shavuot.
Le ricette sono semplici, e sicuramente le riproporrò sul blog con delle foto degne. Per ora accontentatevi di vederle così:
Eccoci tutti insieme mentre pranziamo con i piatti preparati da noi. 
La coppia risultata vincente questa volta è quella di Gian Luca e Valentina con la loro Shakshuka.
Dopo il pranzo, questa volta leggero se confrontato con le abbuffate dei giorni precedenti, ci avventuriamo alla scoperta di Casale Monferrato che nasconde davvero tante sorprese.
Partiamo da una veloce visita della Sinagoga, antichissima e piena di segreti da scoprire. 
Gli ebrei di Casale furono influenzati dalla Chiesa Cattolica per ciò che riguarda la decorazione della loro sinagoga. Ciò significa che la decorazione, purtroppo non fotografabile, è ricchissima.
Scopriamo qui anche qualche informazione in più sulle tradizioni ebraiche.
Purtroppo il tempo è tiranno in quest’ultima giornata.
Una visita, pur veloce, la merita anche la Cattedrale di Sant’Evasio, gioiello romanico, che sarebbe da esplorare con più calma.
In un solo collage non riesco a rendere l’idea di quale capolavoro del romanico essa sia
Poi un salto ad assaggiare i krumiri di Casale, i celebri biscotti a forma di baffo, inventati nel 18 proprio sul modello dei baffi del Re Vittorio Emanuele.
E ancora il bellissimo teatro municipale ottocentesco, coevo della Scala di Milano, dietro alla cui facciata si nasconde un interno fastoso che rievoca davvero le grandes soirèes della borghesia casalese:
Sulle immagini del teatro si conclude la nostra avventura a Casale per #feelingoodmonferrato.
Naturalemente non può mancare un post riassuntivo che in via più generale del territorio: inutile dirlo, il Monferrato non è solo quello che abbiamo visto, ma anche quello che abbiamo intuito dai finestrini del nostro pulmino, o dietro le facciate dei bei palazzi. Ci sono tante cose viste e tante altre ancora da scoprire, assaggiare, raccontare.

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#feelingoodmonferrato – diario di bordo – giorno 2

sabato 7 giugno 2014

La giornata di sabato per #feelingoodmonferrato è quella dedicata all’outdoor. Ci aspettano attività all’aria aperta.
La prima si svolge all’Agriturismo Podere La Rossa, situato su un crocevia di strade tra i territori di Morsasco, Cremolino, Trisobbio e Prasco.

Il territorio è tra l’acquese e l’ovadese, tra terre da vino, castelli e boschi. Qui siamo chiamati ad immergerci nella natura circostante l’Agriturismo e, con poche indicazioni preliminari, metterci alla prova. “Vedo-tocco-annuso” è la parola d’ordine.

“Vedo” comporta il tentativo di riconoscimento delle sagome dei castelli circostanti, con l’aiuto dlla mappa, e delle tracce di animali.

Per quanto riguarda i castelli devo davvero dirvi cosa son riuscita a riconoscere nella foschia?
L’opinione che andava per la maggiore era che si trattasse dell’impronta di un cinghiale: si capisce che siamo cittadini?

 Per ciò che riguarda il “Tocco” me la sono cavata meglio:

Abbiamo imparato a riconoscere il Dolcetto dal colore delle sue venature e dalla grana della sua foglia e a distinguerlo dal Barbera

Ecco la quercia:

e l’acacia:

Con il vino è stato per me più semplice completare l’esperienza “Annuso”:

Il profumo di confettura di prugna l’ho sentito, i tannini è impossibile non sentirli, il grado alcoolico lo sentiremo anche dopo
In contemplazione degli archetti/glicerine della struttura del Dolcetto
Il Dolcetto si fa in vigna mentre il Barbera si fa in cantina: è dotato di un’acidità più spiccata che consente di abbinarlo alla carne
A questa esperienza segue un buonissimo pranzo e la premiazione per il lavoro svolto in mattinata.
A sorpresa vengo eletta vincitrice dell’esperienza, non perchè abbia azzeccato più degli altri, ma perchè ho svolto bene il mio compitino “vedendo-toccando e annusando” nel migliore dei modi.
Il premio è fantastico:
Il pomeriggio prosegue all’insegna dell’#outdoor ed io mi ero fatta un’idea troppo romantica della passeggiata in bicicletta sulle colline. Immaginate la mia faccia quando, arrivati a Novi Ligure, mi sono trovata davanti a questo: 
E immaginate il mio piazzamento… invece è Manuela a vincere la gara di potenza sulla bici a scatto fisso e la successiva corsa intorno al paese. Un po’ più difficoltosa il giro della piazza principale di Novi su mezzi prestati dal museo dei campionissimi, tra bimbi urlanti e frenetici.
Novi è deliziosa, come una piccola Genova, con i suoi palazzi dalle facciate dipinte ricchissimamente. Questa città ha dato i natali a Costante Girardengo e a Fausto Coppi e quindi ben si può comprendere quanto sia emotivamente legata al ciclismo.
Assolutamente da non perdere il Museo dei Campionissimi con biciclette antiche e moderne e tutta la storia della bicicletta dagli albori ai nostri giorni.
Siamo di nuovo in pulmino, via verso la Val Borbera, in un paesaggio di nuovo completamente differente da quelli già visti. Le alture si fanno un poco più aspre, siamo vicini alla Liguria, e in fondo alle vallate scorre il torrente Borbera.
E proprio in questo territorio nasce un formaggio speciale: da latte crudo vaccino e ovino, con, talvolta ma non sempre, una piccola percentuale di latte caprino, si produce il Montèbore. La leggenda narra che Leonardo Da Vinci, cerimoniere del banchetto per le nozze di Isabella d’Aragona, scelse questo tra i formaggi da portare in tavola. Si tratta di un formaggio antico, risalente almeno all’anno 1000, che si stava estinguendo e che dal 1999 è stato recuperato assieme alle tecniche per produrlo.
Al Caseificio ed Agriturismo Vallenostra di Mongiardino Ligure non producono solo il Montebore ma tanti altri formaggi a latte crudo e in più fanno adottare le proprie pecore, dando in cambio i loro prodotti.
Al ristorante Vallenostra abbandoniamo ogni pudore a tavola. Sebbene provati dai pasti precedenti non riuscivamo davvero ad essere morigeratiFormaggi incredibili accompagnati da una favolosa focaccia, piatti straordinari annaffiati da ottimo Timorasso.
Con questa cena straordinaria si conclude la giornata. L’ultima che ci aspetta è quella a tema food, in una zona ancora diversa per paesaggio ed offerta, il Monferrato casalese.

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