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Noodles di grano con gamberi e pancetta Saporiti e sfiziosi e pronti in pochi minuti

noodles di grano con gamberi e pancetta

Secondo appuntamento di questo mese con la cucina fusion: è la volta dei noodles di grano preparati con gamberi e pancetta, un abbinamento “mare e monti” davvero sublime.

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Zuppa della Quaresima Dalla Spagna una ricetta tradizionale a base di ceci e baccalà

Oggi parliamo di ricette tradizionali per questo periodo di attesa della Pasqua, in particolare vi faccio scoprire una zuppa deliziosa diffusa in tutta la Spagna: la zuppa della quaresima.

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Sgombro in insalata tiepida con noci e melograno Un'insalata ricca e golosa con i sapori dell'autunno e tanto colore

Vi presento lo sgombro in insalata tiepida: sgombro sott’olio, tante verdure al forno, frutta e semi, un vero tripudio di sapori e colori, ma anche di proprietà nutritive. Read more

Sgombro in insalata tiepida con noci e melograno Un'insalata ricca e golosa con i sapori dell'autunno e tanto colore" class="facebook-share"> Sgombro in insalata tiepida con noci e melograno Un'insalata ricca e golosa con i sapori dell'autunno e tanto colore" class="twitter-share"> Sgombro in insalata tiepida con noci e melograno Un'insalata ricca e golosa con i sapori dell'autunno e tanto colore" class="googleplus-share"> Sgombro in insalata tiepida con noci e melograno Un'insalata ricca e golosa con i sapori dell'autunno e tanto colore" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2017/10/insalata-tiepida-con-sgombro_3.jpg" class="pinterest-share">
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Sedici: l’alchimia dei sapori – il contest – ep.13 Sale & Salamoia

troccoli bacon vongole e asparagi_slideshow_mini

Come vola il tempo, sembra ieri che abbiamo iniziato e siamo già alle tredicesima famiglia della Grammatica dei Sapori. Ci ritroviamo di nuovo tra aprile e maggio con la perenne acqua alla gola, ma ce la faremo!

Tanto per cominciare bene, vi annuncio i vincitori della famiglia degli Speziati.

Vincono la crostata meringata con curd al limone e basilico di Tiziana Ricciardi e i i ravioli di ricotta di capra, noce moscata e riduzione di vino alla vaniglia di Elisabetta Origgi.

Eccole:

vincitori speziati

E veniamo ora alla nuova famiglia, i Sale & Salamoia, ingredienti particolarmente saporiti che vi stupiranno per gli abbinamenti particolari.

Schermata 2016-04-17 a 11.09.03Io ho scelto il “bacon” che in realtà comprende tutta una sottofamiglia dalla pancia del maiale: bacon striato, pancetta affumicta e non, e pure quella arrotolata e infine prosciutto cotto e affumicato. Uno degli insaporitori migliori, dice la Segnit (ricordiamo che l’autrice è anglosassone), vediamo a cosa si può abbinare:

Bacon & ananas, anice, arancia, avocado, banana, blackpudding, broccolo, carciofo, cardamomo, cavolo, chiodi di garofano, cioccolato, cipolla, fegato, formaggio con crosta lavata, formaggio erborinato, formaggio stagionato, frutti di mare, funghi, maiale, manzo, mela, ostrica, pastinaca, patat, peperoncino piccante, peperone, pesce bianco, piselli, pollo, pomodoro, prezzemolo, rafano, salvia, tartufo, timo, uovo, zucca.

Con i Sale & Salamoia si gioca fino al 13 maggio!

troccoli bacon vongole e asparagi_2

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Zuppa di zucca al lime, con lenticchie rosse, mazzancolle e arachidi

Completamente trascinata dal viaggio con #Sedici, l’alchimia dei sapori, ho deciso di provare un’altra ricetta con il mio “agrumato”, il lime, ed uno degli abbinamenti consigliati. Ancora una volta è un piatto salato. La protagonista questa volta è la zucca, alla fine della sua lunga stagionalità, giusto in tempo, prima che la primavera ci porti nuovi frutti. Read more

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Sedici: l’alchimia dei sapori – il contest – ep. 1 Agrumati

 
«Imparare a capire come si accostano i sapori, come enfatizzarli a
vicenda, è simile ad apprendere una lingua: vi permette di esprimervi
liberamente, di improvvisare, di trovare i sostituti più azzeccati per un
ingrediente, di cucinare un piatto nel modo in cui volete cucinarlo.
»
Niki Segnit
 
 

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Due ricette per Natale con la Vernaccia di San Gimignano DOCG

« Questi, e mostrò col dito, è Bonagiunta. Bonagiunta da Lucca: e
quella faccia di Ià da lui più che l’altra trapunta ebbe la Santa
Chiesa e le sue braccia: dal Torso fu, e purga per digiuno l’anguille di
Bolsena e la Vernaccia »
[Dante Alighieri, Divina commedia, Purg. XXIV,19-24]
E se già Dante nel Purgatorio citava la Vernaccia con tanta disinvoltura, facendo riferimento a Papa Martino IV, goloso di questo vino, vuol dire che all’epoca era già celebre in diverse parti d’Italia.
Pare che il nome faccia riferimento a Vernazza nelle Cinque Terre, dove si imbarcava per mare una produzione di questo vino; altre ipotesi fanno riferimento alla parola vernaculum che significa “originaria del posto” oppure si legano a Verno, gelido.
La sua produzione pare aver inizio nel 1200 ad opera di un certo Vieri de’ Bardi, che finì nel dimenticatoio al contario del suo prodigioso vino. Nel 1276 la Vernaccia era già celeberrima e pregiata, tanto da obbligare la creazione di una gabella di 3 soldi per ogni soma di vino esportata fuori da San Gimignano.
A seguire questo vino ebbe molti estimatori, da Cecco Angiolieri a Boccaccio, da Lorenzo il Magnifico a Geoffrey Chaucer, solo per citarne alcuni.
Giorgio Vasari immortala nell’allegoria di San Gimignano e di Colle Val d’Elsa, nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a
Firenze, «un
satiro giovane che beve la Vernaccia di quel luogo».

Nel 1610 San Gimignano e il suo vino finiscono addirittura in una guida turistica ante litteram per i primi viaggiatori ad intraprendere il Gran Tour in Italia:

 «cittadina
particolare, perché produce vina vernatica finissimi e si decora bene di
Templi splendidi»

Con il Settecento comincia un lento declino che arriva al culmine nell’Otticento con il diffondersi di varie patologie della vite, che provocano un radicale cambiamneto nella produzione vitivinicola italiana. La rinascita è lenta ma nel 1966 è il primo vino ad ottenere la DOC in Italia. Nel 1993 arriva anche la DOCG.
Ad oggi è un vino prodotto da almeno l’85% di uve Vernaccia di San Gimignano, con un massimo del 15% di altri vitigni a bacca bianca di zona toscana, non aromatici. Il suo profumo è floreale fruttato in gioventù e diventa minerale con l’invecchiamento a cui si presta benissimo, soprattutto nelle varietà riserva.
Invitata dal Consorzio della Denominazione di San Gimignano a partecipare al contest sul menù di Natale, ho ricevuto la Vernaccia di San Gimignano DOCG Vigna in Fiore 2013 di Ca’ del Vispo di Massimo Daldin, da 100% uve Vernaccia.
Ho pensato, per un ipotetico menù delle feste, di abbinarla a due piatti di pesce, un antipasto e un primo; l’antipasto, il filetto di sogliola, è reso più importante dalla presenza di erbette provenzali, che ben si sposano con i caratteri floreali del vino. La zuppetta di seppie, invece, è impreziosita dalla presenza dello zafferano, che rappresenta un abbinamento abbastanza classico per questo vino e dona un piacevole colore dorato alla tavola delle feste.

Le ricette:
Filetti di sogliola alle erbe provenzali su crema rustica di ceci

(per 4 persone)
300 g di ceci già lessati
1 cipolla
400 ml di brodo vegetale
1/2 bicchiere di Vernaccia di San Gimignano
olio extravergine d’oliva
sale
pepe bianco
1 rametto di rosmarino
4 filetti di sogliola
misto di erbette provenzali (origano, rosmarino, timo, finocchietto, lavanda, basilico, anice)
Tagliare finemente la cipolla; rosolarla per qualche minuto in due cucchiai d’olio a fuoco vivace ed aggiungere i ceci già lessati. Sfumare poi con il vino bianco e lasciar consumare. Aggiungere il brodo e il rametto di rosmarino e far insaporire i ceci per dieci minuti. Regolare di sale e pepe. Frullare il tutto fino ad ottenere una crema dalla consistenza non perfettamente liscia.
Spennellare i filetti di sogliola con poco olio extravergine, salarli e passarli nel misto di erbette. Arrotolarli su se stessi e legarli con un filo di spago per alimenti.
Infornarli a 180° per 10 minuti.
Riscaldare la crema di ceci, stenderla a specchio sul piatto e adagiarvi il filetto di sogliola, liberato dallo spago e irrorato con un filo d’olio a crudo.
Piccoli canederli integrali in brodo di seppioline allo zafferano
(per 4 persone)
160 g di pane raffermo ai cinque cereali, privato della crosta
50 g di latte
40 g circa di farina integrale
2 uova bio piccole
12 seppioline pulite
1 spicchio d’aglio
200 ml di fumetto di pesce
1 bustina di zafferano
olio extravergine d’oliva
sale
prezzemolo tritato
per il brodo:
rosolare lo spicchio d’aglio leggermente schiacciato in tre cucchiai d’olio. Aggiungere le seppioline tagliate a listarelle, assieme ai tentacoli e far insaporire. Coprire con il fumetto di pesce e far cuocere  a pentola coperta finchè le seppioline non sono tenere, per circa 15-20 minuti. Sciogliere lo zafferano in poca acqua ed aggiungerlo al brodo, con l’aggiunta di un’altra tazza d’acqua calda. Regolare di sale. 
per i canederli:
tagliare il pane a cubetti; irrorarli di latte ed unirvi le uova sbattute con un pizzico di sale e la farina. Lavorare il composto e formare, con le mani leggermente inumidite, delle palline della grandezza di una noce. 
Riportare a bollore il brodo di seppie e lessarvi i canederli per 5 minuti. Servire con il brodo, spolverando di prezzemolo fresco tritato.

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Tra brodetto e zuppa di pesce, la mia ricetta e almeno 13 varianti

Italia, paese di santi, poeti e navigatori… Navigatori appunto e anche marinai e pescatori, così come cuochi, per diretta conseguenza, che cucinano il pescato. 
Il pesce, lungo le coste del nostro Stivale è cucinato in moltissimi modi diversi, ma un piatto si ritrova ovunque con alcune differenze che rendono l’assaggio una raffinata esperienza sensoriale, la zuppa di pesce.
Documentandomi per scrivere questo post ho scoperto cose che neppure immaginavo, avendo sempre vissuto sulla terraferma!! La cultura della zuppa di pesce è una vera e propria istituzione alle basi della cucina italiana.
Innanzitutto bisogna fare una distinzione tra il brodetto e la zuppa di pesce: il primo è diffuso lungo le coste di tutto l’adriatico, la seconda, con diverse varianti, allieta i palati lungo le coste del Tirreno.
Il piatto, come è semplice dedurre, era preparato per utilizzare l’invenduto dal mercato del pesce; nasce quindi come ricetta povera e di recupero, se di recupero si può parlare quando si tratta di pesce freschissimo. Di fatto ciò che si vendeva di più erano i pesci grossi, più facilmente utilizzabili in presentazioni eleganti alle mense dei nobili e ciò che rimaneva al popolo era la cosiddetta paranza: merluzzetti, triglie, piccole sogliole, crostacei di piccole dimensioni; molte volte a questi venivano aggiunti dei molluschi. 
La preparazione è di solito colorata dal pomodoro, ovviamente ciò non avveniva prima della scoperta dell’America.
È affascinante scoprire le differenze tra i diversi brodetti e zuppe di pesce, viaggiando lungo le coste italiane.
A partire dall’alto Adriatico troviamo innanzitutto il  brodetto alla triestina; secondo la ricetta il pesce va preventivamente fritto, prima di essere passato nel sughetto insaporito con aglio, cipolla e prezzemolo. Poi viene fatto riposare e riscaldato prima di essere portato in tavola.
A Venezia, precisamente nella zona di Caorle, troviamo il broeto ciozoto, tradizionalmente preparato in pentola di coccio su un fornelletto a carbone, direttamente sulle barche da pesca. Pare che al pescato misto, venisse preferito un solo tipo di pesce di laguna, il “go“, il ghiozzo.
Il brudèt ad pès è romagnolo, forse la prima ricetta tra tutte ad aver introdotto il pomodoro; essa prevede che ci sia anche qualche pesce a carne bianca, la gallinella, ad esempio, e consiglia lo Scorfano o il Coda di Rospo o il Pesce San Pietro.
Una menzione merita anche il brodetto di pesce alla fanese, marchigiano, che viene interpretato diversamente da famiglia a famiglia: vino bianco oppure aceto, pepe oppure peperoncino, aglio oppure cipolla, fanno sì che questa ricetta-non ricetta abbia un altissimo grado di personalizzazione.
In Abruzzo, a Pescara, coesistono due preparazioni a base di pesce; nel brodetto pescarese la base è fatta a crudo e man mano vengono aggiunti i pesci, dalle cotture più brevi a quelle più lunghe; nella zuppa il soffritto iniziale viene fatto a base di calamari e seppie e, particolare importante, assieme al pomodoro viene agiunto il peperone rosso tritato, dolce oppure piccante a seconda dei gusti. Anche la sequenza a tavola è diversa: la zuppa di pesce, accompagnata di fette di pane con l’aglio, è considerata un primo piatto, il brodetto può essere un primo oppure soppiantare un secondo.
Scendendo verso la Puglia incontriamo la Quatàra di Porto Cesareo, detta anche quataru ti lu pescatore o uatàra alla cisàrola, recentemente entrata a far parte dei PAT. La quatàra non è altro che il calderone di rame in cui viene preparato il sughetto in cui cuoceranno i pesci. Viene fatto rosolare insieme aglio, cipolla, prezzemolo e pomodorini, in poco olio d’oliva; il tutto si insaporisce in acqua di mare per circa due ore, poi viene aggiunto gradualmente il pesce, fino a 21 specie diverse. Il piatto viene servito con crostoni di pane fritti. La Quatàra è conosciuta anche come zuppa di pesce gallipolitana.
La zuppa di pesce siciliana prevede un’aggiunta di olive nere e di capperi al sughetto; in provincia di Catania, viene aggiunto anche un pugnetto di uva passa precedentemente ammollata. 
In Sardegna il brodino succulento in cui si è cotto il pesce viene usato per lessare la fregola, un tipo di pasta di semola di grano duro che si può assimilare ad un cous cous a grana grossa. Così la fregola in brodo di pesce diventa il primo piatto e il pesce diviene il secondo.
La zuppa di pesce napoletana ha delle indicazioni molto precise riguardo ai pesci da utilizzare: immancabili sono scorfano, tracina e lucerna; si può fare a meno di gallinella o di pescatrice; a scelta possono essere aggiunti grongo oppure murena, piccoli calamari e polpo, molluschi ma sono se freschi e “veraci”. 
Nel Lazio l’unica zuppa di pesce degna di nota è quella civitavecchiese, sfumata con il vino rosso e composta da una moltitudine di piccoli celenterati, crostacei e molluschi e l’aggiunta di scorfano e palombo.
 
Un discorso a parte merita il cacciucco livornese, vera e propria allegoria di un popolo. Negli ultimi anni del XVI secolo i Medici decisero di trasformare il piccolo villaggio di Livorno, sorto ai piedi della fortezza di Matilde, in una potenza mercantile. Emanarono le leggi Livornine (1590-1603) con le quali invitavano i
Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnoli,
Portoghesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni,
Persiani
a stabilirsi a Livorno con la promessa di avere un alloggio o
un magazzino o una bottega dove poter svolgere la propria attività e che
garantivano anche la cancellazione dei debiti, l’esenzione dalle tasse e
l’annullamento delle condanne penali. Da quel momento Livorno divenne ante litteram una città cosmopolita e multirazziale, ben rappresentata dalla mescolanza di pesci che compone il suo piatto più tipico, il cacciucco. Il pesce e il suo sugo vengono deposti su fette di pane abbrustolito ed agliato, che pare rappresenti un must per tutte le zuppe di pesce d’Italia.
Risalendo la penisola arriviamo alla Liguria e non si può concludere questo viaggio saporito, prima di aver assaggiato il ciuppin; il nome deriva da suppin, zuppetta, ma ha un suono bellissimo e onomatopeico che ricorda il pucciare del pane in questo sughetto succulento. Viene preparato in tutta la Liguria ed ogni famiglia ne possiede una ricetta personale.  A Ponente i pomodori pelati sostituiscono i pomodorini freschi ed il soffritto iniziale viene fatto con carota,sedano, aglio e cipolla.
A questo punto vi chiederete che ricetta ho usato io per la mia zuppa. Una ricetta non ce l’ho, ma a guardar bene è un miscuglio di tutte queste usanze. 
Per prepararla armatevi innanzitutto di pazienza, non solo perchè necessita di diversi passaggi, ma fin dal momento in cui andate al mercato per comprare il pesce, perchè “siete solo in due e no, non vi serve un chilo per ciascuna varietà di pesce che avete deciso di utilizzare”!
La mia versione è molto semplificata, in pratica si tratta di pulire le diverse varietà, preparare un fumetto di pesce, preparare il sughetto di pomodoro e infine cuocere il pesce.

La ricetta: Zuppa di pesce 
250 g pomodori pelati
uno spicchio d’aglio
un peperoncino secco
vino bianco
300 g tra vongole e cozze
una decina di mazzancolle
3/4 seppioline medie
2 filettini di gallinella
1 nasellino
(di norma 2 piccoli scampi o 2 gamberoni per far scena) 
fette di pane casareccio
aglio
Ho fatto spurgare le vongole immergendole in acqua salata e raschiato il guscio delle cozze. Poi ho fatto aprire entrambe in una grossa padella su fuoco vivace, conservando il fondo di cottura, (filtrandolo dalla sabbia, se occorre).
Ho preparato il fumetto di pesce, mettendo in acqua le teste delle mazzancolle e gli scarti del pesce, coprendoli d’acqua e portandoli a bollore con un rametto di prezzemolo e 1 spicchio d’aglio. Ho lasciato bollire per mezz’ora e poi ho filtrato il tutto ed unito al fondo di cottura dei molluschi.
In una pentola ho rosolato un grosso spicchio d’aglio e il peperoncino in 4 cucchiai d’olio, poi ho aggiunto il pomodoro tagliato a pezzetti. Ho aggiunto un po’ di brodo di pesce e fatto cuocere ed insaporire per circa mezz’ora. Poi ho aggiunto il pesce cominciando dalle seppie, che necessitano di una cottura più lunga, per finire con i crostacei e i molluschi.
Ho regolato di sale e aggiunto il prezzemolo tritato cinque minuti prima di spegnere il fuoco e servire.
Ho accompagnato con fette di pane tostato, strofinato con aglio e bagnato da un filo d’olio crudo.

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Culurgiones di baccalà con catalogna saltata in padella

Ho ricevuto un bellissimo regalo da Valeria: lei è venuta da me, si è lasciata coccolare, ha assaggiato con molta professionalità, ha fotografato e preso appunti e dopo aver curiosato nella mia piccola dimora ha scritto una bellissima recensione sulla mia cucina, toccando argomenti che non mi sarei aspettata.
Sono tanto felice che abbia notato la mia cura per la resa finale dei miei piatti, un po’ per perfezionismo innato (sono del segno della vergine) un po’ perchè letteralmente adoro vedere un sorriso sulla faccia di chi assaggia i miei piatti.
Questa è una delle ricette che ho preparato per lei. La mia pasta ripiena preferita, che avevate già visto anche qui, nella loro veste più tradizionale, per l’occasione si è riempita di baccalà e si è rotolata in un tuffo gioioso tra l’amaro della catalogna e il dolce dell’uvetta. Un piatto per me perfettamente riuscito per l’equilibrio dei sapori e delle consistenze, che mi farà davvero piacere riproporre in altre cene.

La ricetta: Culurgiones di baccalà con catalogna saltata

Per i culurgiones:
200 g di farina di semola di grano duro
acqua tiepida qb
sale

In una ciotola larga ho messo la semola con un bel pizzico di sale. Ho cominciato ad aggiungere l’acqua tiepida, prima mescolando con la forchetta, poi impastando con una mano, fino a formare un impasto compatto, morbido ma asciutto. L’ho messo a riposare per una mezz’oretta; nel frattempo ho preparato il ripieno.

Per il ripieno:
400 g di baccalà ammollato e dissalato
3/4 cucchiai di latte
aglio in polvere qb
olio extravergine di oliva

Ho messo il baccalà in acqua fredda con il latte e portato a lievissimo bollore a fuoco molto basso. L’acqua non deve mai bollire violentemente, altrimenti il pesce si indurirà. 
Quando i pezzetti di baccalà erano cotti, li vedrete sodi, li ho scolati e lasciati leggermente intiepidire.
In una ciotola dai bordi alti ho messo i pezzi di pesce e li ho pestati con il mestolo di legno fino a ridurli in poltiglia. Sempre battendoli ho aggiunto a filo l’olio extravergine fino a formare un composto morbido e ben amalgamato. Ho aggiunto l’aglio in polvere e mescolato ancora accuratamente.

Ho steso la pasta e creato dei cerchi di 8 cm di diametro. Ho formato i culurgiones deponendo su ogni cerchio una noce di ripieno. Se non vi ricordate come si fanno guardate qui il procedimento.
Per il condimento:
1 cespo di catalogna
1 grosso spicchio d’aglio (o 2 più piccoli)
1 acciuga sott’olio
1 peperoncino secco
1/2 bicchiere di vino bianco
una bella manciata di uva passa
olio
sale
4 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaio di pinoli

Ho lavato, tagliato a pezzi e lessato la catalogna in acqua leggermente salata. Una volta morbida l’ho immersa in acqua fredda e poi scolata e tagliata a pezzettini molto più piccoli.

In una padella capiente ho messo lo spicchio d’aglio schiacciato con 4 cucchiai d’olio, un peperoncino sbriciolato e un’acciuga sott’olio. Li ho fatti sfrigolare per qualche istante e poi ho aggiunto la catalogna. Ho sfumato con il vino e poi ho aggiunto l’uva passa ammorbidita in acqua tiepoda e fatto proseguire la cottura.

Da parte, mentre l’acqua per i culurgiones raggiungeva il bollore, ho fatto tostare i pinoli in un padellino antiaderente, aggiungendo poi il pan grattato e abbrustolendo anch’esso.

Ho lessato i culurgiones e poi li ho passati nella catalogna ad insaporire.
Ho composto i piatti ed ho decorato ciascuno con una manciata di pangrattato ai pinoli.

 

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Millefoglie di cecina con calamaretti e verdure julienne alla cannella

Per la ricetta da proporre al contest “Se avessi un ristorante” del blog Le Pellegrine Artusi ho pensato di combinare un prodotto tradizionale del territorio aretino, la cecina, altrove conosciuta come farinata di ceci, con un compagno insolito.
In queste zone la cecina viene servita come antipasto, chiamata torta di ceci, e insaporita solo con olio, sale e rosmarino.
Per farcirla ho pensato ai calamaretti che cuociono in pochi minuti, semplicemente saltati in padella con verdure estive, carote e zucchine. Il tocco speciale lo dà una punta di cannella che ho imparato ad apprezzare nelle preparazioni salate a partire dalla Carabaccia toscana fino a provarla con la zuppa di ceci. In effetti la cannella attribuisce al tutto una dolcezza insolita e delle note vagamente mediorientali.
 

La ricetta: Millefoglie di cecina con calamaretti alle verdure julienne profumate di cannella
(per 2 porzioni)
65 g di farina di ceci
circa 180 ml di acqua
un pizzico di sale
olio
1 rametto di rosmarino

200 g di ciuffi di calamaretti (già puliti e privati del dentino)
1 carota
1 zucchina
1 cipollotto
1 costa di sedano
1 spicchio d’aglio
cannella in polvere
sale
olio
vino bianco

Ho preparato la farinata di ceci, mescolando insieme farina di ceci e acqua fino a formare una pastella omogenea e priva di grumi, aggiungendo l’acqua a poco a poco. Ho lasciato riposare questa pastella per almeno un’ora o anche di più, con il rametto di rosmarino in infusione. 
Ho poi aggiunto un pizzico di sale e un cucchiaio d’olio e ho mescolato bene. 
Ho fatto scaldare molto bene un padellino da crêpes e, una volta caldo, vi ho versato un mestolo di pastella, distribuendola bene sulla superficie. Ho lasciato che si asciugasse bene, prima di girarla e farla cuocere dall’altro lato. Sarà più sottile di una comune farinata, ma dalle superficie croccante. Ho continuato fino ad esaurimento della pastella.
Con un coppapasta ho ritagliato sei quadrati dalle piccole farinate.
Ho tritato il cipollotto e preparato le verdure tagliandole a julienne. In una padella ho versato un cucchiaio d’olio e ho fatto soffriggere leggermente il cipollotto con l’aglio, poi ho aggiunto il sedano a julienne e poco dopo carote e zucchine. Ho bagnato le verdure con vino bianco e fatto sfumare e poi aggiunto i ciuffetti di calamari, rigirando il tutto velocemente. In pochi minuti sono pronti. Ho aggiustato di sale e aggiunto un’abbondante spolverata di cannella.
Ho messo da parte il sughetto tirato fuori dalle verdure e l’ho fatto raddensare sul fuoco con alcuni pizzichi di farina.
Ho composto il piatto alternando le sfoglie di cecina con i calamaretti e verdure, guarnendo con il sughetto e con un’ulteriore spolverata di cannella.
Con questa ricetta insolita partecipo al contest Se avessi un ristorante di Le Pellegrine Artusi; la inserisco tra le ricette tradizionali italiane.
 
 

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