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#feelingoodmonferrato – diario di bordo – giorno 1

venerdì 6 giugno 2014
La sveglia suona e #feelingoodmonferrato ha ufficialmente inizio!
La giornata #fashion&wellness ci attende, Giusy e Anthea sono prontissime, noi altri un po’ meno. Io vengo subito reclutata per introdurre la prima prova alla telecamera: la ricerca dell’outfit perfetto per una giornata in campagna. Ognuno ha il suo tema ed ognuno sceglierà l’abbigliamento più adatto nelle boutiques del centro di Alessandria.
Alessandria è una città dall’aria signorile, come una dama di altri tempi, lenta e discreta, e il centro sembra fatto apposta per chiacchierare in uno dei suoi caffè o per un lento e piacevole shopping tra i suoi negozi.
La prima tappa è da Michela Mode, un negozio dall’aria d’altri tempi, una boutique piccolissima con sartoria annessa, per piccole e grandi modifiche.

Nella seconda boutique, Onires, i pois non mancavano… l’idea di un look campestre, ma anni ’50-’60 mi solleticava la fantasia…ma qui da Onires non c’era ancora quel che cercavo.

é la volta di un negozio di solo abbigliamento maschile: Trimmer’s

Qui invece, da J_Berry, ho trovato più di uno spunto, ma non posso ancora fermarmi e scegliere…c’è ancora tanto da vedere!
è il momento di Bizaar: fantasie deliziose su pantaloni alla caviglia e su magliette:
E se invece dei pantaloni scegliessi una gonna come quelle di Corso Roma?
In Via dell’Erba è stato impossibile non essere attratta dal lato del negozio dedicato ai complementi d’arredo: vorrei una casa shabby così!
Da Ferrari il “quadretto” c’è! Ma forse qualcosa mi aspetta ancora. Impossibile però non soffermarsi sugli incantevoli foulard…uno di questi starebbe davvero bene tra i miei capelli!!
Atmosfera sognante da Amidali, laboratorio di abiti, dove trovo fantasie delicatissime che “quasi profumano”!
Mcs è per uomo…ma non posso fare a meno di pensare a quei quadrettini che andrebbero bene anche per un look al femminile!
L’ultimo negozio si trova nella stupenda Galleria Guerci, una galleria urbana sul modello delle galéries commerciali di fine ‘800, con copertura in ferro e vetro. Non è un caso se la galleria è conosciuta ad Alessandria per il locale più celebre che vi si trova, la storica Pasticceria Bonadeo, famosa soprattutto per la Polenta del Marengo, tipica torta alessandrina preparata con farina di mais, e per altri biscotti e leccornie. Roba che non poteva non attirare una foodblogger…anche una impegnata in una prova fashion!!
Appena arrivo davanti alla vetrina di La Maison Settantacinque capisco che il mio viaggio mi portava proprio lì. L’idea del look anni ’50 con pantaloni a vita alta, camicetta a quadretty vichy e foulard tra i capelli, svanisce per lasciare il posto a un look ancora più romantico!

Grazie all’aiuto di Silvia sono pronta in 5 minuti e sono pure la prima a condividere il mio selfie per la sfida della mattinata!

La sfida è aperta però! Solo chi riceverà più like sui social avrà dieci punti in più per cercare di vincere #feelingoodmonferrato!

A pranzo l’atmosfera accogliente del Mezzo Litro, Vineria con Cucina ci attende!
Qui ogni giorno una cucina semplice ma ricercata si accompagna a vini d’eccellenza. Ecco cosa abbiamo mangiato:

Finito il pranzo tutti in pulmino verso le terme di Acqui,

Le Terme Lago delle Sorgenti si trovano ad Acqui, dove i percorsi termali esistono dall’epoca romana.
Il relax dura un pomeriggio intero, ma se si vuole si possono prolungare i tempi di permanenza in molte delle zone, per una giornata intera di cura di se stessi. La particolarità che riguarda queste terme è la presenza della suono-terapia: grazie alla presenza delle ciotole tibetane nel bagno di vapore, e di due gong in una delle aree relax, la cura del corpo sfocia nella cura dello spirito.
La giornata si conclude con la visita di Acqui Terme, cittadina deliziosa, con un nucleo medievale davvero bello. Da segnalare, naturalmente la Bollente, sorgente all’interno della città da cui sfocia acqua a 75°.
La cena al ristorante Osteria Enoteca La Curia è davvero speciale. So che mi sentirete dire questa cosa diverse volte nel racconto di #feelingoodmonferrato, e risulterò poco credibile. Allora venite alla Curia e assaggiate il filetto baciato, i plin fatti come si usa da queste parti, più grossi di quelli langaroli e belli cicciotti, lo stinco di fassona cotto lentamente fino a diventare morbidissimo, quasi scioglievole, e allora, come San Tommaso, crederete!

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#feelingoodmonferrato – diario di bordo – giorno 0

giovedì 5 giugno2014

Arrivo verso le 18,30 in un’assolatissima Alessandria per prendere parte a questo blogtour che è anche un’avventura…
L’albergo Alli Due Buoi Rossi è pronto ad accogliermi e con me le altre blogger: Manuela, Anthea, Giusy e Valentina. Gianluca
ci raggiungerà domani… ha avuto un contrattempo… o forse volevi
scamparti la prova di domattina? Ci hanno fatto capire che questo tour
dovremo guadagnarcelo! ;D
Ecco il mio compagno di stanza, mi aspettava qui: che #feelingoodmonferrato abbia inizio!
Da foodblogger non posso che mettere l’accento sulla cena della sera, nel ristorante Due Buoi Rossi,
all’interno dell’albergo: piatti deliziosi accompagnati da buonissimi
vini, in particolare il Barbera, che all’assaggio e per i profumi
sembrava davvero un vino più complesso.
Lo
chef, da pochissimo a capo di questa brigata di cucina si è presentato e
ci ha raccontato l’imminente cena: tradizionalissima ma con note
ammiccanti all’Oriente, in particolare per ciò che riguarda l’utilizzo
delle spezie e la croccantezza delle verdure.

Lo Chef ci racconta la cena e va particolarmente fiero del suo pane e delle sue salse: un invito a fare scarpetta?

Ci
dicono che è un amuse-bouche e noi non ci facciamo pregare per
divertirci: lingua di manzo scottata su salsa di capperi con insalatina
di stagione e fiore di zucca in pastella

Stasera il tonno è di gallina, adagiato su crema di ricotta di pecora con nocciole e accompagnato da spinacino fresco
Tajarin con ragù di coniglio e asparagi: finissimi e saporiti, una vera delizia!
E nel piatto restò solo un fegatino!
La salsa non ci è stata svelata! Manzo cotto a bassissima temperatura (dalla sera precedente) su salsa al pomodoro e…qualcos’altro…con puré di patate e barba di frate croccante.
Dulcis in fundo…più dolce di così! Meringa, con fragole, crema pasticcera e caramello!

La giornata di domani sarà più impegnativa… è già arrivato il tweet personale per la fashion avventura di domani: +atlalexala mi scrive:

andrà in giro x i negozi di . farai una GITA IN CAMPAGNA con l’abito giusto: trovalo!

Ho già qualcosa in mente, chissà se riuscirò a trovarlo! 😀

Ed ora buonanotte!

<<…Era una principessa. Ma come l’avevano ridotta la pioggia
e il temporale! L’acqua cadeva a rivoli dai suoi capelli e dai suoi vestiti, e
le entrava nelle scarpe, uscendone dalla suola. Tuttavia ella si presentò
affermando di essere una vera principessa. “E’ ciò che sapremo presto
” pensò la vecchia regina, e senza dire nulla a nessuno entrò in una
camera e mise un pisello nel letto che era in mezzo alla stanza. Quindi prese
venti materassi, li stese uno sopra l’altro sul pisello, e vi aggiunse ancora
venti piumini. Era quello il letto destinato alla principessa sconosciuta. La
principessa venne accompagnata nella camera che le era stata destinata, e si
coricò…>> [H. C. Andersen]

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Ortinfestival – diario di un green evento

Dal 30 maggio al 2 giugno sarò inviata speciale a Ortinfestival, insieme ad altre blogger, per Guardini, l’unico produttore di stampi e teglie da forno completamente prodotte in Italia, e sponsor della manifestazione.

Da venerdì 30 sera potete venire qui a sbirciare il mio diario di bordo, alla scoperta di questa incantevole manifestazione… 

Nel frattempo ecco dove documentarvi sulla Venaria Reale e sul programma di Ortinfestival:
Per conoscere qualcosina sulla storia di questo straordinario complesso: Ortinfestival alla Venaria Reale – un evento speciale in una location da sogno
Per qualche nota introduttiva sul fittissimo programma della manifestazione: Gli appuntamenti di Ortinfestival: ce n’è per tutti i gusti!
 —
Si comincia venerdì 30 maggio dalle ore 16,30 fino all’imbrunire.
La serata è tutta incentrata sulla presentazione dell’ultima opera di Carl Warner, il fotografo autore del “foodscape” del manifesto ufficiale, intitolato Ballons.
Eccola:

Da venerdì sera i blogger invitati all’evento potranno sistemarsi nelle tende Ferrino Ecochic del Blogger Village, per svegliarsi nella cornice da sogno dei giardini della Venaria.

Sabato 31 maggio
La giornata è iniziata con l’incontro con Anca del blog Matrioska Adventure, e subito dopo con un’immersione nel fashion green: Barbara Uderzo è una designer di gioielli che crea anche con gli ortaggi.

Da brava foodblogger, con il mio bracciale di peperone, mi sono avviata verso gli showcooking, attraversando lo spettacolare reticolo di orti ricreato nei 10 ettari di verde attorno alla Reggia, quelli che un tempo erano gli orti di ricerca e sperimentazione di casa Savoia.

Tanti
i gazebo gastronomici, il gelato, il cibo etnico, lo streetfood, vini
pregiati, birre artigianali e i produttori del Paniere dei Prodotti
della Provincia di Torino.
Tra tutti mi fa piacere ricordare il gelato di Agrisapori, che si sono distinti per simpatia e bontà, e che mi piacerebbe andare a trovare a Pralormo, a pochi chilometri da Torino.

Un
punto di rilievo: il camioncino rosso del fritto misto dell’orto di
Mariangela Susigan, chef stellata del Gardenia di Caluso, e il rito tradizionale della pachamanca peruviana,
che si ripete ogni sera verso le 18,30, e che assomiglia in modo
impressionante all’usanza sarda di cuocere il maialino sotto la cenere.

Una gran parte della manifestazione è dedicata al cibo: gli showcooking sono condotti dall’organizzatore di Ortinfestival, Vittorio Castellani,
conosciuto anche come chef Kumalè, che infarcisce le lezioni degli chef
con tante curiosità derivate dai suoi studi, dalle esperienze e viaggi,
e da cui traspare l’amore per la diversità dei tanti prodotti agricoli,
esotici pur se coltivati, ormai, anche in Piemonte.

Il primo showcooking a cui ho assistito è quello di Lucia Papponi, naturalista e botanica, con Mariangela Susigan
nel ruolo eccezionale dell’assistente, con un piatto a base di erbe
eduli spontanee: risotto mantecato con silene, toma di pecora e fiori di
calendula.

Il secondo showcooking della mia giornata è quello di Gabriele Faggionato,
allievo di Cracco, poi cuoco al Ze Kitchen di Parigi ed oggi personal
chef. A Parigi era l’unico europeo in mezzo a tanti orientali, dai quali
ha acquisito la dimestichezza con le tecniche di cucina e
un’impostazione fusion.
Il suo piatto, salmone marinato al lemon grass con insalatina di mango verde, coriandolo e cipollotto e salsina di mango alla curcuma, è sorprendente per l’equilibrio dei sapori.

Conclude la giornata lo showcooking con l’ospite di Guardini, Cristiano Bonolo, lo chef di vegolosi.it, con una proposta dolce vegana: tortini di cioccolato e rose con crema al pistacchio.



Domenica 1 giugno
La
mia domenica inizia con la visita della Reggia di Venaria Reale,
godendomi la luce e lo splendore dei saloni, immergendomi nella sua
storia e scattando qualche foto, che condividerò con voi.

Gli showcooking del mattino sono quelli degli stellati Marcello Trentini e Mariangela Susigan.

Alle 15,00, arrivo in zona Cascina Medici giusto in tempo per le entusiasmanti proposte di Riccardo Ferrero,
allievo di Marchesi e chef del ristorante milanese Il Marchesino alla
Scala: tre piatti preparati in poco più di mezz’ora con le erbe e gli
ortaggi raccolti direttamente dagli orti di Ortinfestival.

  Insalatina di germogli ed erbe dagli orti di Ortinfestival, con riduzione di soia al miele e semi.

Crema di bok-choi e pak-choi con daikon crudo e paprika affumicata.

Riso dolce al latte con quinoa, ciliegie e caramello al Barolo

Il Guardini-guest della giornata è Sergio Maria Teutonico che, con la sua simpatia, conduce sapientemente uno showcooking dove si illustra la preparazione di un timballino di brisé, con ripieno di patate viola e fave, e un topping di mascarpone alla menta e bacon.

Piacevolissima sorpresa anche l’intervento di Silvia Ling del ristorante cinese Zheng Yang
di Torino. Cucina per noi delle verdure saltate, illustrandoci i metodi
di taglio e spiegandoci la provenienza di queste verdure rigorosamente a
Km 0, da contadini cinesi ormai stanziati in Piemonte.
La cucina
cinese è fatta di equilibri, ed è rapida, fresca, croccante…un po’
diversa da quella che conosciamo comunemente in Italia. Silvia si è
fatta portavoce di questo messaggio, abbandonando i prodotti in scatola e
cercando quotidianamente verdure di stagione per la sua cucina allo
Zheng Yang.

Verdure saltate: melanzane cinesi, bok-choi e taccole (al posto dei fagiolini chilometrici).


Lunedì 2 giugno

La kermesse si conclude con ospiti di tutto rilievo:
alle 11, Pietro Leeman del Joia di Milano;
alle 15, Alfonsina Trucco, di 85 anni, campionessa mondiale di pesto genovese;
alle 17, Takashi Kido che porta nella sua cucina torinese le suggestioni dei suoi viaggi in Giappone, Spagna e Italia;
infine alle 19, l’ultimo ospite di Guardini, Luca Scarcella de Il Forno dell’Angolo
di Torino, maestro di panificazione con la pasta madre e le farine
Molino Quaglia macinate a pietra, che insegna come impastare una
pagnotta perfetta e la cuocerà negli stampi da forno madeinitaly Guardini.


Nei
prossimi giorni qualcuna di queste ricette farà capolino sulle pagine
del mio blog, insieme a quelle nuove, cucinate negli stampi Guardini, nuovi di zecca!

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La via Francigena in Piemonte: itinerari di storia e di gusto

Abbiamo imparato sui libri di scuola quanto gli antichi romani fossero bravi a costruire le loro strade. Avevano saggiamente compreso che un impero così grande poteva essere tenuto insieme solo con ottime vie di comunicazione ed alcuni tratti delle loro vie di collegamento sopravvivono ancor oggi, seppur stratificate da secoli di rimaneggiamenti, mentre, nei sotterranei delle moderne città, si trovano ancora tratti delle antiche strade, rimaste intatte sotto gli strati succedutisi nei secoli.
Nel Medioevo le strade consolari vennero via via abbandonate dal traffico di merci e persone, sia per la mancanza di manutenzione – molti dei lastricati vennero asportati per costituire materiale da edificazione ed ormai rovinate, rupte, diedero origine alla parola che oggi indica i percorsi non precisamente definiti, le rotte, appunto – sia per preferire percorsi secondari in prossimità dell’Appennino, per mettere in collegamento il Regno longobardo di Pavia con il sud Italia, evitando i territori che erano in mano ai bizantini.
L’antica via di Monte Bardone (Mons Longobardorum), originario nome del passo appenninico della Cisa, per il quale la strada passava, divenne un reticolo fittissimo di sentieri e via sterrate, segnate dal passaggio di pellegrini che in alcuni punti si allargavano per lasciar spazio alle mansioni (centri abitati, ospedali e abbazie che offrivano ospitalità per la notte).
Quando i Longobardi vennero soppiantati dai Franchi, la denominazione cambiò e la rete di strade diventò Via Francigena, comprendendo strade in tutti i territori del regno franco, anche in Belgio e nel bacino del Reno. Il sistema viario diventò subito il punto di riferimento non solo per i pellegrini, ma anche per i mercanti e gli eserciti.

I punti focali per i pellegrinaggi dell’epoca erano Gerusalemme e la Terra Santa, Roma e Santiago di Compostela. Alcuni pellegrini percorrevano la Francigena per raggiungere Roma, altri proseguivano verso sud, per imbarcarsi in Puglia, non prima di aver fatto tappa a San Michele al Monte Gargano.

Verso nord, invece, la strada si allungava verso la Sacra di San Michele, in Val Susa, per poi proseguire attraverso terra francese, fino alla terza abbazia benedettina dedicata al culto di San Michele, Mont St. Michel in Normandia, o per proseguire ancora verso Canterbury in Gran Bretagna. Dalla strada francigena italiana si proseguiva da Luni verso i porti francesi e attraverso la via tolosana verso i luoghi di pellegrinaggio di San Giacomo di Compostela in Spagna.
Canterbury invece è legata a uno dei più illustri pellegrini ad aver fatto nell’antichità il percorso fino a Roma, per un totale di 1600 km, in 79 tappe dicirca 20 km giornalieri: l’arcivescovo Sigerico.

Un tratto importante della via francigena passa dal Piemonte e dal 2004 questo tratto è diventato “Grande Itinerario Culturale Europeo”, come il più conosciuto Cammino di Compostela. Conta circa 650 km di strade, con 107 comuni coinvolti, 5 province toccate, 4 parchi naturali attraversati. Turismo Torino e Provincia ha dedicato un sito a questo progetto, sul quale si possono visulizzare i percorsi e progettare il viaggio, anche seguendone soltanto un breve tratto. Gli itinerari sono raccolti in 4 grandi gruppi:
la via Francigena Morenico-Canavesana, incentrata sulla conca morenica attorno ad Ivrea; la via Francigena della Valle di Susa, da sempre di collegamento con i luoghi d’oltralpe grazie ai passi del Monginevro e Moncenisio, passando dalla già citata Sacra di San Michele, fin quasi alle porte di Torino; la via Francigena Torino – Vercelli, attraverso campi aperti e regolari e lo spettacolo delle risaie; la via Francigena verso la Liguria e il mare, che attraversa il Monferrato attraverso le province di Alessandria e Asti.

Vi chiederete cosa c’entra tutto ciò con Ricette di Cultura? Attraverso la promozione di questi itinerari che passano vicino a pievi e attraversano antichi borghi, non poteva mancare una nota di gusto. Gli itinerari non erano percorsi soltanto da pellegrini, ma anche da mercanti, soldati, avventurieri di ogni tipo e queste persone mangiavano e, considerati i chilometri che percorrevano ogni giorno, con grande appetito… quale migliore occasione per riscoprire qualche caratteristica dell’alimentazione del tempo?

Un lavoro magistrale è stato fatto da Barbara Ronchi della Rocca, giornalista ed esperta di gastronomia storica, che ha ricostruito un vero e proprio menù del pellegrino, con piatti semplici e saporiti, tratti dalle abitudini dei consumatori medievali, con piante spontanee ed erbe, legumi e gustodissimi pani integrali, composti da cereali antichi recuperati. 
In ogni territorio toccato dalla via francigena le locande convenzionate (ben 23 ristoranti aderenti al progetto, lungo il percorso) offrono un menù diverso in accordo con le odierne abitudini culinarie del territorio.
Un’idea di menù? C’è il piatto del pellegrino composto da due antipasti, un assaggio di primo, pane della penitenza, meravigliosamente composto da farina integrali e di cereali misti e acqua a partire da 10€.
Alla presentazione delle Via Francigena Piemontese io ho potuto assaggiare una deliziosa zuppa di ceci, uno stufato di maiale con le mele, un dolce dall’aria antica, poco dolce e con ricotta e frutta secca. Gli ingredienti dell’epoca sono rispettati, ma il gusto è tutt’altro che penitenziale: abbiamo gustato piatti saporitissimi e perfettamente equilibrati nella loro rustica semplicità.
Vi confesso che, amando camminare nella natura, mi piacerebbe poter percorrere un tratto della via francigena, scoprendo romaniche pievi di campagna…un’idea per un week end un po’ diverso…adesso è proprio il periodo giusto, prima dell’arrivo del grande caldo!! 😉

Tra le ricette assaggiate alla presentazione degli itinerari piemontesi della via Francigena, vi ripropongo il dolce di ricotta, questa volta in mono porzioni.

La ricetta: Dolcetti di ricotta al forno con miele e frutta secca

200 g di ricotta di pecora
4 cucchiai di miele millefiori
1 uovo
1 manciata di uva passa ammollata
1 pugnetto di mandorle
1 pugnetto di fiocchi di cereali (per me avena e riso soffiato)

Lavorare la ricotta in modo da renderla cremosa e omogenea. Aggiungervi il miele e poi l’uovo sbattuto leggermente. Mescolare al composto anche l’uva passa.
Suddividere questo composto in 6 stampini da muffin. Completare in superficie con fiocchi di cereali e mandorle intere non pelate.
Infornare a 180° per circa 20 minuti, o finchè i dolcetti non si saranno rappresi e dorati.

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Gli appuntamenti di Ortinfestival: ce n’è per tutti i gusti.

Come anticipato qui, volevo raccontarvi qualcosa sui tanti appuntamenti di Ortinfestival alla Venaria Reale dal 30 maggio al 2 giugno, per invogliarvi a partecipare.
 
 
 
Il Potager in cui la manifestazione/esposizione si articola è una maglia quadrata di spazi tenuti a verde e completati con una collezione frutticola, orti, cereali, prato e fioriture, divertissement d’acqua e gallerie verdi. 
Immaginate in questo spazio una composizione regolare e studiata di:
varietà antiche di alcuni ortaggi, accanto al paniere dei prodotti agricoli tipici del Piemonte;
piante aromatiche, da quelle alpine, alla macchia mediterranea e quelle più esotiche; 
fiori eduli, dall’Italia e da altre latitudini, accanto a più di 50 nuove specie vegetali dal mondo che si sono adattate con grande successo ai nostri climi;
erbe spontanee, negli ultimi anni quasi dimenticate, che oggi riaffiorano nell’uso in cucina e cosmesi.
 
Per i pollici neri, però curiosi come me, ci saranno affascinanti visite guidate attraverso gli orti per imparare a riconoscere le diverse specie vegetali.
Per i pollici verdi, invece, ci saranno veri e propri workshop di orto, per costruirlo da sé, in vaso o nei cassonetti. 
Per i pollici neri che aspirano a diventare pollici verdi ci saranno basici corsi di alfabetizzazione orticola.
 
Come in ogni manifestazione che si rispetti non mancherà l’area dedicata ai piaceri del palato: si andrà dalla cucina d’autore di chef talentuosi e stellati, al BistrOrt, con cucina semplice del mercato e di stagione, ai Pop-up Kiosk, dove verrà servito al volo street-food in chiave “orticola“.
Sarà allestita un’area pic-nic, la iPlaid zone, per i dejeuner sur l’herbe o le merende sinoire, come vogliate chiamarle…
Infine non mancheranno gli showcooking e le cooking classes, con blogger, chef e autori gastronomici.
 
Nella filosofia green, i materiali di recupero verranno utilizzati per allestire orti verticali, sui tetti, sui terrazzi o sui davanzali urbani.
 
La Blogger-area sarà allestita con le tende eco-chic di Ferrino e per alcuni vi sarà la possibilità di pernottare all’interno dei giardini della reggia.
 
Infine l’area shopping riguarderà diverse categorie, dal verde (piante, tuberi, sementi), al food, al design e arredamento, al wellness e verranno presentati diversi Gruppi di Acquisto Solidale operanti sul territorio.
 
A completare il tutto ci saranno le performance degli artisti di strada e la presenza del partner d’eccezione di quest’anno, il Peru, che presenterà il rito andino della Pachamama, la Madre Terra, un tempo venerata dagli Inca e oggi da molte popolazioni autoctone del centro e sud America.
 
Vi saluto e vi dò appuntamento ad Ortinfestival con la mia semplicissima ricetta di dolce con le fragole. Mentre scrivo penso a molte amiche blogger che sicuramente saranno attratte da questo calendario così ricco ed allettante. La manifestazione aprirà alle ore 16,00 del 30 maggio e si concluderà il 2 giugno; per altre informazioni cliccate qui!
 
 
 
La ricetta: Pudding di fragole al profumo di lime

 

150 g di fette di pane integrale (il mio ai cereali preparato con Multicereali QB Molino Grassi)
20 g di burro
200 g di fragole mature
200 ml di latte intero
2 cucchiai di miele
1 uovo grande
1 cucchiaio di zucchero di canna + un po’
la buccia di un lime
 
Tagliare il pane a fette e poi a rettangolini. Lavare le fragole e tagliarle a pezzettini.
Far sciogliere il burro e spennellarlo sulle fette di pane.
In una pirofila disporre uno strato di pane e poi uno strato di fragole e continuare fino ad esaurimento degli ingredienti.
Scaldare il latte con il miele e la buccia gratugiata di un lime. Montare l’uovo con il cucchiaio di zucchero, poi miscelare questo composto con il latte e miele intiepidito.
Versare il tutto sulle fette di pane e fragole e lasciare assorbire, per circa 10 minuti, mentre il forno si scalda.
Infornare poi a 180°C fino a doratura delle fette di pane in superficie. Consumare tipiedo o freddo.
 
.
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6 settembre 2017
Ho provato una nuova versione di questo pudding: ho utilizzato 7 fette di plumcake all’uva passa, tagliate ancora a metà e disposte su una teglia rotonda di 20 cm di diametro. Ho sbattuto con 50 g di zucchero 2 albumi e 1 uovo intero, con la buccia di mezzo limone bio. Alle uova ho aggiunto 300 ml di latte di soia tiepido. Poi ho irrorato il pane all’uvetta con questo composto, disposto delle fragole surgelate sul tutto e fatto riposare per 10 minuti e poi infornato a 180°C per 30 minuti.
 
Eccolo qui:
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Ortinfestival alla Venaria Reale – un evento speciale in una location da sogno

La Venaria Reale è stata scelta per ospitare la prima edizione di una delle manifestazioni più belle della primavera piemontese: Ortinfestival.
Dal 30 maggio al 2 giugno il Potager Royal,
in circa 10 ettari
dedicati alle coltivazioni, ospiterà questa vera e propria full
immersion nel verde. La location è stata scelta per la sua articolazione
e per la stretta correlazione tra la regalità dei palazzi e le attività
agricole che vi si svolgevano dalla sua nascita nel XVII secolo.
A Ortinfestival
ci saranno chef di talento e contadini eccellenti, colture antiche,
oggi recuperate, e nuovi ortaggi, varietà rare delle nostre campagne e
da ogni parte del mondo.

 

Per introdurre questo evento straordinario dovevo raccontarvi qualcosa
di più su questo gioiello piemontese che nel 1997, assieme a tutto il
circuito delle Residenze Reali del Piemonte, è entrata a far parte del patrimonio dell’Unesco. I restauri sono stati ultimati nel 2007 e ad oggi la Reggia è tra 5 siti culturali più visitati in Italia.

Ma diamo uno sguardo alla storia di questo luogo da sogno: correva
l’anno 1659 quando Carlo Emanuele II, duca di Savoia, con una grande
passione per la caccia, identificò i territori di Altessano Superiore,
borgata poco lontana da Torino, come adatti per praticare la disciplina
venatoria alla maniera dei re
: terreni a tratti boschivi, a
tratti aperti, sterminati e ricchi di cacciagione gli fecero concepire
un progetto ambizioso, di aggregazione del piccolo borgo, con i servizi
che forniva a livello di produzione agricola, ad una gigantesco e
magnificente Palazzo, che potesse ospitare tutta la corte, accanto al
sovrano. Carlo Emanuele II cambiò così il nome di Altessano in La Venerìa, oggi Venaria Reale.


La Versailles sabauda?
Assolutamente no! I lavori di ammodernamento per rendere Versailles
quello che divenne tra il XVII e il XVIII secolo, iniziarono solo nel
1661, due anni dopo.
È dunque Versailles ad essere La Venaria francese!

Gli architetti più importanti dell’epoca
si trovarono al servizio di questo colossale progetto partito da una
vera e propria variazione urbanistica del borgo di Altessano, del quale
la facciata della nascente reggia doveva rappresentare la quinta
prospettica da sogno, che si doveva intravedere in avvicinamento al
Palazzo stesso.


Amedeo di Castellamonte
fu il primo a mettere mano ai progetti dal 1659 al 1675: collocò
l’impianto dell’edificio in asse con la Contrada Granda, allora via
Maestra del Borgo di Altessano. A quest’epoca risale la parte più antica della Venaria, la cosiddetta Reggia di Diana,
non a caso dedicata alla dea della caccia, che ospitò negli anni di
Francesca d’Orleans e Maria Giovanna di Savoia Nemours, prima e seconda
moglie del Duca Carlo Emanuele, un corteo di dignitari di corte, cani e
cavalli pronti per la caccia al cervo due volte alla settimana.
Veduta a volo d’uccello – G. T. Borgonio 1670
Il Castello – G. T. Borgonio 1674


Con Vittorio Amedeo II le cose non mutarono. Ormai la sfida con il rivale d’oltralpe Luigi XIV era aperta. Portare migliorie alla Reggia spettò a Michelangelo Garove, tra il 1698 e il 1713. Diversi furono i progetti di ampliamento, ma solo alcuni vennero portati a compimento.

L’anno della svolta fu il 1716. Il ducato di Savoia diventò regno di Sicilia (poi mutato in regno di Sardegna dopo qualche anno e un baratto). Da Messina venne chiamato Filippo Juvarra:
tra i tanti interventi a Torino, compreso Palazzo Madama, c’è anche un
occhio di riguardo per la Venaria diventata Reale a tutti gli
effetti.
I suoi progetti riguardarono la Scuderia Grande, la Citroniera, le
modifiche ai padiglioni del Garove e la Galleria Grande; in più la
particolarissima chiesa di Sant’Uberto.

Tra il 1739 e il 1767 fu la volta di Benedetto Alfieri
che lavorò sulle parti di collegamento per conferire al progetto
unitarietà. Le dimensioni erano ormai davvero ingenti 45.000 mq di cui
20.000 edificati.
Gli ultimi interventi, in epoca
neoclassica, vennero fatti agli appartamenti reali, ma già era Stupinigi
ad essere più alla moda per le battute di caccia.
La Venaria sarà
destinata negli anni successivi ad altre funzioni fino a vivere un lungo
periodo di degrado fino al 1995, quando finalmente iniziano i lavori di
recupero e restauro che l’hanno portata ad essere una delle regge più
belle del mondo.

Dal 20 giugno 2014, il turista o il cittadino che vorà visitare la Venaria (ma anche il Castello di Rivoli) potrà salire a bordo della terza linea dell’autobus turistico City Sightseeing denominata “Residenze Reali” e raggiungere, comodamente seduto a bordo,
la Reggia di Venaria Reale, gli Appartamenti Reali all’interno del
Parco La Mandria e il Castello di Rivoli.
La terza linea del City Sightseeing
“Residenze Reali”, è operativa al venerdì, sabato e domenica con
partenza dal capolinea in piazza Castello angolo via Po
(lato caffè
Baratti & Milano); 4 le corse giornaliere, ogni due ore circa, (09.30 – 11.30 – 13.45 – 15.45) che permetteranno di
raggiungere la Reggia di Venaria Reale e gli Appartamenti Reali
all’interno del Parco La Mandria, scendere e visitare le due Residenze
Reali, per poi riprendere l’autobus alla volta del Castello di Rivoli
per visitare il Museo d’Arte Contemporanea.
Durante i restanti giorni
della settimana, dal lunedì al giovedì, l’autobus turistico può essere
richiesto da parte di gruppi o scolaresche in occasione di eventi
specifici per raggiungere anche le altre Residenze presenti in tutta la
Regione.
Per tutto il 2014 il biglietto per la linea “Residenze
Reali” ha un costo promozionale di 10€ ad adulto (ridotto bambini 5€)
con validità 24 ore
; il biglietto per due linee ha un costo di 20€ per
48 ore, tre linee 25€ per 48 ore.

Questa volta vi ho raccontato la storia della reggia, ma le sorprese in serbo per quanto riguarda l’evento Ortinfestival sono tante…quindi
vi dò appuntamento a venerdì  con la fittissima articolazione degli appuntamenti ed una ricetta. Vi anticipo pochissimo: le fragole,
che cominciarono ad essere coltivate a partire dal XVIII secolo (prima
erano solo nella varietà selvatica), sono tra le piantine più semplici
da avvicinare per la coltivazione dell’orto sul balcone. Anche i
“pollici neri” come me possono, con pochi accorgimenti, fare un bel
raccolto!

Gli appuntamenti li trovate qui: click!

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#InvasioniDigitali a Torino – Villa della Regina I social per la promozione del panorama culturale italiano

Qualcuno di voi avrà sentito parlare in questi giorni di #InvasioniDigitali.

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Il tartufo bianco d’Alba e i Tajarin Piemontesi per Ville in Italia

Ville in Italia è una società di tour operator nata a Firenze nel 1996 che si occupa di locazioni di breve periodo in residenze di pregio e in villa, su tutto il territorio italiano. Si rivolge ad un pubblico internazionale interessato a soggiornare nel nostro paese in un contesto davvero magico.
Basta sfogliare le proposte per iniziare a sognare fin da subito.
Da qualche tempo a questa parte Ville in Italia è anche un blog che racconta il vivere italiano e le curiosità artistiche, culturali ed enogastronomiche del nostro paese.
Mi è stato chiesto di raccontare qualcosa su uno dei prodotti piemontesi più conosciuti al mondo: il tartufo. 
O si odia o si ama: vi devo dire da che parte sto?
Ecco che, pur fuori stagione, il mio flusso di pensiero mi ha portato ai ricordi della Fiera Internazionale del Tartufo di Alba e a uno dei miei piatti preferiti: i tajarin.
Qui trovate il post in inglese, mentre qua sotto potete leggerlo in italiano.
E al fondo c’è anche la ricetta dei miei tajarin, naturalmente!
Il tartufo è
un tubero che nasce vicino alle radici degli alberi, sviluppandosi come
parassita della pianta stessa. A seconda dell’albero accanto al quale si forma,
cambieranno il colore e gli aromi del tartufo stesso.
Conosciuto
fin dall’antichità, era presente nelle cucine dei sumeri che lo utilizzavano
combinato ad orzo e legumi e, successivamente, dei greci, latini e arabi.
Plinio il
Vecchio ne diede una definizione naturalista: “fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare” e
proprio questa caratteristica di casualità determinò la fortuna e il mistero
legato allo strano e imprevedibile tubero
.

cercatore medievale

La sua storia
è segnata da periodi bui – si fu in dubbio, addirittura, se fosse di natura
vegetale o animale – e nel Medioevo, considerato un’escrescenza del terreno
dotata di vita propria, era ritenuto cibo adatto solo alle streghe e ai
diavoli
.

Un tempo era
più facile da trovare, vista la maggior diffusione di boschi e foreste e per il
suo aroma, intenso ma adatto ai palati fini, venne soprannominato “aglio del
ricco
”.

In Piemonte
l’utilizzo diventò particolarmente importante a partire dal XVII secolo, ad
imitazione della cucina francese. Il tartufo nero, più diffuso, veniva usato
nelle farciture, mentre quello bianco più pregiato era usato a profusione nelle
salse e nei condimenti.
Nel ‘700,
ormai vero e proprio prodotto di lusso, veniva cercato dai nobili per
divertimento, in vere e proprie “battute di cerca”
.
Ad opera del
Re Carlo Emanuele di Savoia nel 1751 ci fu anche un tentativo di influenzare il
gusto britannico, diffondendo anche lì il piacere della battuta di cerca e
della grattata di tartufo sulle pietanze ed effettivamente qualche piccolo
tartufo venne trovato anche in terra inglese. 
Apprezzato da
eccellenti personalità, tra cui Lord Byron che lo teneva sulla scrivania al
fine di stimolargli la creatività e Alexandre Dumas
che lo definì il Sancta Sanctorum della tavola, il tartufo
d’Alba come è conosciuto oggi ottiene la sua fortuna in tempi recenti con l’albergatore
e ristoratore albese Giacomo Morra.
Giacomo Morra [immagine da gazzettadalba.it]

Nel 1949
l’intuizione: per risollevare l’economia dopo il secondo conflitto mondiale Giacomo
Morra puntò sul tartufo per farlo diventare un prodotto riconosciuto e il simbolo
di una manifestazione che attirasse l’attenzione di tutto il mondo sulle Langhe
.
Regalò il miglior esemplare raccolto quell’anno all’attrice più amata del
tempo, Rita Hayworth. Da lì ogni anno i tartufi migliori vennero donati a
personalità di rilievo tra cui Churchill, Marilyn Monroe, Sofia Loren,
Hitckcok, Pavarotti e molti altri…ed ebbero il merito di diffondere il mito
di Alba e del suo tartufo bianco nel mondo.

Anche per me
il tartufo è sinonimo di Alba, anche se lo stesso prezioso tubero è raccolto in
diverse zone del Piemonte. È il pretesto che ci spinge ogni anno a compiere
quell’ora di viaggio da Torino per la Fiera Internazionale del Tartufo, per annusare
l’aria profumata, per gustare gli ottimi vini del territorio che con questo
prodotto si sposano ottimamente, e per assaggiare piatti prelibati della
tradizione, insaporiti con il preziosissimo tubero.
Tra questi piatti
spiccano i tajarin, i tradizionali
tagliolini piemontesi, pasta all’uovo già diffusa nel XV secolo. Sottilissima è la sfoglia ed altrettanto sottili vengono “affettati”,
circa 2-3 millimetri.  Vengono conditi per tradizione con il “comodino”, un sughetto
preparato con i fegatini e altre frattaglie di pollo, oppure
semplicemente con burro fuso e profumatissimo tartufo: sono i miei preferiti.

Ecco la
ricetta per farli in casa: Tajarin
(per 4-6
porzioni)
400 g di
farina di grano tenero
3 uova intere
2 tuorli
1 pizzico di
sale
100 g di burro
1 mestolino
di brodo di carne
1 piccolo
tartufo
Disporre la
farina sulla spianatoia creando una fossetta centrale.
Versarvi le
uova intere e i tuorli, con il pizzico di sale, e cominciare ad impastare,
prima con la forchetta e poi con le mani inglobando man mano tutta la farina.
L’impasto deve risultare liscio e sodo, quindi in caso di necessità
aggiungere ancora un poco di farina oppure al contrario lavorarlo con le mani leggermente umide.
Lavorare
l’impasto sulla spianatoia per almeno dieci minuti, finché non è perfettamente liscio ed elastico.
Coprirlo con
un panno pulito inumidito e lasciarlo riposare per un’ora o due.
Riprendere
l’impasto e stenderlo sottilissimo con il mattarello o la macchina per la
pasta.

Cospargere la
sfoglia ottenuta di semola o di farina di mais ed arrotolarla su se stessa. Con
un coltello affilato tagliare i tajarin molto sottili, in fettine di 2-3 mm di larghezza, srotolarli man mano e
disporli in mucchietti.

Quando sono
tutti pronti, lessarli in abbondante acqua salata per 5 minuti.
Pulire il
tartufo con delicatezza, con l’aiuto di uno spazzolino dalle setole morbide e
di un panno.
Nel frattempo
far sciogliere il burro in una padella capiente, stemperandolo con un po’ di
brodo.
Scolare i
tajarin e metterli nella padella, facendoli insaporire con il burro fuso.
Impiattare e
grattugiarvi sopra il tartufo bianco.
…e se non è stagione di tartufi…sono buoni già così! 😉

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Una nuova serata per Platti Atelier del Gusto, va in scena la cucina lucana

Chi mi segue sa quando è nato il mio recente amore per la Basilicata.
Un amore nato con il contest #IoChef lanciato in occasione del 27°
congresso nazionale della Federazione Italiana Cuochi (FIC),
organizzato dall’Unione Regionale Cuochi Lucani, che si è svolto a
Metaponto dal 7 al 10 ottobre 2013.  
In quell’occasione avevo presentato una ricetta a base di melanzana rossa di Rotonda DOP, pane di Matera IGP e peperone crusco di Senise, insieme a un saporito ragù di polpo e qui potete trovare tante indicazioni su questi prodotti.
La mia conoscenza dei prodotti lucani si è evoluta ancora con un altro contest, #MangiareMatera, dove i protagonisti erano il Pane di Matera e le farine di grano duro lucane, recentemente conclusosi con un riconoscimento anche per me: sono arrivata terza nella categoria primi piatti con i Fagottini di Semola di Grano Duro ripieni di platessa ed erbe fini. Questo contest ha anche portato alla pubblicazione di un libro, Grano Duro, Oro Giallo, con tante ricette di bravissimi bloggers.
Ora sono qui a raccontarvi dell’imminente nuovo appuntamento del Caffé Platti per le serate Atelier del Gusto che si svolgerà il 25 e il 26 febbraio prossimi. La protagonista della serata sarà la Lucania e l’attore un altro promettente chef emergente: Matteo Malacarne, chef del ristorante Don Matteo di Matera, ubicato all’interno di Palazzo Gattini, nel cuore dei Sassi. Ancora una volta si tratta di una storia familiare, la mamma e il papà di Matteo lavorano nel ristorante di famiglia, in cucina e in sala. Ancora una volta la promessa di gusti sorprendenti, grazie ai prodotti del territorio.
Qui il menù della serata:

Aperitivo di benvenuto
Panecotto con le rape e pezzentella al finocchietto con passato di zucca rossa e lampascione leggermente croccante
Carciofo con fonduta al pistacchio, cannolo al pecorino di Moliterno, crema caprina e antica insalata di arance, finocchio e melagrana
Triscidd poverelli di casa 
Olio Nuovo…terriccio di zafaran e polpa di acciughe rifiniti con mollica di pane cafone
Scorzette di mandorle di grano Senatore con salsiccia fresca e funghi cardoncelli delle Murge
Involtino di ricciola alla moda Lucana purea di ceci neri e petali di peperone crusco di Senise
Lo Spumone di Matera agli amaretti e noci mascoline con colatura di cacao amaro e…
…la ricotta di pecora allo strazzone al Cordial Caffè e miele di sulla
i vini in abbinamento:
Metodo Classico “Centosanti – sb.2012 – cantina Michele Dragone
Malandrina 2010 – Moro- Cantina Masseria Cardillo, Bernalda
Cordial Caffè Lucano – Cav. P.Vena – Pisticci Scalo
(il costo della serata è di 65€/vini inclusi)
Molti ingredienti presentati in menù rappresentano alcuni dei numerosi presidi e tipicità lucani.
La Pezzentella, anzitutto, tipico salame della montagna materana e presidio Slow Food; poi il Canestrato di Moliterno, formaggio di pecora e capra, maturato nei caratteristici canestri di giunco e con riconoscimento IGP; i triscidd, sono i famosi strascinati, pasta tipica lucana, fatta in casa; il pane di Matera, tra i più pregiati pani d’Italia; i funghi cardoncelli delle Murge appulo-lucane; i ceci neri della Murgia Carsica (io avevo assaggiato quelli di Pomarico); i peperoni cruschi di Senise IGP (potete trovare qualche cenno sul mio post del contest) e il misterioso Zafaran, che non è zafferano ma polvere di peperoni cruschi, dorata e saporita; poi il grano Senatore Cappelli, una delle più antiche e pregiate varietà italiane; e ancora la ricotta di pecora allo strazzone.
Non vedo l’ora che arrivi il 26 febbraio, quando potrò assaggiare tutte queste specialità nella raffinata interpretazione di Matteo Malacarne. E se non avete in programma un imminente viaggio in terra lucana, vi consiglio di approfittare di questa occasione per assaggiare la cucina del Don Matteo, in trasferta sabauda.

Per informazioni e prenotazioni per le serate del 25 e 26 febbraio, potete chiamare lo 011.5069056. 
E per seguire la mia degustazione: #plattiseratalucana #Platti e #AtelierDelGusto.
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Disfida Focaccia con due miti del “cibo da strada” ligure

Vi ricordate della giornata alla focacceria Lagrange? E vi ricordate del contest e della mia focaccia genovese-piemontese?

Ecco, con quella focaccia ho catturato l’attenzione di Salvatore Lo Porto e presto (spero) la prepareremo insieme.
Nell’attesa vi racconto cosa è successo il 3 dicembre in un’altra focacceria del circuito, precisamente alla Focacceria Sant’Agostino di via San’Agostino 6 a Torino.

A darsi appuntamento qui, due dei miti liguri del cibo da strada: Biagio Palombo, il mitico Biagio della Baracchetta di Recco, e Vittorio Caviglia, in un momento di godereccia condivisione di saperi.
Biagio della Baracchetta ha portato con sé tutto il sapere maturato in anni di produzione di una delle più buone e autentiche focacce di Recco; Vittorio ha condiviso invece tutte le regole per produrre la farinata perfetta, del giusto spessore, croccante in superficie e morbida all’interno.
Questa disfida tra Farinata e Focaccia di Recco è stata giocata all’insegna della più grande umiltà, con la regola, ripetuta più volte, che alla base di un ottimo risultato c’è un duro e costante lavoro.
Abbiamo scoperto che la focaccia di Recco richiede una buona manualità, ma il segreto sta nell’elasticità dell’impasto e che la farinata vuole soprattutto un buon equilibrio tra gli ingredienti e un forno molto caldo e che sia perfettamente in bolla.
Abbiamo scoperto che le teglie tonde non sono tutte uguali e che richiedono un trattamento speciale.
abbiamo scoperto soprattutto che le cose più buone sono quelle più semplici: pochi ingredienti di qualità e la passione di una vita.

Qui sotto trovate alcune foto della serata e in fondo la mia focaccia di Recco e la mia farinata (prima della disfida focaccia…non credevate mica che vi avrei rivelato tutti i segreti di Biagio e Vittorio?!?).

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