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Tre contest molto allettanti!

Scrivo questo post per segnalarvi tre contest molto interessanti, che potrebbero allettare anche voi.
Primo fra tutti, il contest Torrone a Modo Mio, di Sperlari. Il contest è partito l’8 novembre scorso  e prevede la creazione di una o più ricette utilizzando il famoso torrone, nato nel 1836 a Cremona, un simbolo dell’italianità a tavola. Il torrone è natalizio per eccellenza, ma come molti dolci a base di mandorle arriva dal Medioriente.
Oggi Sperlari propone di sradicarlo dall’esclusiva tradizione natalizia e di farlo diventare un protagonista sulle nostre tavole anche fuori dal tempo festivo. Si tratta di reinterpretarlo in ricette sia dolci sia salate, dando un tocco di croccantezza ad ogni piatto. 
Il contest è stato lanciato con un evento molto allettante per noi foodblogger. Roberta Deiana, blogger e foodstylist, ha creato, presso la scuola di cucina Congusto a Milano, quattro golose ricette con il torrone Sperlari.
Ecco una foto delle sue elegantissime preparazioni:

Le ricette di Roberta Deiana per il lancio del contest “Torrone a Modo Mio”

Ora tocca a noi metterci alla prova: si potrà partecipare direttamente dal sito Sperlari fino al 31 gennaio 2013, con un massimo di 3 ricette al giorno, che verranno tutte pubblicate in un’apposita gallery all’interno del sito. 
Entro il 15 marzo verranno selezionate le migliori 5 ricette: la prima vincerà un weekend gastronomico per 2 persone in un hotel 4 stelle o in una dimora storica in Italia; le altre 4 sanno premiate con buoni acquisto del valore di 100 € ciascuno, spendibili su cucinaincasa.com.
Direi che le ragioni per partecipare a questo contest sono più che valide!! 😉

Il secondo contest che vorrei segnalarvi è riservato ai foodblogger. Nell’ambito di Food Revolution Milano (ve lo ricordate?), si sta per celebrare il Nocciola Day. Si tratta di elaborare una ricetta salata che contenga fra gli ingredienti le nocciole italiane. Le ricette dovranno essere pubblicate sul proprio foodblog seguendo tutte le indicazioni date dal sito web, entro il 30 novembre 2012, inviandole anche via mail a nocciolaitaliana@gmail.com e foodrevmilano@gmail.com, inserendo ricetta, foto o video, recapito telefonico e link alla pagina del proprio blog dove è stata pubblicata la ricetta.

Una giuria tecnica sceglierà le 5 ricette finaliste che saranno invitate al’evento del 5 dicembre in Cascina Cuccagna a Milano. Lì verranno degustate dagli ospiti e votate. La ricetta che si classificherà prima vincerà un weekend in uno dei territorio della Nocciola Italiana, offerto dall’Associazione Città della Nocciola.

Terzo e ultimo: Il Paesaggio con Gusto – Le Ricette, in realtà si tratta di una raccolta. E’ aperta a tutti ed è promosso dal FAI, Fondo Ambiente Italiano, in collaborazione con Fondazione Cariplo. Questa volta i protagonisti sono il latte e i prodotti lattiero-caseari del territorio lombardo. Tutte le ricette dolci e salate sono ammesse, purchè si scelgano prodotti dalla carta degli ingredienti.
La ricetta si può inviare tramite modulo online, facebook o email (ricettario@fondoambiente.it) fino al 15 gennaio. Le ricette verranno pubblicate sul sito e sulla loro pagina facebook e si potrà partecipare al convegno conclusivo del progetto “Il Paesaggio con Gusto” con, in più, una gustosa sorpresa.

ai fornelli, ricette tradizionali, storia & cultura

La Zuppa di Carote alla Crecy

La battaglia di Crecy fu una delle più importanti della Guerra dei Cent’anni, infatti il 26 agosto 1346 segnò la fine della cavalleria intesa in senso antico. Gli inglesi armati dei famosi longbow, gli archi lunghi, avendo una gittata decisamente superiore alle balestre usate fino a quel momento, evitarono lo scontro diretto, allungando le distanze tra gli eserciti nemici, e al tempo stesso abbatterono molta della cavalleria nobile francese, ancor prima che la battaglia entrasse nel vivo. 
La Francia schierava nelle sue fila tra i 50.000 e i 60.000 uomini, a seconda delle fonti dell’epoca, di cui circa 12.000 erano cavalieri, gli Inglesi erano poco più di 12.000 uomini, ma schierati a forma di cuneo lungo un terreno pianeggiante protetto ai lati da ostacoli naturali.
Ai primi lanci di frecce molti nobili francesi caddero dai cavalli feriti e furono costretti ad avanzare a piedi sotto il peso delle pesanti armature, mentre venivano nuovamente bersagliati dalle frecce nemiche. I balestrieri genovesi, sempre tra le fila francesi, non riuscirono a contrastare la potenza di fuoco.
Si racconta che il re Giovanni I di Boemia, saputo l’esito più probabile della battaglia, seppure ormai anziano e cieco, si fece legare al suo cavallo e si gettò verso l’esercito inglese urlando che prima di morire voleva combattere ancora l’ultima battaglia. Il giovanissimo Edoardo, principe di Galles, appena sedicenne e a capo di una delle sezioni dell’esercito inglese, ne rimase tanto colpito che volle per sé un’armatura uguale a quella del valoroso nemico. Il giovane “principe nero” venne anche immortalato dal pittore Julian Story in questa tela del 1888.
Al di là de La Manica, mangiare una zuppa alla Crecy significa commemorare questa celebre e drammatica battaglia, in Francia invece significa gustare le migliori carote del paese, proprio quelle di Crecy, in Piccardia, cucinate con una gustosa e confortante ricetta. La Potage Crecy viene affrontata anche da Julia Child nel suo Master of Frech Cooking e rappresenta un classico.
La zuppa può essere preparata con l’aggiunta di patate schiacciate  o con il riso per conferire cremosità. Io ho provato con il riso, che non modifica in alcun modo il sapore della zuppa e la rende molto sostanziosa senza alterare in alcun modo il sapore delle carote.
La ricetta: Zuppa di carote alla Crecy

(per 2 persone)
300 g di carote
1 cipolla
2 cucchiai di riso originario o comune da minestra
500 ml di brodo vegetale
olio extravergine di oliva 
sale
pepe bianco
era cipollina 

Ho preparato il brodo vegetale con carota, patata, cipolla, aglio e prezzemolo in acqua con olio e sale.

In una casseruola ho messo la cipolla tritata finemente, con un giro d’olio e l’ho fatta imbiondire leggermente, poi l’ho stufata con due dita di brodo e l’ho lasciata ammorbidire per 5 minuti.

Da parte ho lavato e pelato le carote e le ho tagliate a rondelle. Le ho aggiunte alla cipolla, le ho fatte insaporire e poi ho aggiunto il riso. Ho proseguito la cottura finchè le carote erano completamente morbide. Ci vorrà circa mezz’ora. Ho tenuto da parte qualche rondella di carota. Poi ho passato tutto il resto con il frullatore ad immersione fino ad ottenere una crema densa. Ho aggiunto ancora un poco di brodo e un filo d’olio in ogni piatto, decorando con una spolverata di erba cipollina, qualcuna delle rondelle di carota lasciate da parte e una macinata di pepe.


Con questa ricetta arancione partecipo alla puntata di novembre di Colors & Food dei blog di Cinzia, Essenza in Cucina, e di Valentina, My Taste For Food.

ai fornelli, ricette tradizionali

Tartrà per tutte le stagioni, ai peperoni o alla zucca, per La Svizzera nel Piatto.

Per La Svizzera nel Piatto, il contest organizzato dal Consorzio Formaggi della Svizzera in collaborazione con il blog di Teresa, Peperoni e Patate, bisognava elaborare una ricetta tradizionale italiana e reinterpretarla con l’utilizzo dei formaggi svizzeri più famosi.
Per questa prima ricetta – ma ne arriverà prestissimo un’altra – ho scelto lo Sbrinz, il più antico formaggio svizzero, il cui commerciò è documentato già nel 1530, quando mercanti a dorso di mulo portavano in Italia, attraverso i valichi alpini le enormi forme di Sbrinz scambiandole con sale e vino.
Lo Sbrinz è fatto con latte di vacca, non pastorizzato. La maturazione minima è di 16 mesi, ma diventa ideale a 18 mesi, quando diventa friabile e tenero ma piacevolmente piccantino e aromatico.
Lo Sbrinz possiede il marchio AOC (appellation d’origine controllèe) dal 2002 ed è un componente ideale per i taglieri ma anche il classico formaggio da grattugia.
Per la ricetta da presentare al contest sono andata a scovare una tradizionalissima ricetta piemontese, la tartrà. Si tratta di un budino di latte e panna, insaporito con tante erbe aromatiche dal gusto delizioso che ben si sposano con un formaggio prodotto con latte di mucche che si sono nutrite di grasse erbe alpine. La tartrà è un piatto versatilissimo che a seconda delle stagioni si può reinterpretare con un accompagnamento diverso.
Io ne ho proposte due versioni, una, per il primo autunno, con i peperoni e le acciughe e un’altra, per l’autunno avanzato, con la zucca e la pancetta.
La ricetta: Tartrà piemontese accompagnata da salse di verdura.
Per la tartrà (6 budini):
2 uova + 1 tuorlo
250 ml di latte intero
100 ml di panna da cucina
100 g di Sbrinz AOC grattugiato
1 porro
un trito composto da salvia, timo, rosmarino e alloro
20 g di burro
sale e pepe
Per la salsa al peperone:
1 peperone grande
1 grosso spicchio d’aglio
4 filetti di acciuga
olio d’oliva extravergine
50 ml di vino bianco
Per la crema di zucca:
300 g di zucca già pulita e lessata
½ cipolla piccola
70 g di pancetta affumicata
1 rametto di rosmarino
Ho fatto sciogliere il burro in un pentolino, aggiungendo il trito di erbe aromatiche e il porro tagliato finemente. Ho lasciato ammorbidire il porro per qualche minuto poi ho aggiunto la panna liquida, spegnendo quasi subito la fiamma e continuando a mescolare fino ad intiepidimento. A questo punto molti filtrano il tutto; io ho  invece lasciato le erbe aromatiche e il porro, in modo che il sapore fosse più intenso.
Ho sbattuto le uova con una bella presa di sale e una spolverata di pepe, aggiungendo lo Sbrinz grattugiato e il latte tiepido.
Ho unito i due composti e mescolato con cura; poi ho suddiviso in 6 pirottini da muffin grandi di silicone ed ho messo a cuocere in forno caldo a 190° a bagnomaria; in pratica in una teglia larga ho messo due dita di acqua calda e vi ho deposto tutti i pirottini con la tartrà liquida.
Quando i budini si saranno solidificati saranno pronti, nel caso si scurissero troppo coprirli con un foglio di alluminio.
Per la salsa di peperoni:
Ho tagliato il peperone a pezzettini minuti e l’ho messo a rosolare con l’aglio e un giro d’olio evo. Ho sfumato con il vino proseguendo la cottura Quando era morbido ho aggiunto le acciughe tagliate a pezzettini e le ho fatte sciogliere. Ho passato tutto al frullatore, togliendo l’aglio e regolando di sale.
Per la crema di zucca:
Ho fatto rosolare la cipolla tagliata sottile in un filo d’olio. Ho aggiunto la zucca lessata a cubetti, e insaporito con del rosmarino. Quando il tutto era morbido, ho frullato e regolato di sale. Da parte ho stufato della pancetta a cubetti, con un filo di vino.
Per comporre il piatto è sufficiente liberare la tartrà dal pirottino ed accostarvici la salsa che avete scelto. Per quella di zucca, decorare con i cubetti di pancetta.
Con questa ricetta partecipo al contest La Svizzera nel Piatto del blog Peperoni e Patate in collaborazione con il Consorzio Formaggi della Svizzera.
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Alla Fiera del Miele di Marentino…

Chi mi segue su Facebook e Twitter sa che in occasione della Fiera del Miele di Marentino, svoltasi il 29 e 30 settembre, ho partecipato al concorso gastronomico “C’era una volta il miele”.
Il tema del concorso era naturalmente il miele e dunque bisognava presentare una ricetta con questa significativa presenza tra gli ingredienti. Erano ovviamente benvenuti anche tutti gli altri prodotti del nostro territorio.
Io ho presentato i miei ravioli al formaggio di capra insaporiti con miele e more e sono stata scelta tra le cinque finaliste, andando poi proprio lì a Marentino a cucinare la mia ricetta sotto gli occhi vigili dei giudici.

La giuria era composta da tre membri dell’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche del Piemonte, Andrea Mè, Marco Carena e Federico Bianco, dalla scrittrice e  blogger Norma Carpignano e dallo chef Davide Fiore del ristorante La Locanda delle Marionette di Sciolze.

E’ stata un’esperienza divertente e molto molto piacevole: per chi ama cucinare è sempre molto stimolante ricevere un giudizio da esperti del settore, e non da semplici assaggiatori occasionali… quando poi questo giudizio porta anche alla vittoria, potete immaginare che la soddisfazione è a mille!!!

Con le altre partecipanti ci siamo sistemate sull’ampio tavolo, abbiamo disposto i nostri ingredienti e attrezzi e abbiamo subito dato il via alle danze. Qualche tentennamento l’abbiamo avuto soltanto con l’approccio alle piastre ad induzione, ma anche quello è stato risolto.

Tra le ricette partecipanti c’erano altri ravioli, con il miele nel ripieno, un secondo di pesce e due dolci: dei muffins e dei biscotti.

Dopo le foto di rito, la giuria si è raccolta in camera di consiglio e dopo una decina di minuti la classifica era stilata: primo posto per me!! 😀
La mia ricetta sarà pubblicata nei ricettari dell’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche del Piemonte; a casa ho portato gli attestati del Comune di Marentino e dell’Accademia e un invito a cena per due al ristorante Le Marionette di Sciolze. 
I complimenti che più mi hanno fatto piacere sono stati quelli di Davide Fiore che, rimasto particolarmente colpito dalla mia ricetta, la inserirà nel suo menù.
In attesa di raccontarvi anche della cena in questo ristorante particolarissimo, pubblico ancora il momento della premiazione che dice tutto sulla mia contentezza.

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Ravioli di formaggio di capra insaporiti con miele e more

Il miele è un alimento ricco di storia. Testimonianze sull’uso del prezioso dolcificante si trovano nella Bibbia ed era praticamente usato da tutti i popoli dell’antichità. Gli Egizi gli attribuivano anche un potere rituale, poichè accanto alle mummie venivano deposte ciotole piene di miele per corroborare i defunti durante il viaggio nell’aldilà. I Sumeri lo utilizzavano per preparare cosmetici mentre i Greci lo consideravano cibo degli dei e Hammurabi nel suo codice di leggi tutela gli apicultori dal furto del prezioso nettare. In realtà la storia del miele si perde ancora più lontano nel tempo e si hanno tracce delle prime arnie costruite dall’uomo nel VI millennio a.C.
Nel medioevo il miele veniva usato per dolcificare qualsiasi cibo, dalla carne alle torte salate ed addolciva anche le bevande, in combinazione con il vino, come accadeva per l’Hypocras e il Chiaretto o con l’acqua, quando dava vita all’Idromele.
L’avvento della canna da zucchero gli fece perdere un po’ di fama, ma ultimamente è tornato all’antico splendore, per le sue tante proprietà benefiche, come disinfettante e antibatterico, come calmante del sistema nervoso e corroborante dell’apparato circolatorio. A queste proprietà si aggiungono quelle specifiche dalla pianta da cui il nettare è estratto. 
Il miele di tiglio che ho usato per questa ricetta è tra i mieli più profumati e pare anche essere calmante e un aiuto per chi soffre di emicrania.
E’ naturale abbinarlo ad un formaggio di capra, dal tipico gusto sapido e pungente. Più particolare è condire con il miele questi saporiti ravioli, mentre le more danno colore e una punta di acidulo ad un piatto equilibratamente dolce e salato. 
La ricetta: Ravioli di formaggio di capra con miele di tiglio e more
(per 2 persone)
per la sfoglia all’uovo:
200 g di farina 00
2 uova intere
1 pizzico di sale
per il ripieno:
circa ½ caprino fresco di latte di capra Alta Langa (quello fatto a tronco di cono che trovate sfuso dal formaggiaio)
150 g di toma piemontese di pura capra (sfusa, proveniente dalla zona di Cuneo)
per il condimento:
100 g di more fresche
1 cucchiaio di miele di tiglio
40 g di burro
cannella
pepe bianco
Ho preparato la pasta per i ravioli: ho messo la farina a fontana, ho rotto le uova intere al centro, ho aggiunto un pizzico di sale ed ho cominciato a formare un impasto, prima con la forchetta poi con le mani. Ho impastato per qualche minuto, poi ho messo la pasta a riposare avvolta in un tovagliolo di cotone.
Ho preparato il ripieno semplicemente tagliando a pezzettini molto piccoli la toma di capra e amalgamandola con il caprino fresco.
Ho steso la sfoglia e ho ricavato tanti cerchi con un coppapasta del diametro di 6cm. Su metà dei cerchi ho deposto una nocciola di ripieno. Ho bagnato leggermente il bordo rimasto libero con il dito inumidito d’acqua ed ho completato i ravioli con un cerchio vuoto, facendo ben aderire i bordi.
Completati i ravioli, ho messo a bollire l’acqua per cuocerli e nel frattempo ho fatto sciogliere in un padellino il burro a fuoco bassissimo. Ho aggiunto il miele e l’ho fatto scaldare e fluidificare. Poi ho aggiunto anche il succo di qualche mora schiacciata e passata al colino. Ho spento e tenuto in caldo.
Quando l’acqua bolliva, l’ho salata e vi ho cotto i ravioli; poi li ho scolati con delicatezza e li ho deposti nei piatti.
Nel padellino del burro ho aggiunto le more restanti, ho riscaldato il tutto ed ho usato il burro e miele per irrorare i ravioli. Ho spolverato il tutto con cannella e pepe bianco e servito.
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Il colore viola e “Tutti i colori del cibo”

Per la sfida tra blogger “Tutti i colori del cibo” ideata da Paola mi è capitato il colore viola.
Nel mondo occidentale il viola è sempre stato, dall’avvento del cristianesimo, il colore legato alla Quaresima, periodo durante il quale venivano vietati tutti gli spettacoli, che all’epoca si svolgevano nelle piazze su palchi improvvisati all’aperto. Ciò significava per gli attori un periodo di ristrettezze economiche e di digiuno obbligato, non per fervore religioso, ma perché la saccoccia restava vuota… Da ciò deriva la credenza che il viola porti sfortuna in teatro e nel mondo dello spettacolo e perciò nessuno attore si sognerebbe di indossarlo durante una rappresentazione. 
Detto ciò sembrerebbe che questo colore fosse ormai destinato ad assumere solo connotazini negative, invece a seconda del momento storico e del quadro culturale assunse sempre diversi significati.
In epoca precristiana il viola rappresentava la carestia, ma anche il rinnovo e il cambiamento e in seguito questo colore si legò spesso allo sfoggio di prestigio e di potere. Il viola è il colore dei vescovi e dei principi e una stoffa viola foderava in passato le corone d’oro dei regnanti. Per gli orientali è il colore del settimo chakra, la realizzazione della completa beatitudine, e chi lo porta è un maestro illuminato.
Per molte culture il viola è il colore del lutto e nella cultura romantica, a partire da Goethe, evoca scenari apocalittici, sentimenti cupi, terrore… eppure tutt’altro che terrificante è il fiore che dà il nome a questo colore; per Leonardo Da Vinci viola era il colore che aumentava di dieci volte l’espressione della fantasia e stimolava la saggezza e per la Psicologia dei Colori esso rappresenta la temperanza, poiché unisce lo slancio drammatico del rosso e la tranquillità serena del blu.
Va detto che, a vantaggio della sfida, il viola è un colore davvero ricco di sfumature che vanno dai colori più vicini al blu fino alle sfumature più vicine al fucsia e al porpora.

Visto che qui badiamo alla sostanza mi sembra giusto aggiungere che i cibi viola e blu-viola sono nemici dei tumori e delle patologie cardio vascolari perché contengono antocianine. I frutti di bosco sono ottimi per me, che soffro di fragilità capillare, ma sono utili anche a prevenire le infezioni urinarie e ad aiutare l’intestino pigro. I carotenoidi contenuti in molti cibi blu-viola contrastano l’insorgere di ictus, l’aterosclerosi e l’accumulo di colesterolo cattivo, ma anche l’invecchiamento cellulare e la cataratta.
Largo quindi ai cibi che virano verso il viola, prugne, more, mirtilli e lamponi, radicchio, melanzane, ma anche i fichi. E poi ce n’è uno che è tra i miei ingredienti favoriti: la Cipolla Rossa di Tropea, che rossa non è, ma è viola!!!
Ho scelto una palette che va dal violetto melanzana all’orchidea profondo:
E poi ho cercato di unire l’Italia, dalla Calabria all’Alto Adige con due sapori, il dolce e l’affumicato, che si sposano benissimo!!!

La ricetta: Gnocchi di patate alla rucola con Cipolla Rossa di Tropea D.O.P. caramellata e Speck Alto Adige I.G.P.

ingredienti (per 2-4 porzioni a seconda che li mangiate come piattounico o come primo piatto):
per gli gnocchi:
350 g di patate a pasta gialla
4 cucchiai colmi di farina 00
1/2 uovo sbattuto
una ventina di foglie di rucola (+ qualcuna per decorare)
sale

Ho lessato le patate in acqua bollente; le ho fatte intiepidire, le ho sbucciate e poi passate ancora tiepide con lo schiacciapatate. Ho aggiustato di sale, poi ho aggiunto le foglie di rucola, ben lavate e tritate finemente. Ho aggiunto il 1/2 uovo sbattuto, facendo attenzione a non inumidire troppo l’impasto. Poi la farina, che a seconda dell’asciuttezza delle patate sarà di più o di meno. Con patate umide, aggiungere meno uovo, giusto quel che basta per far rapprendere l’impasto. Dalla palla che si è formato ho preso porzioni di impasto ed ho formato dei serpentelli e poi gli gnocchi. Se volete potete renderli più belli e cavi passandoli velocemente su un cesto ben infarinato e cavandoli con il pollice. Oppure potete lasciarli a tocchetti come ho fatto io. 
 

per il condimento:
4 cipolle di Tropea di grandezza media
vino bianco (o un rosso leggero per un colore più vivace)
1 cucchiaino di aceto balsamico
4 cucchiai di zucchero
sale
4 fette di speck (+ un paio per decorare) 

Ho sbucciato le cipolle, e le ho messe a bagno per pochi minuti in acqua fredda. Le ho tagliate a mano a striscioline sottili.
In una padella larga ho messo un filo d’olio e poi subito le cipolle finchè non hanno iniziato a rosolare. Ho aggiunto il cucchiaino di aceto balsamico e un dito di vino e ho lasciato sfumare. Poi ho versato lo zucchero e rigirato bene. Dopo aver prodotto un po’ di liquido iniziale, lo zucchero asciugherà le cipolle e quindi per proseguire la cottura finchè non sono morbide bisognerà aggiungere un poco d’acqua, facendo sempre attenzione a non annacquarle. Dopo 15 minuti saranno morbide ma ancora sode; a questo punto ho regolato di sale e fatto asciugare le cipolle senza aaggiungere più acqua: diventeranno belle lucide.

Cottura degli gnocchi:
Ho versato gli gnocchi in acqua bollente (con un cucchiaio d’olio per non farli attaccare) ed ho atteso che venissero a galla, ci vogliono 5 minuti. 
Ho riacceso il fuoco sotto le cipolle e ho versato in padella le fettine di speck tagliato a striscioline, che con il calore diventerà un po’ più chiaro delle cipolle. Ho aggiunto anche una mezza tazzina d’acqua in padella e poi fatto colare questo liquido insaporito di cipolla e speck in una zuppiera, dove poi ho fatto girare gli gnocchi scolati, man mano che venivano a galla. Gli gnocchi assorbiranno il liquido.
Infine ho deposto gli gnocchi nei piatti e ricoperti con il condimento di cipolla caramellata e speck e decorato il piatto con una rosellina di speck e due foglie di rucola.

Con questa ricetta viola partecipo alla sfida tra blogger “Tutti i colori del cibo
Potete vedere a questo link la ricetta viola della mia avversaria e poi votarmi, se la mia ricetta vi piace, non qui, ma sul blog di Paola—–>qui, a partire da domani 10 agosto, fino a giovedì 16 agosto, così che possa accedere alla fase successiva!!
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Vincitori del Contest Ricette a Spasso nel Tempo

Sono finalmente giunta a proclamare i vincitori del mio contest.
Che avrei voluto premiare molti più partecipanti, forse l’ho già detto, ma è veramente così: l’impegno che ci avete messo è stato fonte di grande soddisfazione per me, così oltre ai premi veri e propri ho deciso anche di menzionare alcuni post che a mio parere si sono distinti dagli altri!

Bando alle ciance, prima le menzioni:

– al post di Muffin e Dintorni con Walt Disney e i Biscotti al Burro di Arachidi va la menzione di Post dal Carattere più Personale;

– al post di BperBiscotto con Marie Antoine Careme e il Soufflé Rothshild va la menzione di Ricetta più Bella;
e al post di Staffetta in Cucina con Ildegarda von Binden e il Farzotto va a parimerito la menzione di
Personaggio più Affascinante;
e di Un’Italiana Senza Servitù con Luisa Tetrazzini e la Pasta alla Tetrazzini va a parimerito la menzione di Storia Più Divertente.

Ora veniamo ai premi:

Per la perfetta corrispondenza di personaggio e ricetta ho scelto:

Antonella ha preparato una ricetta che proprio il maestro Giuseppe Verdi amava mangiare; Loredana ha studiato una ricetta perfetta per il grande François Vatel e per la storia infelice della sua morte.
Si aggiudicano le due copie del libro “Donne e Cucina nel Risorgimento“.

Per la fantasia e l’estro con cui ha abbinato personaggio e ricetta ho scelto:
Paola di Nastro di Raso con Hans Christian Andersen e le Crèpes di Grano Saraceno

Ho apprezzato che sia andata a cercare un personaggio che avesse un legame con il luogo in cui lei abita. Da lì è partita alla ricerca di una ricetta che potesse interpretare una delle fiabe di Andersen.
Si aggiudica la copia del libro “A Tavola nel Risorgimento“.

Aspetto i recapiti delle tre vincitrici all’indirizzo ricettedicultura@gmail.com per inviare loro i libri.
Mi spiace che l’entità dei premi sia modesta, soprattutto in confronto ad altri contest che vedete in giro, ma non ho avuto alcuno sponsor; considerateli un regalo che ho voluto fare ai miei lettori di mia tasca.

Tutti coloro che non ho nominato qui saranno citati e linkati nel PDF che sto ultimando e che potrete scaricare dalla settimana prossima.

Grazie di cuore a tutti i partecipanti!

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Peperoni verdi dolci ripieni di cous cous

Dopo i “Peperoni verdi fritti alla fermata del treno” vennero questi ripieni.
L’idea è di una sempicità disarmante, ma questi peperoni si sono rivelati perfetti sotto tanti punti di vista. 
In primo luogo sono saporitissimi, facili da fare, d’effetto e anche veloci, perchè il peperone di questa qualità, il friggitello, cuoce in pochissimo tempo. 
Come valore aggiunto questa ricetta è trasportabilissima: basta aver cura di infilare i peperoni ripieni in un barattolo di vetro, coricato, sistemandoli per bene, fitti fitti, e avvitare il coperchio; poi si possono trasportare in spiaggia – voi che ci andate – o dove volete, senza problemi di conservazione al caldo.

La ricetta: Peperoni verdi dolci ripieni di couscous
una decina di peperoni verdi friggitelli
100 g di cous cous
80 g di tonno in olio extra d’oliva
una decina di olive nere
una bella manciata di pomodorini
due acciughe sott’olio, lavate
una manciata di capperi
basilico
sale
olio
 
Ho messo a bollire in un pentolino 160 ml d’acqua con il sale e un cucchiaio d’olio. A raggiunto bollore ho versato l’acqua bollente sul cous cous, ho coperto e lasciato riposare per dieci minuti.
Ho preparato nel frattempo i peperoni facendo un taglio longidudinale e liberandoli dai semi e dai filamenti bianchi con un coltellino appuntino, senza staccare il picciolo, magari accorciandolo leggermente per farli stare un po’ più fermi sulla teglia.
Ho condito il cous cous con il tonno, le olive snocciolate e tagliate a rondelle, i capperi, un paio di acciughine spezzettate, i pomodorini lavati e tagliati in quarti e le foglie di basilico sminuzzate.
Ho riempito di cous cous i peperoni, richiudendoli bene e disponendoli affiancati sulla teglia. Ho irrorato il tutto con un filo d’olio ed ho infornato a 180° per circa 20 minuti.
Si lasciano raffreddare qualche minuto e poi sono pronti da mangiare o da portar via.

Con questa ricetta partecipo al contest “Mangiamo in spiaggia?” di Paola di Nastro di Raso in collaborazione con Zalando.

Per portarmeli in giro io ho riutilizzato un barattolone di vetro alto e stretto in perfetto stile Friends of Glass.

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Millefoglie di cecina con calamaretti e verdure julienne alla cannella

Per la ricetta da proporre al contest “Se avessi un ristorante” del blog Le Pellegrine Artusi ho pensato di combinare un prodotto tradizionale del territorio aretino, la cecina, altrove conosciuta come farinata di ceci, con un compagno insolito.
In queste zone la cecina viene servita come antipasto, chiamata torta di ceci, e insaporita solo con olio, sale e rosmarino.
Per farcirla ho pensato ai calamaretti che cuociono in pochi minuti, semplicemente saltati in padella con verdure estive, carote e zucchine. Il tocco speciale lo dà una punta di cannella che ho imparato ad apprezzare nelle preparazioni salate a partire dalla Carabaccia toscana fino a provarla con la zuppa di ceci. In effetti la cannella attribuisce al tutto una dolcezza insolita e delle note vagamente mediorientali.
 

La ricetta: Millefoglie di cecina con calamaretti alle verdure julienne profumate di cannella
(per 2 porzioni)
65 g di farina di ceci
circa 180 ml di acqua
un pizzico di sale
olio
1 rametto di rosmarino

200 g di ciuffi di calamaretti (già puliti e privati del dentino)
1 carota
1 zucchina
1 cipollotto
1 costa di sedano
1 spicchio d’aglio
cannella in polvere
sale
olio
vino bianco

Ho preparato la farinata di ceci, mescolando insieme farina di ceci e acqua fino a formare una pastella omogenea e priva di grumi, aggiungendo l’acqua a poco a poco. Ho lasciato riposare questa pastella per almeno un’ora o anche di più, con il rametto di rosmarino in infusione. 
Ho poi aggiunto un pizzico di sale e un cucchiaio d’olio e ho mescolato bene. 
Ho fatto scaldare molto bene un padellino da crêpes e, una volta caldo, vi ho versato un mestolo di pastella, distribuendola bene sulla superficie. Ho lasciato che si asciugasse bene, prima di girarla e farla cuocere dall’altro lato. Sarà più sottile di una comune farinata, ma dalle superficie croccante. Ho continuato fino ad esaurimento della pastella.
Con un coppapasta ho ritagliato sei quadrati dalle piccole farinate.
Ho tritato il cipollotto e preparato le verdure tagliandole a julienne. In una padella ho versato un cucchiaio d’olio e ho fatto soffriggere leggermente il cipollotto con l’aglio, poi ho aggiunto il sedano a julienne e poco dopo carote e zucchine. Ho bagnato le verdure con vino bianco e fatto sfumare e poi aggiunto i ciuffetti di calamari, rigirando il tutto velocemente. In pochi minuti sono pronti. Ho aggiustato di sale e aggiunto un’abbondante spolverata di cannella.
Ho messo da parte il sughetto tirato fuori dalle verdure e l’ho fatto raddensare sul fuoco con alcuni pizzichi di farina.
Ho composto il piatto alternando le sfoglie di cecina con i calamaretti e verdure, guarnendo con il sughetto e con un’ulteriore spolverata di cannella.
Con questa ricetta insolita partecipo al contest Se avessi un ristorante di Le Pellegrine Artusi; la inserisco tra le ricette tradizionali italiane.
 
 

ai fornelli

Filetto di maiale con anelli di cipolla e taccole ai pinoli e basilico.

Ho appena conosciuto le taccole. Lo so che è una vergogna ma non le avevo mai assaggiate e trovandole al mercato mi son detta: proviamo!!
Le taccole, dette anche piattoni, sono una via di mezzo tra i fagiolini e i piselli. Presentano un baccello verdissimo e piatto come un fagiolino che è finito sotto un camion, ma sono in realtà una varietà di pisello, infatti sono anche dette, piselli cinesi o anche “mangiatutto”. Hanno virtù positive, ma sono delicate ed adattissime anche a chi soffre di colite, al contrario del suo parente stretto. Nelle taccole in realtà i semi restano allo stato embrionale e il baccello è particolarmente tenero e dolce. Oltre ad essere una grande fonte di fibra, la taccola è ricca di caroteni, vitamine C e B9, e di una discretà quantità di ferro. Per mantenere inalterate tutte le sue proprietà, vanno cucinate in modo semplice e sono più buone se mantenute leggermente croccanti.
Io le ho usate come contorno ad un piatto di filettino di maiale rosolato in pentola, guarnito da anelli di cipolla fritti. 
Con l’arrivo del caldo mangiare la carne mi riesce più difficile. Invece questa ricetta, con questo abbinamento di sapori, è proprio nel giusto mezzo tra il fresco che ancora ci ha accompagnato in questa primavera che non voleva decollare e il primo caldo sbocciato all’improvviso.
La carne di maiale è sapida ma magra e leggera in questo taglio, le cipolle sfiziosissime e le taccole, al profumo di basilico, dolci, fresche e primaverili.

La ricetta: Filetto di maiale al vino bianco con anelli di cipolla fritti e fresco contorno di taccole con basilico e pinoli

Ingredienti per 2-3 persone:
400 g di taccole fresche
5 foglie di basilico
1 manciata di pinoli
1 cipolla  bianca grande
1 bicchiere di latte
3 cucchiai di farina
400 g di filetto di maiale
olio evo
olio di semi di arachidi per friggere
vino bianco
sale
pepe
 
Ho lavato le taccole, le ho liberate dalle due estremità; a volte può essere necessario togliere il filo lungo tutta la loro lunghezza, ma le mie erano particolarmente tenere e non ce n’è stato bisogno. Le ho tagliate a rombi di 3 cm di lunghezza. In una padella larga ho fatto tostare i pinoli per qualche istante, poi li ho tolti e tenuti da parte. In un paio di cucchiai d’olio ho messo le taccole a pezzetti e fatto saltare in padella, aggiungendo un dito di vino bianco e all’occorrenza un po’ d’acqua. Quando erano leggermente ammorbidite, ma ancora di un bel verde vivo, ho regolato di sale e aggiunto qualche foglia di basilico tagliata a pezzetti e i pinoli tostati in precedenza e fatto insaporire ancora per qualche minuto.

Nel frattempo ho tagliato la cipolla ad anelli sottili e l’ho messa a bagno nel latte. Poi ho legato strettamente il filetto di maiale con lo spago da cucina.
In una pentola dal fondo spesso ho messo due cucchiai d’olio e ho fatto rosolare a fuoco vivace il filettino di maiale da tutti i lati. Poi ho aggiunto un mezzo di bicchiere di vino bianco e l’ho fatto sfumare, infine ho proseguito la cottura a fuoco lento, aggiustando di sale e pepe e aggiungendo un poco d’acqua quando necessario. In circa 20 minuti sarà pronto, restando leggermente rosato al centro.
In un’altra padella ho messo dell’olio di semi d’arachidi e una volta caldo ho fritto le cipolle, scolate e cosparse di farina, finchè non erano dorate e croccanti.
Ho impiattato con fette spesse poco più di un cm di filetto di maiale, coperto da anelli di cipolla e affiancato dalle taccole intiepidite leggermente.

Con questa ricetta partecipo al contest Spring Food Contest di Lina del blog Spadellatissima.


 

ai fornelli, storia & cultura

Eleganza a Colazione per il contest di B per Biscotto

“Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine-
le dita senza guanto-
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché niun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.

Fra quegli aromi acuti,
strani commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh le signore come
ritornano bambine!

Perché non m’è concesso-
o legge inopportuna!-
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.”

Pare che Guido Gozzano (1883-1916) compose questa poesia intitolata “Le Golose” proprio nel suo caffè preferito, lo storico caffè Baratti&Milano di Torino.
Torino, elegante e altezzosa, ha sempre fatto dei caffè, uno dei simboli della città e per il contest di BperBiscotto, Colazione da Zalando, incentrato sull’eleganza non potevo che lasciarmi ispirare dai caffè storici di Torino.
Ce n’è per tutti i gusti.

C’è Al Bicerin, fondato nel 1763, accanto alla chiesa della Consolata, dall’acquacedrataio e  confettiere Giuseppe Dentis che nell’Ottocento, approfittando della ristrutturazione dell’edificio, trasformò la sua modesta bottega in locale e cioccolateria. Qui nacque per l’appunto il Bicerin, che significa bicchierino, la bevanda speciale a base di caffè, cioccolata fondente e crema di latte, dove la panna fresca avvolge caffè e cioccolata roventi e nell’impedire di scottarsi la lingua, permette di assaporare tutti e tre i sapori distintamente. L’interno del locale è rimasto come una volta, intimo e d’antan, in penombra, con pochi tavolini tondi e un’aria da antica drogheria: un’eleganza modesta e discreta.

Sotto i portici di via Po si affaccia il caffè Fiorio, nato nel 1780, da sempre il caffè dei politici e degli aristocratici, era detto il caffè dei codini e dei Machiavelli. Il suo frequentatore più celebre era Camillo Benso di Cavour, mentre Carlo Alberto, si informava ogni mattina su cosa si dicesse al Fiorio, proprio perché era una sorta di fucina dell’opinione pubblica. Sebbene dal di fuori mostri ben poco, all’interno i locali sono ancora improntati all’eleganza e allo sfarzo di un tempo. E se oggi il Fiorio è ambito per i gelati, già gustati un tempo da Nietzsche, un tempo, in un’epoca in cui l’informazione su carta stampata aveva dei ragionevoli limiti di diffusione, era il caffè dove venivano portati i giornali di tutta Europa e perciò è facile capire come il Fiorio avesse tra i suoi frequentatori colti politici, aristocratici e borghesi, e un’eleganza severa e conservatrice.

Lasciamo Fiorio per raggiungere piazza Castello. Sotto i portici, dal lato di via Po, c’è il Mulassano, aperto nel 1907, dopo che il suo fondatore ebbe trasferito la propria bottega da via Nizza. È un ambiente piccino, ma perfettamente proporzionato, particolarmente sfarzoso e ricco con i suoi soffitti a cassettoni, decorazioni in cuoio, oro e marmi, frequentato in passato dai membri della Casa Reale e dagli artisti del Teatro Regio. Non fatevi ingannare da chi dice che lo frequentava anche Garibaldi, morto invece nel 1882…probabilmente lo avrebbe fatto con piacere, però!! 😉
La particolarità di questo caffè è una fontanella in stile floreale, posta sopra il bancone, da cui viene servita l’acqua da accompagnare al caffè. Qui, per i fanatici della colazione salata, nacque il primo tramezzino! Proprio qui fu inventato il mini-panino a più strati che ancora oggi è il vanto del locale, con le più curiose farciture, dall’aragosta, alla bagna caoda, al tartufo: eleganza salata.

Sulla piazza Castello, venti metri più avanti, si apre una deliziosa galleria urbana, la Galleria Subalpina, da sempre un salottino di Torino, e proprio all’imbocco della galleria troviamo il tempio del dolce: Baratti & Milano, fondato nel 1875 da Ferdinando Baratti e Eduardo Milano, era frequentato dal fior fiore dell’aristocrazia torinese, dell’esercito e della magistratura ma, come abbiamo visto all’inizio, vi passava intere mattinate anche il poeta Guido Gozzano, incantato dalle belle signore eleganti che facevano da Baratti&Milano una colazione golosa. Fin da subito Baratti&Milano si potè fregiare del titolo di Fornitore della Real Casa. Dall’esterno le vetrine sembrano quelle di una gioielleria, con le belle praline, i cioccolatini e le eleganti caramelle avvolte nella carta marchiata. Definirei l’eleganza di questo caffè-confetteria un po’ vezzosa. 

Al Baratti, oltre a far colazione, si può anche cenare, così come all’ultimo caffè che vorrei presentarvi.

Arriviamo al salotto di Torino, la bella piazza San Carlo. Qui, all’angolo con via Alfieri c’è il Caffè Torino. Nato nel 1903 ebbe tra i suoi clienti abituali Cesare Pavese, De Gasperi ed Einaudi e molti membri della famiglia reale. Tutto è improntato a raffinatezza estrema: le belle e scintillanti vetrate, lo scalone interno, il bancone originale del primo Novecento e l’altro, invitante, della pasticceria; gli ingressi più discreti delle salette riservate. I colori e le luci ci fanno subito sprofondare in un’atmosfera liberty. I cristalli, il verde pistacchio e il color crema tutto mi richiama alla mente un’eleganza indiscutibile ed impeccabile.

Finito il giro, torniamo a casa per la MIA colazione: prendo qualcosa da ciascuno di questi caffè, l’eleganza per me è un po’ tutto ciò che vi ho descritto e si nasconde anche tra le mura di casa, su una tavola con una ricca scelta e una colazione lenta e rilassante, infarcita di chiacchiere e progetti per la giornata che sta iniziando…magari una giornata di festa… 😉

Per la mia colazione ho scelto dei biscottini ripieni di uvetta, creati in onore di Garibaldi e amati da Cavour; poi gli immancabili biscotti di meliga, ovvero di farina di mais, da bagnare nel caffè; la torta di sole nocciole piemontesi, senza farina, in formato mignon, che di solito Al Bicerin viene servita con cioccolato caldo fuso; infine dei tramezzini che potrebbero essere quelli di Mulassano.

Garibaldini all’uvetta
(non metto le dosi, perché solitamente li preparo quando mi avanza della frolla da una torta)
un panettino di pasta frolla (la ricetta della frolla la trovate qui)
uva passa
grappa
marmellata di albicocche

Ho sciacquato l’uva passa in acqua tiepida, l’ho scolata e messa a mollo, in un bicchiere di grappa.
Ho steso la frolla sottile, l’ho spalmata di un sottile strato di marmellata di albicocca e su metà ho steso le uvette. Poi ho ricoperto la metà con l’uva passa della restante porzione di frolla. Ho schiacciato bene, spennellato di uovo e cosparso di granelli di zucchero di canna. Poi ho tagliato i biscotti a rettangolini, li ho distanzati e messi in forno a 180° per 10 minuti circa, fino a doratura.

Biscotti di meliga
125 g di farina bianca
125 g di farina di mais fioretto
150 g di burro
2 uova
85 g di zucchero

Ho amalgamato il burro morbido con lo zuchero fino a formare una crema.

Ho poi aggiunto le farine mischiate insieme, poi le uova intere, mescolando il tutto fino ad avere un impasto consistente. Ho fatto riposare in frigo per mezz’ora. Ho deposto delle cucchiaiate di impasto sulla teglia coperta di carta forno e infornato per 15 minuti a 180°.

Tortine di nocciole
(per 8 tortine)
130 g di nocciole tritate
65 g zucchero
2 uova
1 cucchiaino raso di lievito in polvere

Ho montato i tuorli con lo zucchero finchè non erano chiari, poi ho unito le nocciole tritate finissime e il lievito.
In un altro recipiente ho montato gli albumi e neve. Ne ho aggiunto un cucchiaio abbondante all’impasto di farina di nocciole mescolando bene per ammorbidirlo, poi ho aggiunto il restante albume montato, mecolando delicatamente dall’alto in basso.
Ho versato il composto in 8 pirottini grandi da muffin ed infornato a 170° per circa 20 minuti.

Tramezzini quasi di Mulassano

Farciti con salmone, asparagi e yogurt intero.

Con questo chilometrico post, le foto dall’aria antica, la mia idea di eleganza e la mia colazione delle feste partecipo al contest di BperBiscotto, Colazione da Zalando.
***tutte le foto sono mie, tranne quella conl’immagine esternade Al Bicerin, perchè io, di mercoledì, l’ho trovato chiuso!

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