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Ricordi e immagini dal blogtour #ReDolce

L’abbiamo raccontata in tutte le salse. Ne ho scritto pure qui!
Il #ReDolce è nato con noi e speriamo che abbia modo di crescere sano e forte.
I due giorni passati in compagnia dei blogger sono stati emozionanti e coinvolgenti e noi organizzatrici – io, Anna e Valeria – ne siamo uscite sicuramente arricchite, non soltanto dalla conoscenza di prodotti straordinari, e non solo Moscato, ma anche dai racconti di vita dei produttori, persone tutte diverse, da noi e tra loro, per scelta di vita ed alterne fortune, ma che fanno il proprio lavoro con passione e rigore.

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ai fornelli, ricette tradizionali

Spaghetti alla Norma, fuori norma

Le ultime melanzane della stagione e le ultime parmigiane e paste alla Norma, che per tornare sui miei fornelli dovranno aspettare la prossima estate.
Ho preparato questo piatto innumerevoli volte con le melanzane nere, con quelle lilla (ma sono molto dolci e acquose e poco adatte alla frittura) e anche con queste deliziose melanzanine di Rotonda.
L’ho preparato con la ricotta salata, come vuole la regola, ma in mancanza anche con una spolverata di parmigiano.
Talvolta l’ho preparato anche con le melanzane cotte in forno e poi passate nel sugo.
L’adattabilità di questo piatto è altissima, si può modulare in base al tempo disponibile, ma la vera ricetta è una sola. Le melanzane vanno fritte e poi passate nel sugo di pomodoro, già insaporito con aglio e olio e fatto cuocere per un po’. Le melanzane vanno aggiunte all’ultimo, perchè devono dare sapore e non ammollarsi troppo.
Molte invece sono le leggende legate al nome di questo piatto. 

Alcuni raccontano che la ricetta vide la luce proprio al ritorno di Vincenzo a Bellini a Catania, dopo il clamoroso fiasco della prima della Norma al Teatro alla Scala di Milano. Il compositore era tornato abbattuto e sfiduciato nella sua città natale, quasi convinto di dover cambiare mestiere, quando gustò il piatto cucinato in suo onore da uno chef catanese. Ispirato, compose l’aria “Casta Diva”, la più celebre di tutta l’opera, decretandone il successo nelle rappresentazioni successive. Quest’ultimo particolare però non trova conferma nella stesura dell’opera in quanto Casta Diva faceva già parte della prima partitura.

Si racconta però che la dicitura Pasta
alla Norma facesse riferimento alla soprano Giuditta Pasta, protagonista
eccellente durante il disastro della prima alla Scala.

Un’altra storia è temporalizzata qualche anno più tardi, quando l’opera di Bellini era già conosciuta ed apprezzata. Pare che il commediografo Nino Martoglio, dopo aver assaggiato questo piatto, esclamasse “Questa è una vera Norma“, ad elogiarne la ricetta saporita ed equilibrata. 
Qualsiasi sia stata l’origine del nome, questo piatto è diventato il simbolo della città di Catania, ad eterna memoria del suo cittadino più illustre, e della Sicilia intera.
[http://it.wikipedia.org/wiki/Norma_%28opera%29
http://www.qtsicilia.it/la-satira-e-la-societa/40-societa/570-leggende-da-foyer-pasta-alla-norma.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Giuditta_Pasta]

Io ho realizzato la ricetta utilizzando i prodotti lucani che mi sono stati inviati per la partecipazione al concorso #IoChef, in
occasione del Convegno Nazionale dei Cuochi Lucani, quindi melanzane di Rotonda e CacioRicotta Lucano. Le melanzane di
Rotonda hanno molti semi, ma sono davvero perfette per essere fritte…se volete saperne qualcosa di più andate a leggere qui.

La ricetta: Pasta alla Norma
(per 2 persone)
1 melanzana viola con la buccia (nel mio caso 3 melanzanine rosse di Rotonda)
olio per friggere
3-4 pomodori pelati
olio
sale
basilico
spaghetti (più o meno abbondanti a vostro piacimento)
ricotta salata (nel mio caso, cacio ricotta lucano)
Ho inizialmente tagliato a dadini le melanzanine con la buccia. Ho anche fatto qualche fettina sottile per la decorazione. Le ho messe in un colapasta con un po’ di sale grosso per farle spurgare.
Ho messo tre cucchiai d’olio evo in un pentolino. Ho rosolato leggermente uno spicchio d’aglio sbucciato e poi vi ho aggiunto i pomodori, precedentemente sbollentati e pelati, schiacciati con la forchetta. Ho lasciato cuocere aggiungendo all’occorrenza un po’ d’acqua e regolando di sale. 
Ho asciugato le melanzane, le ho infarinate e fritte in olio di semi bollente, mettendole poi ad asciugare dall’olio in eccesso su alcuni fogli di carta assorbente.
Nel frattempo ho messo a bollire l’acqua per la pasta e quando era pronta l’ho salata e vi ho tuffato gli spaghetti. 
A cottura ultimata ho passato gli spaghetti nel sugo per condirli, poi ho aggiunto le melanzane fritte, tenendo da parte le fettine e qualche cucchiaio di quelle a cubetti per la decorazione.
Ho spolverato di cacio ricotta grattuggiato grosso al momento.
 

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Shammali* cipriota per l’Abbecedario Culinario

Per l’Abbecedario Culinario d’Europa, fino al 6 ottobre dedicato a Cipro ed ospitato da Haalo, ho scelto di provare a cucinare un dolce tipico diffuso non solo a Cipro ma anche in Grecia e Turchia. Letta la ricetta, diffusa sul web solo in lingua inglese, ho subito amato la presenza del semolino e la semplicità degli ingredienti.  
Questo dolce, a seconda della zona viene aromatizzato con essenza di mandorle o di rose, oppure, in Grecia, con il masticha, la resina che la cucina greca utilizza in prodotti dolci e salati.
Siccome vi propongo la versione cipriota, ho scelto l’essenza di mandorle, ma credo che anche l’essenza di rosa, reperibile nelle macellerie halal, dia modo di ottenere un risultato delizioso.
Il procedimento è semplicissimo e il risultato è ottimo e molto rustico e “mediterraneo”. Assolutamente essenziale perchè il dolce si insaporisca bene, è il riposo con lo sciroppo, di almeno 5-6 ore.

*Ivy, in un commento qua sotto, mi dà altre informazioni su questo dolce:P { margin-bottom: 0.21cm; } « Shammali è il nome Greco. In Cipro è chiamato “Kalon Prama” (qualcosa
buono). Aggiungiamo anche tahini sul fondo della teglia prima di
aggiungere la miscela.

»P { margin-bottom: 0

La ricetta: Shammali (torta con semolino, yogurt e mandorle)

2 uova piccole (separati gli albumi montati a neve)
70 g di zucchero
250 g di semola
150 g di yogurt di capra intero (oppure yogurt intero)
50 g di olio di semi
2-3 gocce di essenza di mandorle
1 cucchiaino di lievito in polvere
1 manciata di mandorle sminuzzate per la guarnitura

per lo sciroppo:
100 g di zucchero
140 ml di acqua
il succo di mezzo limone
1 cucchiaino di cannella in polvere
 
[fonti: ricetta da http://androulaskitchen.wordpress.com/2012/01/08/shamili/]
Ho mescolato lo zucchero con l’olio; poi ho aggiunto i tuorli, amalgamando bene.
Ho versato a pioggia il semolino, sempre mescolando con un cucchiaio di legno.
Ho aggiunto lo yogurt, l’essenza di mandorla e il lievito per dolci passato al setaccio.
Ho montato a neve gli albumi e li ho aggiunti gradualmente all’impasto senza smontare.
Ho imburrato una tegia del diametro di 21 cm e vi ho versato il composto.
Ho infornato per 5 minuti, poi ho cosparso con le mandorle sminuzzate e rimesso in forno a 180° lasciando cuocere per altri 40 minuti, finchè il dolce è dorato.
Prima di sfornare, controllare la cottura al centro con uno stecchino.
Nel mentre ho preparato lo sciroppo, facendo sciogliere lo zucchero nell’acqua e poi ponendo sul fuoco ed aggiungendo il succo di limone e la cannella. Ho fatto cuocere, finchè lo sciroppo non si è inspessito, poi ho lasciato raffreddare.
Ho bucato con uno stecchino tutta la superficie della torta, ormai tiepida, e l’ho irrorata di sciroppo. 
Lasciar raffreddare completamente, così parte dello sciroppo verrà assorbita.
Poi tagliare a cubetti e servire accompagnando con yogurt non dolcificato. 

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Il Roccolo e la carne piemontese a Busca

Il 14 settembre ho avuto la possibilità, grazie all’iniziativa di Terraviva, in occasione della Sagra del Toro allo Spiedo, di visitare Busca e le sue attrattive turistiche.

Si è parlato molto anche di carne di bovino piemontese, povera di colesterolo rispetto ad altre carni bovine, saporita e sana, per lo stile di vita con cui vengono allevati questi maestosi animali. Niente sfruttamento intensivo: il bovino piemontese ha bisogno di spazi piccoli, stalle che sono rimaste immutate dai primi anni del secolo scorso, e di ritmi scanditi in modo naturale dalle stagioni. Il risultato è una carne poco grassa, saporita e perfetta in ogni taglio. 
Avrò modo di parlarne più approfonditamente, ma non voglio perdere l’occasione di far conoscere, a coloro che ancora non ne hanno sentito parlare, un posto favoloso, ricco di fascino e magia, il Castello del Roccolo, che fu abitazione estiva di Roberto Tapparelli d’Azeglio e di Costanza Alfieri di Sostegno, nobili piemontesi di intelligenza e cultura.

Roberto, figlio dell’ambasciatore Cesare d’Azeglio e fratello maggiore del più celebre Massimo, viaggiò fuori dal Piemonte fin dalla tenera età, fin dalla permanenza a Firenze, quando aveva 10 anni, per poi vivere a Parigi, a Roma e nella parte più settentrionale della Germania, per poi tornare a Torino, nel 1813, dove conobbe e sposò Costanza, di soli tre anni più giovane, ed ugualmente colta ed illuminata, tanto da fondare nel capoluogo del Regno di Sardegna un salotto assai famoso e frequentato.

Con il ritorno in Piemonte Roberto si dedicò soprattutto ai suoi studi di storia dell’arte, ma fu coinvolto, anche se in maniera secondaria, nelle vicende politiche che animavano il Piemonte in quegli anni.

Nel 1821 i due coniugi, legati da amicizia anche al principe Carlo Alberto, parteciparono ai moti carbonari; una volta constatato il fallimento dell’insurrezione, pur non avendo responsabilità dirette, decisero di riparare all’estero soggiornando prima a Ginevra e poi a Parigi e qui fermandosi fino al 1826. Con il ritorno in patria suggerì a Carlo Alberto l’idea di creare un’esposizione peremanente dei tesori artistici collezionati nei secoli dalla Casa Reale. Il 2 ottobre 1832, grazie a quest’idea, vide la luce il nucleo originario delle raccolte della Galleria Sabauda di Palazzo Madama.

A questo seguirono importanti pubblicazioni, dove si abbandonava, accanto ai commenti di carattere artistico, a lunghissime digressioni sulla storia e le leggende legate alla Casa Savoia.
Nei cosiddetti ritagli di tempo si dedicò alla fondazione di diversi istituti volti all’aiuto delle classi meno abbienti. Durante l’epidemia di colera del 1835 accettò la direzione del lazzaretto, provvedendo personalmente alla cura di alcuni infermi; nello stesso anno fondò anche un asilo femminile in Piazza Gran Madre, seguito poi, in breve tempo, da una scuola per bambini e fanciulli, e dalla fondazione di una “Società per l’istituzione delle scuole infantili e del patrocinio degli alunni”. Il suo spirito, al contrario, ad esempio, di Giulia di Barolo, fu sempre rigorosamente laico e volto al miglioramento della società civile, riscontrabile anche nel tentativo di emancipazione delle comunità ebraiche e valdesi.
Attorno a quegli anni, precisamente nel 1831 Roberto e Costanza acquistarono alcuni ruderi del Castello del Roccolo e riedificarono quasi integralmente la costruzione secondo lo stile neogotico dell’epoca. Il termine roccolo fa riferimento alle reti utilizzate per catturare i piccoli uccelli selvatici. Ma questa abitazione estiva ha un fascino in più. Nelle sue decorazioni sono nascosti innumerevoli simbologie, e in ogni angolo c’è un richiamo più o meno velato ai luoghi dove Costanza e Roberto risiedettero durante il volontario esilio del 1821-1826.
Una porzione della facciata in stile neogotico con particolari dall’aria moresca

Visitare questo posto straordinario, grazie al recupero effettuato negli ultimi anni dall’associazione culturale Marcovaldo, è un viaggio emozionante.
Qui sotto alcune immagini, che spero vi diano un’idea di questo posto affascinante a pochissima distanza da Torino.

[fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Taparelli_d%27Azeglio 
http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-taparelli-marchese-d-azeglio_%28Dizionario-Biografico%29/]

L’ascesa al Castello
All’interno lo stemma dei Taparelli-D’Azeglio e il simbolico pavone
Uno dei trompe-l’oeil che, grazie ai giochi di luce, sembra ancora più realistico
La Cappella interna al giardino
I pavimenti, i soffitti stuccati, le pareti dipinte
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Cookies con riso croccante e la Vercelli Riso Expo 2013

Stamattina ho aperto la finestra ed ho trovato una “luce d’autunno”. 
Se al mattino l’aria è freddina, durante la giornata sono ancora evidenti gli strascichi dell’estate e il té caldo lascia ancora un po’ spazio a quello freddo.
Io ho imparato da Carlotta a fare l’infusione a freddo: si immergono le foglie di té in acqua fredda e si lasciano in infusione per 3-5 ore. Il risultato è un té dalla giusta intensità, ma senza le note amarognole che a volte vengono risvegliate dall’acqua bollente. 
Poi mi sono venuti in mente questi biscotti: farina bianca e farina di farro in uguali quantità e le pepite croccanti di crunchy rice al lampone di Gli Aironi. Il crunchy rice, come dice il nome stesso, è riso croccante, non soffiato, sottoposto ad una sorta di affinatura con aromi e spezie naturali. Quello al lampone non è dolce, ma conferisce solo il colore e il sapore del vero frutto. è perfetto con i formaggi freschi, ma anche nei biscotti ha dato enormi soddisfazioni, soprattutto se li si abbina ad un té ai frutti rossi, caldo o freddo, che richiama ancora il gusto dolce-acidulo del frutto.

Vi offro questi biscotti semplici e speciali in occasione della Vercelli Riso Expo 2013 che si svolgerà tra il 27 e il 29 settembre a Vercelli. Su EatPiemonte troverete qualche dettaglio in più e tanti link per approfondire il discorso sul riso e su tutto ciò che gli gira attorno.

La ricetta: Cookies con farina di farro e crunchy rice al lampone “Gli Aironi”
ingredienti:
100 g di farina 00
100 g di farina di farro
65 g di zucchero semolato
65 g di zucchero Muscovado
70 g di burro fuso
1/2 cucchiainodi bicarbonato di sodio
1 pizzico di sale
1 uovo piccolo
i semini di 1/2 bacca di vaniglia
crunchy rice Gli Aironi al lampone

Ho sbattuto con la forchetta il burro fuso e freddo con lo zucchero e i semini di vaniglia.
Ho aggiunto l’uovo e mescolato bene.
Ho aggiunto le due farine, il bicarbonato e il pizzico di sale, aggiungendo anche il crunchy rice a piacere, impastando fino ad ottenere un composto asciutto.
Ho ricavato palline tonde della grandezza di una noce e le ho messe distanziate su una placca da forno. 
Ho cotto a 170° per circa 10-12 minuti, tenendo d’occhio il grado di doratura.

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Cheese 2013, non posso mancare!

Dal 20 al 23 settembre Cheese torna a Bra per la sua ormai nona edizione.
Sarà un appuntamento immancabile per tutti gli amanti del formaggio ed anche per me. Ho già segnato una serie di espositori che voglio visitare e alcuni appuntamenti a cui vorrei partecipare.

I Laboratori del Gusto toccheranno moltissimi argomenti, dai
formaggi dell’arco alpino tra Italia e Francia, a quelli dei Pirenei;
viaggeremo dal Sudafrica alle Isole Britanniche (quando si parla di West
Cork, drizzo le orecchie) passando per il Comté del Jura e per lo
Stortignaccolo piemontese…

Da segnalare l’Arca del Gusto, che ha già a bordo più di 1250 prodotti a rischio di estinzione. 
Ogni hanno scompaiono antichi mestieri e i prodotti ad essi legati. Con il progetto Salva un Formaggio, chiunque potrà fare qualcosa a difesa delle piccole produzioni marginali, portando fisicamente a Bra un pezzettino del formaggio che rischia di scomparire. Qui si potranno vedere e conoscere in un grande album “dal vivo”.
Dopo la chiusura della manifestazione l’Arca del Gusto continuerà a viaggiare e a raccogliere tutti i prodotti che negli anni potranno diventare nuovi presìdi.

Immancabile poi l’appuntamento con i grandi ristoranti del territorio e con lo chef del QuoVadis di Soho, Londra.

Io sarò a Cheese2013 venerdì 20 per l’appuntamento con i Formaggi Ferrari, con Mariachiara a dirigere l’allegra brigata di noi foodblogger: Micol, Margherita, Elena, Valentina, Nicole, Tea e Sara.
Potrete scoprire qualcosa in più su una storia iniziata nel 1823 e seguire le mie vicende di assaggiatrice su Twitter, Facebook e Instagram con l’hashtag #FerrariFormaggi a partire dalle 11,30.
In più sabato 21 sarò di nuovo a Bra per un appuntamento con i nuovi prodotti del Caseificio pugliese Pioggia. Vi racconterò tutto in seguito, ma ricordatevi di seguire il livetwitting di sabato a partire dalle 10, 30 con l’hashtag #PioggiaCheese.

Stay Tuned!!

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Tortelli di melanzana di Rotonda e pane di Matera, al ragù di polpo con briciole croccanti di pane e peperone di Senise

Ed ecco finalmente anche la mia ricetta per il contest #iochef che mi ha dato la possibilità di conoscere la cucina lucana e ad alcuni dei suoi prodotti. Di Basilicata si parla davvero poco ed approfondire il discorso non fa male quando si possono incontrare in questa terra alcune vere eccellenze.

L’occasione per assegnare alla cucina lucana il giusto posto che merita, sarà il 27° congresso nazionale della Federazione Italiana Cuochi (FIC), organizzato dall’Unione Regionale Cuochi Lucani, che si svolgerà a Metaponto dal 7 al 10 ottobre.

Per elaborare una ricetta avevamo a disposizione questi prodotti, arrivati via posta:  
Pane di Matera IGP
Olio evo di Oliva Majatica
Cacioricotta o ricotta lucana
Melanzana rossa di Rotonda DOP
Crema di melanzana rossa di Rotonda DOP
Fagioli di Sarconi IGP 
Ceci neri di pomarico
Pomodoro secco Cietticale di Tolve 
Ficotto di Pisticci
 
Peperone di Senise IGP.
 

La ricetta doveva contenere obbligatoriamente almeno uno di questi pesci di stagione:
Mormora
Seppia
Cefalo
Gallinella
Sauro
Pesce serra
Sciabola o bandiera
Triglia agostinella
Polpo
Pettinessa
Palamita
Rombo
Lucerna o pesce prete

Per il mio piatto ho scelto la melanzana rossa di Rotonda DOP, la mollica del pane di Matera IGP, un peperone crusco di Senise IGP sbriciolato, l’olio extravergine di Oliva Majatica e il polpo.
Quando ho condiviso l’immagine della melanzana rossa di Rotonda IGP sui social network molti sono stati ingannati dal colore e hanno creduto di avere davanti un pomodoro. Se la si osserva da vicino, la melanzana di Rotonda ha anche delle sfumature verdi, e tagliata ha una polpa soda e chiarissima, più chiara di quella delle melanzane violette, che non annerisce ed è ricca di semini. Questo ortaggio ha giustamente un’aria un po’ selvatica ed esotica, poichè è stato importato dall’Africa e reimpiantato nel Parco del Pollino, agli inizi del ‘900 da alcuni contadini lucani che avevano partecipato alle missioni coloniali. La sua coltivazione è rimasta a tal punto circoscritta da essere “riscoperta” solo nel 1992 dal CNR. Intorno a Rotonda, invece, è la melanzana per eccellenza dalla quale si ricava anche una deliziosa conserva in crema.
Il pane di Matera IGP si è guadagnato il podio tra i pani più buoni d’Italia; forse merito del lievito madre e della ritualità dell’impasto, forse merito del grano duro utilizzato. Nel 1636 Tommaso Stigliani diceva che Matera “in certi tempi dà grano a tutto il Regno”. La storia racconta di un’economia di stampo feudale dove vigeva ancora il latifondo e dove i contadini e i pastori abbandonavano i paesi per quindici giorni per lavorare nelle immense distese di campi. Ogni due settimane tornavano dalla famiglia per fare un cambio di biancheria e per il pane, che doveva poi mantenersi buono per altri quindici giorni. Per queste ragioni la cura e la ritualità nel fare il pane era ed è importantissima e quasi magica: la lievitazione avveniva nel letto matrimoniale, dal lato dell’uomo, addetto alla “crescita” della vita.
Il peperone di Senise IGP ha la particolare caratteristica di essere molto adatto all’essicazione naturale al sole, in primis perchè ha una polpa molto sottile, in secondo luogo perchè il peduncolo non si stacca neppure con l’essiccazione. Oltre che semplicemente essiccato in caratteristici grappoli a spirale, che raggiungono a volte i due metri di lunghezza, veniva conservato anche già sbriciolato; in dialetto il termine Zafaran rievoca proprio quello del prezioso zafferano. I peperoni di Senise vengono anche fritti per pochissimi secondi in olio bollente: in questo modo diventano “cruschi”, uno snack antelitteram!
L’olio extravergine di oliva Majatica rappresenta uno stretto legame con il territorio, poichè questo particolare tipo di ulivo attecchisce solo in terra lucana. Si è già provato ad impiantarlo altrove ma senza successo. Il sapore dell’olio è particolarmente delicato, secondo me adatto ad un consumo a freddo, soprattutto su piatti di pesce. Nella mia ricetta l’ho usato anche per cucinare. Da ricordare anche l’oliva nera al forno, sempre di Majatica, presidio SlowFood e prodotte fin dal XVIII secolo.
 
Per la mia ricetta sono partita dal presupposto di un incontro nord-sud in cucina.
La
pasta ripiena del nord Italia, ma con una sfoglia a base di solo grano duro
del sud si riempie e si condisce con i prodotti tipici della Basilicata e
viene impreziosita da un ragù dal sapore intenso a base di polpo. Le note croccanti sono date dalla  mollica di pane di Matera fritta e dalle briciole di peperone di Senise IGP.

La ricetta: Tortelli di melanzana di Rotonda e pane di Matera, al ragù di polpo con briciole croccanti di pane e peperone di Senise.
per il ragù di polpo:
mezzo polpo (circa 400 g)
5-6 pelati
1 spicchio d’aglio pelato
olio extravergine di oliva Majatica
vino bianco 
sale

per la sfoglia:

200 g di semola di grano duro
sale
acqua tiepida
per il ripieno: 
5 melanzanine di Rotonda
farina
due-tre cucchiai di sugo del ragù di polpo (senza polpo)
una fetta di pane di Matera spessa 2 cm
olio per friggere
sale

per la guarnizione:
1/2 fetta di pane di Matera da sbriciolare
1 peperone crusco
1 cucchiaiata di melanzane fritte in precedenza

Ragù di polpo:
il polpo era decongelato e quindi non ho avuto bisogno di batterlo. 
Ho fatto dorare uno spicchio d’aglio in due cucchiai di olio di oliva Majatica. Poi ho messo il polpo in pentola e l’ho fatto rosolare a fuoco vivace. Ho sfumato con due dita di vino bianco e poi aggiunto i pelati tagliuzzati piccoli con la loro acqua. Ho lasciato cuocere, aggiungendo un poco d’acqua quando necessario, a fuoco molto basso per un’ora e mezza. Poi ho assaggiato il sugo e regolato di sale. Ho spento il fuoco e fatto raffreddare.
Tolto il polpo dalla pentola, per eliminare la pelle più dura della testa e dei tentacoli più grossi, e l’ho tagliato a pezzettini piccoli. 
Ho aggiunto un poco d’acqua al sugo e vi ho immerso una fetta di pane di Matera per ammorbidirla e l’ho tenuta da parte.
Ho mescolato nuovamente i pezzettini di polpo al sugo e tenuto da parte fino al momento di condire i tortelli.

Ripieno:
ho tagliato le melanzane a dadini, cosparse di poco sale e lasciate riposare per 5 minuti, mentre preparavo l’impasto per la sfoglia; poi le ho passate nella farina e fritte in olio di arachidi. Ne ho tenuto una cucchiaiata da parte per la decorazione, mentre ho mescolato le altre con la mollica di pane ammollato e sbriciolato e un cucchiaio di sugo del polpo.

Sfoglia di grano duro:
ho messo la semola sulla spianatoia, con un pizzico di sale, ed ho aggiunto acqua tiepida mescolando prima con una forchetta e poi con le mani fino ad ottenere un impasto consistente, lavorabile, ma asciutto. L’ho fatto riposare mentre friggevo le melanzane e ultimavo il ripieno.
Ho steso la sfoglia sottile con la macchinetta e vi ho ricavato dei cerchi da 8 cm di diametro.
Ho formato i ravioli con questo metodo:

Finitura:
Ho rotolato in un padellino alcune briciole di mollica di pane di Matera in un cucchiaino di olio di Majatica fino a che non era croccante.
Ho cotto i tortelli in acqua bollente e salata e li ho conditi con il ragù di polpo, rotolandoli in una padella larga, con delicatezza per 1 minuto, aggiungendo un filo di olio di majatica per inumidire.
Ho completato il piatto con briciole di pane di Matera fritto in padella, le melanzanine tenute da parte e un peperone crusco sbriciolato.

Con questa ricetta, come detto sopra, partecipo al contest “Io Chef”

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Parmigiana di melanzane o melanzane alla parmigiana?

Nell’approcciarsi a questa ricetta che è senza dubbio ai primi posti (forse al primo) tra le mie preferite, bisogna identificare innanzitutto le questioni fondamentali.
1. spiegare l’origine del suo controverso e oscuro nome
2. svelare la ricetta tradizionale, prima di avventurarsi in estrose varianti
3. scoprire qualche indizio sulla sua regione di origine
 
Premesso che di certo e certificato, come spesso accade in molte ricette tipiche italiane, abbiamo quasi nulla, di sicuroci resta tra le mani una fetta di uno dei piatti cardine della tradizione, forse a parimerito con la lasagna, che lascia colare un po’ di sugo di qua, un po’ di formaggio fuso di là e ci disegna un antipatico rotolino sui fianchi mentre ci regala attimi di pura gioia.
 
Cerchiamo di affrontare un problema alla volta.
 
Partiamo dall’origine del suo nome. Deriva dalla
città di Parma? O dalla parmiciana, che in Sicilia indica la persiana,
che ricorda coi suoi listarelli di legno sovrapposti  il sovrapporsi di
strati di melanzane e condimento? Qualcuno dice addirittura che
melanzane alla parmigiana, si chiamino così perchè fatte con il
parmigiano… 
No, niente parmigiano!
Chi
se ne intende dice che la spiegazione etimologica più probabile sia
“melanzane cucinate all’uso della città di Parma”, dove nel Medioevo
nacquero le torte parmigiane, formate di tanti strati sovrapposti e
farciti. Come questa preparazione sia migrata da Parma fino in Sicilia attraversando secoli e reinventandosi con ingredienti nel medioevo ancora non conosciuti lascia indizi lungo lo stivale che assomigliano alle bricioline di Hansel e Gretel.
 
E dunque qual è la ricetta più antica o quella originale? Da quando questo modo di cucinare la melanzana venne chiamato proprio così? Se la ricetta ispiratrice è medievale, d’altro canto il pomodoro ci arriva dall’altra parte del globo solo dopo la scoperta dell’America e la melanzana, che invece veniva anche dall’Africa, conquistò la fiducia dei palati solo nel tardo Settecento. 
Alcuni ipotizzano che le prime “parmigiane” fossero composte di strati di zucche o zucchine e che quindi la ricetta sia nata ben prima, ed abbia in seguito trovato con la melanzana la sua versione meglio riuscita. 
Lo stesso discorso si può fare con i formaggi che vi si trovano. C’è ci suggerisce la mozzarella fiordilatte, ben scolata: questo indicherebbe una diffusione pugliese; c’è chi dice che il piatto si confeziona con la mozzarella di bufala, ma io che adoro il gusto pungente di questo formaggio, non me la sentirei di imprigionarlo tra strati di melanzana e sugo; c’è chi suggerisce la provola affumicata, che secondo me rappresenta un buon compromesso, perchè è un formaggio asciutto ma molto saporito. Qualcuno aggiunge del prosciutto cotto, qualcun altro la salsiccia stagionata di Napoli, salame piccante che quando diventa troppo asciutto trova riutilizzo in diversi piatti cotti, tra cui la parmigiana e il gattò di patate.
Le melanzane, invece, come vanno cotte? Fritte senza dubbio, ma l’infarinatura preliminare consente, invece di appesantire il piatto, di renderlo molto più leggero, perchè in questo modo le melanzane non assorbono molto olio e restano più asciutte e croccanti.
La cottura in padella è sicuramente spiegata dal fatto che i forni di un tempo erano molto differenti da quelli odierni e la cottura su fuoco consentiva un controllo maggiore di un cibo che praticamente era già cotto.
Ma a quale regione si può attribuire la paternità di questo piatto? A seconda di quel
che ci si mette dentro molte regioni di mezza Italia se ne arrogano
l’invenzione. Ed è un po’ vero ogni volta: la melanzana petonciana lunga di Sicilia, la provola affumicata o la Mozzarella di Bufala, il salame di Napoli e qualche fetta di prosciutto cotto e persino una spolverata di Parmigiano, se non avete a disposizione il caciocavallo stagionato. Anche la Puglia e la Calabria ne preparano una loro versione…e, se l’avete assaggiata anche una sola volta nella vita, volete dar loro torto? 
Qualsiasi massaia e qualsiasi regione abbia raggiunto e conquistato, la prima versione per iscritto è quella di Ippolito Cavalcanti in “Cusina casarinola co la lengua napolitana” del 1839:

Melanzane alla parmigiana,

 

« … e le
farai friggere; e poi le disporrai in una teglia a strato a strato con
il formaggio, basilico e brodo di stufato o con salsa di pomodoro; e
coperte le farai stufare.
 »
[Ippolito Cavalcanti, “Cusina casarinola co la lengua napolitana, Cucina casareccia in lingua napolitana]
[fonti: 
http://www.lucianopignataro.it/a/perche-la-parmigiana-si-chiama-parmigiana/13687/
http://www.lucianopignataro.it/a/ricette-cult-la-parmigiana-di-melanzane/13053/
http://it.wikipedia.org/wiki/Parmigiana_di_melanzane]
 
 

Ed io dalla ricetta napoletana parto per la mia versione, dopo aver scartabellato in rete mille alternative…

 

La ricetta: Parmigiana di melanzane
3 melanzane lunghe medie
300 g di pelati
1 pezzo di salsiccia di Napoli
150 g di provola affumicata
2 fette sottili di prosciutto cotto
farina
olio per friggere
olio evo
sale
caciocavallo grattugiato grossolanamente (4-5 cucchiai)
4-5 foglie di basilico

Senza sbucciarle ho tagliato le melanzane a fette di 1 cm. Le ho salate e messe a perdere acqua sotto un peso.
Ho preparato il sugo, rosolando uno spicchio d’aglio in un pentolino con 4 cucchiai d’olio evo. Ho aggiunto i pelati tritati grossolanamente con coltello e forchetta. Ho lasciato cuocere per un po’, aggiungendo anche una foglia di basilico.
Ho asciugato le fette di melanzane con un panno pulito e ho messo l’olio per friggere a scaldare sul fuoco. Quando era caldo ho fritto le fette di melanzana, passando ognuna in un piatto di farina da entrambi i lati. Le ho messe a scolare un po’ d’olio su fogli di carta assorbente.
nelfrattempo ho tagliato il salame a dadini e la provola a fettine sottili.
Ho preso una padella del diametro di 22 cm. Ho unto il fondo e versato qualche cucchiaio di sugo.
Poi ho cominciato con uno strato di melanzane e a seguire gli altri ingredienti alternati, una volta il salame e una volta il prosciutto e uno strato sì e uno no il caciocavallo, riservando per ogni strato, però, sugo e provola. esaurite le melanzane ho coperto il tutto con il restante caciocavallo grattugiato e ho coperto.
A fuoco dolcissimo ho lasciato “pipiare”, ovvero ho lasciato che il coperchio si sollevasse leggermente per il vapore, per una decina di minuti, giusto il tempo che tutto il formaggio si sciogliesse.
Far raffreddare un poco prima di tagliare a fette. Si mangia tiepida (così si distingueranno tutti i sapori,), oppure anche fredda!

 
 

 

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ai fornelli

Blåbärssoppa, una zuppa di mirtilli dalla Svezia…di corsa…

Finalmente, dopo essermi persa tanti appuntamenti, riprendo a partecipare all’Abbecedario Culinario d’Europa, questo mese ospitato da “Un Uomo dal Bagno alla Cucina“.
Vi accennerò soltanto che nel vedersi approssimare il periodo Svezia ho preparato
un delizioso lax-pudding prima di controllare quale fosse la ricetta
riservata al blog ospitante l’iniziativa…era quella naturalmente, L come lax-pudding, ed ho dovuto cercare un’altra ricetta. Non che fosse difficile, ci sono diversi spunti, soprattutto tra i dolci, profumati di spezie, cardamomo e cannella in particolare.
La scelta però è caduta su una bevanda molto particolare, che ho scelto per il suo ingrediente principale, il mirtillo, che nella ricetta originale svedese è il mirtillo selvatico, più piccolo ed asprigno del suo “collega” coltivato.
La blåbärssoppa è anche la bevanda ufficiale della Vasaloppet, la più antica e lunga gara sciistica della storia. La prima edizione moderna di questo evento si è svolta nel 1922, ma la leggenda dice che la gara si ispiri alla fuga di Gustavo Vasa dai nemici danesi. 
Facciamo un salto temporale fino al 1520, epoca sanguinosa e violenta. 
Cristiano II
Il danese Cristiano II, (non a caso soprannominato Cristiano il Tiranno) appena incoronato sovrano di Svezia, dopo una guerra lunga e sanguinosa, e dopo essersi formalmente impegnato ad avere nella sua amministrazione soltanto funzionari svedesi, voleva eliminare rapidamente e definitivamente i molti oppositori al suo governo e , soprattutto, voleva accaparrarsi il diritto di ereditarietà in una monarchia che fino al quel momento era stata elettiva. 
Cristiano cercava un metodo sbrigativo per togliersi il fastidio e così invitò al suo castello tutti i nobili svedesi, con il pretesto di discutere le condizioni di una pace. Nel bel mezzo del banchetto le truppe fecero irruzione nella sala, prelevando alcuni dei nobili presenti. Poi accadde ancora e ancora, nell’agitazione generale. Il bilancio dei tre giorni di “banchetto” fu di 82 nobili e funzionari decapitati. L’evento passò alla storia come “Il Bagno di Sangue di Stoccolma“.
Insomma Cristiano II aveva un senso dell’umorismo quantomeno discutibile…
Gustavo I Vasa
Nel mentre Gustavo Vasa, i cui parenti si trovavano imprigionati alla “corte” di Cristiano I, fuggì sugli sci, nella neve, attraverso la regione storica della Dalarna, per guadagnare la salvezza e la libertà in Norvegia. A metà del suo percorso riuscì a convincere un gruppo di svedesi ribelli a far partire una rivolta che riportò gli svedesi al potere e Gustavo Vasa sul trono di Svezia nel giugno del 1523. 
La Vasaloppet, gara sciistica di fondo e a lunga percorrenza, tra le città di Sälen e Mora, 90 Km in tutto, vuole proprio ricordare la corsa di Gustavo Vasa verso la Norvegia e l’impennata d’orgoglio degli svedesi contro l’occupazione danese. 
La prima gara moderna si è disputata nel 1922, e la più recente nel 2013, vedendo vincitore lo sciatore norvegese Jørgen Aukland.

La tradizione vuole che all’arrivo i partecipanti alla gara vengano rinfrancati con una blåbärssoppa calda-calda. La stessa bevanda può essere bevuta anche fredda d’estate e vi assicuro, avendo provato entrambe le versioni che risulta davvero dissetante, pur essendo zuccherata.
Per enfatizzarne il gusto ho utilizzato una certa quantità di mirtilli freschi e una parte di succo di mirtillo selvatico, quelloc he trovate in bottigliette. L’ideale sarebbe utilizzare un succo di mirtillo non zuccherato, oppure regolare la quantità di zucchero a vostro piacimento, assaggiando la blåbärssoppa durante la preparazione.
Su alcuni blog stranieri l’ho vista decorata con biscottini o con un ciuffo di panna…a voi la fantasia di renderla speciale.

La ricetta: Blåbärssoppa
375 ml di succo di mirtillo
125 ml di acqua
2 cucchiai di fecola di mais
2 cucchiai di zucchero chiaro di canna
2 fette di limone
100 g di mirtilli freschi
Ho messo in un pentolino il succo di mirtillo con l’acqua e metà dei mirtilli freschi. Ho aggiunto lo zucchero di canna e due fette di limone. Ho portato ad ebollizione e nel mentre ho mescolato in una tazza a parte la fecola con qualche cucchiaio di succo di mirtillo caldo, eliminando ben bene i grumi. Ho aggiunto la fecola sciolta nel pentolino ed ho fatto inspessire un po’ la blåbärssoppa prima di togliere dal fuoco.
Ho eliminato le fette di limone e versato in bicchieri, aggiungendo in superficie i mirtilli restanti, ben lavati e spolverando leggerissimamente di cannella nella versione calda.



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Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano

È finalmente giunto il momento di raccontare della mia esperienza di visita presso i Molini Bongiovanni di Cambiano
La visita è avvenuta a luglio e già tempo fa ho pubblicato lo storify della giornata, ma da Twitter mi sono giunte richieste di raccontare qualcosina in più riguardo al corso di panificazione tenuto dal Maestro panificatore Giovanni Gandino.

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