La via Francigena in Piemonte: itinerari di storia e di gusto
I punti focali per i pellegrinaggi dell’epoca erano Gerusalemme e la Terra Santa, Roma e Santiago di Compostela. Alcuni pellegrini percorrevano la Francigena per raggiungere Roma, altri proseguivano verso sud, per imbarcarsi in Puglia, non prima di aver fatto tappa a San Michele al Monte Gargano.
Un tratto importante della via francigena passa dal Piemonte e dal 2004 questo tratto è diventato “Grande Itinerario Culturale Europeo”, come il più conosciuto Cammino di Compostela. Conta circa 650 km di strade, con 107 comuni coinvolti, 5 province toccate, 4 parchi naturali attraversati. Turismo Torino e Provincia ha dedicato un sito a questo progetto, sul quale si possono visulizzare i percorsi e progettare il viaggio, anche seguendone soltanto un breve tratto. Gli itinerari sono raccolti in 4 grandi gruppi:
la via Francigena Morenico-Canavesana, incentrata sulla conca morenica attorno ad Ivrea; la via Francigena della Valle di Susa, da sempre di collegamento con i luoghi d’oltralpe grazie ai passi del Monginevro e Moncenisio, passando dalla già citata Sacra di San Michele, fin quasi alle porte di Torino; la via Francigena Torino – Vercelli, attraverso campi aperti e regolari e lo spettacolo delle risaie; la via Francigena verso la Liguria e il mare, che attraversa il Monferrato attraverso le province di Alessandria e Asti.
Un lavoro magistrale è stato fatto da Barbara Ronchi della Rocca, giornalista ed esperta di gastronomia storica, che ha ricostruito un vero e proprio menù del pellegrino, con piatti semplici e saporiti, tratti dalle abitudini dei consumatori medievali, con piante spontanee ed erbe, legumi e gustodissimi pani integrali, composti da cereali antichi recuperati.
Un’idea di menù? C’è il piatto del pellegrino composto da due antipasti, un assaggio di primo, pane della penitenza, meravigliosamente composto da farina integrali e di cereali misti e acqua a partire da 10€.
Tra le ricette assaggiate alla presentazione degli itinerari piemontesi della via Francigena, vi ripropongo il dolce di ricotta, questa volta in mono porzioni.
200 g di ricotta di pecora
4 cucchiai di miele millefiori
1 uovo
1 manciata di uva passa ammollata
1 pugnetto di mandorle
1 pugnetto di fiocchi di cereali (per me avena e riso soffiato)
Lavorare la ricotta in modo da renderla cremosa e omogenea. Aggiungervi il miele e poi l’uovo sbattuto leggermente. Mescolare al composto anche l’uva passa.
Suddividere questo composto in 6 stampini da muffin. Completare in superficie con fiocchi di cereali e mandorle intere non pelate.
Infornare a 180° per circa 20 minuti, o finchè i dolcetti non si saranno rappresi e dorati.
Gli appuntamenti di Ortinfestival: ce n’è per tutti i gusti.

Aiuto! Ho due blog!! :D
Food Revolution Day 2014 e i panini al miele e lime per il Bread Web Contest
Web Contest, quest’anno giunto alla seconda edizione, organizzato per
promuovere il Food Revolution Day 2014.
Ma questo post è soprattutto un pretesto per raccontarvi cosa sta succedendo durante la settimana del Food Revolution Day 2014 qui a Torino.
Marcela è un’amica e quest’anno mi ha coinvolta per la giornata conclusiva, sabato 17 maggio, ma gli eventi sono tanti e stanno creando fermento in città.
L’inaugurazione è stata ieri sera, quando lo chef olimpico Nicola Batavia ha aperto le porte del suo The Egg per cucinare cibi buoni e sani con i bambini.
Oggi siete tutti impegnati con le ultime ricette per il Bread Web Contest, mentre domani giovedì 15 l’appuntamento è con Luca Scarcella, virtuoso panificatore del Forno dell’Angolo a partire dalle 17, che impasterà con i bimbi il pane più buono e sano, dando anche tanti suggerimenti ai più grandi.
Venerdì 16 maggio si festeggerà tutti insieme con la merenda Food Revolution Day alla Casa del Quartiere dalle 17 alle 19.
L’evento clou sarà sabato 17 maggio presso Casa Scaparone, un luogo speciale immerso nel verde, a due passi da Alba (CN), con la Food Fair del Food Revolution Day. Da segnalare la partecipazione di Riso Gli Aironi, fornitore ufficiale del riso arborio del brand JamieOliver nel mondo e, scusate se è poco, di tre bravissime foodblogger: Anna di Cucina Precaria, Francesca di The Sweet Side of The Moon e la sottoscritta Me Medesima di Ricette di Cultura!!
Saremo lì con le mani (pulite!) nel cibo, a pasticciare e a dare qualche consiglio!
I contatti per tutti i vostri dubbi e per prenotare sono:
Marcela Senise – La Foodsitter – cellulare: 393 4171 550 – email: mangiachetifabenebimbo@gmail.com
180 g di farina manitoba
100 g di farina integrale
140-150 g circa di latte intero (dipende dall’assorbimento della vostra farina)
1-2 g di lievito di birra disidratato
1 uovo bio
60 g di miele d’acacia
25 g di burro a temperatura ambiente
1 pizzicone di sale
la buccia di 2 lime
1 lime a fettine sottilissime per le decorazioni
latte e zucchero di canna per la superficie dei paninetti
latte tiepido con un cucchiaino di miele, presi dal totale. Ho lasciato
riposare circa un quarto d’ora.
Nel frattempo ho pesato tutti gli altri ingredienti e fatto scaldare il
restante latte con il miele e la buccia grattugiata del lime.
Ho messo nell’impastatrice il lievito ed ho iniziato ad aggiungere la
farina a cucchiaiate, alternandola con il latte e miele. A impasto
formato ho aggiunto l’uovo ed ho continuato ad impastare.
Poi ho iniziato ad aggiungere il burro a piccoli pezzettini, aspettando
che ogni pezzettino si assorbisse, prima di aggiungere il successivo. Ho
finito con il cucchiaio di farina tenuto da parte e ho fatto incordare
l’impasto. Con la farina integrale sarà un po’ più difficile.
Ho riposto il mio panettino di impasto in frigo e lasciato riposare per tutta la notte.
Al mattino l’ho tirato fuori dal frigo e riportato a tempertura
ambiente. Poi l’ho sgonfiato e suddiviso in 12 porzioni tra i 40 e 50 g
ciascuna.
Ho impastato su se stessa ogni pallina, strettamente, per farle prendere
forza, l’ho pirlata sul piano e poi messa distanziata dalle altre su
una teglia coperta da carta da forno.
Ho atteso il raddoppio, spennellato con latte tiepido e decorato con una
fettina di lime, spessa 1mm, cosparsa poi di zucchero di canna.
Ho infornato a 190°, forno statico, per circa 14 minuti.
I panini si possono riscaldare per 5 minuti a 50°C prima di consumare, tornano sofficissimi!
Sono perfetti con le marmellate di agrumi! 😉
Ortinfestival alla Venaria Reale – un evento speciale in una location da sogno
Dal 30 maggio al 2 giugno il Potager Royal, in circa 10 ettari
dedicati alle coltivazioni, ospiterà questa vera e propria full
immersion nel verde. La location è stata scelta per la sua articolazione
e per la stretta correlazione tra la regalità dei palazzi e le attività
agricole che vi si svolgevano dalla sua nascita nel XVII secolo.
A Ortinfestival
ci saranno chef di talento e contadini eccellenti, colture antiche,
oggi recuperate, e nuovi ortaggi, varietà rare delle nostre campagne e
da ogni parte del mondo.
Per introdurre questo evento straordinario dovevo raccontarvi qualcosa
di più su questo gioiello piemontese che nel 1997, assieme a tutto il
circuito delle Residenze Reali del Piemonte, è entrata a far parte del patrimonio dell’Unesco. I restauri sono stati ultimati nel 2007 e ad oggi la Reggia è tra 5 siti culturali più visitati in Italia.
Ma diamo uno sguardo alla storia di questo luogo da sogno: correva
l’anno 1659 quando Carlo Emanuele II, duca di Savoia, con una grande
passione per la caccia, identificò i territori di Altessano Superiore,
borgata poco lontana da Torino, come adatti per praticare la disciplina
venatoria alla maniera dei re: terreni a tratti boschivi, a
tratti aperti, sterminati e ricchi di cacciagione gli fecero concepire
un progetto ambizioso, di aggregazione del piccolo borgo, con i servizi
che forniva a livello di produzione agricola, ad una gigantesco e
magnificente Palazzo, che potesse ospitare tutta la corte, accanto al
sovrano. Carlo Emanuele II cambiò così il nome di Altessano in La Venerìa, oggi Venaria Reale.
La Versailles sabauda?
Assolutamente no! I lavori di ammodernamento per rendere Versailles
quello che divenne tra il XVII e il XVIII secolo, iniziarono solo nel
1661, due anni dopo. È dunque Versailles ad essere La Venaria francese!
Gli architetti più importanti dell’epoca
si trovarono al servizio di questo colossale progetto partito da una
vera e propria variazione urbanistica del borgo di Altessano, del quale
la facciata della nascente reggia doveva rappresentare la quinta
prospettica da sogno, che si doveva intravedere in avvicinamento al
Palazzo stesso.
Amedeo di Castellamonte
fu il primo a mettere mano ai progetti dal 1659 al 1675: collocò
l’impianto dell’edificio in asse con la Contrada Granda, allora via
Maestra del Borgo di Altessano. A quest’epoca risale la parte più antica della Venaria, la cosiddetta Reggia di Diana,
non a caso dedicata alla dea della caccia, che ospitò negli anni di
Francesca d’Orleans e Maria Giovanna di Savoia Nemours, prima e seconda
moglie del Duca Carlo Emanuele, un corteo di dignitari di corte, cani e
cavalli pronti per la caccia al cervo due volte alla settimana.


Con Vittorio Amedeo II le cose non mutarono. Ormai la sfida con il rivale d’oltralpe Luigi XIV era aperta. Portare migliorie alla Reggia spettò a Michelangelo Garove, tra il 1698 e il 1713. Diversi furono i progetti di ampliamento, ma solo alcuni vennero portati a compimento.
L’anno della svolta fu il 1716. Il ducato di Savoia diventò regno di Sicilia (poi mutato in regno di Sardegna dopo qualche anno e un baratto). Da Messina venne chiamato Filippo Juvarra:
tra i tanti interventi a Torino, compreso Palazzo Madama, c’è anche un
occhio di riguardo per la Venaria diventata Reale a tutti gli
effetti.
I suoi progetti riguardarono la Scuderia Grande, la Citroniera, le
modifiche ai padiglioni del Garove e la Galleria Grande; in più la
particolarissima chiesa di Sant’Uberto.
che lavorò sulle parti di collegamento per conferire al progetto
unitarietà. Le dimensioni erano ormai davvero ingenti 45.000 mq di cui
20.000 edificati.
neoclassica, vennero fatti agli appartamenti reali, ma già era Stupinigi
ad essere più alla moda per le battute di caccia.
La Venaria sarà
destinata negli anni successivi ad altre funzioni fino a vivere un lungo
periodo di degrado fino al 1995, quando finalmente iniziano i lavori di
recupero e restauro che l’hanno portata ad essere una delle regge più
belle del mondo.
Dal 20 giugno 2014, il turista o il cittadino che vorà visitare la Venaria (ma anche il Castello di Rivoli) potrà salire a bordo della terza linea dell’autobus turistico City Sightseeing denominata “Residenze Reali” e raggiungere, comodamente seduto a bordo,
la Reggia di Venaria Reale, gli Appartamenti Reali all’interno del
Parco La Mandria e il Castello di Rivoli.
La terza linea del City Sightseeing
“Residenze Reali”, è operativa al venerdì, sabato e domenica con
partenza dal capolinea in piazza Castello angolo via Po (lato caffè
Baratti & Milano); 4 le corse giornaliere, ogni due ore circa, (09.30 – 11.30 – 13.45 – 15.45) che permetteranno di
raggiungere la Reggia di Venaria Reale e gli Appartamenti Reali
all’interno del Parco La Mandria, scendere e visitare le due Residenze
Reali, per poi riprendere l’autobus alla volta del Castello di Rivoli
per visitare il Museo d’Arte Contemporanea.
Durante i restanti giorni
della settimana, dal lunedì al giovedì, l’autobus turistico può essere
richiesto da parte di gruppi o scolaresche in occasione di eventi
specifici per raggiungere anche le altre Residenze presenti in tutta la
Regione.
Per tutto il 2014 il biglietto per la linea “Residenze
Reali” ha un costo promozionale di 10€ ad adulto (ridotto bambini 5€)
con validità 24 ore; il biglietto per due linee ha un costo di 20€ per
48 ore, tre linee 25€ per 48 ore.
vi dò appuntamento a venerdì con la fittissima articolazione degli appuntamenti ed una ricetta. Vi anticipo pochissimo: le fragole,
che cominciarono ad essere coltivate a partire dal XVIII secolo (prima
erano solo nella varietà selvatica), sono tra le piantine più semplici
da avvicinare per la coltivazione dell’orto sul balcone. Anche i
“pollici neri” come me possono, con pochi accorgimenti, fare un bel
raccolto!

Gnocchi di ricotta con sugo di pomodoro costoluto di Pachino IGP
Si tratta di un pomodoro grande, rispetto ai cugini ciliegino e tondo
liscio, con le coste molto marcate – da cui, appunto, il nome – e con un
bel pizzetto appuntito nella parte più bassa. Il periodo ottimale per
la produzione della tipologia è l’inverno – non dimenticate che a
Pachino siamo nell’estremità più a sud della Sicilia – e per questa
ragione sta pian piano tendendo a sostituire, nelle preferenze degli
italiani, il tondo insalataro per il consumo crudo. Viene colto ancora
di un bel verde brillante, che diventa rosso con la maturazione. Il
pomodoro costoluto richiede un terreno dall’alta salinità, per esprimere
tutta la sua aromaticità.
Come detto è ottimo per il consumo in insalata, soprattutto
quando è verde o sta appena virando verso il rosso. Quando è più maturo
diventa un ottimo pomodoro da sugo.
Io l’ho utilizzato per creare un sugo semplicissimo di pomodoro fresco
con cui ho condito i classici gnocchi di ricotta, facilissimi da fare e
perfetti come piatto unico. Pochissimi ingredienti per una ricetta di
grande soddisfazione.

calabresi, ma io le ho sempre mangiate preparate da mia mamma, sarda,
che ha imparato a farle da sua madre…qualcuno sa dirmi qualcosa di più? 😀
olio extravergine di oliva
sale
4-5 foglie di basilico
minuti, lasciarli raffreddare e sbucciarli. Passarli al passaverdure.
Affettare finemente una cipolla, farla rosolare in due cucchiai d’olio
extravergine; poi aggiungere il pomodoro e lasciar cuocere per mezz’ora.
Regolare di sale ed aggiungere le foglie di basilico.
di sale, l’uovo, il pecorino grattugiato e tanto pangrattato quanto
serve a dare una consistenza lavorabile. Formare tante palline della
grandezza di una noce.
Portare ad ebollizione una pentola d’acqua e sbollentare gli gnocchi, poi passarli in padella nel sugo preparato in precedenza.
Le altre ricette con i pomodori di Pachino IGP le trovate qui:
#InvasioniDigitali a Torino – Villa della Regina I social per la promozione del panorama culturale italiano
La Quiche Lorraine per il Calendario La France à Table

Belgio, Lussemburgo e Germania. Il primo tentativo di annessione della
Lorena da parte dei francesi fu sotto il re Luigi IV nel X secolo d.C.
Tentativo fallito, perchè frenato da Ottone, imperatore del Sacro Romano
Impero di Germania.
ufficializzati solo con il Trattato di Versailles, alla fine della
Grande Guerra quando la Lorena diventa definitivamente francese, per poi
sopportare per 4 anni una nuova occupazione tedesca, durante la Seconda
Guerra Mondiale.
fatti di rilievo se non cambi di dominazione e guerre, è la storia
dell’arte a vedere qui un capitolo importante. Nancy, la città più importante e capoluogo della regione vide infatti nascere il movimento dell’Art Nouveau, detto anche, appunto, Scuola di Nancy (o Style Guimard, o Style 1900).


nata come ribellione all’oggetto prodotto in serie e che vedeva la
salvezza del gusto moderno nelle mani degli artigiani. Proprio da questi
assunti iniziò a svilupparsi l’Art Nouveau, che raggiunse l’attenzione del grande pubblico all’Esposizione Universale di Parigi del 1900.
Senza rinnegare la modernità, come era accaduto per l’Arts and Craft,
anzi utilizzando ampiamente il litocemento ed altri materiali “nuovi”.
Altra spinta fondamentale per lo sviluppo di questa corrente fu l’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna, che si svolse a Torino nel 1902. Fu la prima esposizione ad incentrarsi sulle arti decorative e venne inaugurata al parco del Valentino proprio nel maggio di 112 anni fa.
Ora, scusate la parentesi e permettetemi di vestirmi di sano orgoglio
torinese: qui si parla della mia città! Sebbene non sia rimasto nulla
dei padiglioni espositivi che amplificarono a livello mondiale lo stile
più rappresentativo di quegli anni, Torino ne fu profondamente
influenzata, tanto che gli edifici costruiti intorno a quegli anni ne
portano ancora oggi gli evidentissimi segni: decorazioni floreali
dipinte, bovindi, vetrate colorate, ringhiere che ricordano tralci di
fiori, linee sinuose che incorniciano le finestre, uso del litocemento,
del ferro battuto, dei colori pastello.
Erano tutti specializzati in diverse branche delle arti applicate e
proprio la loro poliedricità fu la loro forza. I loro ateliers furono i
primi edifici a mostrare al pubblico lo stile Art Nouveau, che poi i più
lungimiranti vollero nelle proprie case. Qui sotto alcune delle loro
creazioni d’arredamento.
che hanno segnato la regione si sono ripercossi naturalmente anche
sulla cucina. Un esempio è proprio la ricetta di questo mese: pare che la parola quiche derivi proprio dal tedesco Kuchen, espressione che significa “torta”.
quando questa torta era ancora preparata con un fondo di pasta
lievitata, farcita con pancetta affumicata, uova e panna liquida. Oggi è
uso comune aggiungere anche del formaggio grattugiato.

La ricetta: Quiche lorraine
200 g di farina
100 g di burro
1 pizzico di sale
4 uova
200 ml di panna
200 g di pancetta affumicata
pepe e noce moscata.
Preparare la pasta brisé con la farina con un pizzico di sale e il
burro a pezzetti, aggiungendo un po’ d’acqua fredda fino a formare un
impasto lavorabile. Lasciarlo riposare al freddo per circa mezz’ora.
Nel frattempo far sciogliere in padella il grasso della pancetta e quando si sarà asciugata un po’, mettere da parte.
Stendere la pasta e collocarla in uno stampo imburrato. Disporre sul fondo la pancetta affumicata.
Preparare il ripieno sbattendo le uova con un pizzico di sale, pepe e
noce moscata. Aggiungere la panna e poi versare il tutto sul fondo di
brisé con la pancetta.
Infornare in forno già caldo a 190° per circa mez’ora, fino a completa doratura.



Trancetto di Apple Cake a modo mio, gluten e lactose free: un esperimento!
Che ci tenessi a partecipare al contest di Andante con gusto è un altro:
ho visto talmente tante proposte “senza” golose e gustose che non
cimentarmi sarebbe stato davvero un peccato.
E quindi arrivo con l’accelerato delle 20,50 per mandare anch’io una proposta.

celebre torta dello chef Scott Carsberg, tutta burro e felicità,
rendendola una gioia anche per chi è intollerante al lattosio, usando la
crema di cocco. Ho sostituito la farina di grano tenero con grano
saraceno e maizena per farla gustare anche ai celiaci.
Lo chef dice che questa torta si presenta come un muro di mele e in
effetti è così: tanti strati sottilissimi di mela, resi omogei da una
malta di torta, che però non sovrasta assolutamente il sapore dolce
acidulo delle mele verdi. Nella versione originale è la migliore torta
di mele che io abbia mai preparato. In questa versione “senza” è forse
ancora più buona e saporita.

– l’acqua di cocco è il liquido biancastro contenuto nelle noci di cocco giovani;
– il latte di cocco è prodotto da polpa di cocco (fresca o essiccata) e acqua calda;
– la crema di cocco è prodotta con meno acqua, rispetto al latte di
cocco e quindi più densa ed è la parte che nelle lattine acquistabili
nei supermercati meglio forniti o nei negozi di alimentari orientali,
resta in superficie.
prepararare anche a casa, a partire dal cocco fresco o dal cocco
disidratato che è facilmente reperibile: bisogna coprire 100 g di cocco
essiccato (oppure 200 g di fresco, grattugiato) con 1/2 litro di acqua
calda, lasciarlo riposare e poi filtrare il tutto, per ottenere il
latte. Con meno acqua si dovrebbe ottenere la crema. Io questa volta ho
utilizzato una lattina di latte di cocco acquistata al Lidl, ma proverò
anche a fare l’esperimento dell’autoproduzione!
contiene invece acido laurico, contenuto anche nel latte materno, che ha
numerose proprietà per lo sviluppo del cervello e la salute delle ossa.
I grassi saturi del latte di cocco sono facilmente metabolizzati dal
nostro organismo e per questa ragione è facilmente digeribile.
l’aroma principale e la parte grassa utilizzata, ho battezzato questa
torta con il mio nome…me lo merito, no? 😀
Apple Cake gluten free e lactose free
(per una teglia rettangolare 20x18cm)
2 mele verdi Granny Smith grandi (o 3 piccole)
120 g di zucchero di canna
1 tuorlo e 1 uovo grande
la buccia grattugiata di 1 limone
170 g di crema e latte di cocco (prendere la parte più solida della lattina ed aggiungere, se occorre un po’ di latte di cocco)
40 g di farina di grano saraceno
20 g di maizena
olio vegetale per spennellare la teglia
Sbucciare le mele ed affettarle a 1 mm di spessore con la mandolina. Se
non l’avete, utilizzate un pelapatate, devono essere molto sottili.
Irrorarle con il succo di limone per non farle annerire.
Montare l’uovo e il tuorlo con lo zucchero. Aggiungere la buccia di limone e il latte e crema di cocco, mescolando con cura.
Aggiungere le farine setacciate, mescolando per non formare grumi.
Aggiungere infine le mele, rigirandole nell’impasto per farlo aderire su tutti i lati.
Spennellare la teglia rettangolare con l’olio vegetale e mettervi dentro l’impasto.
Infornare subito, in forno già caldo a 180° e e far cuocere finchè la superficie non è ben dorata.
torta di staccherà da sola dal fondo. Tagliare a trancetti rettangolari,
spolverando di zucchero a velo o zucchero di canna. Si può mangiare
fredda, oppure leggermente intiepidita.


Con questa ricetta partecipo al contest È senza? È buono! di Patty “Andante con Gusto” e “Cose dell’altro pane” nella categoria prodotti da colazione.
English Veg Breakfast con il Tondo Liscio di Pachino IGP
Questa volta il protagonista è un’altra varietà del pomodoro di Pachino,
meno conosciuta rispetto al famosissimo ciliegino, ma davvero
particolare e saporita: si tratta del Tondo Liscio di Pachino IGP.
La bacca è un po’ più grande del ciliegino, verde e profumatissima,
dalla consistenza soda e croccante. Ha un gusto delizioso, intenso,
vitaminico, quasi piccante.


è in insalata. Se non li divorate subito, quando diventano più maturi e
più morbidi possono essere utilizzati anche cotti.
per creare un contorno coloratissimo: asparagi sbollentati e conditi
con olio extravergine e aceto balsamico, pomodori Tondo Liscio di
Pachino IGP tagliati a fette e grigliati ed infine le potato hash, saporitissime frittelle di patate grattugiate, fuori croccanti e dentro morbide, che più semplici e golose non si può!

4 pomodorini Tondo Liscio di Pachino IGP a persona
5 asparagi a persona
1 patata a persona
Nel frattempo pelare e grattugiare 1 patata a persona, strizzare tra le
mani la polpa ottenuta e formare tante piccole polpette schiacciate.
Tagliare in 3 o 4 fettine i pomodori e lasciarli scolare per una decina
di minuti. Poi passarli sulla griglia bollente o su una padella
antiaderente, unta con un foglio di carta assorbente leggermente
imbevuta d’olio.
Friggere le frittelle di patate in olio di arachidi bollente.
asparagi, alcune fette di pomodoro e le potato hash. Condire con olio e
aceto gli asparagi e con un pizzico di sale i pomodori grigliati e le
frittelle di patata.


Se cerchi altre ricette con il pomodoro di Pachino IGP:
Tomino piemontese con confettura di pomodoro Ciliegino di Pachino IGP agli agrumi e cardamomo
Focaccia multicereali al nero di seppia con ciliegini e origano