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Gravlax, salmone dal gusto affumicato senza fumo Un procedimento antico per un risultato golosissimo

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Tanto per cominciare vi dico che nel titolo di questo post ho osato: non parliamo di affumicatura, infatti, ma il risultato di gusto nel gravlax è simile e persin più buono.

L’origine del nome

Gravlax deriva da due parole scandinave: lax significa salmone, gravad invece è una radice che si accosta ai termini di seppellire, coprire, affossare. Si tratta dunque di un filetto di salmone che viene ricoperto da qualcosa che aiuta la sua conservazione.
Non parliamo di una ricetta di un solo paese, ma di un metodo che si trova in tutto il nord Europa con una grafia leggermente differente: gravlax in Svezia, gravad laks in Danimarca, gravlaks in Norvegia, graflax in Islanda, graavilohi in Finlandia, graavilõhe in Estonia.

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La storia

Dopo le considerazioni fatte sul nome è facile comprendere quanto questo procedimento sia diffuso. Pare che fin dal Medioevo i pescatori utilizzassero un metodo simile, salando grossi filetti di salmone e mettendoli a fermentare sotto la sabbia, da cui il termire “seppellire”. Ricordiamo un’altra preparazione simile islandese, il cosiddetto squalo marcio, assai meno gustoso a detta di chi l’ha assaggiato e che ha avuto un successo decisamente inferiore: pare infatti che ormai sia un cibo “per turisti”, che vengono sfidati a fare il coraggioso assaggio.

Il successo del gravlax invece è stato enorme. Dal Nord Europa venne portato negli Stati Uniti dagli ebrei aschenaziti, e per questa ragione oggi farcisce ben volentieri i loro panini bagel.

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Come si prepara il gravlax?

Il primo ingrediente è il sale nella misura del 10% del peso del pesce; poi zucchero, di solito in quantità uguale o inferiore, e delle erbe per aromatizzare. L’aneto è quello che conferisce il gusto tipicamente scandinavo, e che lo fa sposare perfettamente anche con la senape  richiamandone il carattere pungente.

Anche la scelta del pesce è importante: filetti non troppo spessi, dalla parte della coda, e precedentemente abbattuti, per scongiurare qualsiasi rischio di intossicazione. Se non avete un abbattitore, per avere la stessa sicurezza bisogna tenere il pesce a una temperatura inferiore a -20°C per un minimo di 24 ore, oppure un minimo di 96 ore in congelatori domestici.

Un processo senza fretta

Una volta ottenuto il filetto di salmone, abbattuto o congelato, bisogna riportarlo a temperatura tenendolo in frigo. Poi si divide in due filetti con pelle, ma privi di ogni spina, e inizia la preparazione vera e propria.

Vale la regola del 10%, quindi per 300 g di salmone, vi serviranno 30 g di sale e 30 g di zucchero e qualche rametto di aneto.

Si miscelano sale e zucchero, io uso lo zucchero di canna che trovo più profumato. Si trita finissimo l’aneto ben lavato e asciugato e si miscela al sale e zucchero.
Foderate con della pellicola alimentare una pirofila o un piatto dai bordi alti e deponetevi un poco di marinata secca, poi il primo filetto dalla parte della pelle. A questo punto mettete una dose generosa di marinata e posate, sul primo, il secondo filetto dal lato della carne. Sulla pelle in alto mettete ancora quello che resta della marinata e infine sigillate tutto con la pellicola.
Il salmone si può ora mettere il frigo con un peso sopra.

L’attesa fa il gravlax buono

Nelle prime ore si formerà una grande quantità di liquido che dovrà essere gettata, ogni 8 o 10 ore. Vi consiglio anche di tenere la pirofila in leggera pendenza in modo che il liquido si accumuli di lato e non sotto il pesce. Con il passare del tempo diverrà sempre meno.
Dopo 36 o 48 ore il gravlax è pronto per essere consumato. Meglio 48 ore: sarà sottile, perché avrà perso gran parte dei suoi liquidi e vivacemente colorato di rosa acceso.

Non vi resta che tagliarlo a fettine molto sottili e servirlo con pane nero e burro, oppure con una salsa a base di senape e aneto. E magari farcire golosissimi bagels.

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