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ai fornelli, buffet salato, insalate e piatti freddi, ricette tradizionali

Di esperimenti messicani e di soluzioni italiane

Risalgo sul carrozzone dell’Abbecedario Culinario giusto in tempo, prima che lasci il Messico, alla volta del Vietnam. La puntata di questo mese era dedicata al Messico: G come Guadalajara, lettera ospitata da Lucia del blog Torta di Rose.
Messico è per me Frida Khalo e peperoncino
Ma questa volta ho deciso di giocare un po’.
Direttamente dal Messico, in particolare dalla regione di Oaxaca, vengono le chapulines, cavallette commestibili (a quanto pare) che vengono servite come street food, fritte e condite con succo di lime, aglio, sale e peperoncino. Gli stomaci più forti, potranno cercarli su google immagini, ma non ve lo consiglio.
Venivano consumate almeno dalla metà del XVI secolo, ma oggi, grazie alla notizia che gli insetti siano particolarmente proteici ed energetici, vengono largamente utilizzate dagli sportivi, vendute come merendine durante gli eventi, roba che “Banderas e gallina Rosita, scansatevi”.
Siccome nella mia cucina l’ingresso è vietato alle cavallette, ho deciso di provare le arachidi fritte, di norma condite con la stessa mistura, e che dovrebbero a detta di molti riprodurne la consistenza. Sono fritte con il guscio e con il guscio vanno mangiate. Ma si vede che non convincono proprio tutti, perchè ovunque è indicato esplicitamente “puoi mangiare anche il guscio” e “si mangiano tutte intere”.
Probabilmente perchè ero suggestionata dalle cavallette di cui sopra, non mi hanno pienamente convinto. 
Il mio consiglio – e la ricetta vera – è questo: sbucciate le arachidi, fatele scaldare leggermente in padella per far tirare fuori loro un poco di untuosità, conditele con aglio in polvere, sale, peperoncino piccante e un’abbondante spruzzata di lime. Ecco, l’aperitivo è servito e così ve ne garantisco la bontà!
–per 100 g di arachidi sbucciate, 1 lime, sale, peperoncino, aglio in polvere q.b.–
Con questa “non ricetta” partecipo alla puntata messicana de l’Abbecedario Culinario Mondiale, ospitato da Lucia:
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Parathas per la B di Balarampur, India

Ancora un pane per Cindy e per l’India prima che la carovana dell’Abbecedario Culinario riparta per una nuova destinazione.
Questa volta si tratta delle parathas, un pane senza lievito, condito e cotto su una piastra rovente invece che in forno. L’impasto è quello dei chapatis, la differenza sta nella piegatura e nella forma caratteristica.
Esiste anche un tipo di parathas ripieno, soprattutto ne ho trovate farcite con un impasto di patate e spezie e confezionate tonde senza piegature, dall’aspetto decisamente più simile ai chapatis: questa tipologia ripiena si mangia tradizionalmente a colazione.
Correttamente si dovrebbe utilizzare il ghee, ma si può sostituire con burro fuso, per velocizzare il tutto, o con olio d’oliva se lottate contro il colesterolo: vi assicuro che sono buonissime anche così!
La ricetta: Parathas (ricetta tratta dal libro Il Pane fatto in Casa)
115 g di farina bianca
115 g di farina integrale
1 cucchiaino scarso di sale
15 ml di olio vegetale
135 ml di acqua 
120 ml di burro fuso (o se preferite ghee o olio extravergine di oliva)

Setacciate le farine con il sale. Impastate con acqua e olio e formate un’impasto mordido, aggiungendo una spolverata di farina se risultasse appiccicoso. Formare un panetto e farlo riposare per mezz’ora.
Formare 9-10 parti uguali e ricavarne delle palline che verranno tenute al riparo dall’aria.
Prendere una pallina, stenderla con il mattarello e l’aiuto di poca farina fino a formare un disco di 15 cm di diametro. Spennellare con il burro fuso e piegare a metà. Rispennellare e piaegare ancora a metà. Riporre questo triangolo sotto una pellicola e procedere con le altre palline, fino ad esaurire l’impasto.

Scaldare una padella piatta oppure una piastra per crepes sul fornello.
Nel frattempo riprendere il primo triangolo e schiacciarlo ancora con il mattarello, fino ad ottenere un triangolo sottile con il lato di 15-18 cm. Spennellarne un lato e metterlo sulla piastra ben calda. Far cuocere per un minuto, finche non si formano delle piccole macchioline marroncine, poi spennellare il lato in alto e rigirare la parathas, facendo cuocere per un altro minuto.
Procedere con tutte le parathas, tenendo in caldo quelle già cotte. Si possono eventualmente riscaldare ancora un attimo sulla piastra appena prima di servire, per farle tornare croccanti.

Questa ricetta partecipa all’Abbecedario Culinario Mondiale per la B di Balarampur, India, ospitato dal blog di Cindy.

Ci vediamo dal 18 in Australia… 😉

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Pane Naan per la B di Balarampur, India

Seconda tappa dell’Abbecedario Culinario Mondiale e dopo un volo di sole otto ore da Samoa ci spostiamo da Cindy che ospita Balarampur e la cucina dell’India.

Io mi sento un poco a disagio ad approcciarmi ad un racconto riguardo a un paese così sterminato, così diverso nelle sue regioni, così pieno di contraddizioni.
Qui sono nate 4 religioni, tra le più antiche della terra e ad oggi il paese è una delle più grandi democrazie al mondo, e paese tecnologicamente molto avanzato e pur tuttavia tra i suoi abitanti c’è ancora chi vive nella povertà più estrema e la condizione femminile in alcune zone è davvero disastrosa.
Ho provato a leggerne un po’, per crearmi un’opinione più sensata, e la riflessione che più mi ha colpito è quella fatta da Amartya Sen, indiano e premio nobel per l’economia che nei suoi studi ha evidenziato come nell’analisi dell’India e del suo popolo ci sia la tendenza a sottolineare più le diversità che le analogie. Il quadro dell’India che ne emerge è spesso distante da ciò che l’India è realmente. Ovvio – penso – perchè il paese è talmente grande da suscitare questo senso di straniamento a chi voglia racchiuderlo in un’analisi limitata.

Il suo pensiero sulla percezione della cultura indiana, da coloro che non sono nati e
cresciuti in India, è riassunta su tre linee: 

<<
-Approccio esotico: si concentra sugli aspetti meravigliosi della
cultura dell’India. Il focus di questo approccio alla comprensione della
cultura indiana è quello di presentare il diverso, lo strano e come Hegel ha detto, “un paese che esiste da millenni nella fantasia degli europei.”

-Approccio di superiorità: essa assume un senso di superiorità e di
tutela necessarie per trattare con l’India. (…)

-Approccio curatoriale: si tenta di osservare, classificare e
registrare la diversità della cultura indiana in diverse parti
dell’India. I curatori non guardano solo alla stranezza, non valutano in
base alle priorità politiche, e tendono ad essere più liberi da
stereotipi. L’approccio curatoriale, tuttavia, ha una tendenza a vedere
la cultura indiana come più speciale e straordinariamente interessante
di quanto in realtà non sia.>>

E leggendo queste poche righe vedo che anche in me coesistono queste tre linee di analisi quando mi approccio ad un paese immenso e contraddittorio come l’India. Una sorta di limite che sento ancora di avere e che qui, proprio per questo paese così grande, che nasconde bellezza e bruttezza esattamente come qualsiasi altro, ma che per noi occidentali rappresenta ancora l’esotico per antonomasia, con quello spirito ancora un po’ segnato dal colonialismo che ci contraddistingue, mi sentivo di esternare.

Della mia idea di India restano i colori.

Ho deciso di partire dalle basi, dal pane, anche perchè con questo Naan è stato amore a prima vista.
Si gonfia nel forno caldo come un palloncino e una volta sgonfiato resta morbido. Spennellato di ghee o di più semplice burro fuso e insaporito da aromi è come una focaccia e  può essere accompagnato a verdure oppure gustato da solo. Io ho scelto di aromatizzarlo al cardamomo e pepe nero, ma le alternative sono infinite. Qui ad esempio trovate quello di Tamara con il curry.

Ed ora la ricetta che è facilissima.

La ricetta: Pane Naan
225 g di farina
2,5 g di sale
10 g di lievito di birra fresco
60 ml di latte tiepido
30 ml di yogurt bianco
15 ml di olio vegetale (per me girasole)
1 uovo piccolo

per spennellare
30 g di burro fuso
pepe nero macinato al momento
cardamomo in polvere

Sciogliere il lievito nel latte appena tiepido. Setacciare la farina in una ciotola e poi aggiungervi latte e lievito, cominciando ad impastare, e proseguire con lo yogurt, l’olio, l’uovo ed infine il sale. Impastare finchè l’impasto non è soffice e liscio. Coprire la ciotola con pellicola e mettere a lievitare fino al raddoppio in un luogo tiepido.
Sgonfiare l’impasto. Accendere il forno a 230° e farlo scaldare con una teglia all’interno.
Nel frattempo dividere l’impasto in 4 pagnottine. Stenderle con il mattarello fino a formare una forma a goccia, spessa 0,8-1 cm.
Scaldare sul fornello una padella larga o da crepes.
Quando il forno è ben caldo, aprire lo sportello e velocemente depositare un naan sulla pastra, richiudendo subito. Il naan si gonfierà come un palloncino e dovrà cuocere per 4 minuti. Sfornatelo e deponetelo sulla padella rovente, per appena un minuto: si deve giusto colorare.
Ripetere l’operazione con tutti i naan, tenendoli poi al caldo sotto un panno.
Al momento di servire, meglio se tiepidi, spennellare con buro fuso (o ghee) e aromatizzare con pepe nero macinato al momento e polvere di cardamomo


Questa ricetta partecipa all’Abbecedario Culinario Mondiale per la B di Balarampur, India, ospitato dal blog di Cindy.

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Sta per partire l’Abbecedario Culinario Mondiale!

C’è una parola che va tanto di moda ed è “virale”. Qualcosa diventa virale perché tutti lo vogliono, tutti lo conoscono, tutti ne parlano… Ecco, l’abbecedario culinario d’Europa non è diventato virale, però rileggendo il suo post di apertura del Gennaio 2013, si parlava di 16 blog che a blog unificati annunciavano il viaggio (virtuale) culinario europeo, e quest’anno? Quest’anno abbiamo un calendario già pronto, abbiamo un gruppo di 29 blogger che compongono la nostra carovana, tra ambasciatrici, ambasciatore, “semplici” viaggiatrici e un’Aiuolik. 
Ebbene signori, noi siamo pronti e siamo lieti di annunciarvi:

L’ABBECEDARIO CULINARIO MONDIALE
Avete capito bene, questa volta giriamo (virtualmente) il mondo e lo mettiamo sul piatto, letterina per letterina!

Anche questo viaggio consta di un ambasciatore/ambasciatrice per ogni letterina e anche quest’anno ci aspettiamo che siate in tanti a viaggiare con noi, che sia per una tappa o per tutto il viaggio o ogni volta che avete il trolley pronto e vi volete aggiungere.
Questa volta però ogni lettera è associata a una città, rappresentativa di una nazione e l’ambasciatore/ambasciatrice ha l’onore di aprire le danze con un piatto tipico a sua scelta. In seguito, tutti gli altri partecipanti/viaggiatori possono pubblicare una ricetta tipica di quel luogo. Semplice, no?

Più brevemente, se volete partecipare ricordatevi la regola delle 4W:

  1. WHEN: ogni 3 settimane esce una lettera; 
  2. WHAT: potete pubblicare una qualsiasi ricetta (o anche più di una) della nazione rappresentata da quella lettera (la ricetta può iniziare con qualsiasi lettera!); 
  3. WHERE: la ricetta la pubblicate nel vostro blog e poi lasciate il link al blog ospite come commento al suo post di apertura; 
  4. WHO: chiunque abbia un blog può partecipare, più siamo e più ci divertiamo quindi sarebbe fantastico fare più tappe possibili tutti assieme, ma potete partecipare anche solo per una lettera, anche una lettera sì e una no, anche solo i mesi dispari! 

Il post deve includere un riferimento all’evento e al blog ospitante, mentre l’utilizzo del logo dell’evento (ovvero l’immagine che vedete un po’ più su) è facoltativo (ma gradito). Potete anche utilizzare ricette dal vostro archivio: basta aggiungere il riferimento all’evento e procedere come sopra.

Se è tutto chiaro, ecco quindi il calendario, non fatevi spaventare dalle date, il viaggio sarà piacevolissimo in nostra compagnia!

Viaggiare con noi è gratis, si apprendono tante cose e troverai sempre un sorriso, che aspetti a preparare il trolley anche tu?

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Ābolu pankūka per l’Abbecedario Culinario

La ricerca di una ricetta per l’Abbecedario Culinario che questo mese fa tappa in Lettonia, ospite del blog di Brii, non è stata semplice.
La cucina lettone è contaminata da quella dei paesi limitrofi,e non è semplice capire se una ricetta sul web proviene davvero dalle tradizioni di questa terra o è frutto di contaminazioni recenti. In compenso, una certezza: ho letto ovunque che in Lettonia si mangia benissimo e che i suoi abitanti sono dei veri buongustai, ragione di più per me, che sono attratta dai paesi del Nord Europa, di visitarla presto.
Le ricette veramente tradizionali in cui sono incappata erano quasi tutte
a base di patate e con i giorni di primavera che questo marzo
ci ha già regalato avevo voglia di qualcosa di più fresco.
Alla fine, come spesso accade la ricetta l’ho scelta per golosità: mele, cannella e cardamomo… ed ero già conquistata! 
Il blog da cui ho preso la ricetta è questo e, viaggiatori dell’Abbecedario Culinario, vi consiglio di dargli un’occhiata perchè la sua autrice ha cucinato e condiviso 195 ricette da 195 paesi diversi in 195 settimane e la sua bimba ha assaggiato i 195 piatti in questione, prima di compiere 5 anni. Non proprio tutti i piatti sono stati di suo gradimento: guardate il video! 😀 
Ma l’iniziativa è nata per offrire un messaggio di pace globale al mondo: Hungry for Peace. Eat Global, Shop Local. 
In Lettonia ci sono molti dolci tradizionali a base di mele. Queste frittelle sono una via di mezzo tra i pancakes anglosassoni, le crêpe francesi e i blinis russi.
Le mele che le completano sono ovviamente speziate, con la cannella e con un tocco di cardamomo, molto utilizzato a queste latitudini.
L’autrice del blog ci dice che i lettoni mangiano spesso questo piatto a colazione, servito caldo e accompagnato da yogurt e miele o confettura.
La ricetta: Ābolu pankūka


1 mela croccante (o anche 1 e mezza)
poche gocce di succo di limone
1/2 cucchiaino di cannella
1/2 cucchiaino di cardamomo
25 g di zucchero
3 uova
28 g di burro
da 120 a 240 ml di latte (da aggiungere gradualmente)
125 g di farina
1 pizzico di sale
burro per cuocere
Pelare e affettare finemente la mela con la mandolina. Spruzzarla con qualche goccia di succo di limone perchè non annerisca e cospargerla di spezie e di zucchero.
Sbattere le uova con la farina e il pizzico di sale formando una pastella liscia. Aggiungere il burro sciolto e gradualmente il latte a filo fino a raggiungere una consistenza più liquida dei pancakes e più densa delle crêpe.
Aggiungere le mele e cuocere da entrambi i lati in una padella unta di burro finchè non sono dorate.
Qualche consiglio:
– io ho dimezzato le dosi, ma la mela l’ho messa tutta, perchè si sentisse un po’ di più sotto i denti; 
– se non trovate il cardamomo in polvere o se non riuscite a tritarlo, scaldate il latte con i semini, e poi filtratelo;
– io ho allargato queste frittelle su tutta la superficie del padellino ma vi consiglio di farle più piccole e magari più spesse;
– ho completato con yogurt bianco e miele; ci sta bene anche qualche semino (di lino o di girasole).

Questa ricetta va dritta dritta ad arricchire la raccolta dell’Abbecedario Culinario per la Lettonia.

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Trdlo per l’Abbecedario Culinario d’Europa: siamo in Repubblica Ceca

Per l’Abbecedario Culinario d’Europa è giunto finalmente il mio turno: fino al 2 marzo ospiterò la Repubblica Ceca e la sua cucina.
Se volete volare direttamente alla ricetta, scorrete fino in fondo ma, se come me amate approfondire, vi dico che per raccontare la storia della Repubblica Ceca, bisogna per forza dire qualcosa della Cecoslovacchia (dalla quale, nel 1993, dopo la caduta del muro di Berlino e i fatti
conseguenti alla disgregazione dell’impero sovietico, si formarono la
Repubblica Ceca e la Slovacchia in modo pacifico e naturale).
La Repubblica Ceca, situata al centro dell’Europa continentale
La Cecoslovacchia si costituì ufficialmente nel 1918, da quel che restava delle ceneri del cadente impero austroungarico.
Si parla di regioni ma anche di identità culturale; Boemia e Moravia erano le regioni più industrializzate dell’Austria,
mentre la Slovacchia era la regione più industrializzata dell’Ungheria
. Boemi e Slovacchi avevano una lingua ed un’identità nazionale molto vicina che permise la formazione del nuovo stato.
Nel 1918 e negli anni a seguire la Cecoslovacchia si configurò come una delle dieci nazioni più industrializzate ed avanzate al mondo. Per questa ed altre ragioni entrò ben presto nel mirino di Hitler e venne smembrata dal 1938 fino al 1944, quando le toccò entrare sotto la sfera di influenza sovietica. Il predominio comunista si compì nel 1948.
Per circa 20 anni non si mosse foglia…almeno non ufficialmente, fino alla leggendaria Primavera di Praga, dal 5 gennaio 1968 quando ci fu un tentativo di instaurare un “socialismo dal volto umano, rapidamente stroncato il 20 agosto dello stesso anno dai sovietici, con migliaia di soldati e carri armati che invasero tutto il paese. Numerose furono le forme di protesta non violente, e soprattutto fortissima l’ondata di emigrazione verso l’ovest europeo, mentre coloro che si erano compromessi con il “socialismo dal volto umano” furono allontanati da qualsiasi carica pubblica.
Passarono altri lunghi venti anni; nel 1988 a Bratislava, oggi capitale della Slovacchia, ci fu una delle prime manifestazioni anticomuniste, seguita da altre a Praga e in altre città ceche. Nel 1989 cominciò la vera e propria rivoluzione, sempre a Bratislava, con manifestazioni di studenti, culminando tra il 17 novembre e il 29 dicembre con la Rivoluzione di Velluto che portò al rovesciamento del regime comunista.
Da allora, con un processo pacifico, si arrivò alla definizione dei due stati nel 1993.
Dal 2004 la Repubblica Ceca fa parte dell’Unione Europea e fa parte dello spazio Schengen dal 2007.
La capitale della Repubblica Ceca è Praga.
Secondo la leggenda la città venne fondata nel 730 d.C. dalla principessa veggente Libuše. Essa vaticinò, sul letto di morte, l’arrivo di un popolo straniero a chiedere asilo ai Boemi sui quali regnava. Si può far risalire a quel tempo la multietnicità di Praga nei secoli. La città fu un importantissimo snodo mercantile ed attirò moltissimi mercanti ebrei che qui costituirono un’enorme comunità.
In realtà il luogo dove la città venne fondata era sede di accampamenti fin dal Paleolitico, vantando quindi millenni di storia.
Dal 1085 Vyšehrad, il castello alto, divenne residenza ufficiale dei re di Boemia; in seguito venne costruito un altro castello sulla riva opposta del fiume: Pražský Hrad, il castello di Praga.
Vyšehrad
Pražský Hrad
Dal 1526 al 1918 Praga fu sotto il dominio dell’Impero Asburgico. Da questo momento storico, non ci sono molti fatti significativi che emergono dalle cronache. I governatori Asburgici trattavano le zone di Boemia, Moravia e Slovacchia come province dell’impero, senza mai applicare il principio del cuius regio eius religio: non venne mai imposta una religione di stato, e questo garantì la libera circolazione di idee sul territorio e probabilmente l’apertura laica odierna fa capo a queste antiche radici.
C’è da dire che quando qualche emissario dell’imperatore contrariava i praghesi, essi adottavano un metodo molto semplice per disfarsi dell’indesiderato: lo lanciavano dalla finestra. Nel vero senso della parola. Una prima defenestrazione avvenne nel 1419, quando Praga si ribellò al comando del prete Želivský e i tre consiglieri vennero scaraventati dalla finestra del Consiglio della Città Nuova. Una seconda si verificò nel 1483. La terza, e più conosciuta, Defenestrazione di Praga diede inizio alla Guerra dei Trent’anni che dilaniò tutta l’Europa dal 1618 al 1648.
Dopo il 1918, con la fine del governo asburgico, la storia di Praga si fonde con quella della Cecoslovacchia ed oggi con la storia della Repubblica Ceca.
A Praga, altre attrazioni da vedere, oltre ai due già citati castelli sono:
-l’antichissimo Ponte Carlo, fondato da Carlo IV nel 1357, e più antico ponte in pietra di Praga.
-la torre Petřín, costruita nel 1891 a somiglianza della Torre Eiffel, dopo che il suo progettista l’aveva vista all’Esposizione Universale di Parigi del 1889, ma alta “solo” 60 m.
-lo Staroměstská radnice, ovvero il Municipio della città vecchia, con il famoso Orloj, l’orologio astronomico, forse una delle attrazioni più fotografate di Praga.
Josefov, ossia il quartiere ebraico di Praga che deve il proprio nome all’imperatore Giuseppe II che abolì il ghetto nel 1781, rendendo la circolazione libera. Bellissime le sinagoghe e suggestivo il cimitero ebraico.
Prašná brána, la Torre delle Polveri, un’antica torre medievale, per un periodo destinata a deposito per la polvere da sparo, poi restaurata nel XIX secolo.
La porta nel 1865 e dopo il restauro del XIX secolo
-la cattedrale gotica di Týn.

Chrám sv. Mikuláše e Kostel Panny Marie Vítězn, le barocche chiese di S. Nicola e della Vergine Maria della Vittoria.
Per gli appassionati di architettura contemporanea, l’incantevole Casa Danzante di Vlado Milunić e Frank Gehry, che si dice essere ispirata a Fred Astaire e Ginger Rogers.
Fuori dalla capitale, da non perdere un giro nel Parco Nazionale della Selva Boema, per trovarsi per un giorno in un paesaggio da fiaba dei fratelli Grimm.
Le personalità artistiche legate a Praga e alla Repubblica Ceca sono molte. Tra i tanti vi ricordo il pittore Alfons Mucha, esponente dell’Art Nouveau, il poeta Rainer Maria Rilke, lo scrittore Franz Kafka, i compositori Bedřich Smetana e Antonín Dvorak, lo scrittore Milan Kundera, il regista Miloš Forman.
Anche Mozart vi soggiornò in uno dei periodi in cui Praga era una vera e propria culla della cultura europea, e qui, nel 1787 compose una delle sue opere più celebri, il Don Giovanni. E ancora il pittore milanese Giuseppe Arcimboldo, al servizio di Rodolfo II, dal 1576 al 1587.
Veniamo alla cucina. Considerata la storia della Repubblica Ceca, la sua cucina non può che essere contaminata da quelle dei paesi limitrofi. Per questa ragione non ci sono piatti tipici, ma piuttosto alcuni modi di cucinare “tipicamente” ricette diffuse anche in Germania, Austria, Slovacchia, Polonia ed Ungheria.
Fra questi il Trdlo o meglio Trdelník, (tecnicamente il trdlo è il rullo su cui viene cotto, ma indica anche il dolce in sé) che scende in campo alla lettera T dell’Abbecedario Culinario.
La leggenda narra che sia stato inventato da un cuoco del conte Jozsef Gvada’nyi, a Stalika, in Slovacchia tra il 1783 e il 1801.
La prima menzione scritta si ha in un’opera del poeta e scrittore ungherese Gyula
Juha’sz (1883-1937), che per un tempo era stato professore presso il liceo di Stalika. Che ne abbia scritto un poeta ungherese non significa che il dolce sia ungherese come alcuni sostengono.
Effettivamente il dolce nasce in Slovacchia, abbiamo già visto come le due nazioni erano unite, e in un periodo relativamente recente, ma negli ultimi anni ha preso piede e, complici la semplicità delle materie prime e il modo pittoresco con cui vien cotto, è diventato impossibile visitare Praga senza incappare nei venditori di strada muniti di fornelletto a gas che avvolgono il soffice e croccante Trdelník sui loro rulli.
L’impasto lievitato viene lavorato a mano e poi avvolto sui rulli e passato nello zucchero o nella frutta secca tritata. Viene cotto sulle braci, mentre il rullo non smette di girare, fino a che il trdlo non diventa dorato e croccante in superficie. A quel punto viene sfilato dai rulli e venduto a pezzi, per essere mangiato caldo, al naturale o spalmato all’interno di cioccolata.
Per riprodurre la ricetta a casa mi sono dovuta ingegnare. Sul web sono molti quelli che hanno preparato dei cilindri di stagnola su un mattarello ed hanno poi fatto cuocere i pezzi di Trdelnik, sfilandoli assieme all’anima di stagnola e posizionandoli in piedi. Io ho preferito rivestire il mattarello con la stagnola e metterlo poi in equilibrio su una placca da forno in modo che il dolce non risultasse appoggiato da nessuna parte. In questo modo è dorato uniformemente!
La ricetta: Trdlo o Trdelnik
(per circa 8 pezzi)

260 g di farina
110 ml di latte
1 uovo intero
30 g di burro
1 cucchiaio di zucchero
10 g di lievito di birra
la buccia di un limone

per guarnire:
albume
zucchero di canna
cannella 

Ho sciolto il lievito in un poco di latte. 
Ho versato in una ciotola la farina e lo zucchero ed ho iniziato ad impastare con il latte. Ho unito poi l’uovo, leggermente sbattuto , la scorza di limone grattugiata ed infine, quando si era già formato un bell’impatsoliscio, il burro a pezzetti, facendo assorbire ogni pezzetto di burro prima di aggiungere il successivo. Ho lavorato l’impasto così per dieci minuti. Poi l’ho messo in una ciotola unta, coperto con pellicola e messo a lievitare nel forno spento.
Mentre l’impasto lievitava ho rivestito un mattarello di stagnola ed ho mescolato in un piatto qualche cucchiaio di zucchero di canna con un po’ di cannella in polvere.
Al raddoppio dell’impasto, dopo circa 1 ora e mezza, l’ho ripreso e sgonfiato leggermente, poi steso in una sfoglia spessa mezzo centimetro, ricavando poi delle lunghe strisce larghe 2-3 cm.
Ho iniziato ad avvolgere le strisce sul mattarello coperto di stagnola, e quando una si esauriva ne attaccavo un’altra sovrapponendo leggermente le estremità. Ho così formato due trdelnik sul mattarello.
Ho spennellato ognuno con l’albume e l’ho delicatamente rotolato sullo zucchero e cannella.
Ho infornato per circa 12-15 minuti in forno già caldo a 180°C, deponendo il mattarello su una teglia da forno in modo che solo le estremità poggiassero sul bordo della teglia stessa.
Dopo qualche minuto fuori dal forno, ho sfilato i due trdlo e ho proseguito con la cottura dei successivi. A questo proposito può essere comodo avere due diversi mattarelli in modo da preparare il secondo, mentre il primo è in cottura.


E adesso tocca a voi sbizzarrirvi nella česká kuchyně, la cucina ceca. Fa ancora freddino quindi non troveranno difficoltà a comparire sulle vostre tavole ricchi piatti di maiale e di agnello con gli gnocchi di pane e i puré di patate. Anche il “contorno” di pasta non manca: ci sono i fleky. Le insalate sono spesso di patate, a volte rinforzate con maionese. Tra i dolci ci si rifà a tutta la tradizione centro europea, con l’utilizzo dei semini di papavero e la confettura di prugne… Aspetto le vostre ricette!

***tutte le foto di Praga sono tratte da Wikipedia e Wikimedia Commons

Le mie ricette:
Trdlo o Trdelnik, rotolo dolce di Praga 
Svíčková na smetaně s Knedlìky, controfiletto in salsa di panna acida con gnocco di pane



Le vostre ricette in ordine d’arrivo: 
Bramboráky, frittelle di patate con aglio e cumino, dal blog Cindystar
Kulajda, zuppa di patate e funghi, dal blog Un’Arbanella di Basilico
Česnečka, zuppa ceca all’aglio, dal blog Briggishome  
Španělský ptáček, “uccello spagnolo”, dal blog Trattoria MuVarA 
Staročeské Kuře na Kysaném Zelí, pollo vecchia Boemia con crauti, dal blog Armonia Paleo
Stinco di maiale alla birra, dal blog Zibaldone Culinario
Bramborovápolévka o Bramboračka, zuppa di patate, dal blog Sciroppo di mirtilli e piccoli equilibri
Lomnické suchary, gallette di Lomnice, dal blog Cindystar 
Bramborový salát, insalata di patate, dal blog Mangiare è un po’ come viaggiare
Canederli di patate farciti, dal blog Un’Arbanella di Basilico
Bramborová-polévka, zuppa di patate, dal blog Torta di Rose
Zuppa di trippa, dal blog Un’Arbanella di Basilico 
Medovník, torta al caramello, dal blog Le Tenere Dolcezze di Resy
Punč, punch all’arancia, dal blog Cindystar
Fagottini di sfoglia al cioccolato, dal blog A Tutta Cucina  
Bàbovka, torta con uvetta sultanina, dal blog Zibaldone Culinario 
Koblihy do trouby, bomboloni al forno, dal blog Crumpets and co. 
Šlejšky, gnocchetti cechi, dal blog Torte e dintorni 
Štramberské uši, cialde di Štramberk, dal blog Le Tenere Dolcezze di Resy
Bramborovà polévka, zuppa boema di patate, dal blog Un pezzo della mia Maremma
Vánočka, treccia natalizia, dal blog Cindystar
Rohlìki, panini cechi arrotolati, dal blog Briciole 
Vanilkové rohlíčky, biscotti natalizi, dal blog La cucina di Anisja 
Bramborák, frittelle di patate, dal blog Pinkopanino 
Jidáše, panini dolci pasquali, dal blog Un Uomo dal Bagno alla Cucina

rohlíky

rohlíky
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ai fornelli, ricette tradizionali

Brasato di maiale della Stiria

Questo mese, per l’Abbecedario Culinario dell’Unione Europea, ospitato da Torte e Dintorni, abbiamo fatto un viaggio in Austria
Ne approfitto per ricordarvi che da lunedì 10 tocca a me ospitare l’Abbecedario Culinario, con un dolce che non è stato semplicissimo riprodurre in casa…quindi fate un salto da queste parti!
 
Per l’Austria mi sono ingegnata a cercare una ricetta che non fosse il solito strudel (che peraltro adoro!), sono incappata in dolci deliziosi, come la Linzer Torte o quel pasticcio di bontà che deve essere la Kaiserschmarren…ma di non soli dolci vive l’uomo (e la donna), e visto che per S.Valentino e poi Carnevale ho in programma di pubblicare sul blog diversi dolcini deliziosi, ho pensato di optare per un piatto salato. Ho scovato questa ricetta proprio sul sito turistico dell’Austria
La ricetta proviena dalla regione della Stiria, il cuore verde della nazione, una regione montuosa e ricca di boschi situata nella parte sud orientale del paese, al confine con la Slovenia ed un tempo unita ad essa. Il suo capoluogo, Graz, è la seconda città più popolata dell’Austria, con una storia antichissima che risale al Medioevo, ma con una fondazione addirittura romana. Spesso bersaglio di invasioni per la sua posizione strategica nelle rotte commerciali, ha una collina sopraelevata dove si situa il suo castello, lo Schlossber, con la torre dell’orologio e una visuale privilegiata su tutta la città. Graz è dal 1999 Patrimonio dell’Umanità dell’ Unesco e dopo Vienna, sicuramente un luogo da visitare.
La ricetta che ho scelto è tradotta in inglese e francese, rispettivamente, Styrian Pot Roast o Porc Braisé; esaminando però il procedimento la carne sembra più bollita che brasata.
Ho quindi apportato delle modifiche al procedimento rispettando tutti gli ingredienti. Ultima curiosità: vedete le mele nella ricetta? La Stiria è la regione che produce più mele in tutta l’Austria, esistono addirittura una “Strada delle Mele” che si snoda tra coltivatori e produttori di eccellenza e molti Apfelmänner, ossia esperti di mele che, in abito tradizionale e seguendo un rituale rigorosissimo, producono l’Abacus, famoso distillato stiriano a base di mela.

La ricetta: Brasato della Stiria (ricetta tradotta e modificata a partire da Johann Lafer – Meine Leibspeisen aus Österreich)

ingredienti per 4 persone:
500 g di carne magra di maiale (filetto o schiena)
3 carote
2 coste di sedano
100 g di sedano rapa
1 porro
3-4 bacche di ginepro 
1 peperoncino essiccato
3 spicchi grossi d’aglio
3 rametti di timo
1 rametto di prezzemolo
500 g di patate
sale pepe zucchero
25 g di rafano
1 mela
il succo di 1/2 limone
olio extravergine di oliva
1 cucchiaino di burro
cumino q.b.
1 cucchiaio di farina
Preparare un brodo con 1,5 l di acqua, 2 carote, le coste di sedano e un pezzo di porro, un cucchiaio d’olio e 1 cucchiaino di sale.
Da parte tagliare a pezzettini il restante porro, il sedano rapa, la carota; sciacquare la carne.
In una casseruola dal fondo spesso mettere un giro d’olio e far rosolare per quache istante  l’aglio, il porro con il peperoncino e lebacche di ginepro schiacciate. Aggiungere la carne a pezzo intero o in due pezzi e far sigillare da tutti i lati. Coprire con il brodo e lasciar cuocere a seconda della dimensione della carne (a me è bastata un’ora). A dieci minuti dalla fine della cottura aggiungere alla carne il sedano rapa e la carota, prelevando anche quella bollita. Tenere la carne e le verdure sempre coperte di brodo.
Mentre la carne cuoce preparare le patate: pelarle, tagliarle in quarti e deporle nel brodo che sobbolle per 20 minuti, poi scolarle e tenerle da parte.
Preparare la mela con il rafano, tagliando entrambi a striscioline minute e condendoli con succo di limone, sale, pepe e un cucchiaino di zucchero di canna.
Quando la carne è pronta, prelevarla dal brodo di cottura e tagliarla a fette sottili. Filtrare il brodo rimasto e farlo raddensare con poca farina o maizena.
Ultimare la preparazione delle patate, passandole in padella con il burro e i semi di cumino e facendole rosolare qualche minuto.
Impiattare la carne con le verdure, aggiungendo le patate al cumino e nappando con il fondo di cottura raddensato e bollente. In cima aggiungere le striscioline di mela e rafano condite.

Con questo brasato partecipo alla puntata di Abbecedario Culinario dedicato all’Austria.

http://abcincucina.blogspot.com.es/2012/12/benvenuti-in-europa.html

ai fornelli

Soppa tal qara ahmar da Malta per l’Abbecedario Culinario d’Europa

Questo mese per l’Abbecedario Culinario d’Europa tocca a Malta, paese ospitato dal blog Torta di Rose.
Inizio col dire che è un piccolo stato che mi affascina infinitamente, così, circondato dal mare, un arcipelago formato da tre isole. Si trova solo a 80 km dalla Sicilia e vicinissimo (si fa per dire, circa 300 km) dall’Africa. 
Il clima è caldo tutto l’anno, d’inverno la temperatura media è di 12° C e il sole la bacia per 3000 ore annue e deve essere davvero bello abitarci visto che Malta è lo stato più piccolo e densamente popolato di tutta l’Europa.
Le dominazioni si sono succedute nei secoli passati ed hanno fatto di Malta uno stato via via, fenicio, greco, cartaginese, romano, arabo, normanno, aragonese, francese ed inglese, senza scordare la più importante dominazione quella dei famosi Cavalieri di Malta: erano cavalieri monaci benedettini, costituiti come Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, durante la prima Crociata in Terra Santa, vassalli del Regno di Sicilia, stabiliti a Malta dal 1530, dopo la cacciata da Rodi, e fino al 1798, quando Napoleone, che come è risaputo era tutt’altro che religioso, li espulse dall’isola.
Dall’isola, i Cavalieri di Malta, con poche navi, ma con doti eccezionali di navigatori osteggiavano le razzie dei corsari ottomani attraverso il Mediterraneo. Attirarono le loro ire e furono cinti d’assedio nel 1565. Dopo 4 mesi i difensori di Malta erano ridotti da 9000 a 600. I turchi vennero finalmente messi in fuga dai rinforzi provenienti dalla Spagna, ma solo dopo aver perso 30000 uomini.
A quel punto, poichè era in rovina la vecchia capitale Mdina, fu necessario costruire una nuova capitale, e per farlo venne chiamato un ingegnere italiano, Francesco Laparelli, che per la vita interessante meriterebbe da solo un post tutto per sé, e che aveva già lavorato al Vaticano e Castel Sant’Angelo ed era validissimo ma anche “raccomandato” dal Papa. 
Jean Parisot de la Valette
La Valletta, che prese il nome dal Gran Maestro dell’Ordine, Jean de La Valette, nell’immagine qui accanto con un sobrio abito, fondata quindi nel 1566, venne edificata negli edifici di base nel giro di un paio d’anni, ed era completamente fortificata nel 1571, alla vigilia della famosa Battaglia di Lepanto, con attenzione estrema al progetto, con strade perpendicolari e tutte le caratteristiche di una città all’avanguardia per l’epoca. Nel giro di 15 anni, anche la cattedrale e le altre fortificazioni, furono ultimate, fatto straordinario se pensiamo alle fabbriche del Duomo di Milano o di Notre Dame. Oggi è Patrimonio Mondiale dell’Unesco, ma all’epoca della sua fondazione il promontorio era completamente deserto, una roccia della penisola del Monte Sceberras, a picco sul mare, con due insenature naturali molto profonde ed adattissime a divenire porti.
Laparelli ebbe la possibilità di progettare la città perfetta e un complesso sistema di infrastrutture: tubazioni per portare l’acqua fresca in tutta la città, il miglioramento delle condizioni igieniche attraverso le fognature ed addirittura una sorta di condizionamento dell’aria attraverso le strade strette per la particolare angolazione, rispetto alle coste, con la quale furono tracciate. La bella città finì per attirare gli abitanti delle isole vicine, non solo per la sicurezza dei suoi bastioni, ma anche per le ottime condizioni abitative.
Veduta di La Valletta del 1680

Intorno al 1630 La Valletta ospitò Caravaggio, che era stato accolto nell’Ordine dei Cavalieri di Malta per le sue doti di artista ed era in fuga da Roma, dove aveva ucciso un uomo nel corso di una rissa; anche a Malta, però, finì per mettersi nei guai e dovette scappare di nuovo!

Dopo Napoleone e la Francia nel 1798, l’arcipelago di Malta venne preso dagli inglesi per la sua posizione strategica lungo le rotte tra Gibilterra e l’istmo di Suez.
A Malta si sviluppò un forte sentimento filoitaliano dagli inizi del ‘900, con un vero e proprio picco nel 1919, quando l’esercitobritannico fece fuoco su un gruppo di manifestanti maltesi, scontenti per alcune tasse troppo alte. L’episodio è commemorato ancora oggi come Sette Giugno (in italiano), ed è festa nazionale. La simpatia maltese per l’Italia venne ancora repressa nel 1934, quando venne eliminato l’italiano dall’elenco delle lingue ufficiali a favore dell’inglese e del maltese. eppure ancora oggi molti lo parlano,
o quanto meno lo comprendono, potere dei canali tv italiani, che dalla Sicilia si prendono fin lì.
Malta ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1964 e dieci anni dopo diventò Repubblica.

Per la ricetta da presentarvi sono andata a cercare qualcosa che avesse un sapore tutto mediterraneo. Mi è balzata agli occhi questa zuppa, che unisce il pomodoro e la zucca al semolino, molto usato nei piatti mediorientali.

 

Non fatevi impressionare dal nome maltese, è semplicissima da preparare e diversa dalle solite creme di zucca, per l’equilibrio che l’acidulo pomodoro conferisce al dolce ortaggio autunnale e per la consistenza che ricorda un po’ una morbida polentina.

Se volete accompagnarla in modo tradizionale, preparate per tempo il tipico pane maltese a lievitazione lunga e a tre tempi.
[le immagini e le informazioni sono estrapolate da wikipedia, visitmalta.com e da ilovefood.com.mt]
La ricetta: Soppa tal qara ahmar (zuppa di zucca e pomodoro con semolino)
(ricetta leggermente modificata da http://www.ilovefood.com.mt)
ingredienti per 3 porzioni:
450 g di zucca, pulita e tagliata a cubi
250 g circa di polpa di pomodoro
35 g di semolino
1  cipolla 
1 cucchiaio di olio
Sale e pepe
Parmigiano grattugiato
3 fette di pane a cubetti e tostate in forno 
Ho sminuzzato finemente la cipolla e l’ho messa a dorare in un cucchaio abbondante d’olio, rigirando continuamente. Ho aggiunto il pomodoro e la zucca a cubetti ed ho lasciato insaporire per 5 minuti, mescolando continuamente. Poi ho aggiunto circa 1/2 litro d’acqua ed ho portato ad ebollizione. Ho regolato di sale e di pepe e lasciato cuocere, scoperto, finchè la zucca non era morbida, finchè quindi non potevo infilzarla facilmente con la forchetta.
Ho frullato il tutto e riportato ad ebollizione. A questo punto ho aggiunto a pioggia il semolino e fatto cuocere, sempre mescolando, per dieci minuti circa, a fuoco lentissimo.
Servire, non troppo bollente, con i cubetti di pane tostato e parmigiano a parte.

ai fornelli, ricette tradizionali

Shammali* cipriota per l’Abbecedario Culinario

Per l’Abbecedario Culinario d’Europa, fino al 6 ottobre dedicato a Cipro ed ospitato da Haalo, ho scelto di provare a cucinare un dolce tipico diffuso non solo a Cipro ma anche in Grecia e Turchia. Letta la ricetta, diffusa sul web solo in lingua inglese, ho subito amato la presenza del semolino e la semplicità degli ingredienti.  
Questo dolce, a seconda della zona viene aromatizzato con essenza di mandorle o di rose, oppure, in Grecia, con il masticha, la resina che la cucina greca utilizza in prodotti dolci e salati.
Siccome vi propongo la versione cipriota, ho scelto l’essenza di mandorle, ma credo che anche l’essenza di rosa, reperibile nelle macellerie halal, dia modo di ottenere un risultato delizioso.
Il procedimento è semplicissimo e il risultato è ottimo e molto rustico e “mediterraneo”. Assolutamente essenziale perchè il dolce si insaporisca bene, è il riposo con lo sciroppo, di almeno 5-6 ore.

*Ivy, in un commento qua sotto, mi dà altre informazioni su questo dolce:P { margin-bottom: 0.21cm; } « Shammali è il nome Greco. In Cipro è chiamato “Kalon Prama” (qualcosa
buono). Aggiungiamo anche tahini sul fondo della teglia prima di
aggiungere la miscela.

»P { margin-bottom: 0

La ricetta: Shammali (torta con semolino, yogurt e mandorle)

2 uova piccole (separati gli albumi montati a neve)
70 g di zucchero
250 g di semola
150 g di yogurt di capra intero (oppure yogurt intero)
50 g di olio di semi
2-3 gocce di essenza di mandorle
1 cucchiaino di lievito in polvere
1 manciata di mandorle sminuzzate per la guarnitura

per lo sciroppo:
100 g di zucchero
140 ml di acqua
il succo di mezzo limone
1 cucchiaino di cannella in polvere
 
[fonti: ricetta da http://androulaskitchen.wordpress.com/2012/01/08/shamili/]
Ho mescolato lo zucchero con l’olio; poi ho aggiunto i tuorli, amalgamando bene.
Ho versato a pioggia il semolino, sempre mescolando con un cucchiaio di legno.
Ho aggiunto lo yogurt, l’essenza di mandorla e il lievito per dolci passato al setaccio.
Ho montato a neve gli albumi e li ho aggiunti gradualmente all’impasto senza smontare.
Ho imburrato una tegia del diametro di 21 cm e vi ho versato il composto.
Ho infornato per 5 minuti, poi ho cosparso con le mandorle sminuzzate e rimesso in forno a 180° lasciando cuocere per altri 40 minuti, finchè il dolce è dorato.
Prima di sfornare, controllare la cottura al centro con uno stecchino.
Nel mentre ho preparato lo sciroppo, facendo sciogliere lo zucchero nell’acqua e poi ponendo sul fuoco ed aggiungendo il succo di limone e la cannella. Ho fatto cuocere, finchè lo sciroppo non si è inspessito, poi ho lasciato raffreddare.
Ho bucato con uno stecchino tutta la superficie della torta, ormai tiepida, e l’ho irrorata di sciroppo. 
Lasciar raffreddare completamente, così parte dello sciroppo verrà assorbita.
Poi tagliare a cubetti e servire accompagnando con yogurt non dolcificato. 

ai fornelli

Blåbärssoppa, una zuppa di mirtilli dalla Svezia…di corsa…

Finalmente, dopo essermi persa tanti appuntamenti, riprendo a partecipare all’Abbecedario Culinario d’Europa, questo mese ospitato da “Un Uomo dal Bagno alla Cucina“.
Vi accennerò soltanto che nel vedersi approssimare il periodo Svezia ho preparato
un delizioso lax-pudding prima di controllare quale fosse la ricetta
riservata al blog ospitante l’iniziativa…era quella naturalmente, L come lax-pudding, ed ho dovuto cercare un’altra ricetta. Non che fosse difficile, ci sono diversi spunti, soprattutto tra i dolci, profumati di spezie, cardamomo e cannella in particolare.
La scelta però è caduta su una bevanda molto particolare, che ho scelto per il suo ingrediente principale, il mirtillo, che nella ricetta originale svedese è il mirtillo selvatico, più piccolo ed asprigno del suo “collega” coltivato.
La blåbärssoppa è anche la bevanda ufficiale della Vasaloppet, la più antica e lunga gara sciistica della storia. La prima edizione moderna di questo evento si è svolta nel 1922, ma la leggenda dice che la gara si ispiri alla fuga di Gustavo Vasa dai nemici danesi. 
Facciamo un salto temporale fino al 1520, epoca sanguinosa e violenta. 
Cristiano II
Il danese Cristiano II, (non a caso soprannominato Cristiano il Tiranno) appena incoronato sovrano di Svezia, dopo una guerra lunga e sanguinosa, e dopo essersi formalmente impegnato ad avere nella sua amministrazione soltanto funzionari svedesi, voleva eliminare rapidamente e definitivamente i molti oppositori al suo governo e , soprattutto, voleva accaparrarsi il diritto di ereditarietà in una monarchia che fino al quel momento era stata elettiva. 
Cristiano cercava un metodo sbrigativo per togliersi il fastidio e così invitò al suo castello tutti i nobili svedesi, con il pretesto di discutere le condizioni di una pace. Nel bel mezzo del banchetto le truppe fecero irruzione nella sala, prelevando alcuni dei nobili presenti. Poi accadde ancora e ancora, nell’agitazione generale. Il bilancio dei tre giorni di “banchetto” fu di 82 nobili e funzionari decapitati. L’evento passò alla storia come “Il Bagno di Sangue di Stoccolma“.
Insomma Cristiano II aveva un senso dell’umorismo quantomeno discutibile…
Gustavo I Vasa
Nel mentre Gustavo Vasa, i cui parenti si trovavano imprigionati alla “corte” di Cristiano I, fuggì sugli sci, nella neve, attraverso la regione storica della Dalarna, per guadagnare la salvezza e la libertà in Norvegia. A metà del suo percorso riuscì a convincere un gruppo di svedesi ribelli a far partire una rivolta che riportò gli svedesi al potere e Gustavo Vasa sul trono di Svezia nel giugno del 1523. 
La Vasaloppet, gara sciistica di fondo e a lunga percorrenza, tra le città di Sälen e Mora, 90 Km in tutto, vuole proprio ricordare la corsa di Gustavo Vasa verso la Norvegia e l’impennata d’orgoglio degli svedesi contro l’occupazione danese. 
La prima gara moderna si è disputata nel 1922, e la più recente nel 2013, vedendo vincitore lo sciatore norvegese Jørgen Aukland.

La tradizione vuole che all’arrivo i partecipanti alla gara vengano rinfrancati con una blåbärssoppa calda-calda. La stessa bevanda può essere bevuta anche fredda d’estate e vi assicuro, avendo provato entrambe le versioni che risulta davvero dissetante, pur essendo zuccherata.
Per enfatizzarne il gusto ho utilizzato una certa quantità di mirtilli freschi e una parte di succo di mirtillo selvatico, quelloc he trovate in bottigliette. L’ideale sarebbe utilizzare un succo di mirtillo non zuccherato, oppure regolare la quantità di zucchero a vostro piacimento, assaggiando la blåbärssoppa durante la preparazione.
Su alcuni blog stranieri l’ho vista decorata con biscottini o con un ciuffo di panna…a voi la fantasia di renderla speciale.

La ricetta: Blåbärssoppa
375 ml di succo di mirtillo
125 ml di acqua
2 cucchiai di fecola di mais
2 cucchiai di zucchero chiaro di canna
2 fette di limone
100 g di mirtilli freschi
Ho messo in un pentolino il succo di mirtillo con l’acqua e metà dei mirtilli freschi. Ho aggiunto lo zucchero di canna e due fette di limone. Ho portato ad ebollizione e nel mentre ho mescolato in una tazza a parte la fecola con qualche cucchiaio di succo di mirtillo caldo, eliminando ben bene i grumi. Ho aggiunto la fecola sciolta nel pentolino ed ho fatto inspessire un po’ la blåbärssoppa prima di togliere dal fuoco.
Ho eliminato le fette di limone e versato in bicchieri, aggiungendo in superficie i mirtilli restanti, ben lavati e spolverando leggerissimamente di cannella nella versione calda.



ai fornelli, ricette tradizionali

I Lekvar Pirohi, ravioli dolci dalla Slovacchia

Per l’Abbecedario Culinario della Comunità Europea questo mese si sta in Slovacchia con Crumpets & Co. e la ricetta che ho voluto sperimentare sono i Lekvar Pirohi (o Pirogi!).
E’ una ricetta, come molte altre slovacche, che si trova preparata con poche varianti anche nei paesi limitrofi, ad esempio in Polonia.
Di fatto sono dei ravioli con un ripieno dolce che vengono sbollentati e poi passati in padella con burro e cipolla. L’unione di dolce e salato me li ha subito fatti amare. Inoltre mi ricordano i cjarsons o cjalsons, i ravioli dolci di Carnia, che a loro volta sono fortemente ispirati dalle cucine mitteleuropee.
Il ripieno di questi ravioli è il Lekvar, letteralmente tradotto come burro di prugne. Il mio contributor linguista Alberto mi dice che il termine deriva dal latino electuarium, ovvero «miscela medicamentosa che si scioglie in bocca». Il dizionario Treccani indica: «Preparato farmaceutico semidenso formato da miscugli di farmaci
impastati con miele o sciroppi, con cui si curava anticamente un gran
numero di malattie». Questa definizione ci dà un’importante indicazione: il lekvar deve essere denso e pastoso
Altre interpretazioni si rifanno al greco, arrivando alla formulazione di electuario=lassativo. Anche qui abbiamo un indizio: la correlazione con il latte e con le prugne, uno tra i frutti considerati lassativi. 
Un’altra spiegazione dell’uso del lekvar lo si trova datato 1330 e lo indica utile a coprire il gusto di medicine sgradevoli ai bambini capricciosi.
Dunque per farcire i pirohi alla moda slovacca si può scegliere di usare una marmellata di prugne particolarmente densa o di preparare il lekvar in casa, seguendo questa ricetta:
Qui sotto la trovate tradotta:
200 g di zucchero di canna
250 g di prune secche
236 g di acqua
1 cucchiaio da té d buccia di limone grattata
3 cucchiai di succo di succo di limoni
Mescolare tutti gli ingredienti e cuocere finchè le prugne non sono ammorbidite. Passare il tutto al passaverdura per ottenere un composto denso e liscio e far asciugare in pentola ancora per un po’. Imbarattolare caldo in vasi sterilizzati e mettere a testa in giù per ottenere il sottovuoto.

Io non ho preparato il lekvar in casa, ma ho farcito i miei pirohi con della marmellata di prugne. Invece di ritagliare dei quadrati e ripiegarli a triangolo, ho fatto i ravioli partendo da dei cerchi di 8 cm di diametro.
La ricetta: Lekvar Pirohi della Slovacchia
100 g di farina 00
100 g di semola di grano duro
2 uova
sale
marmellata di prugne
1 cucchiaio di succo di limone 
1 cipolla rossa medio grande
50 g di burro 
Ho preparato la pasta mettendo la farina a fontana in una ciotola capiente, rompendo al centro le uova con un pizzico di sale e cominciando ad impastare e ad inglobare gradualmente tutta la farina.
Ho lavorato l’impasto per qualche minuto e poi l’ho lasciato riposare per circa mezz’ora.
Ho steso una sfoglia sottile circa 1,5-2 mm e ricavato dei cerchi di 8 cm di diametro. Al centro di ogni cerchio ho deposto un cucchiaino di marmellata di prugna, aromatizzata con qualche goccia di succo di limone. Ho ben richiuso i pirohi, schiacciando i bordi con i rebbi di una forchetta.
Ho messo l’acqua necessaria per bollirli a scaldare e nel frattempo ho preparato il condimento, tagliando finemente la cipolla e facendola soffriggere per alcuni minuti nel burro caldo.
Ho fatto bollire i pirohi per cinque minuti e poi li ho scolati e fatti passare in padella con le cipolle e il burro fuso.
Nell’impiattare ho completato con una spolverata di zucchero semolato. 

 

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