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La Farinata di ceci su MyTableBlog

Oggi si parla di farinata di ceci, ricetta ligure, ma diffusa con poche varianti anche in altre parti d’Italia.
La ricetta è semplicissima ma ricca di tradizione, a partire dalla teglia in cui viene cotta.
Preparare la farinata nel forno di casa non è semplice, perché essa necessita di una cottura ad alte temperature, però con alcuni accorgimenti si può ottenere un ottimo risultato.
Gli specialisti della farinata impongono di utilizzare un testo, la classica teglia rotonda, di rame stagnato, che deve essere lavato con il detersivo soltanto al primo utilizzo e poi ripulito dagli eventuali resti di farinata solo con acqua tiepida, in modo da non rimuovere lo strato di olio che permette al composto di non attaccarsi. 
Se fate un viaggio a Genova il testo stagnato può rappresentare un utilissimo souvenir da portarsi a casa.
La temperatura del forno deve essere massima al momento di infornare, poi viene abbassata ed infine rialzata poco prima di sfornare la farinata.
La tradizione dice che la farinata canonica dovrebbe essere alta almeno 5mm e meno di 1 cm, ma dato che il forno di casa difficilmente raggiunge i 300°, vi consiglio di fare uno strato leggermente più sottile di impasto, per ottenere una buona consistenza finale.

Per conoscere altre curiosità sulla farinata e la ricetta potete fare un salto sul blog di MyTable.

pasta, primi piatti, ricette tradizionali, storia & cultura

Frittata di Scammaro per i “giorni di magro”

In Italia la religione molto spesso ha condizionato il modo di gustare il cibo. In questo caso faccio riferimento alla Quaresima, ma si può allargare questo concetto a qualsiasi festività religiosa: ogni festa è legata ad un cibo particolare o, al contrario, a un divieto.
Durante la Quaresima si mangia di magro, e la celebrazione ridondante del Carnevale con fritture e carni grasse altro non era che uno sfogo prima del periodo di temperanza. Tolti i poveri che già carne non ne mangiavano neppure in altri periodi liturgici, la gente laica poteva osservare il vincolo solo nei venerdì di quaresima e durante la settimana santa. La gente di chiesa, invece, doveva dare il buon esempio ed evitare il consumo di carne per tutti i quaranta giorni precedenti la Pasqua. In particolar modo, dovevano farlo i monaci, che vivevano tutti insieme, e quando qualcuno di loro, particolarmente anziano e debole non poteva evitare di consumare un poco di carne, lo poteva fare nella propria celletta, per non generare insane acquoline nei suoi compagni.
Da qui la spiegazione del termine napoletano scammaro: mangiare in camera, cammerare, voleva implicitamente dire “mangiare proteine animali”; al contrario mangiare fuori della camera, scammerare, passò per estensione ad indicare il “cibo di magro” consentito in quaresima, fino ad indicare la quaresima stessa.
Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino e discendete dal famoso Guido, amico di Dante, nel 1837 inserisce questa ricetta nel suo libro Cucina Teorico Pratica , una vera e propria enciclopedia della cucina napoletana; evidenti le influenze della cucina francese, ma dalla seconda edizione si arricchisce di un’appendice tutta dedicata alla cucina contadina e delle classi meno abbienti. Tra le ricette proposte anche la frittata di scammaro, che non contiene uova, e che sta insieme per magia…
Marinella Penta de Peppo racconta un’altra leggenda sull’origine di questa frittata, attribuendone l’invenzione ad un famigerato mago Cico.
 

Io vi consiglio di vedere tutto il suo video, anche (e soprattutto!) perchè ci insegna il metodo di cottura delle frittate di pasta. Questo metodo, un po’ lungo, ma che garantisce un risultato perfetto, permette a questo timballo di maccheroni di rapprendere senza che vi siano uova nell’impasto.
Il consueto abbinamento di uva passa e pinoli alla ricetta salata è tra quelli che adoro e quindi ho utilizzato esattamente gli stessi ingredienti, variando leggermente le proporzioni.

La ricetta: Frittata di Scammaro

ingredienti (per 4 persone):
280 g di spaghetti
2 spicchi d’aglio
100 g di olive nere tagliate a pezzettini
30 g di capperi
50 g di uva passa
30 g di pinoli
4 filetti di acciuga sott’olio (o due acciughe sottosale, da diliscare e sciacquare sotto l’acqua corrente)
olio d’oliva extravergine

Per prima cosa ho lessato gli spaghetti al dente.
Nel mentre ho rosolato in cinque cucchiai d’olio extravergine d’oliva l’aglio sminuzzato finemente aggiungendo poi capperi e olive e dopo poco uva passa e pinoli. Ho tolto dal fuoco questo sughetto e vi ho aggiunto le acciughe tagliate a pezzettini.
Con questa salsa ho condito gli spaghetti tenendone da parte un paio di cucchiai per aggiungerli al centro della “frittata”.

Ho messo a riscaldare sul fornello una padella ben unta d’olio; quando l’olio era caldo  ho versato gli spaghetti, aggiungendo al centro il condimento che avevo tenuto da parte.
Dopo aver rosolato la frittata per 2-3 minuti a fuoco vivace, ho spostato la padella sul fornellino più piccolo. La frittata di scammaro segue la regola di cottura di tutte le frittate di maccheroni. Occorre infatti tenere il fornello non al centro della padella, ma costantemente sul bordo, ruotando la padella di 90° ogni 3-4 minuti; dal bordo il calore si diffonderà fino al centro, cuocendo tutta la frittata in modo uniforme. Trascorsi i 12-16 minuti, ho girato la frittata con l’aiuto di un piatto piano ed ho fatto cuocere nello stesso modo anche l’altro lato. Dopo quest’altro giro di cottura ho messo la frittata di scammaro su un piatto da portata, tagliando a spicchi direttamente in tavola.

 

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Fave dei morti per Halloween Tutta la tradizione della festa di Halloween

 
I telegiornali dicono che Halloween è la festa per bambini importata dagli Stati Uniti, ma non sempre dicono che negli Stati Uniti questa festa è arrivata dall’Europa, grazie agli immigrati irlandesi e scozzesi: All-Hallows-Eve significa infatti Vigilia di Ognissanti in scozzese antico.

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Lo Tsoureki, il pane greco con l’uovo rosso Un pane decorato con un uovo rosso, ricco di simbologia e di tradizione

Pasqua e uova vanno a braccetto. Così come nella simbologie dello tsoureki.
L’uovo rappresenta la rinascita e la primavera in cui tutto fiorisce e dà vita.  Chissà da quanti secoli si usava regalare uova come buon auspicio di fecondità e ricchezza nel raccolto e nelle nascite di bestiame, molto prima dell’avvento dei riti cristiani della Pasqua.
 

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Lagane e ceci tra Puglia e Cilento

Le lagane sono delle strisce di pasta larghe circa 4 cm e dalla sfoglia piuttosto spessa, fatte con farina e acqua, senza uova. L’origine etimologica della parola si perde nel greco antico: indicava un disco di pasta fatta con acqua e farina, già arrostito su una pietra rovente e successivamente tagliato a strisce; queste venivano unite a legumi o granaglie e di solito consumate a zuppa.
Più larghe delle tagliatelle ma più strette delle lasagne, passarono dalla Magna Grecia fino alla Roma Imperiale: anche il poeta Orazio nelle sue Satire metteva in versi la sua cena a base di lagani, ceci e porri. 
Il celebre gastronomo Apicio, nel suo “De re coquinaria” designa con il nome di lagani delle sfoglie di pasta, condite con il garum* o con la carne, e sovrapposte a strati, una versione antenata delle nostre lasagne.
In Campania e in particolare nel Cilento, le lagane sopravvivono ancora oggi e vengono cotte direttamente nelle zuppe di legumi. Danno vita a piatti come “lagani e ciciari” o “lagani e fasuoli“, detti anche, in dialetto, lamp’ e tuon’. Di solito le minestre di legumi campane contengono anche del pomodoro, passato o a pezzetti, che colora il piatto.
In Puglia, precisamente in Salento, le stesse strisce di pasta di grano duro vengono prima lessate e poi aggiunte alle minestre, e talvolta accompagnate da altre strisce dello stesso impasto, fritte in olio bollente fino a diventare gonfie e croccanti.

 
Io ho voluto mediare tra le due tradizioni, creando un terzo piatto, semplice e dal sapore speciale, adattissimo per il clima invernale.

La ricetta: Lagane e ceci

(Ingredienti per 2/3 persone)

Per le lagane:
75 g di farina 00
75 g di semola di grano duro
acqua tiepida per impastare
olio di semi per friggere alcuni lagani

Per i ceci:
250 di ceci già lessati (conservando la loro acqua)
olio extravergine d’oliva
uno spicchio d’aglio
2 foglie di lauro
1 peperoncino secco
1 acciughina
mezzo bicchiere di vino bianco


Per preparare le lagane occorre impastare le due farine e un pizzico di sale con acqua sufficiente ad ottenere un impasto elastico ed asciutto. Ho fatto riposare l’impasto avvolto in pellicola per mezz’ora e poi l’ho steso con il matterello. Occorre ottenere una sfoglia spessa circa 3 mm. Poi si arrotola su se stessa, come per fare le tagliatelle e da questi rotoli vengono ritagliate delle semplici strisce di pasta. Una metà andrà lessata nei ceci, le altre strisce si friggeranno velocemente nell’olio di semi e faranno da croccante accompagnamento.

Avevo già dei ceci pronti da insaporire, che avevo precedentemente lessato in pentola a pressione.
In un pentolino ho messo 3 cucchiai d’olio evo, lo spicchio d’aglio, un peperoncino secco spezzato e l’acciughina. Ho fatto soffriggere leggermente l’aglio e poi ho aggiunto i ceci. Ho fatto insaporire per bene, bagnando con il succo di cottura dei ceci e due dita di vino bianco e aggiungendo le foglie di lauro spezzate in due.
Quando i ceci erano insaporiti ne ho prelevato due cucchiai che ho passato al frullatore. Dal resto ho tolto l’aglio, aggiungendo acqua sufficiente a cuocere i lagani e portato a bollore. Occorre regolare di sale, poi si versano le strisce di pasta per farle lessare, avendo cura di coprire così che la minestra non si asciughi troppo.
Nel frattempo ho fritto in una padella le strisce che avevo tenuto da parte: si gonfiano e diventano in fretta belle dorate.
Quando le lagane saranno cotte – e bisogna assaggiarle, perché lo spessore e il grano duro fanno sì che tengano molto bene la cottura – ho aggiunto la purea di ceci e ho dato una rimescolata prima di spegnere.
Servire caldo e fumante, con le lagane fritte e un filo d’olio crudo per accompagnamento.

*garum: Apicio nel De re coquinaria condisce con il garum almeno 20 piatti diversi. Questo condimento
era così comune che Apicio dà per scontata la ricetta e nel suo libro
non ce l’ha tramandata; accenna soltanto che è un prodotto della
fermentazione delle interiora di pesce e pesce al sole, senza neanche
dire che erano preventivamente salate. Dice che dalla fermentazione di
queste interiora, si separa un solido e un liquido che chiama liquamen.
Marziale ne dà una ricetta più dettagliata citando, tra gli ingredienti
della salamoia, aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe,
zafferano, origano. [da wikipedia]

[le informazioni sulla storia delle Lagane, sono prese in parte dal testo di Raffaele Riccio – La Cucina del Cilento]

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al cucchiaio, dolci, ricette tradizionali, storia & cultura

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