ai fornelli

Pomodorini sott’olio, il sapore dell’estate è al sicuro!

Chi mi segue su Facebook, lo sa!
Venerdì ho essiccato i pomodorini e poi li ho messi sott’olio con gli aromi. Tra qualche giorno si potranno già gustare, ma potrò anche decidere di conservarli in dispensa, ben coperti di olio, per qualche mese e di ripescare più avanti, a sorpresa, il gusto di questa strana e fresca estate.
Per chi si fosse perso il procedimento, e per tenerne traccia qua, pubblico le foto con i semplici passaggi.
L’essicazione in forno è lunga, ma prepararli è facilissimo. Purtroppo la resa è poca, ma danno tanta soddisfazione…quindi se per una volta volete levarvi questo sfizio, fatelo. Se invece avete la fortuna di possedere un terrazzo ben esposto al sole, potete essiccarli direttamente lì, come si faceva un tempo!! 😉
La ricetta: Pomodorini sott’olio con semi di finocchio e peperoncino

Vi
servono un Kg di pomodorini maturi ma sodi (anche 2 se avete tempo, pazienza e un forno capiente),
sale grosso, semini di finocchio, olio extravergine di oliva, uno o due
peperoncini secchi.

 

Scaldate il forno a 120° C. Tagliate a metà i pomodorini ben lavati e disponeteli su alcune placche da forno. 

Una volta disposti sulle teglie con il lato
tagliato verso l’alto cospargeteli di sale grosso e metteteli ad
asciugare in forno. Ci metteranno diverse ore…

Quando cominciano ad avere un aspetto più asciutto rigirarli con un mestolo e lasciarli seccare ancora…

 

Ora che i pomodorini sono completamente essiccati, lasciarli raffreddare e intanto portare ad ebollizione un pentolino d’acqua.

Mettete i pomodorini in un recipiente e copriteli con l’acqua bollente. Lasciateli macerare per 10 minuti. 

Passati i dieci minuti scolateli su un panno
coperto di carta da cucina e asciugateli con la carta. ..intanto
schiacciate qualche cucchiaio di semini di finocchio

 Condite i pomodori asciutti con i semini, il
peperoncino tagliato a pezzi e l’olio.
 

Poi si possono mettere nei
vasetti, colmando con olio, e conservare in dispensa.

ai fornelli, storia & cultura

Gnocchi di melanzane con mazzancolle e pomodorini

La melanzana è una delle regine (a mio parere si contende il titolo con il peperone) dell’orto estivo. Versatilissima, può essere cucinata in ogni modo e sempre conserva sapore e carattere! 
Già ne avevo raccontato la storia qui: stavolta riporto le parole di Pellegrino Artusi che in “La Scienza in Cucina” ci spiega come a quel tempo ci fosse ancora un poco di diffidenza nei confronti di questi deliziosi globi violetti.
 «399. Petonciani.
Il petonciano o melanzana è un ortaggio da non disprezzarsi per la ragione che non è né ventoso, né indigesto. Si presta molto bene ai contorni ed anche mangiato solo, come piatto d’erbaggi, è tutt’altro che sgradevole, specialmente in quei paesi dove il suo gusto amarognolo non riesce troppo sensibile. Sono da preferirsi i petonciani piccoli e di mezzana grandezza, nel timore che i grossi non siano amari per troppa maturazione. Petonciani e finocchi, quarant’anni or sono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de’ cristiani. I petonciani fritti possono servire di contorno a un piatto di pesce fritto; fatti in umido, al lesso; in gratella, alla bistecca, alle braciole di vitella di latte o a un arrosto qualunque.»
Qualche perplessità mi deriva dall’utilizzo del termine “ventoso”…forse Artusi voleva dire che le melanzane non provocano aerofagia…? O_o’
Senza approfondire ulteriormente, io le apprezzo in tutti i modi esse vengano cucinate…dalla magra e malinconica melanzana grigliata, alla cicciona e sorridente parmigiana (occhio che nei prossimi giorni arriva la versione campana di questo superbo piatto!), e dunque sono capitolata anche davanti alla proposta di Paola, ormai mia paladina dei piatti veloci, tanto che dovrebbe diventare un hashtag: #nastrodirasorecipe. Avevo questa ricetta in serbo da tanto e finalmente l’ho provata. 
Per ottenere un sapore più intenso ho lasciato l’impasto molto morbido e l’ho tuffato nella pentola di acqua bollente a cucchiaiate. Son venuti fuori degli gnocchi dalla forma irregolare ma una volta cotti, perfettamente sodi, dal gusto marcato di melanzana, perfetti, a mio gusto, con i crostacei e pomodorini freschi.
La ricetta: Gnocchi di melanzane con mazzancolle e pomodorini
2 melanzane medio-grandi
farina 
sale
basilico
1 uovo
6-8 mazzancolle 
una manciata di pomodorini
1 spicchio d’aglio
Ho lavato e bucato le melanzane con la forchetta. Poi le ho messe a cuocere in forno, finchè non erano morbide e sgonfie. Io ho ottenuto circa 200 g di polpa strizzata (forse però non l’ho strizzata abbastanza, perchè l’impasto è rimasto comunque molto morbido)
Ho aggiunto gradulamente farina, fino ad arrivare al peso della polpa delle melanzane. Ho mescolato a questo composto un uovo (piccolo) con un pizzico di sale e tre foglie di basilico tritate finemente.
Ho messo l’acqua a bollire e nel frattempo ho preparato il condimento: ho fatto dorare lo spicchio d’aglio in tre cucchiai d’olio, ho aggiunto le mazzancolle e i pomodorini tagliati in quarti.
Quando l’acqua bolliva, l’ho salata e vi ho tuffato dentro l’impasto di melanzane, prevelandone piccole quantità con un cucchiaino. Ho girato bene per non farli attaccare al fondo e li ho scolati dueminuti dopo che erano venuti a galla.
Li ho fatti girare in padella con il sughetto per un minuto ed impiattato.
 
ai fornelli

Blueberry pies – le tortine di mirtilli

Ecco una delle torte anglosassoni per eccellenza, da me eletta, a Ferragosto, torta dell’estate. Ho preso spunto dalla ricetta di Sonia, omettendo le mandorle nel ripieno e preferendo anch’io la presentazione in monoporzione, perchè in questo modo tutti possono gustare la stessa quantità di crosta croccante e di morbido scuro ripieno, anche se ritengo che questa torta e le pies in genere conservano un certo fascino anche preparate in versione classica, con il ripieno adagiato in un contenitore da forno, magari un vecchio piatto di ferrosmalto, e la copertura di croccantissima pastafrolla: guardate qui.
La ricetta: Blueberry pie
(per otto tortine del diametro di 9-10 cm)
200 g di farina 00
100 g di burro
80 g di zucchero
2 tuorli
1 pizzico di sale
250 g di mirtilli
1 limone
2 cucchiai colmi di zucchero di canna
foglie di menta fresca 

Per prima cosa ho sciacquato e asciugato i mirtilli. Li ho messi in una ciotola e vi ho aggiunto le foglioline di menta tagliate a pezzettini, lo zucchero di canna e le zeste di limone. Ho coperto con pellicola e lasciato aromatizzare.

Nel frattempo ho preparato la frolla, facendo prima sabbiare il burro ocn lo zucchero e la farina e l’ho fatta riposare per una mezz’oretta in frigo.
Ho steso la frolla molto sottile, con l’aiuto di un po’ di farina e ho ritagliato 8 cerchi di grandezza tale da foderare degli stampini da muffin di silicone. Ho messo in ciascuno stampino un oezzetto di stagnola e una manciata di fagioli per far cuocere i fondi in bianco. Ho infornato a 180° per 15 minuti circa.
Mentre cuocevano le basi ho preparato i coperchi e ho inciso il centro di ognuno a croce, con la punta di un coltello.
Ho riempito i gusci precedentemente infornati con i mirtilli e ho sigillato il coperchietto di pasta alla base. Ho spennellato su ciascun coperchio un poco di latte e un pizzico di zucchero di canna. Ho ri-infornato per altri 15 minuti a 180°.
ai fornelli, eventi&co

La #SummerSocialDinner e il mio primo uovo poché

Vi voglio raccontare di una serata speciale in una cucina speciale. 
Il 19 luglio ha avuto luogo la prima Scuola&Lavoro – Social dinner, una cena fatta apposta per dialogare del mondo social, negli spazi della Scuola&Lavoro di Torino.
Assieme a me, ai fornelli, Valentina BaronePaolo Agus, mentre Dario Ujetto ha contribuito all’organizzazione della serata.
Ecco, di solito a questi eventi le foodblogger indossano un grembiule e con lo smartphone in una mano e qualche ortaggio nell’altra danno un aiuto in cucina. Invece appena arrivata sono stata calzata e vestita da una divisa da chef e poi sono stata subito catapultata ai fornelli! Questo è il mood di Scuola&Lavoro, dove gli studenti imparano in soli sette mesi molto più di quel che può imparare uno studente dell’Istituto alberghiero in 5 anni! In quel caso è colpa dei programmi ministeriali, ma buon per noi!!
Qui il merito va agli insegnanti, alle ore passate quasi totalmente in cucina e alle attrezzature professionali.
Io in una sera ho imparato a legare l’arrosto, a cucinare le uova pochè e a preparare la crema di parmigiano.
Qui sotto alcune foto, scattate da Francesco Gallarini di Nuove Officine Fotografiche, le altre le trovate qui
il mio primo sgangherato uovo poché
immortalo il tutto…non sia mai che mi perda qualcosa!!
all’opera con Paolo Agus e con il nostro allievo-maestro per una sera!!
con Valentina Barone mentre impaniamo le uova prima di friggerle
uovo croccante su radicchio stufato con crema di parmigiano
qui alla consegna del ricordo/premio by Inciso.it, la mia immagine incisa dentro ad un parallelepipedo di cristallo
Alla social dinner però non si è solo cucinato (e mangiato), ma anche parlato…ed ognuno aveva qualcosa di interessante da apportare all’incontro. Tante domande sono state poste a noi blogger, su come la nostra passione si stia trasformando in lavoro. 

Esaurienti e precisi, ma molto chiari e semplici, Tin Hang Liu e Yuki Liu hanno spiegato nel loro intervento come sia importante l’immagine social che le aziende forniscono ai loro clienti/utenti. Un aspetto del marketing che sta diventando ogni giorno più significativo.
Un grazie di cuore a chi ci ha dato da bere: Balbiano, Cristina Oddero, Balbi Soprani; e un grazie a Marco Passerone che ha fatto gli onori di casa.

La serata è stata condotta magistralmente da Sergio Chiarla, che ha saputo creare le giuste sinergie tra i partecipanti, stimolando gli scambi di opinione e riuscendo a coinvolgere tutti nonostante la tavolata fosse particolarmente numerosa. E poi ci ha preparato lo zabaione al moscato!!
Vi lascio una ricetta, con le uova poché, naturalmente, non fritte ma servite così al naturale su una crema di peperone, con roselline di prosciutto oppure con quadrettini di pane tostato.
La ricetta: Uovo poché su crema di peperone rosso
per 2 persone
2 uova
3 cucchiai di aceto di vino
1 peperone rosso
1/2 cipolla
olio
sale
maggiorana (o basilico)
Tagliare a pezzettini il peperone. In padella mettere la cipolla tritata e due cucchiai d’olio, far insaporire un po’ e poi aggiungere i peperoni. Lasciar cuocere finchè non sono morbidi. aggiungere le foglioline di maggiorana (o basilico) e regolare di sale.
Tenere da parte una cucchiaiata di peperoni come decorazione e frullare il resto con l’aggiunta di poca acqua per ottenere una crema liscia. Conservare al tiepido. 
In una pentola larga e con il bordo alto 10-15 cm, portare l’acqua ad ebollizione con l’aceto (dovrebbe essere circa l’1% della quantità d’acqua, ma nel dubbio abbondate un po’: aiuterà l’uovo a solidificarsi senza spargersi nella pentola)
Quando l’acqua bolle leggermente abbassate il fuoco e formate un vortice con un mestolo bucato. Al centro del vortice depositate delicatamente l’uovo, precedentemente sgusciato in una tazzina. Con il mestolo cercate di raccoglierlo il più possibile. Dopo un paio di minuti si può tirar fuori e deporre delicatamente su un piatto. 
In ogni piatto da portare in tavola, mettere un mestolo di crema di peperone tiepida e adagiarvi sopra l’uovo pochè. Decorare con foglioline di maggiorana (o basilico) e con i peperoni a pezzetti tenuti da parte.
A piacere aggiungere roselline di prosciutto crudo o cubetti di pane tostato.
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Ma il mio amore è…Fenoglio: cultura e stomaco van sempre a braccetto!

È sempre emozionante parlare di un progetto personale, è come scrivere un romanzo in prima persona. Ma è proprio in prima persona che ho organizzato con Anna e Valeria la passeggiata fenogliana di domenica 21 luglio e quindi anche a me spetta questo racconto.
Qualcuno di voi ne avrà già letto qualcosa qui e qui.
Io tenterò di spiegarvi cosa è successo.
Il ritrovo è stato a Mango, presso l’Enoteca Regionale Colline del Moscato alle ore 15. La gente continuava ad arrivare…tutta…tutti coloro che si erano prenotati telefonicamente, più due adesioni dell’ultimo minuto.
La partenza è stata mezz’ora dopo: 50 persone. Il signor Donato Bosca, esperto di Fenoglio e profondo conoscitore di Mango, ha accompagnato il gruppo al fondo del paese sulla piazzetta di Porta Avene, il primo dei luoghi visti da Beppe Fenoglio all’arrivo a Mango quando si unì ai partigiani badogliani, dopo aver lasciato i rossi…

 
Da lì è partito il percorso, la porta del paese, l’albergo Italia, la casa del medichin e tanti altri caratteristici scorci che conservano il ricordo di un tempo lontano.
Raggiunto il centro di Mango, nuovamente all’Enoteca, sono state raccontate alcune note storiche sulla fondazione di Mango e sul castello dei Marchesi di Busca. 
Poi è arrivato il momento del trasferimento a San Donato di Mango.
Alla cascina di Luigi Chiarle, una pausa dissetante ha accolto i primi arrivati, ma tutti hanno avuto la possibilità di riprendere fiato, di rinfrescarsi qualche minuto e di attardarsi a visitare il museo personale di Luigi, nostro fotografo d’eccezione per la passeggiata.
Poi la partenza lungo il versante della collina, incontrando tanti aspetti della stessa natura, dello stesso ambiente: la vigna, il recinto degli asini, i tratti di bosco, il sentiero in pietra dei partigiani, lo spiazzo della cappelletta dedicata alla Madonna, poi il tratto di bosco e di noccioleto, infine il prato dorato fino al riposo in agriturismo. 

Già in cima alla prima salita c’è stato l’incontro con Paolo Tibaldi ed Enrico Bosca, il primo attore e il secondo studioso fenogliano, che si sono presentati e ci hanno subito anticipato il contenuti dei brani scelti. Il loro lavoro è stato coscienzioso: hanno scelto i brani da interpretare guardando i luoghi da attraversare, riuscendo a dare una prima infarinatura anche a chi Fenoglio non lo conosceva affatto. Non solo i racconti di sfondo partigiano, ma anche il rapporto con la religione, con la madre, con l’ambiente naturale, tanto presente in Fenoglio da diventare personaggio dei suoi scritti.
Durante la sosta alla cappelletta, i palati di indole dolce e di indole salata sono stati brevemente stuzzicati, con il Moscato d’Asti DOCG abbinato alla torta di nocciole e ai cracker fatti in casa con la gorgonzola, prima dell’ultimo sprint.
L’ultimo tratto era il più lieve, leggera discesa e poi via tra l’erba alta. 
Siamo così giunti all’agriturismo Anrì dove ci viene svelato, attraverso la lettura dell’ultimo brano, il significato del  titolo della passeggiata “Ma il mio amore è …Fenoglio” che riecheggia il titolo di un racconto dello scrittore albese “Ma il mio amore è Paco”.
Gli stomaci scalpitano, giusto un minuto per i ringraziamenti di rito e siamo tutti in fila a riempirci i piatti delle prelibatezze preparate dall’agriturismo Anrì: antipasti piemontesi, tutti quelli che potete immaginare, accompagnati dalle friciule, così saporite e croccanti che è impossibile fermarsi alla prima. E poi naturalmente i vini dell’Enoteca Regionale Colline del Moscato e i dolci e l’allegria festante di un bel gruppo eterogeneo, dove i più anziani avevano 82 anni e la più giovane 11.
A seguire i riconoscimenti del nostro lavoro, che ci hanno riempito d’orgoglio: la famiglia genovese, le tre bloggers presenti (Margherita, Cristina e Irene), Alessandro che ha subito scritto di noi, gli anziani che hanno accolto coraggiosamente la sfida della camminata, che tanto nessuno ci correva dietro, gli attori entusiasti da tanta partecipazione, i nuovi amici di Goodmakers che si sono fermati poi a chiacchierare nella piazza di Mango, al bar, fino a tardi.
Questo evento ci ha lasciato addosso l’entusiasmo per la sfida vinta e la voglia di fare molto di più per questo territorio. Di certo si ripeterà il percorso e si cercheranno nuovi itinerari. Sarebbe bello poter coinvolgere altre amministrazioni comunali, quelle dei paesi limitrofi, e altri luoghi da includere nei percorsi. Questa è la sfida che ci proponiamo per il blog tour dell’autunno al quale parteciparanno le autrici delle più belle ricette con il Moscato d’Asti, Manuela, Cristina, Margherita e Francesca, ed altri blogger e giornalisti.
Per restare sintonizzati seguite Colline del Moscato anche su facebook.
Per tutte le foto del live twitting guardate qui.
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Langhe insolite…al di là del vino, la nocciola Tonda Gentile

Langhe.
Per i non-piemontesi si tratta di quel territorio variegato a cavallo
tra cuneese e astigiano, composto da colline e vallate poco profonde, a
tratti dolce e a tratti aspro, che dà i natali ad alcuni tra i migliori vini
italiani e che è candidato a divenire patrimonio dell’UNESCO.

Vigne
a perdita d’occhio, ma soprattutto saliscendi di colline che
incorniciano i paesaggi elogiati e decantati da Pavese e Fenoglio,
nebbia autunnale e densa calura estiva
.

<<C’era
da restare accecati a voler fissare là dove il cielo d’un azzurro di
maggio si saldava alla cresta delle colline, di tutto nude fuorchè di
neve cristallizzata
.>> 
B. Fenoglio, Golia, diciotto racconti.
 

Questo
maggio l’abbiamo saggiato sulla nostra pelle e nei nostri occhi,
compagni del tour BITEG #piemonteliguria nel gruppo “Nocciole”, quando abbiamo conosciuto
l’altro volto della Langa. Langa
che non è solo vino, ma anche noccioleti e prodotti d’eccellenza ad essi legati, è
accoglienza, ospitalità, calore, anche in una delle primavere più fredde
degli ultimi anni.
La
nocciola di cui si parla è una signora nocciola, la Tonda Gentile di
Langa
, impiantata soprattutto nelle zone dell’Alta Langa, è stata
definita come la nocciola più buona al mondo, proprio per le sue
caratteristiche di dolcezza e persistenza olfattiva. La Tonda Gentile,
che già per il suo nome dovrebbe essere amata da tutti, ha anche
caratteristiche di buona resa poichè il frutto riempie quasi tutto il guscio.

Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscerla da vicino, perchè ospiti di Ca’ San Ponzio, un delizioso b&b che è anche agriturismo e dimora di charme, che si trova vicino a Barolo  nella Frazione Vergne.

 
 

Quando un ispettore della guida Michelin ha alloggiato qui mentre provava i ristoranti della zona, i proprietari di Ca’ San Ponzio l’hanno scambiato per un rappresentante di gomme, tanto da trattarlo con il consueto garbo che riservano a tutti gli ospiti e nessun trattamento di favore. E’ stato l’ispettore infine, a consigliare loro di fare richiesta per entrare nella prestigiosa guida.
Qui non si dorme solo nelle camere, posticini accoglienti e senza tempo con un alto soffitto con travi a vista che ricordano l’ambiente di un antico fienile. 

C’è la possibilità, durante la bella stagione, di campeggiare nei terreni circostanti, all’ombra – indovinate un po’ – delle piante di nocciolo, alcune delle quali vecchie di 50-60 anni. 

Qualcuno tenta anche di far incetta dei loro frutti, ci confessa Luciano, uno dei gestori, ma sono la piccola parte, tutti gli altri si accontentano di godere della fresca ombra e dello splendido panorama.

Questo cascinale esiste da tempo, da almeno 100 anni, costruito dal padre, che lavorava in paese come mugnaio. Questo spiega anche le pietre da mulino che Luciano e suo fratello hanno pazientemente riportato a splendore.

La costruzione che possiamo ammirare oggi è dovuta alla loro grande pazienza: hanno recuperato tutti i materiali da costruzione antichi e hanno fatto mettere impianti moderni in una cornice del tutto autentica.

 

La fornitissima cantina, come in ogni luogo ospitale che si rispetti, è a disposizione del cliente, ma senza alcuna formalità. Gli ospiti possono scegliere e assaggiare, segnare su un quaderno e pagare solo alla fine del soggiorno.

Nella stessa mattinata, dopo aver visto le nocciole ancora acerbe sulla pianta, ci siamo avviati verso la casa natale dei Baci di Cherasco, la Barbero Marco, confetteria e pasticceria dal 1881, che letteralmente ci ha preso per la gola. 

Guidati dal signor Torta (un nome, un destino) ci siamo lasciati rapire dalla “fabbrica di cioccolato” e non si possono contare gli assaggi che abbiamo fatto in una sola mattinata.

Ecco… non abbiamo una gran forza di volontà, ma di certo non saremmo stati così accondiscendenti se il signor Torta non avesso speso mille e più parole di descrizione puntuale ed accattivante su ogni singolo prodotto della propria azienda. Quello che ogni volta mi colpisce è la convinzione della bontà del proprio prodotto associata a una grande modestia, a un grande senso del dovere e del sacrificio e nella continua ricerca di innovazione anche nei prodotti più tradizionali.

In questo posto sono nate le delizie che vedete nella foto qui sotto, i Baci di Cherasco, un tempo chiamati “Cioccolatini Fantasia”, nocciole frantumate grossolanamente e tenute insieme da cioccolato con massa di cacao al 60%. Una vera bomba di golosità e di “vero” cioccolato!

Ma ci sono anche tante alternative per i golosi lunatici che vogliono spesso cambiar sapore.
Le praline:

 
 

Le damine, con nocciola e meringa croccantissima:

Le lumache, simbolo di Cherasco, ma ripiene di crema gianduja e miele:
 
 

E tante altre specialità create con vero amore del gusto e con un grande riguardo per la forma.

La nostra mattinata (forse perchè non avevamo assaggiato abbastanza) si conclude a tavola, nel ristorante Osteria La Torre di Cherasco, a pochi passi dalla pasticceria.
Ci accoglie un posticino delizioso, elegante ma informale dove, nonostante il poco appetito, ci vien voglia di assaggiare tutto.
Il menù cambia sempre perchè si intona ai prodotti dell’orto e alle disponibilità del mercato.
Io ho trovato assolutamente deliziosa la crema di asparagi con capesante.
La carta dei vini è ricchissima con 250 etichette per tutti i gusti.
Il dolce che ci consiglia il gestore, un sorta di budino al caramello, è una vera esplosione di sapori. Se siete amanti dei dolci, chiedetelo! Se non siete amanti, provatelo e lo diventerete!

 

Dopo questa epica mangiata, il viaggio è andato avanti, ma io per ora mi fermo qui…

Da abbinare al racconto di questa esperienza la ricetta delle torta più buona e semplice del territorio: la torta di nocciole senza farina che anche gli intolleranti al glutine possono mangiare senza problemi e che possiamo preparare facilmente anche a casa, a patto di procurarsi le nocciole giuste, la Tonda Gentile delle Langhe dal profumo delizioso e persistente.
Gli ingredienti sono pochissimi, raccontano di tempi in cui per regalare un attimo di gioia al palato non serviva (e non c’era!) molto, e quindi devono essere di ottima qualità!!

 

 

La ricetta: Torta di nocciole
la ricetta leggermente modificata è quella de Il Dolcificio, la più deliziosa e ben riuscita che io abbia mai provato.

per una teglia da 20 cm di diametro:
2 uova a temperatura ambiente
125 g di nocciole tostate Tonda e Gentile
60 g di zucchero semolato
1 bicchierino di grappa
burro per ungere la teglia

Ho tritato le nocciole con metà dello zucchero, ma lasciando qualche pezzetto più grande che è piacevole sotto i denti.
Ho sbattuto a lungo i tuorli con lo zucchero restante fino a che non diventano chiari e spumosi.
Ho aggiunto la grappa ed incorporato la farina di nocciole delicatamente.
Per ultimi ho aggiunto gli albumi montati a neve, dall’alto in basso, senza smontare il tutto.
Ho infornato per circa 30-40 minuti a 170°.

Infine ho spolverato leggermente di zucchero a velo.

 

 

 

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Una vacanza da winelovers #InMontefalco

Il 28, 29 e 30 giugno mi sono trovata con altri tra foodblogger e twitstar, ovvero i più famosi tra le personalità che su Twitter fanno comicità e satira, a Montefalco, anzi #InMontefalco, coinvolta nel primo social hub d’Italia.

Montefalco, è detta “ringhiera dell’Umbria” per la sua felice posizione sopraelevata da cui si gode una splendida vista sui paesi circostanti. Tutt’intorno i colori e la vegetazione di un’Umbria d’estate ci hanno accolto: i campi di grano e le viti di Sagrantino, il vino tipico di questo territorio, con grappoli ancora piccoli ma promettenti.

La leggenda vuole che il paese di Coccorone offrì approdo ai falchi di Federico II, fuggiti durante una battuta di caccia dell’Imperatore appassionato di falconeria. Gli abitanti del paese li riportarono all’imperatore chiedendo di non attaccarli in cambio della cortesia; Federico fece di più e mutò anche il nome di Coccorone con quello più nobile di Montefalco.
Le mura del paese, ancora integre e visibili, racchiudono tantissima arte e storia; il palazzo Comunale risalente al XIII secolo, per cominciare, le tante chiese di fondazione medievale, gli affreschi di Benozzo Gozzoli, Ambrogio Lorenzetti e Tiberio d’Assisi, il complesso museale di San Francesco e le tante reliquie che da sole parlano un linguaggio antico.

Ma la piacevolezza di un posto, da visitare e riscoprire ogni volta, è sempre data dalle persone e il nostro viaggio #InMontefalco è stato scandito dai sorrisi sui volti che abbiamo incontrato.
Per primo Pippo, assieme ai suoi amici e padroni, proprietari e gestori dell’incantevole Hotel Villa Zuccari dove eravamo alloggiati.
La sera stessa del nostro arrivo ci siamo intrattenuti in piacevolissima conversazione con loro; Paolo Zuccari ci ha mostrato il suo albero genealogico e la sua collezione di zuppiere e ceramiche e quella di immaginette votive antiche, curata dalla moglie. La signora ha un gran gusto e una gran cura nell’arredamento e ha reso gli spazi comuni del suo hotel bellissimi angoli dall’aria british. è come veder trasportata una residenza della campagna inglese, in mezzo alle spighe di grano. 

L’abbiamo rincontrata a colazione, nell’elegante sala baciata dalla luce del mattino: tutte le torte del buffet le prepara sempre lei, tranne la crostata, perchè <<con tutte le crostate che ho fatto nella vita ora mi sono stufata>>.

A proposito di dolci, conoscete la rocciata? è una sorta di strudel umbro – concedetemi la semplificazione – con tutti i sapori che adoro, la frutta secca, le mele, il miele. Pare che questo dolce sia stato portato qui dai Longobardi…ecco spiegata la somiglianza con il nordico strudel.

Nella seconda giornata #inMontefalco le ore sono state battute dalle visite in cantina. Non una cantina all’ora, ma un bicchiere ad ogni rintocco.
Il vero protagonista delle cantine di questa zona è il Sagrantino, vino robusto e dall’altissima carica tannica. Invecchia a lungo, per disciplinare almeno 30 mesi di cui almeno 12 in botti di legno. Per saperne di più: http://www.stradadelsagrantino.it/.
Tra le cantine visitate vi consiglio di fare un salto a Rocca di Fabbri

A condurre questa azienda vinicola due sorelle, Roberta e Simona Vitali; fanno parte del circuito di Donne del Vino (vi ricordate anche delle sorelle Marenco conosciute a Strevi?) e quindi, in un mondo ancora quasi esclusivamente maschile, godono di una mia particolare ammirazione. La cantina ci ha subito dato l’idea delle dimensioni di questa azienda dove si producono 150.000 bottiglie all’anno.

L’azienda risale al 1984, quando Pietro, il padre di Roberta e Simona, volle reintrodurre in questa zona antiche pratiche di coltura della vite, utilizzate dai Benedettini nel XVI secolo e poi gradualmente soppiantate da altri metodi, fin quasi ad essere perdute.
La ricerca qui prosegue ancora oggi, quando, accanto al Sagrantino, al Montefalco Rosso e al Grechetto, sono stati destinati 5 ettari di vigna all’impianto di Petit Verdot, Arinarnoi e Nieluccio, dalle cui produzioni, sottoposte a controllo e non ancora destinate alla vendita, si stanno ottenendo importanti risultati.
Qui ci è stato svelata una verità affascinante (almeno per i foodbloggers): la porchetta in questa zona non si serve solo nuda e cruda, ma spesso accompagnata da una deliziosa salsa di acciughe.
Altra cantina ricca di fascino è l’Azienda Agraria Scacciadiavoli.
La fondazione della cantina, la più antica della zona di Montefalco, risale al 1884 quando il principe Boncompagni-Ludovisi lasciò Roma per dedicarsi alla produzione del vino. In questo suo progetto ambizioso mise tutti i progressi tecnici all’epoca più all’avanguardia. Questo ha fatto sì che la cantina, con pochi ammodernamenti sia ancora la più fresca e la meno umida tra quelle visitate. Costruita su più piani sovrapposti sfrutta la forza di gravità per poter spostare il vino senza ricorrere a pompe, ma anche i sistemi igienici e lo scolo dell’acqua fa restare a bocca aperta per la funzionalità e la modernità
Un tempo presso la tenuta del principe Boncompagni lavorava un giovanissimo contadino. Dopo molti anni e un’intera esistenza dedicata al commercio, il contadino, non più giovanissimo riuscì a comprare la tenuta ormai in decadenza. La rimise a nuovo e riprese a produrre il vino. Si trattava del bisnonno degli attuali giovani proprietari, la famiglia Pambuffetti.

Il nome Scacciadiavoli invece risale ad una leggenda più antica. Nella zona viveva un esorcista e la leggenda narra che non riuscendo a guarire un’indemoniata con le comuni pratiche religiose, provò a farle bere del vino. Fu il vino a compiere il miracolo, liberando la donna dal diavolo. Da qui il nome di Scacciadiavoli passò ad indicare la zona circostante all’abitazione dell’esorcista e successivamente la tenuta che in quella zona produceva il vino miracoloso.

Un ringraziamento particolare va alle giovani del Consorzio del Sagrantino. Molto simpatiche e competenti ci hanno fatto conoscere, seppur a parole, tanti piatti tipici che con il Sagrantino vanno a nozze. Gli gnocchi al Sagrantino, tanto per iniziare, e poi i ricchi piatti di carne che questo vino importante richiede; l’agnello è un must, così come le carni alla griglia in generale, poi la cacciagione e i volatili.

Assolutamente da provare è dentro Montefalco il nuovo ristorante di Giorgione Barchiesi, Giorgione alla via di Mezzo. Lui è irresistibile, competente in cucina, quanto simpatico e alla mano fuori. Ci ha fatto trovare la sorpresa di una ventina e più antipasti, legati al territorio e alle tradizioni; poi abbiamo potuto gustare anche i tagliolini al ragù di carni miste.

Il ristorante si trova proprio accanto all’Antico Frantoio Brizi, anche questo disponibile a condurvi in una interessantissima e suggestiva visita guidata.

Se il mio racconto vi ha un po’ incuriosito correte a Montefalco ad agosto.
Dall’1 al 19 agosto sarà il momento migliore per visitare il borgo: Montefalco sarà continuamente in festa con la rievocazione medievale e concerti, degustazioni, spettacoli, la festa di Santa Chiara da Montefalco e la corsa dei bovi: una specie di Fiesta nostrana.

Un grazie speciale ai compagni di viaggio che hanno reso l’esperienza #InMontefalco indimenticabile @GiuseppeSciara, @CucinaPrecaria, @Lagonzi, @CristinaBonett, @FedericoAureli, @RossaDiSera, @ComidaDeMama e @FarahMesiti.

ai fornelli, foodblogging, news

Crema tiepida di zucchine con menta, code di gambero e zeste di limone, per il Besiosa di Crocizia

Io non conoscevo i network di acquisto. Avevo sentito parlare dei gruppi di acquisto solidale, ma non avevo mai avuto modo di approfondire il discorso.
Qui in casa ci piace abbinare il vino ai piatti che cucino…è un vizio di famiglia…e quando possiamo visitiamo le cantine di diverse zone del Piemonte per acquistare vini di cui abbiamo modo di approfondire il processo di produzione e dei quali ci è stata raccontata la storia.
Per conoscere i vini di altre zone d’Italia i nostri pochi viaggi non bastano e quindi ci dovremmo affidare a chi ha fatto della scelta dei “buoni produttori” il proprio mestiere.
Goodmakers.it è un network d’acquisto che si basa su un principio semplicissimo: più persone decidono di acquistare un vino, più il prezzo scende, per toccare delle punte di sconto del 20% sul prezzo iniziale. Sulle schede si trovano tutte le informazioni ed ogni curiosità è soddisfatta…manca solo la faccia del produttore, ma chissà che non arrivi presto anche quella!
Le
vendite su Goodmakers.it non fanno concorrenza alla vendita di tipo
tradizionale in quanto ogni prodotto viene proposto per una sola volta e
per periodi di tempo limitati, dando voce ad infinite realtà produttive di qualità.
Alla base c’è il concetto di condivisione sui social
dei propri acquisti, così da stimolare gli amici a fare lo stesso e far
scendere il prezzo. Ogni mese c’è tempo fino al giorno 20, poi si cambiano produttori ed etichette.
Grazie a Goodmakers.it io ho conosciuto un vino della provincia di Parma, dell’azienda vinicola Crocizia: Besiosa, termine che in dialetto indica una donna «pignola, determinata e un po’ pedante, dal
carattere forte, puntiglioso e grintoso, cresciuta tra i boschi
dell’Appennino parmigiano
».
Questo vino è prodotto da uve Malvasia di Candia Aromatica, vinificate in secco. Viene fatto fermentare in bottiglia e nel momento in cui si stappa rivela tutta la sua carica vitale di bollicine, proprio come una donna che ha tenuto la bocca chiusa per un po’ e sbotta, finalmente, inarrestabile. 
Il colore è carico, quasi aranciato e il profumo è fruttato, fresco, quasi tendente al dolce, di albicocca e pesca, con note agrumate.
All’assaggio poi si svela un gusto pieno, secco, ma fresco e potente al tempo stesso, forte anche della carica alcoolica, 12% vol.
Io ho pensato che fosse perfetto per una verdura estiva, grazie alle sue note fruttate, per un piatto fritto, grazie alla sua carica di bollicine, e per i crostacei, grazie alla pulizia delle sue note aromatiche.
Così nasce questo piatto: una crema di zucchine, servita tiepida, delicata ed erbacea, che viene resa più briosa dalle zucchine fritte adagiate in superficie, dalle code di gambero e dalle zeste di limone.
La ricetta: Crema tiepida di zucchine con menta fresca, code di gambero e zeste di limone
(per 2 persone)
2-3 zucchine medio-grandi
un rametto di menta fresca
1/2 cipolla
1 patata (circa 140 g)
1/2 bicchiere di latte
10-12 code di gambero
la buccia (solo il giallo di mezzo limone non trattato)
olio extravergine di oliva
olio di semi per friggere
sale
pepe
Far lessare la patata in un pentolino d’acqua.
Tagliare le zucchine a dadini, tenendo da parte 8-10 rondelle sottili per la decorazione del piatto.
Far ammorbidire le zucchine in padella con la mezza cipolla tritata, aggiungendo poca acqua all’occorrenza. Verso la fine della cottura aggiungere le foglie di menta tritate finemente.
Schiacciare la patata con la forchetta e poi, in un pentolino, amalgamarla ad un po’ di latte e ad un filo d’olio fino a rendere il composto cremoso.
Frullare le zucchine morbide, aggiungendo poca acqua se necessario. Aggiungerle alla crema di patata, regolando poi di sale e pepe macinato al momento. Condire con un cucchiaio di olio evo a crudo e tenere a temperatura ambiente.
Friggere le rondelle di zucchina, le zeste di limone tagliate a fili sottili (solo per pochissimi istanti) e le code di gambero. Io per un fritto più leggero ho infarinato le code di gambero con la buccia, così che la polpa non resti unta, e le ho passate nell’olio bollente per un paio di minuti.
Comporre la fondina con la crema di zucchine tiepida, le rondelle di zucchina e i gamberi fritti ed infine le zeste di limone.
Questo piatto, per i suoi sapori e colori, è delizioso come piatto estivo pur non essendo un piatto freddo. In particolare il Besiosa di Crocizia conferisce all’abbinamento un certo brio, grazie alle sue spumeggianti bollicine, mentre le zeste di limone fanno risaltare particolarmente al palato le caratteristiche note agrumate.
Io vi ho spiegato quanto è particolare  questo vino e vi ho consigliato un abbinamento, voi che aspettate a registrarvi nel gruppo d’acquisto e far scendere il prezzo??? Abbiamo tempo solo fino al 20 luglio!!
ai fornelli

Torta al cioccolato con fragole e lamponi e crema fresca al cacao

L’ennesima torta al cioccolato che pubblico sul blog!
Non conosce stagioni…forse perchè tira sù, anche quando fa questo caldo, e se ne mangia una fettina sottile e fredda appena tirata fuori dal frigorifero.
Questa ha un impasto sofficissimo fatto con lo yogurt e un frosting con una punta di salato, creata a partire da formaggio cremoso lavorato con zucchero e cacao, e tanta frutta rossa sopra!
La ricetta: Torta al cioccolato con frosting al formaggio e cacao e frutti rossi
5o g cioccolato fondente
40 g di burro morbido
70 g di zucchero
1 uovo grande
150 ml di yogurt intero
90 g farina 00
la punta di un cucchiaino di  lievito per dolci
la punta di un cucchiaino di bicarbonato
1 pizzico di sale

200 g di formaggio cremoso (tipo philadelphia)
2 cucchiai di cacao in polvere
zucchero a piacere

Ho fatto sciogliere il cioccolato a bagnomaria, poi l’ho messo da parte facendolo raffreddare.
Intanto ho lavorato con le fruste il burro morbido con lo zucchero, fino a formare una crema. Ho aggiunto il tuorlo, sempre lavorando con le fruste, lo yogurt ed infine il cioccolato fuso.
Ho setacciato insieme la farina, il lievito, il bicarbonato e un pizzico di sale. Ho amalgamato la farina al composto, in due / tre volte, aspettando che fosse ben assorbita la precedente.
Ho montato a neve ben ferma l’albume e l’ho unito al composto senza smontarlo.
Ho versato in uno stampo da 20 cm, ben imburrato ed infornato a 170° per mezz’ora.
Ho amalgamato insieme il formaggio cremoso, lo zucchero e il cacao e poi ho conservato in frigo finchè la torta non era cotta e poi ben fredda.
Ho tagliato la torta a metà longitudinalmente, e al centro l’ho farcita di confettura di fragole fatta in casa. Ho decorato la superficie con la frutta, fragole tagliate a metà e lamponi, riempiendo tutti gli spazi vuoti con la crema al formaggio cremoso.

eventi&co, in viaggio, news

La Cena in Bianco sta per tornare…ci sarete?

Anche quest’anno torna la Cena in Bianco di Torino e non poteva che essere così, visto il successo e la bellezza di questo evento che ha visto l’anno passato la sua prima esizione italiana. Forse qualcuno di voi ricorda il post in bianco dell’anno scorso, per il lancio del flashmob anche in rete.

Il 5 luglio 2012 eravamo in 2500 in piazzetta Reale, e quando il sole è tramontato è stata una vera magia. Quest’anno il luogo scelto per l’evento sarà illuminato dalle candele, quelle che ci porteremo noi, ovviamente, secondo le regole della Cena in Bianco e all’insegna di Etica, Eleganza, Estetica ed Educazione.
Un bel luogo di Torino, ancora segreto, verrà arredato da noi, tutto all’insegna del bianco, e ripeteremo la magia dell’anno scorso.
Questa volta saremo in più di 4000, ma è ancora possibile inviare una mail a cenainbiancotorino@gmail.com
con nome, cognome e mail di contatto per aderire al flash-mob più poetico d’Italia e ricevere l’indicazione della location, che sarà segreta fino all’ultimo, ma che sarà un luogo facilmente accessibile, nel centro di Torino.
Quindi se volete fare qualcosa di davvero particolare il prossimo 22 giugno, aderite anche voi. Vi assicuro che il ricordo della serata lo porterete nel cuore per molto molto tempo. 

E se non avete idee per il dolce da portare potete copiare questi pasticcini di mandorle e meringa, una vera delizia… in bianco!!
La ricetta: Pasticcini di pasta di mandorle con amarena e meringa.
(per circa 25 pasticcini)
125 g di mandorle pelate
125 g di zucchero semolato
1 albume
acqua di fiori d’arancio
1 pizzico di sale
25 amarene sciroppate (o sotto spirito)
1 albume per la meringa
zucchero a velo (il doppio del peso dell’albume)
qualche goccia di aceto bianco
piccoli pirottini di carta del diametro di 2,5-3 cm
In un frullatore ho tritato le mandorle con metà dello zucchero, ad intermittenza per non farle scaldare. Ho mescolato la farina ottenuta con l’albume montato a neve con lo zucchero restante, aggiungendo 1 cucchiaino di acqua di fiori d’arancio e 1 pizzico di sale. Ho ottenuto un composto morbido da cui ho ricavato tante palline che ho fatto rotolare nello zucchero prima di adagiarle nei minipirottini.
Al centro della pallina di pasta di mandorle ho messo un’amarena snocciolata, fatta scolare dal suo liquido, schiacciandola un po’ in modo che sprofondasse nell’impasto. Ho infornato i dolcetti a 180° finchè non hanno iniziato a colorarsi leggermente (circa 10 minuti). Non bisogna farli cuocere troppo perchè poi torneranno in forno.
Li ho tirati fuori dal forno e li ho lasciati raffreddare.
Nel frattempo ho preparato la meringa. Ho montato a neve l’albume con quanche goccia di aceto e, quando era semimontato, ho aggiunto a pioggia lo zucchero a velo e continuato a montare finchè la meringa non è diventata lucida e soda.
Ho deposto un cucchiaino di meringa su ogni pasticcino, ormai freddo, ed ho infornato nuovamente, questa volta a 75°, finchè la meringa non è risultata asciutta.
ai fornelli, storia & cultura

Acciughe al verde per MyTableBlog

La “Via del Sale” mi ha sempre affascinato… l’idea di un antico percorso, battuto da secoli, al di là delle moderne strade tracciate, che ha visto la nascita di tanti paesi e l’intessersi fitto di relazioni commerciali. La “Via del Sale” in realtà non è una sola, ma sono tante, strade e sentieri, alcuni adatti solo all’inerpicarsi dei muli, che collegavano i paesi sulla costa con le zone dell’interno per traportare il prezioso ingrediente in grado di allungare la conservazione dei cibi, secoli prima del moderno frigorifero.

Dal litorale ligure, diverse vie salivano attraverso l’Appennino verso la Pianura Padana e verso le zone collinari. Ad Alba pare che piazza Savona conservi questo nome proprio in ricordo della via di Savona, che conduceva fino al mare e da cui giungeva il sale. Oltre al sale stesso l’ingrediente che per antonomasia è legato alla “Via del Sale” è l’acciuga. Carichi di acciughe private delle interiora e messe sotto sale viaggiavano anche loro verso i territori dell’entroterra a dorso di mulo.
Le acciughe si trovano in diverse ricette piemontesi, tra cui la famosa bagna caoda.

Io ho preparato la ricetta delle acciughe al verde per MyTableBlog; nell’articolo trovate anche altre curiosità su questo delizioso piatto.
Occorre che vi dica quanto questa salsetta sia goduriosa anche solo sul pane??