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Mezzelune ai funghi e ricotta con sugo di champignons e pomodorini

La ricetta perfetta per questi giorni: i primi funghi, gli ultimi pomodorini, un connubio di sapori perfetto.
Potrei pubblicare meravigliose ricette con porcini, se ne avessi sottomano… ma non ne ho, quindi accontentatevi di questi ravioli. Perchè talvolta c’è bisogno di cose semplici.

La ricetta: Mezzelune ai funghi e ricotta con sugo di champignons e pomodorini
(per 2 persone)

150 g di farina di semola di grano duro
acqua tiepida
sale

150 g di ricotta di bufala
200 g di funghi champignons
1 manciata di funghi misti secchi ammollati qualche ora in acqua calda
1 spicchio d’aglio
mezzo bicchiere di vino bianco
una decina di pomodorini datterino

Per la sfoglia.
Impastare insieme la farina e l’acqua con un pizzico di sale, fino a formare un impasto lavorabile e liscio, ma sodo. Lasciar riposare per una mezz’ora.

Per il ripieno.
Tenere da parte alcuni champignons per il sughetto. Lavare e tagliare a pezzetti gli altri. In una padella mettere due cucchiai d’olio e rosolarvi l’aglio leggermente schiacciato sul tagliere. Nel frattempo tagliare a pezzetti anche i funghi secchi ammollati. Quando l’aglio ha dato sapore all’olio, toglierlo e aggiungere i funghi; farli insaporire e ammorbidire, sfumando con il vino bianco. Regolare di sale e pepe e portare a cottura. Quando i funghi sono pronti, frullarli assieme alla ricotta ben scolata (o passare tutto insieme al passaverdura).

Per i ravioli.
Stendere la sfoglia molto sottile e ricavarne tanto cerchi con un bicchiere o un coppapasta del diametro di 8 cm. Mettere una pallina di ripieno su ogni cerchio e richiudere a mezzaluna, schiacciando bene i bordi.

Per il sugo.
Mentre si porta l’acqua a bollore, preparare il condimento rosolando in olio il secondo spicchio d’aglio. aggiungere gli champignons rimasti, puliti e tagliati molto sottile e seguirli nella cottura in modo da non dover aggiungere acqua e farli diventare asciutti e ben rosolati. Quando si gettano i ravioli nell’acqua bollente, aggiungere agli champignons anche i pomodorini tagliati in quarti. Regolare di sale e aggiungere le foglioline di maggiorana.
Scolare i ravioli dopo un paio di minuti che sono affiorati in pentola e metterli direttamente in padella con il sughetto, saltandoli per un paio di minuti.

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Soupe aux oignons – Zuppa di cipolle alla francese

Ci troviamo in Auvergne, regione della Francia situata proprio al centro del Massif Central. Qui convivono due lingue quella del resto del paese, e quella d’oc, retaggio dell’antichità, secondo cui la regione è ancora oggi chiamata Auvèrnha. La regione nasce con gli Arverni, tribù gallica da cui prende il nome. Gli Arverni a loro volta sono noti per il loro comandante supremo, un giovanotto di nome Vercingetorige, al quale si deve l’unificazione della tribù celtiche dell’antica Gallia e una sconfitta clamorosa ai danni di Giulio Cesare a Bibracte.
L’iconografia ufficiale ce lo presenta come un gigante baffuto, una specie di Hulk Hogan dei tempi andati, e in effetti i Galli apparivano ai Romani come giganti, biondi e pelosi. In realtà il giovane Vercingetorige, era definito adulescens, ovvero uomo sotto i trent’anni secondo il diritto romano, nei Commentarii de bello Gallico di Giulio Cesare, nel VII capitolo, quasi interamente dedicato a lui. Attorno al 58 a.C., quando Cesare già combatteva in Gallia e scriveva il suo De Bello Gallico, Vercingetorige era un ragazzo sui vent’anni, di nobili natali, figlio del re Celtillo, e molto probabilmente all’interno dell’entourage militare di Giulio Cesare che gli fece indirettamente da maestro sulle tecniche di guerra dei romani, in
cambio della sua collaborazione e della sua conoscenza del territorio e
delle usanze della Gallia. Dal 58 al 53 si svolse una lunga campagna di guerra, durante la quale molte tribù celtiche vennero debellate o ridotte all’obbedienza, facendo degli Arverni il cuore della resistenza, in un territorio molto ricco di risorse ed evoluto economicamente. Mentre Cesare tornava per un periodo verso la Gallia Cisalpina, nell’inverno del 53, Vercingetorige, si mosse per creare una resistenza all’ulteriore avanzata romanaverso ovest.
« Allo stesso modo Vercingetorige, figlio di Celtillo, Arverno,
giovane influentissimo, il cui padre era stato l’uomo più autorevole
della Gallia e, aspirando al regno, era stato giustiziato dai suoi
compatrioti, convoca i suoi clienti e senza fatica li infiamma. »
Il racconto di Cesare non è totalmente obiettivo e fa apparire la resistenza arverna, capeggiata da Vercingetorige, qualcosa di molto simile ad una congiura, con un capo che raccatta i suoi sostenitori tra i diseredati delle campagne già battute dalla falce romana. Il capo degli Arverni invece riesce effettivamente ad unificare sotto di sé le tribù galliche, pur con l’uso della forza, prendendo in ostaggio i figli dei capi tribù per assicurarsi la fedeltà di questi ultimi. Forma quindi sotto di sè un clan potente che gli giustifica il nome che significa “il grandissimo re dei guerrieri”. 
Nel 52 egli impegna i romani in una sfiancante guerra d’inseguimento, facendo terra bruciata dietro di sé e mettendo in atto tutte le tecniche di guerra imparate dai romani.
Dopo alcune fasi molto favorevoli al capo dei galli, la fortuna volge alla fine verso Cesare. Con l’assedio di Alesia, Vercingetorige venne costretto alla resa e venne portato in catene a Roma per poi essere ucciso.
Il suo mito scomparve per risorgere solo nell’800, come simbolo nazionalista francese.
L’Alvernia è famosa non solo per il mito di Vercingetorige, ma anche per i suoi paesaggi, vulcani e sorgenti, e le sue industrie, Michelin e Danone, solo per fare due nomi, hanno in zona alcuni importanti stabilimenti, ma anche, dal punto di vista gastronomico alcuni dei formaggi più importanti della Francia: sono quattro le denominazioni DOP: Cantal, Bleu d’Auvergne, Fourme d’Ambert, Saint-Nectaire.
Contesa invece tra i pastori d’Alvernia e il celebre Nicolas Appert è la zuppa di cipolle. La leggenda vuole che il particolare metodo di cottura che fa caramellare le cipolle sia stato inventato proprio da Appert. Si narra che il duca di Lorena, in viaggio verso Parigi per far visita alla figlia Maria, sposa di Luigi XV, si imbatté in questa superba zuppa e si rifiutò di proseguire se non ne avesse prima imparato il segreto.
Altri raccontano che questo piatto fosse diffuso in Alvernia da secoli, tra i pastori che la preparavano con i pochissimi ingredienti: burro, cipolle, pane e formaggio. Il segreto è la dolce cottura delle cipolle che caramellano quasi senza aggiunta di zuccheri.

 La ricetta: Soupe aux oignons – Zuppa di cipolle alla francese
500 g di cipolle dorate
60 g di burro
1 cucchiaio di zucchero di canna
1 cucchiaio di farina 00 
1,5 l di brodo vegetale
100 ml di vino bianco
timo
lauro
180 g di Gruyère
sale 
pepe
1 baguette 

Preparare il brodo vegetale.
Nel frattempo tagliare finemente le cipolle. prendere una padella ampia e sciogliervi il burro, aggiungendo poi le cipolle. Iniziare la cottura a fuoco vivace, poi abbassare e far dorare le cipolle lentamente. Se faticano a colorare e caramellare aggiungere lo zucchero e qualche cucchiaio d’acqua. Quando sono ben colorate, sfumare con il vino bianco ed aggiungere poi la farina, mescolando bene. Aggiungere il brodo e poi regolare di sale e pepe, aggiungendo anche le erbe aromatiche. Far proseguire la cottura a fuoco molto basso, senza far evaporare troppo liquido e coprendo all’occorrenza.
Grattugiare il formaggio e tostare il pane.
Dopo 40 minuti di cottura la zuppa è pronta. Mettere sul fondo di cocotte adatte al forno un crostino di pane. Cospargerli di formaggio e coprirli con la zuppa. Completare con due crostini di pane e abbondante formaggio grattugiato. Infornare subito sotto il grill finchè il formaggio non è dorato. Servire subito.
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Il peperone nel raviolo e la 65° Sagra del Peperone di Carmagnola

Oggi vi parlo di peperoni e della Sagra del Peperone che si svolge a due passi da Torino, a Carmagnola dal 29 agosto al 7 settembre e che è giunta ormai alla 65° edizione.

Il 30 agosto, grazie all’invito del Comune di Carmagnola, sono stata lì, tutta la giornata, con Turismo Torino, per conoscere un po’ di più la città, alcuni dei suoi produttori e la sua Sagra, una vera e propria istituzione per il territorio. Nel frattempo avevo già fatto il pieno di peperoni, meraviglioso frutto estivo, che insieme alla melanzana mi fa proprio impazzire e la settimana passata ho condiviso sulla mia pagina Facebook le vecchie ricette a base di peperoni.
Un capitolo tutto suo lo merita il Povron ëd Carmagnòla, il peperone di Carmagnola, prodotto in moltissimi comuni della provincia di Torino e in alcuni della Provincia di Cuneo.
Le varietà sono 4 e i loro suggestivi nomi in piemontese sono: il Bragheis, quadrato, il Long, ovvero il famoso Corno di Bue, presidio Slow Food, il Trottola, conosciuto anche come peperone Cuneo ed infine il Tomaticòt.

peperone quadrato di Carmagnola
Il peperone è giunto a Carmagnola nei primi anni del ‘900, e quindi in epoca relativamente recente, introdotto un orticoltore di Borgo Salsasio, ma qui ha trovato un microclima ideale. Era una pianta piuttosto giovane per l’Europa, avendo preso piede come ortaggio commestibile soltanto nell’800. In precedenza, dopo la scoperta dell’America era sì, conosciuto – Leonardo da Vinci, ad esempio estraeva dal peperone alcuni pigmenti per i suoi dipinti – ma apprezzato soltanto come pianta ornamentale. Questo non stupisce se si pensa ai suoi grandi frutti, colorati e gonfi come palloni.

Il tour di sabato, però, non era dedicato soltanto al peperone ma anche al territorio carmagnolese, ricco di spunti di ogni genere, e la Sagra può fungere da pretesto per una visita più approfondita alla scoperta dei suoi tesori. 
Parliamo intanto dell’Abbazia di Casanova, antica abbazia cistercense risalente nel suo impianto originario al XII secolo, situata lungo una delle vie francigene, che conobbe uno sviluppo ininterrotto fino al XVI secolo quando venne ceduta ai Savoia. Distrutta quasi completamente da un rovinoso incendio, la facciata attuale è in stile tardo barocco piemontese, mentre il resto del monastero e l’interno della chiesa si devono all’intervento di Giovanni Tommaso Prunotto, allievo di Juvarra, nella metà del secolo XVIII. All’interno perfettamente conservati stucchi di pregio e alcuni arredi, e gli affreschi del Guidobono e di Crivelli, mentre è da segnalare una Madonna con bambino del ‘400.

Menzione d’onore all’Ecomuseo della Canapa, in Borgo San Bernardo, per me un vero tesoro. L’Ecomuseo preserva la memoria storica di un territorio in cui le aziende a conduzione familiare che si dedicavano alla produzione di corde erano più di 800 nel XIX secolo. La signora Caterina, con chiarezza e passione, ci ha accompagnato nella scoperta della pianta della canapa, mostrandoci come veniva ricavata la fibra e come venivano poi prodotte le corde. La pianta di canapa veniva lasciata macerare e poi la fibra veniva separata dalla parte più legnosa. La fibra veniva “filata” con l’aiuto di un macchinario, anche se gran parte del lavoro era svolto a livello manuale, e con qualsiasi condizione atomosferica, spesso all’aperto, vista la necessità di un’area di lavoro “lunga”.

I fili ottenuti venivano poi intrecciati grazie all’utilizzo di una sorta di argano e a una spoletta. La spoletta, a seconda della corda che si voleva ottenere variava di dimensione e di scanalature.
La corda veniva poi bagnata e ripassata con una maglia di ferro che la rendeva liscia.

Il territorio carmagnolese ha rifornito di cordami la marina italiana per secoli, ma esisteva un tipo di corda per ogni uso e le lavorazioni erano molte.

Il giro nel centro storico mi ha piacevolmente stupito, gli scorci da scoprire sono davvero tanti. Ma l’orgoglio dei Carmagnolesi, assieme alla chiesa Collegiata dei Santi Pietro e Paolo, è l’interno di Casa Cavassa, con i soffitti a cassettoni tra i più belli della provincia torinese.
Peccato non aver potuto visitare la Sinagoga barocca, tra le più belle d’Italia, segno della presenza a Carmagnola di una fiorente comunità che sfiorava, prima dell’emancipazione del 1848, circa le 200 unità.

Non si poteva organizzare un tour a Carmagnola senza dare un esempio dei produttori gastronomici di eccellenza che con passione danno lustro alla città.
I produttori di peperoni, ovviamente; uno fra tutti La Ca Veja, azienda agricola e agriturismo dove abbiamo anche pranzato a base di peperone di Carmagnola, passando per il porro dolce lungo e per il coniglio grigio, tutte eccellenze del territorio.



Una nota va all’entusiasmo contagioso della signora Chiara di C’era una volta una ricetta, che produce nel suo laboratorio artigianale deliziose conserve a base di prodotti dell’orto, con un occhio alla tradizione e l’altro alla sperimentazione. Recentemente è stata aggiunta anche una linea di pasticceria secca. I colori e i profumi delle sue conserve mi hanno letteralmente conquistata e meritano sicuramente una seconda visita.

Nel centro di Carmagnola si trova, invece, la Pasticceria Di Claudio, dove sono nati il peperone candito e la torta al peperone, oggi presenti in fiera. Anche in questo caso è il sorriso contagioso del titolare a conquistarci, assieme agli infiniti assaggi di tutti i prodotti e alle sue esaurienti spiegazioni: ci dice “diffidate di coloro che dopo tanti anni di lavoro in pasticceria si dicono nauseati dalla dolcezza; vuol dire che non stanno più lavorando con passione“. Anche per noi blogger è così! 😉

Ultimo ma non ultimo, il Carmagnolotto, l’agnolotto tipico di Carmagnola. Presentatomi in anteprima da carmagnolesi DOC, doveva contenere la carne delle vacche anziane e non più produttive, le giore, insieme al porro lungo dolce di Carmagnola, e doveva essere servito nello stesso brodo di carne di vacca o direttamente, nudo, sul tovagliolo. A La Ca’ Veja abbiamo trovato una versione di magro, con la sfoglia di farina di canapa e il ripieno di ricotta di bufala e peperone.
Allora, qual è il vero Carmagnolotto?
Visto che, come al solito, non mi fermo alla prima notizia, ho voluto approfondire: quello di magro è il Carmagnolotto edission limità” nato proprio per venire incontro ai vegetariani e per essere meglio apprezzato durante i giorni ancora caldi della Sagra, mentre dall’autunno potrete gustare nuovamente quello classico di carne.

Sfoglia di canapa a parte, assomiglia al mio raviolo ai peperoni, sperimentato un paio di settimane fa e riproposto in due cene diverse, visto il suo successo.
Un gusto decisamente esplosivo, visto che i peperoni all’interno del ripieno li ho messi a pezzettini, ben rosolati in aglio e acciughe, dopo esser stati passati in forno per eliminare ogni traccia di buccia e renderli digeribilissimi.
Io li ho conditi con un sughetto leggero di pomodorini freschi. Ne rifarò altri, per congelarli, nelle prossime settimane, per gustarli anche in inverno!

La ricetta: Ravioli ai peperoni, con sughetto di pomodorini e cubetti di Macagn

per la sfoglia:
200 g di semola rimacinata di grano duro
125 g di acqua tiepida
1 pizzico di sale

per il ripieno:
200 g di ricotta vaccina asciutta
2 peperoni grandi
2/3 filetti di acciuga
1 grosso spicchio d’aglio
qualche foglia di prezzemolo
olio
sale

Per il ripieno:
Arrostire i peperoni in forno a 200° per 35-40 minuti. Estrarli dal forno e riporli in un sacchetto di plastica per alimenti e chiuderlo bene fino a completo raffreddamento. Poi liberare i peperoni da semi e bucce e tagliarli a quadrettini di un cm di lato.
In una padella, rosolare in due cucchiai d’olio lo spicchio d’aglio appena schiacciato. Abbassare la fiamma e sciogliere i filetti di acciuga, poi aggiungere i peperoni e farli insaporire per qualche minuto, regolando di sale. Aggiungere anche alcune foglie di prezzemolo tagliuzzate fini.

Per la sfoglia, impastare farina e acqua con il pizzico di sale fino ad ottenere una pasta liscia e morbida. Lasciarla riposare sulla spianatoia infarinata, coperta da una ciotola, per circa mezz’ora.

Stendere la sfoglia molto sottile, e formare i ravioli della forma che preferite, con all’interno un cucchiaino di ripieno: questa volta ho usato questo forma-ravioli, badando di inumidire i bordi prima di chiudere il raviolo.

Lessare i ravioli in abbondante acqua salata prima di condirli con il sugo che preferite.
Io ho fatto un sughetto veloce con uno spicchio d’aglio e pomodorini maturi, insaporito da un rametto di maggiorana e arricchito da cubetti di Macagn*.

*il Macagn (o Maccagno) è un formaggio piemontese d’alpeggio, DOP e Presidio Slow Food

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Spaghettoni con zafferano e zucchine

Perchè il cacio e pepe si può fare anche così, colorato. Solo che al
posto del pepe nero ci metti un po’ di pepe bianco e poi ti viene in
mente che un po’ di zucchine saltate non guastano e poi ancora che con
le zucchine ci sta bene lo zafferano: diventa un altro piatto…buono
però e con tutto il colore del sole!

La ricetta: Spaghettoni con zafferano e zucchine
(per 2 persone)
170 g di spaghettoni
1 zucchina grande
30 g cipolla
1 bustina di zafferano
40 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
olio
sale
pepe bianco
Mettere l’acqua per la pasta a riscaldare, nel frattempo lavare e tagliare le zucchine a cubetti e la cipolla a pezzettini minuscoli. 
In una padella versare due cucchiai d’olio e rosolare leggermente la cipolla, poi aggiungere le zucchine, rigirando per qualche minuto. Togliere dalla padella e tenere da parte.
Da parte, in una tazzina di acqua già calda sciogliere lo zafferano.
Salare leggermente (perchè il parmigiano porterà sapidità) l’acqua e versarvi la pasta. Far cuocere per cinque minuti.
Con un grosso forchettone prelevare gli spaghetti e travasarli nella padella, aggiungendo anche 2 mestoli dell’acqua di cottura. Far proseguire la cottura della pasta in padella, aggiungendo acqua bollente quando è necessario. Quando la pasta risulta quasi cotta aggiungere lo zafferano precedentemente disciolto e il parmigiano grattugiato e mescolare rapidamente formando un sughetto e aggiungendo ancora qualche cucchiaio d’acqua bollente se necessario. Assaggiare e regolare eventualmente di sale e di pepe. Per ultimi versare le zucchine per una veloce rigirata in padella e servire.
 

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Crema di verdure verdi: asparagi, zucchine e piselli

Che strana primavera…siamo quasi a giugno, ma quest’anno ce la siamo goduta. Temperature più che accettabili di giorno e frescura la sera. Da qualche giorno, poi, violenti temporali e sembra che l’arrivo del grande caldo sia spostato un po’ in avanti… ancora per un po’.
Noi facciamo il pieno di verdure, ma proprio verdi, nel vero senso della parola, soprattutto asparagi, ma anche zucchine e piselli!

A me piacciono le consistenze morbide e perciò riduco tutto in crema e completo con crostini di pane e cubetti di mozzarella di bufala che con il caldo della crema diventano scioglievoli e morbidissimi.
Non vi è venuta voglia di approfittare di questi giorni ancora non troppo caldi per provarla anche voi?

La ricetta: Crema di verdure verdi: asparagi, zucchine e piselli


250 g di asparagi
100 g di piselli già sgranati
1 zucchina media
1 cipolla piccola
olio
sale
pepe nero
100 g di mozzarella di bufala campana

Tagliare a rondelle gli asparagi privati della parte più dura. Tagliare a cubetti la zucchina.
In una pentola far dorare la cipolla tagliata finemente. Aggiungere poi le verdure, rosolarle per qualche minuto e poi farle stufare. Lasciarle cuocere finchè non sono belle morbide. Frullare il tutto, aggiungendo un po’ d’acqua. Poi rimettere in pentola, sale, pepe e ancora un filo d’olio, insaporendo a piacere con qualche foglia di basilico.
Tagliare a cubetti la mozzarella, e metteteli nelle ciotole di crema subito prima di servire assieme a un paio di fette di pane casasareccio.
Io ho completato con qualche punta di asparago tenuta da parte e qualche pisellino solo appena sbollentato (ma anche crudo, se sono piccoli e teneri).


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Canederli: la tradizione sbarca sulla tavola del Natale Gli gnocchi di pane tipici dei paesi di lingua tedesca

Vi presento i canederli, creature mitologiche metà gnocco e metà polpetta, che al primo assaggio vi conquisteranno in modo definitivo.

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Frittata di Scammaro per i “giorni di magro”

In Italia la religione molto spesso ha condizionato il modo di gustare il cibo. In questo caso faccio riferimento alla Quaresima, ma si può allargare questo concetto a qualsiasi festività religiosa: ogni festa è legata ad un cibo particolare o, al contrario, a un divieto.
Durante la Quaresima si mangia di magro, e la celebrazione ridondante del Carnevale con fritture e carni grasse altro non era che uno sfogo prima del periodo di temperanza. Tolti i poveri che già carne non ne mangiavano neppure in altri periodi liturgici, la gente laica poteva osservare il vincolo solo nei venerdì di quaresima e durante la settimana santa. La gente di chiesa, invece, doveva dare il buon esempio ed evitare il consumo di carne per tutti i quaranta giorni precedenti la Pasqua. In particolar modo, dovevano farlo i monaci, che vivevano tutti insieme, e quando qualcuno di loro, particolarmente anziano e debole non poteva evitare di consumare un poco di carne, lo poteva fare nella propria celletta, per non generare insane acquoline nei suoi compagni.
Da qui la spiegazione del termine napoletano scammaro: mangiare in camera, cammerare, voleva implicitamente dire “mangiare proteine animali”; al contrario mangiare fuori della camera, scammerare, passò per estensione ad indicare il “cibo di magro” consentito in quaresima, fino ad indicare la quaresima stessa.
Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino e discendete dal famoso Guido, amico di Dante, nel 1837 inserisce questa ricetta nel suo libro Cucina Teorico Pratica , una vera e propria enciclopedia della cucina napoletana; evidenti le influenze della cucina francese, ma dalla seconda edizione si arricchisce di un’appendice tutta dedicata alla cucina contadina e delle classi meno abbienti. Tra le ricette proposte anche la frittata di scammaro, che non contiene uova, e che sta insieme per magia…
Marinella Penta de Peppo racconta un’altra leggenda sull’origine di questa frittata, attribuendone l’invenzione ad un famigerato mago Cico.
 

Io vi consiglio di vedere tutto il suo video, anche (e soprattutto!) perchè ci insegna il metodo di cottura delle frittate di pasta. Questo metodo, un po’ lungo, ma che garantisce un risultato perfetto, permette a questo timballo di maccheroni di rapprendere senza che vi siano uova nell’impasto.
Il consueto abbinamento di uva passa e pinoli alla ricetta salata è tra quelli che adoro e quindi ho utilizzato esattamente gli stessi ingredienti, variando leggermente le proporzioni.

La ricetta: Frittata di Scammaro

ingredienti (per 4 persone):
280 g di spaghetti
2 spicchi d’aglio
100 g di olive nere tagliate a pezzettini
30 g di capperi
50 g di uva passa
30 g di pinoli
4 filetti di acciuga sott’olio (o due acciughe sottosale, da diliscare e sciacquare sotto l’acqua corrente)
olio d’oliva extravergine

Per prima cosa ho lessato gli spaghetti al dente.
Nel mentre ho rosolato in cinque cucchiai d’olio extravergine d’oliva l’aglio sminuzzato finemente aggiungendo poi capperi e olive e dopo poco uva passa e pinoli. Ho tolto dal fuoco questo sughetto e vi ho aggiunto le acciughe tagliate a pezzettini.
Con questa salsa ho condito gli spaghetti tenendone da parte un paio di cucchiai per aggiungerli al centro della “frittata”.

Ho messo a riscaldare sul fornello una padella ben unta d’olio; quando l’olio era caldo  ho versato gli spaghetti, aggiungendo al centro il condimento che avevo tenuto da parte.
Dopo aver rosolato la frittata per 2-3 minuti a fuoco vivace, ho spostato la padella sul fornellino più piccolo. La frittata di scammaro segue la regola di cottura di tutte le frittate di maccheroni. Occorre infatti tenere il fornello non al centro della padella, ma costantemente sul bordo, ruotando la padella di 90° ogni 3-4 minuti; dal bordo il calore si diffonderà fino al centro, cuocendo tutta la frittata in modo uniforme. Trascorsi i 12-16 minuti, ho girato la frittata con l’aiuto di un piatto piano ed ho fatto cuocere nello stesso modo anche l’altro lato. Dopo quest’altro giro di cottura ho messo la frittata di scammaro su un piatto da portata, tagliando a spicchi direttamente in tavola.

 

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Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga

 
L’indivia è una delle verdure più dietetiche che esistano, ha solo 15 calorie per 100 g. Ha un sapore leggermente amarognolo, ma freschissimo. E’ l’ideale per fare il pieno di minerali, quali potassio, magnesio e fosforo.
Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga" class="facebook-share"> Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga" class="twitter-share"> Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga" class="googleplus-share"> Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2012/03/2012_03_19-Vellutata-di-indivia_pere-speziate-%281%29.jpg" class="pinterest-share">
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