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Nasce #SaporiTorinesi

Cosa è successo martedì 16 ottobre a Torino?
8 foodbloggers  si sono ritrovate nella prestigiosa cornice della scuola di cucina Maison Massena, hanno indossato il grembiule e si sono messe ai fornelli sotto la direzione dello chef stellato Carlo Bagatin, per attirare l’attenzione sull’eccellenza della cucina torinese.
Torino è bella, forse è la più europea delle città italiane per il suo stile architettonico rigoroso e severo; Torino è stata capitale, non solo nel 1861 ma anche città capitale, simbolo della magnificenza del ducato e poi del regno di Savoia. Parlano di questa storia recente e passata le sue piazze ampie, i suoi palazzi imponenti e le sue strade dritte. 
Martedì però il riflettore era puntato su  un aspetto spesso trascurato: la nostra cucina tipica è eccellente e porta la traccia nei suoi piatti della storia di secoli, di case reali, di influenze dell’alta gastronomia francese e russa.  Quale altra cucina regionale italiana ha così tanti antipasti all’attivo? E vogliamo parlare della pasticceria? O degli squisiti piatti di carne che la domenica che facevano la felicità delle cascine e delle case benestanti?
Questo aspetto ritorna a splendere e nasce #saporitorinesi. Dal 25 ottobre in concomitanza con l’apertura del Salone del Gusto 23 ristoranti di Torino e dintorni metteranno nei loro menù i piatti più significativi della tradizione culinaria piemontese. I menù promuoveranno la riscoperta di ricette tipiche e di prodotti agroalimentari del territorio torinese e piemontese e verranno accompagnati da almeno 2 vini e 1 liquore della provincia di Torino.
E noi foodblogger cosa abbiamo fatto? Intanto con i nostri tweet abbiamo fatto balzare il tag #saporitorinesi al primo posto tra i trend topic di martedì mattina e poi abbiamo fatto la cosa che ci piace più fare, ovvero cucinare golosissimi piatti.
La ricetta scelta da me è il vitello tonnato. 
Questo piatto ha una storia antica e si trova nella raccolta di Artusi, la Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene al numero 363. Artusi lo situa tra i “rifreddi”, le carni servite fredde, e nella ricetta che propone il pezzo di vitello viene steccato con le acciughe e fatto lessare lentamente con cipolla, chiodi di garofano, alloro, prezzemolo, sedano e carota. Poi, nel suo brodo, viene fatto riposare per una notte. La salsa di accompagnamento che indica Artusi, la salsa tonnata che dà il nome al piatto, viene preparata con il tonno sott’olio, le acciughe, aggiungendo man mano dell’olio, dei capperi sott’aceto tritati ed eventualmente un poco del brodo di cottura. In un altro punto del suo libro Artusi propone un’altra versione della salsa tonnata, preparata con l’aggiunta di rossi d’uovo sodi.

Al giorno d’oggi la salsa tonnata viene preparata così, con i tuorli sodi e, spesso, ma non sempre, con l’aggiunta di maionese.
In ogni caso il vitello tonnato resta un antipasto goloso, antico e sempre attuale!
Se vi ho messo un po’ di curiosità, andate ad assaggiare questo e gli altri affascinanti piatti della tradizione di Torino e del Piemonte in uno dei ristoranti che aderiscono all’iniziativa a partire dal 25 ottobre.
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Il Tuffo del Pinguino – Pepino is on MyTable

Domani 11 ottobre sarò, insieme ad alcuni chef di ristoranti torinesi del circuito MyTable.it ed alcune foodblogger, Un Tocco di Zenzero, Cucina Precaria e Cucina e Cantina, in piazza Carignano a Torino a festeggiare un super gelato torinese.
Protagonista della festa sarà il Pinguino Pepino, il primo gelato da passeggio su stecco, che domani verrà proposto anche come dessert da fine pasto.
Ma per introdurre questa storia tutta torinese, occorre fare un passo indietro nel tempo, anzi un bel balzo, perché arriviamo fino al 1884, quando Domenico Pepino gelataio napoletano arrivò a Torino ed aprì una gelateria in piazza Carignano, la stessa che potete vedere ancora oggi.
Nel 1916 egli cedette per la somma di 10.000 lire la sua attività al Commendator Giuseppe Feletti, che già si occupava di cioccolato, e a suo genero Giuseppe Cavagnino. I rilevatori dell’impresa danno un nuovo impulso commerciale alla gelateria Pepino, adottando il ghiaccio secco per facilitare il trasporto dei gelati, così il gelato Pepino arrivò ovunque.
La gelateria venne insignita negli anni di numerosi riconoscimenti diventando anche fornitrice della Real Casa.
Nel 1939, dopo anni di studio e di ricerca a riguardo, venne “inventato” il gelato da passeggio su stecco: il gelato Pepino alla vaniglia venne immerso in una colata di cioccolato fuso e divenne il Pinguino, conoscendo nuova celebrità e successo.
All’epoca costava una lira e quindi con 2 lire si poteva andare al cinema e prendere un Pinguino.
Negli anni vennero messi sul mercato nuovi gusti di Pinguino, oggi sono sei: crema, gianduja, nocciola, viola, menta e caffé. Cambiò soltanto il packaging del prodotto, adeguandosi ai tempi, ma conservando sempre quell’aria d’antan, delle cose buone di un tempo.
Domani il Pinguino, dopo 73 anni di successo, diventerà anche un dessert. Noi foodblogger insieme agli chef torinesi siamo chiamati a reinterpretare il Pinguino Pepino come un dessert da fine pasto e una giuria di giornalisti assaggerà le nostre opere golose.
Per la mia rivisitazione ho cercato un prodotto che, proprio come il Pinguino, potesse raccontare una storia. 
È il caso dei Nocciolini di Chivasso.
Intorno al 1850 un pasticcere chivassese, Giovanni Podio, creò i primi Nocciolini, con albume, zucchero e Nocciole Tonde Gentili del Piemonte, li chiamò Noasèt, o Noisettes per i clienti d’oltralpe. Nel 1900 suo genero Ernesto Nazzaro portò i Noasèt all’Esposizione Universale di Parigi e nel 1911 a quella di Torino, riscuotendo un enorme successo e facendo sì che il suocero ricevesse un brevetto per questa sua creazione. Poco dopo Podio fu insignito del titolo di “fornitore della Real Casa” da Vittorio Emanuele III, per i Noasèt, proprio come era accaduto con i gelati Pepino.
Il loro nome venne italianizzato in Nocciolini durante il fascismo, e tale restò anche in seguito.
A Chivasso due pasticcerie si contendono il primato per i preziosi bottoncini alle nocciole, la Bonfante, pasticceria storica del 1922, un piccolo gioiello in stile liberty, e la pasticceria Fontana del 1965. 
Dall’incontro di questi due dolci golosi del territorio nasce un dessert davvero principesco.
Ho abbinato una crema al cioccolato fondente con il Pinguino al gianduja, l’ho completata con la croccantezza dei Nocciolini di Chivasso e con una morbida meringa svizzera con yogurt bianco. Per completare qualche scaglia di fondente e naturalmente il Pinguino al gusto gianduja!
Il Tuffo del Pinguino nel bicchiere
La ricetta: Il Tuffo del Pinguino
(per 4 coppe)
per la meringa svizzera con yogurt:
75 g di albume (circa 2 albumi)
150 g di zucchero
3 gocce di limone
100 g di yogurt bianco intero
per la crema al cioccolato:
100 g di mascarpone
50 g di cioccolato fondente
1 Pinguino Pepino al gusto gianduja
80 g di Nocciolini di Chivasso 
per decorare 4 coppe: 4 Pinguini al gianduja
Procedimento:
Preparare la meringa svizzera: mettere in una ciotola, o in un pentolino che vada a bagnomaria, gli albumi con un cucchiaio di zucchero e ¾ gocce di limone; mettere questa ciotola dentro quella piena d’acqua sul fornello acceso e cominciare a montare aumentando man mano la velocità, quando gli albumi sono bianchi aggiungere lo zucchero restante e continuare a montare finchè la meringa non diventa bella lucida. L’operazione dovrebbe essere svolta a 60°, con l’aiuto di un termometro da cucina, riducendo eventualmente il bollore dell’acqua sottostante. 
Una volta che la meringa è ben montata mettere da parte.
Preparare la crema al cioccolato fondente: sciogliere a bagnomaria il cioccolato fondente precedentemente sminuzzato. Farlo intiepidire e mescolarlo al mascarpone e alla crema di un Pinguino al gianduja ammorbidito a temperatura ambiente. Porre in frigo per un quarto d’ora. 
Mescolare la meringa allo yogurt bianco e comporre il dolce.
Sul fondo delle coppe mettere uno strato di crema al mascarpone e cioccolato. Sulla superficie adagiare i Nocciolini di Chivasso, sopra questi mettere una cucchiaiata di meringa svizzera con yogurt. 
Decorare con qualche scaglietta di fondente e “tuffare” un Pinguino al gianduja.
Il Tuffo del Pinguino ancora nel bicchiere
Il Tuffo del Pinguino presentato in coppetta

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Nice To “TwEAT” You alla Social Media Week di Torino

Venerdi 28 settembre io e le bloggers di Due Cuori e Una Forchetta  e Cucina Precaria, siamo state invitate ad assistere all’incontro Nice To “TwEAT” You, nell’ultima giornata della Social Media Week che si è appena conclusa a Torino e in altre dodici città in tutto il mondo.
Il tema della conferenza era #turismo & #social media, ovvero come cambia il mondo del turismo e della valorizzazione del territorio con la crescita dei canali social e del web 2.0, organizzata da Sviluppo Piemonte Turismo, promotore del #BITEG, la Borsa Internazionale del Turismo EnoGastronomico. (Per seguire l’evento su Twitter gli hashtag sono #biteg e #nicetotweatyou.)

Ospiti sul palco, moderati dalla bravissima e competente Maria Elena Rossi di Sviluppo Piemonte Turismo, c’erano Mauro Carbone, direttore dell’Ente Turismo Langhe e Roero, Fabrizio Musso, General Manager del Grand Hotel Sitea di Torino, Luca Bernardini dell’ufficio stampa di Slow Food, Guido Castagna, Maestro Cioccolatiere e Maestro del Gusto Slowfood, Alessandro Morichetti di Do You Wine, enoteca on line dell’azienda vitivinicola Ceretto e Silvia Cartotto, travel blogger di The Girl With The Suitcase.

Mentre mi metto al lavoro per ricapitolare i temi affrontati, mi faccio aiutare da un pezzetto di cioccolato gianduja di Guido Castagna; nel momento in cui il cioccolato si scioglie contro il palato parto per un viaggio dei sensi e in un attimo vedo già le nocciole e le fave di cacao che sono servite per confezionare quel cioccolato perfetto ad ogni morso. Subitanea è la voglia di approfondire, di visitare i luoghi in cui si creano queste meraviglie del gusto che fanno l’eccellenza del nostro territorio. 

Quello che accade con i social è un percorso simile, anche se talvolta in senso inverso: bisogna emozionare prima ancora di far gustare, prima ancora di vendere; la comunicazione attraverso i social deve invogliare all’esperienza.

Mauro Carbone di TuLangheRoero sottolinea come sia ormai indissolubile il rapporto tra internet e turismo, ma è fondamentale un lavoro di rete tra i produttori per valorizzare un intero territorio e non solo il singolo

Guido Castagna aggiunge, nel suo intervento, quanto sia importante fornire ad un turista che viene da lontano un’ampia gamma di eventi e visite perché possa scegliere quelle a lui più congeniali; anche qui la comunicazione e lo scambio tra le varie realtà produttive e le strutture ricettive è importantissimo, ma anche l’utilizzo dei social da parte dei professionisti del settore diventa fondamentale per invogliare il viaggiatore alla visita reale.

Un discorso a parte viene fatto da Fabrizio Musso del Grand Hotel Sitea riguardo ai riscontri che arrivano dalle recensioni in rete. Non solo su TripAdvisor ma anche su Facebook le critiche vengono lette attentamente e diventano sempre nutrimento motivazionale e spunto per migliorare. Twitter e Instagram invece, nella loro immediatezza e nella loro essenza di strumenti a caldo, aiutano nella condivisione totale dell’esperienza di soggiorno: da qui si vede come le promesse vengano mantenute e questo sicuramente rappresenta un valore aggiunto.

Luca Bernardini di Slowfood afferma quanto sia leggibile, osservando Twitter, il movimento di utenti verso gli eventi del Salone del Gusto e di Terra Madre che si svolgeranno dal 25 al 29 ottobre a Torino; approdata alla rete relativamente tardi, solo da 3 anni, la macchina organizzativa di Slowfood trae dai social una miniera di informazioni utili e li ritiene essenziali nel momento di monitoraggio ed ascolto. Dove ci sono ancora problemi di accesso alla rete elettrica, come accade nelle comunità del cibo africane, la comunicazione avviene tramite tecnologie telefoniche (sms e tablet), ma non è meno efficace allo scopo.

Purtroppo la risposta dei partner sul territorio non è ancora così omogenea e Alessandro Morichetti di Do You Wine fa notare come nel settore vinicolo dove lui opera esistano ancora molti produttori che ignorano nel modo più assoluto cosa sia Twitter o Facebook e scelgano ancora canali tradizionali per il loro commercio. Do You Wine infatti si colloca come costola social di un’azienda di impianto tradizionale: lavora al fianco dell’azienda vitivinicola Ceretto, rispondendo all’esigenza di interattività e raggiungendo ancora più utenti che potranno in seguito decidere se acquistare on line o in modo tradizionale.

La travel blogger Silvia Cartotto racconta come un diario di viaggio in rete può diventare un travel blog e rispondere alle esigenze di altri viaggiatori: bisogna rispondere alle domande, conquistare il lettore con belle immagini e fornire un itinerario pensato e sperimentato, ricco di consigli utili. Silvia preferisce godersi il viaggio e fare scorta di immagini e suggestioni per poi portare sulle pagine virtuali del blog un resoconto ormai maturo e digerito.

Da Nice To TwEAT You è però emerso come l’immediatezza di Twitter sia essenziale nella valorizzazione di un’esperienza turistica: il tweet fornisce l’emozione istantanea e lo spunto per approfondire, quindi rappresenta uno strumento validissimo nella promozione e valorizzazione di un territorio ampio e variegato come quello piemontese. Allo stesso tempo le nuove tecnologie e i nuovi canali social offrono opportunità di lavoro nel mondo del turismo e nelle attività ad esso collegate.
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Aperitivo all’NH Lingotto Hotel in Torino

Giovedì 28 giugno ho avuto l’occasione di partecipare ad un aperitivo splendidamente inserito nella cornice del giardino dell’NH Lingotto Hotel in Torino.

Adoro partecipare a questi incontri soprattutto per la possibilità di vedere de visu tante blogger piemontesi conosciute soltanto attraverso i loro blog. Ho potuto incontrare Silvia e Margherita, già incrociate ad Aperitò, come Francesca e Valeria (ricordatevi della sua raccolta “Io la mafia me la mangio” che scade il 7 luglio), e Anna di Cucina Precaria. Poi ho conosciuto Valentina di Cucina e Cantina (anche lei da andare a trovare sul suo blog perché ha un contest attivo su Pinterest!), Ambra, che considero una delle più dotate food-photographer tra le blogger, la “mitica” (nel senso che ne avevo tanto sentito parlare ma mai avevo avuto l’occasione di incontrarla) Francesca Martinengo di Fornelli in Rete, Giovanna Gallo, Carlo Vischi ed altri…

Protagonista dell’evento era una degustazione di birre del Birrificio Artigianale Sant’Andrea di Vercelli. Il BSA, presente a Vercelli dal 2010, produce una vasta gamma di birre con caratteristiche proprie e gradazioni diverse. L’immagine è quella di una birra giovane e facile da bere, anche grazie ai colori delle etichette e al packaging travolgente.
Io assaggio la Fog, Lost Beer di gradazione 4.4. E’ una birra bianca prodotta con malto d’orzo, frumento e fiocchi d’avena. Ci viene spiegato che è adattissima per l’aperitivo, con un gusto fresco e leggero, poco amaro. L’infusione di buccia d’arancia e coriandolo le dona una leggera acidità che la rende ottima per antipasti di pesce e formaggi delicati.
La Roarrr Beer di gradazione 5.3 è invece una bionda classica, dal gusto decisamente più amarognolo, adattissima per la pizza o i primi piatti.
Assaggio anche la Riot, la Combat Beer del BSA di gradazione 8.1. E’ una Golden Strong Ale in stile belga, una vera birra da combattimento che sostiene il gusto anche dei formaggi più stagionati o dei fritti di pesce.

Presso il Birrificio Artigianale Sant’Andrea di Vercelli si possono assaggiare tutte queste birre e le altre che fan parte della vasta gamma, e gustare taglieri e piatti veloci, nonchè acquistare tutti i formati prodotti. Noi vorremmo andarci per visitare anche tutto il ciclo di produzione della birra e speriamo di farlo presto! Vi consiglio anche di fare un giro sul loro sito internet, dallo stile molto accattivante, dove presto si potrà anche acquistare on line.

Partners della serata sono stati:
– la rigogliosa vegetazione del giardino interno dell’NH Lingotto, una sorta di oasi all’interno della città di Torino;
– i formaggi sontuosi dell’Azienda Agricola Vallenostra in Val Borbera [AL], agriturismo che è possibile visitare per degustazioni gastronomiche e visite al caseificio.
– Il Riso della Riserva San Massimo, cucinato divinamente dagli chef dell’NH Hotel Lingotto.

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Aperitò – Aperitivo a Torino con Muffin E Dintorni e Cucina Precaria

L’aperitivo ha una storia antichissima. Nasce addirittura nell’Antica Grecia come medicinale quando Ippocrate consigliò ai suoi pazienti affetti da inappetenza di bere prima del pasto un vino bianco dolce aromatizzato con erbe amare, il vinum hippocraticum. L’usanza venne ereditata dai romani che lo chiamarono vinum absinthiatum, perché dal gusto notevolmente amaro. L’erboristeria medievale dimostrò effettivamente che le sostanze amare conciliassero l’appetito e il gusto della “medicina” venne nei secoli via via migliorato con l’utilizzo di spezie sempre nuove, provenienti prima dall’Oriente e poi dai paesi delle grandi scoperte geografiche: noce moscata, chiodi di garofano, cannella, rabarbaro, china, mirra, pepe e via dicendo.

Nel 1786 a Torino Antonio Carpano inventa un vino aromatizzato con china ed oltre 30 varietà diverse di erbe e spezie che battezza vermouth, dal tedesco wermut che si traduce artemisia, la pianta da cui si ricava l’assenzio, ma anche amarezza, e ne inizia la distribuzione al pubblico in eleganti bottiglie di vetro nero. E’ l’epoca dei caffè, e il rito dell’aperitivo si stacca sempre più dalla cura contro l’inappetenza per diventare sempre più un evento mondano.
Anni dopo una cassetta di vermouth Carpano viene inviata in omaggio a Vittorio Emanuele che si appassiona a questa bevanda per il “punt e mes” di amaro in più che aveva rispetto alle bevande simili. Il Punt e Mes Carpano diventa bevanda ufficiale dell’aperitivo reale, ricevendo consensi entusiasti anche da Garibaldi e Cavour.

Si può dire che l’aperitivo moderno sia nato a Torino? E che proprio qui abbia avuto un’evoluzione in crescendo trasformandosi in ritrovo mondano, esperienza sociale, ed infine apericena?

Torino si riappropria di questa identità, e festeggia con Aperitò, una manifestazione di 4 giorni, dal 21 al 24 giugno che culminerà proprio stasera con la festa per il patrono della città, San Giovanni.
La manifestazione è ricca di incontri, laboratori e degustazioni guidate e ricca di foodblogger invitate per dire la loro sul rito dell’aperitivo e sul cibo, sfizioso, fresco e goloso che lo accompagna, ormai trasformando l’aperitivo accompagnato da sole olive & patatine in apericena, leggera e fresca, ma pur sempre una cena!
Anche noi, io di Ricette di Cultura, Cecilia di Muffin e Dintorni e Anna di Cucina Precaria ci siamo date appuntamento venerdì sera ad Aperitò, per assaggiare e curiosare nei segreti del rito dell’aperitivo. 
E’ stato un appuntamento non privo di difficoltà, concordato tramite Twitter…cose da film di spionaggio… «io appunterò un fiore fucsia sul petto» «io sarò pettinata come Olivia di Braccio di Ferro»
E ci troviamo infine!!

Se volete leggere di come abbiamo conosciuto Silvia Tacconi di  La Cucina di Nonna Papera e Margherita di A Casa Mia, di come abbiamo gustato gli stuzzichini preparati da Francesca di Spadelliamo Insieme e da Valeria di Due Cuori e Una Forchetta alle prese con l’Aperisfizio de La Bottega di Olivia&Marino…e tutto il resto, correte a leggere il seguito di questa divertentissima serata su Muffin e Dintorni e su Cucina Precaria.

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Cena in Bianco di Torino: una storia in bianco

Un post tutto bianco.

Bianco come una tela, su cui dipingere la storia che più ci piace.

E questa è la storia che ho dipinto per voi:

E poi…  è andata a finire così!!!
La Cena in Bianco nasce 24 anni fa a Parigi e quest’anno arriva anche a Torino!! Sarà un evento romantico, spettacolare e gratuito, costruito solo sul passaparola…
Se vi state chiedendo cosa significa tutto questo, fate un salto qui——> sulla pagina facebook della Cena in Bianco di Torino, e anche qui—–>sul blog di Mariachiara e Fabrizio, The Chef Is On The Table
Antonella Bentivoglio d’Afflitto, direttore creativo di The Kitchen of Fashion e promotrice della cena in bianco di Torino, e Mariachiara Montera, blogger di The Chef Is On The Table e promotrice del foodblogger-flashmob sul tema del bianco di oggi, vi sapranno spiegare meglio di me in cosa consiste tutto ciò… 😉
Fate un salto da loro e…ci vediamo alla Cena in Bianco di Torino!!

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Eleganza a Colazione per il contest di B per Biscotto

“Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine-
le dita senza guanto-
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché niun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.

Fra quegli aromi acuti,
strani commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh le signore come
ritornano bambine!

Perché non m’è concesso-
o legge inopportuna!-
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.”

Pare che Guido Gozzano (1883-1916) compose questa poesia intitolata “Le Golose” proprio nel suo caffè preferito, lo storico caffè Baratti&Milano di Torino.
Torino, elegante e altezzosa, ha sempre fatto dei caffè, uno dei simboli della città e per il contest di BperBiscotto, Colazione da Zalando, incentrato sull’eleganza non potevo che lasciarmi ispirare dai caffè storici di Torino.
Ce n’è per tutti i gusti.

C’è Al Bicerin, fondato nel 1763, accanto alla chiesa della Consolata, dall’acquacedrataio e  confettiere Giuseppe Dentis che nell’Ottocento, approfittando della ristrutturazione dell’edificio, trasformò la sua modesta bottega in locale e cioccolateria. Qui nacque per l’appunto il Bicerin, che significa bicchierino, la bevanda speciale a base di caffè, cioccolata fondente e crema di latte, dove la panna fresca avvolge caffè e cioccolata roventi e nell’impedire di scottarsi la lingua, permette di assaporare tutti e tre i sapori distintamente. L’interno del locale è rimasto come una volta, intimo e d’antan, in penombra, con pochi tavolini tondi e un’aria da antica drogheria: un’eleganza modesta e discreta.

Sotto i portici di via Po si affaccia il caffè Fiorio, nato nel 1780, da sempre il caffè dei politici e degli aristocratici, era detto il caffè dei codini e dei Machiavelli. Il suo frequentatore più celebre era Camillo Benso di Cavour, mentre Carlo Alberto, si informava ogni mattina su cosa si dicesse al Fiorio, proprio perché era una sorta di fucina dell’opinione pubblica. Sebbene dal di fuori mostri ben poco, all’interno i locali sono ancora improntati all’eleganza e allo sfarzo di un tempo. E se oggi il Fiorio è ambito per i gelati, già gustati un tempo da Nietzsche, un tempo, in un’epoca in cui l’informazione su carta stampata aveva dei ragionevoli limiti di diffusione, era il caffè dove venivano portati i giornali di tutta Europa e perciò è facile capire come il Fiorio avesse tra i suoi frequentatori colti politici, aristocratici e borghesi, e un’eleganza severa e conservatrice.

Lasciamo Fiorio per raggiungere piazza Castello. Sotto i portici, dal lato di via Po, c’è il Mulassano, aperto nel 1907, dopo che il suo fondatore ebbe trasferito la propria bottega da via Nizza. È un ambiente piccino, ma perfettamente proporzionato, particolarmente sfarzoso e ricco con i suoi soffitti a cassettoni, decorazioni in cuoio, oro e marmi, frequentato in passato dai membri della Casa Reale e dagli artisti del Teatro Regio. Non fatevi ingannare da chi dice che lo frequentava anche Garibaldi, morto invece nel 1882…probabilmente lo avrebbe fatto con piacere, però!! 😉
La particolarità di questo caffè è una fontanella in stile floreale, posta sopra il bancone, da cui viene servita l’acqua da accompagnare al caffè. Qui, per i fanatici della colazione salata, nacque il primo tramezzino! Proprio qui fu inventato il mini-panino a più strati che ancora oggi è il vanto del locale, con le più curiose farciture, dall’aragosta, alla bagna caoda, al tartufo: eleganza salata.

Sulla piazza Castello, venti metri più avanti, si apre una deliziosa galleria urbana, la Galleria Subalpina, da sempre un salottino di Torino, e proprio all’imbocco della galleria troviamo il tempio del dolce: Baratti & Milano, fondato nel 1875 da Ferdinando Baratti e Eduardo Milano, era frequentato dal fior fiore dell’aristocrazia torinese, dell’esercito e della magistratura ma, come abbiamo visto all’inizio, vi passava intere mattinate anche il poeta Guido Gozzano, incantato dalle belle signore eleganti che facevano da Baratti&Milano una colazione golosa. Fin da subito Baratti&Milano si potè fregiare del titolo di Fornitore della Real Casa. Dall’esterno le vetrine sembrano quelle di una gioielleria, con le belle praline, i cioccolatini e le eleganti caramelle avvolte nella carta marchiata. Definirei l’eleganza di questo caffè-confetteria un po’ vezzosa. 

Al Baratti, oltre a far colazione, si può anche cenare, così come all’ultimo caffè che vorrei presentarvi.

Arriviamo al salotto di Torino, la bella piazza San Carlo. Qui, all’angolo con via Alfieri c’è il Caffè Torino. Nato nel 1903 ebbe tra i suoi clienti abituali Cesare Pavese, De Gasperi ed Einaudi e molti membri della famiglia reale. Tutto è improntato a raffinatezza estrema: le belle e scintillanti vetrate, lo scalone interno, il bancone originale del primo Novecento e l’altro, invitante, della pasticceria; gli ingressi più discreti delle salette riservate. I colori e le luci ci fanno subito sprofondare in un’atmosfera liberty. I cristalli, il verde pistacchio e il color crema tutto mi richiama alla mente un’eleganza indiscutibile ed impeccabile.

Finito il giro, torniamo a casa per la MIA colazione: prendo qualcosa da ciascuno di questi caffè, l’eleganza per me è un po’ tutto ciò che vi ho descritto e si nasconde anche tra le mura di casa, su una tavola con una ricca scelta e una colazione lenta e rilassante, infarcita di chiacchiere e progetti per la giornata che sta iniziando…magari una giornata di festa… 😉

Per la mia colazione ho scelto dei biscottini ripieni di uvetta, creati in onore di Garibaldi e amati da Cavour; poi gli immancabili biscotti di meliga, ovvero di farina di mais, da bagnare nel caffè; la torta di sole nocciole piemontesi, senza farina, in formato mignon, che di solito Al Bicerin viene servita con cioccolato caldo fuso; infine dei tramezzini che potrebbero essere quelli di Mulassano.

Garibaldini all’uvetta
(non metto le dosi, perché solitamente li preparo quando mi avanza della frolla da una torta)
un panettino di pasta frolla (la ricetta della frolla la trovate qui)
uva passa
grappa
marmellata di albicocche

Ho sciacquato l’uva passa in acqua tiepida, l’ho scolata e messa a mollo, in un bicchiere di grappa.
Ho steso la frolla sottile, l’ho spalmata di un sottile strato di marmellata di albicocca e su metà ho steso le uvette. Poi ho ricoperto la metà con l’uva passa della restante porzione di frolla. Ho schiacciato bene, spennellato di uovo e cosparso di granelli di zucchero di canna. Poi ho tagliato i biscotti a rettangolini, li ho distanzati e messi in forno a 180° per 10 minuti circa, fino a doratura.

Biscotti di meliga
125 g di farina bianca
125 g di farina di mais fioretto
150 g di burro
2 uova
85 g di zucchero

Ho amalgamato il burro morbido con lo zuchero fino a formare una crema.

Ho poi aggiunto le farine mischiate insieme, poi le uova intere, mescolando il tutto fino ad avere un impasto consistente. Ho fatto riposare in frigo per mezz’ora. Ho deposto delle cucchiaiate di impasto sulla teglia coperta di carta forno e infornato per 15 minuti a 180°.

Tortine di nocciole
(per 8 tortine)
130 g di nocciole tritate
65 g zucchero
2 uova
1 cucchiaino raso di lievito in polvere

Ho montato i tuorli con lo zucchero finchè non erano chiari, poi ho unito le nocciole tritate finissime e il lievito.
In un altro recipiente ho montato gli albumi e neve. Ne ho aggiunto un cucchiaio abbondante all’impasto di farina di nocciole mescolando bene per ammorbidirlo, poi ho aggiunto il restante albume montato, mecolando delicatamente dall’alto in basso.
Ho versato il composto in 8 pirottini grandi da muffin ed infornato a 170° per circa 20 minuti.

Tramezzini quasi di Mulassano

Farciti con salmone, asparagi e yogurt intero.

Con questo chilometrico post, le foto dall’aria antica, la mia idea di eleganza e la mia colazione delle feste partecipo al contest di BperBiscotto, Colazione da Zalando.
***tutte le foto sono mie, tranne quella conl’immagine esternade Al Bicerin, perchè io, di mercoledì, l’ho trovato chiuso!

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La Fetta di Polenta e la Polenta alla Piemontese

Ci sono giornate in cui sembra tutto vicino. Le montagne ad ovest, luccicanti di neve e svettanti sull’orizzonte come una corona, ancor di più la collina, verso est: case fitte fitte di Borgo Po, tutte affacciate sulla città, con la Villa della Regina che fa l’occhiolino, a due passi da piazza Vittorio, Superga vicinissima che quasi la si può toccare e il Monte dei Cappuccini che si specchia nel Po.
E’ merito della luce particolare – nessuna nube è rimasta, tutte spazzate dal vento tiepido che qui chiamano phön – e di un clima fresco ma temperato che fa sentire vicina la primavera.
Di solito queste giornate si manifestano a marzo, quando è tutto un turbinio di foglie secche ancora per le strade da novembre e risparmiate dalle piogge dell’inverno…Quest’anno il clima è invece particolarmente mite, lo è stato a dicembre ed è ancora così in questi primi giorni di gennaio.
E’ ora di pranzo, il sole è alto, il cielo è azzurro e limpido ed io faccio una passeggiata senza guanti e con il naso in su, guardando i bei palazzi di una Torino di altri tempi, una Torino signorile e discreta, forse silenziosa come questa mattina, quando corso San Maurizio era sgombro di macchine e i semafori sembravano funzionare inutilmente.

Se devo raccontare di un’opera che rappresenti la mia città penso subito ad un’architettura di Alessandro Antonelli.
La Mole Antonelliana? No, quella è davvero troppo conosciuta ed è il simbolo di Torino…io penso ad una casa che alcuni torinesi non conoscono affatto, ma che si trova a pochi passi dalla Mole, in borgo Vanchiglia: la Fetta di Polenta.

Una porzione del centro di Torino, si vede quanto siano vicine la Mole e la Fetta di Polenta

A guardarne la forma la ragione di questo soprannome è ben evidente. Le pareti sono dipinte di giallo vivace e la pianta di questo edificio è trapezoidale, con una facciata stretta ed un altro lato addirittura strettissimo!!!
Tutte le visuali della Casa Scaccabarozzi, detta Fetta di Polenta

Nacque per una scommessa con la Società Costruttori di Borgo Vanchiglia, e Antonelli dovette insistere a lungo prima di poter acquistare questa porzioncina di terreno d’angolo, intestato poi alla moglie Francesca Scaccabarozzi. Ma l’architetto era troppo eccentrico per farsi sfuggire la possibilità di costruire in condizioni “estreme”. Progettò quindi una casa per abitazione, con l’intenzione di destinarla all’affitto, con la scala a chiocciola e la canna fumaria incastrate nell’angolo più angusto.
I primi tre piani vennero completati nel 1840 e già nel 1851 dovettero resistere allo scoppio del Polverificio di Borgo Dora. Superarono la prova forse grazie alla fondamenta profonde due piani interrati, mentre altri edifici, in apparenza più solidi, vennero lesionati.
Non contento Antonelli innalzò la sua creatura sempre di più, fino a raggiungere l’ultimo piano, il sesto fuori terra, nel 1881. L’altezza complessiva è di 27 metri, così come la profondità sul lato lungo. La facciata che si affaccia su corso San Maurizio è lunga 5 metri, mentre lo spigolo più stretto di soli 70 centimetri.
La facciata su corso San Maurizio, larga 5 metri
Lo spigolo più stretto, di 70 centimetri di larghezza, dove sono incastrate le scale a chiocciola

Inizialmente molti si rifiutarono di andarci ad abitare, per paura di un crollo, ma la casa resistette nel 1887 quando un terremoto rase al suolo molti degli edifici del Borgo Vanchiglia. Anche i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale risparmiarono la casa Scaccabarozzi, e la diffidenza fu definitivamente vinta. La casa fu abitata per molti anni e solo ultimamente, dopo un periodo di decadenza, è stata trasformata nella Galleria d’Arte Franco Noero dove, per un certo periodo, sono state esposte sulle pareti interne, dipinte di bianco, le foto di tutti gli edifici più bizzarri del mondo.
Il lato verso via Giulia di Barolo. I mobili vennero portati in casa dalle finestre, poichè la scala era troppo angusta

Tornare alla Fetta di Polenta mi fa tornare indietro al tempo in cui passeggiavo più spesso con il naso in su, entusiasmandomi alla scoperta dei tanti palazzi che giocano a mimetizzarsi in questa città che a detta di alcuni può sembrare monotona. Non è così, dietro alla ricerca di un’uniformità di facciata, alla pretesa di disegnare tutte le strade con incroci ad angolo retto, ci sono tante storie, piccoli particolari sui frontoni delle finestre o sotto i balconi che differenziano ogni pezzo del puzzle della mia bella ed elegante città.
Antonelli poteva guardare la punta della sua Mole dalla finestra di casa, mentre si gustava la sua polenta alla piemontese

La ricetta che mi è parso più naturale abbinare a questa architettura è la Polenta alla Piemontese. 

Non ho cotto la polenta per ore, ho usato quella già precotta a vapore, che cuoce velocemente. Rispetto alla ricetta più tradizionale che vuole solo il soffritto di verdure ho aggiunto solo dei funghi, che si sposano a meraviglia con gli altri sapori.

La ricetta: Polenta alla Piemontese (per 2 persone)

125 g di polenta istantanea
25 g di semolino
50 g di fontina
2 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato
25 g di burro
½ l di brodo vegetale (preparato con cipolla, sedano, patata, carota e aglio) 
½  bicchiere di latte
3 cucchiai di olio d’oliva extra-vergine
1 cipolla
1 porro
2 spicchi di aglio
1 costa di sedano 
250 g di funghi orecchioni e chiodini
alloro
salvia
vino bianco
sale
pepe
 
Per prima cosa ho preparato il brodo vegetale con verdure a piacere: io ho messo patata, carota, sedano, cipolla e uno spicchio d’aglio, con un filo d’olio e un po’ di sale. 
In una padella larga ho preparato il soffritto mettendo in una padella i tre cucchiai di olio extravergine e facendovi rosolare la cipolla, il porro, gli spicchi d’aglio, il sedano e l’alloro e la salvia. Quando le verdure hanno cominciato a sfrigolare ho aggiunto i funghi tagliati a pezzetti e sfumato con un goccino di vino bianco e ho proseguito la cottura finchè tutte le verdure erano morbide e ben rosolate. Ho eliminato l’aglio.
Ho tagliato a dadini la fontina, grattugiato il parmigiano e pesato il burro in modo da averlo a portata di mano.
Ho mescolato le due farine.
Ho portato ad ebollizione il brodo preparato in precedenza con il mezzo bicchiere di latte.
Ho versato la farina a pioggia e ho iniziato a mescolare. Quando la polenta ha cominciato a raddensarsi ho aggiunto il burro, la fontina, il parmigiano ed infine il soffritto, mescolando bene.
Noi l’abbiamo fatta rassodare un po’ e l’abbiamo accompagnata da una parte del soffritto di verdure caldo.
Con questa ricetta, il consiglio di andare a vedere la Fetta di Polenta e queste tante foto, partecipo al contest Cib’Arte di Simona del blog Simona’s Kitchen in collaborazione con l’editore d’arte Claudio Martini.
ai fornelli

Focaccia integrale per San Giovanni

La ricetta è quella del pane, con l’aggiunta dell’olio.
Non mi dilungo troppo sulla ricetta, che trovate qui, aggiungo solo che per due focacce 20×30 ho utilizzato le solite dosi, (250 g di farina così composta: 180 g di farina bianca e 70 g di farina ai 5 cereali) con l’aggiunta di due cucchiai d’olio d’oliva, e lasciato lievitare due ore abbondanti nel recipiente.
Successivamente ho diviso in due l’impasto, l’ho disteso sulla carta da forno aiutandomi con le dita unte d’olio e lasciato lievitare per un’altra mezz’ora.
Io le ho condite, una con pomodori a fette, l’altra con cipolle fatte rosolare velocemente in padella con un filo d’olio.
Tenerle d’occhio in forno perchè, essendo sottili, cuociono più in fretta del pane.
L’impasto era buono, areato e ben cotto. La prossima volta ci voglio mettere stracchino e rucola!!! 
Poi di corsa a vedere i fuochi che quest’anno mi sono piaciuti particolarmente, anche se le foto non rendono, per la cornice con cui sono stati presentati, musiche e racconti dall’Unità d’Italia ad oggi.
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