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Moscato d’Asti, il Re Dolce, vi aspetta!

Finalmente ho l’onore e il piacere di introdurvi alla raccolta di ricette più fresca dell’estate.
Il protagonista è il Moscato d’Asti, un vino dalle mille sfaccettature, strettamente legato al territorio dei 52 comuni in cui viene prodotto.
Se vi iscrivete via mail a ilredolce@gmail.com riceverete il regolamento e potrete degustarlo di persona a casa vostra ed elaborare una ricetta dolce o salata o un cocktail estivo. 
Le ricette dei primi 25 30 iscritti verranno pubblicate sul sito web e sulla pagina Facebook dell’Enoteca Regionale del Moscato d’Asti e condivise su Twitter…e per qualcuno di voi ci sarà l’opportunità di conoscerlo ancor più da vicino…

Non vi anticipo nulla di più…il Team ReDolce (composto da me, Anna e Valeria) aspetta le vostre mail di iscrizione!!
ATTENZIONE PERò! Ci sono solo 25 30 possibilità di avere il Moscato d’Asti a casa vostra, perciò affrettatevi!! 😉

——–aggiornamento del 13/06/2013———-
C’è stata una tale accoglienza e un tale entusiasmo che proprio non ci aspettavamo…avevamo previsto di chiudere le iscrizioni il 20 giugno ed invece siamo arrivati al tetto massimo già stamattina!
Cosa vuol dire? Che le bottiglie son già pronte per partire e vi aggiorneremo prestissimo!
Grazie a tutti quelli che si sono iscritti!! Faremo tutto il possibile per rendere gli eventi dedicati al Moscato d’Asti veramente belli ed indimenticabili!!

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Luce e Gas, la cucina italiana e fusion in un posto tutto d’oro

Luce e Gas è un locale che esiste dal 2002. 

Si sono avvicendate già diverse gestioni, l’ultima delle quali è particolarmente giovane e vivace, propositiva anche nella varietà di eventi che propone in abbinamento al cibo e nelle idee atte a sfruttare i 210 coperti del ristorante.

La storia vuole che Luce e Gas sia stato fondato da un fervente buddista che aveva fatto incidere messaggi in codice sulle colonne di pietra all’interno del locale, tali che potevano essere letti solo da altri buddisti praticanti… durante i lavori di ristrutturazione, qualcuno che non sapeva decifrarli li ha levigati, asportandoli dalle colonne…ma tutto il resto è rimasto uguale – o quasi – e parla d’oriente.
Il nome del locale, tanto per cominciare, fa riferimento a Illuminazione ed Energia in termini spirituali.
La grande statua di Budda al centro del locale è di polistirolo dorato, ma tutte le altre sono originali provenienti dalla Thailandia e dai paesi limitrofi. Anche il bancone è di fattura orientale e il resto dell’arredamento è etnico. Gli arazzi sono originali provenienti dalla Birmania.

L’utilizzo del legno e dei colori caldi rende questo posto particolarmente speciale ed accogliente nella stagione fredda, ma d’estate viene allestito anche un dehors per coloro che vogliono cenare fuori o semplicemente bere qualcosa nel dopocena; infatti Luce e Gas è anche cocktail bar, con cucina aperta fino alle due nel weekend e fino all’una in settimana.

La gestione del ristorante ha scelto di utilizzare prodotti del territorio e di stagione e sono consigliatissimi tutti i piatti a base di fassone piemontese.

Per la nostra cena abbiamo accettato di farci guidare in un viaggio degustativo tra le specialità del ristorante. 

Abbiamo iniziato con una varietà di antipasti piemontesi: battuta al coltello con scagliette di parmigiano, vitello tonnato all’antica maniera e flan di verdure con fonduta di parmigiano.

Questo classico è stato seguito da uno dei nuovi piatti in menù, un cestino di melanzane fritte, ripieno di ricotta morbidissima e giusto un accenno di pancetta affumicata. Si presenta come una torretta compatta, ma ad ogni boccone l’intera composizione si scioglie letteralmente in bocca con un effetto piacevolissimo.

Viene il momento dei primi. Assaggiamo prima un risotto agli asparagi, buono, ma è con gli altri due piatti che Luce e Gas fa faville: gli gnocchi di patate al Castelmagno, piatto semplice, è accompagnato da una riduzione di moscato che stempera la caratteristica sapidità del formaggio. I ravioli ripieni di fiori di zucca, fatti in casa e altro piatto del nuovo menù, sono adagiati su una crema di seirass, profumata con mentuccia e resa ancora più saporita da fili di zucchine croccanti.

Come secondo ci viene proposto un piatto di mare, i gamberoni cotti sotto sale rosa himalayano. Rotta la crosta di sale, i gamberoni vengono alla luce uno ad uno, svelando un intenso profumo di mare. Un altro piatto semplicissimo, ma con grandissimo carattere, reso ancor più accattivante dalla scorza di agrumi che fa ogni tanto capolino tra i granelli di sale.

Accompagniamo tutti questi piatti con un vino bianco, corposo e spiccatamente acidulo, un Inzolia-Cataratto Branciforti.

Concludiamo la cena con due dolci, uno che ritengo più adatto all’inverno o ad una cena particolarmente leggera, il classico tortino tiepido di cioccolato fondente, abbinato ad un delizioso Barolo chinato; un altro invece più leggero e adatto anche alla conclusione di una cena più sostanziosa, composto da cialda croccante, con panna montata ed una cascata di frutta, ananas, fragole e mirtilli, abbinato ad un Passito di Pantelleria.

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Vaie e il suo Delizioso Canestrello

Ormai sono passate due settimane, ma mi preme raccontare della mia esperienza alla Sagra del Canestrello, perchè si tratta di parlare di un prodotto tipico legato al territorio.
Ci troviamo in Valsusa, precisamente a Vaie, e il canestrello ricorda per la forma reticolata e per la sua preparazione in piastre di ghisa quadrettate altre preparazioni delle vallate limitrofe: i gofri della Val Chisone, i canestrelli a cialda canavesi e biellesi, le tegole valdostane e via discorrendo…
L’origine è comune, questi dolci venivano cotti sulle piastre usate anche per confezionare le ostie da consacrare, nei conventi, dove, da Nord a Sud, era comune la preparazione di dolci in occasione delle festività religiose.
Il canestrello di Vaie è legato al suo patrono, S.Pancrazio, ma l’impasto differisce da altri che sono semiliquidi.
Si tratta infatti di una “pastafrolla sbagliata” come ci ha spiegato il mastro pasticcere Luca Gioberto, poichè il burro viene fuso, prima di essere mescolato a farina, zucchero ed uova. Completano un pizzico di lievito e la buccia grattugiata di limone, molto abbondante, che rappresenta l’unico aroma e il gusto predominante dopo il burro. L’impasto risulta morbido e facilmente lavorabile. Viene diviso in tante palline grosse come albicocche che vengono poi pressate nella piastra di ghisa che conferisce loro il disegno caratteristico e il nome che deriva dal dialetto canesterlè, che significa formare un reticolo.
La caratteristica
piastra di ghisa è tutt’altro che maneggevole, un tempo veniva rigirata
direttamente sul fuoco e sulla stufa sfruttandone un’estremità come
perno; sui fornelletti è tutt’altra cosa e ci siamo fatte aiutare da
Luca Gioberto, ma il risultato finale è stato anche un po’ merito
nostro.

<<Il canestrello ha una ricetta che non si può sbagliare, perchè è già sbagliata>> ci ha ripetuto Luca Gioberto, minimizzando la nostra soddisfazione; si tratta piuttosto di rigore, velocità e disciplina, perchè i canestrelli siano tutto della stessa dimensione e con lo stesso grado di cottura. Lui si regola senza orologio, preparando le palline di impasto; quando ne ha fatte un certo numero sa che la cottura delle altre è giunta al termine. Ma le varianti sono tante, anche l’altezza della fiamma e naturalmente la qualità degli ingredienti.

Grazie al lavoro rigoroso dei produttori, il Canestrello di Vaie è entrato nel Paniere dei Prodotti Tipici della Provincia di Torino, tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionale della Regione Piemonte, ed è marchiato anche Dolce Val Susa e Prodotti della Valle di Susa, mentre alcuni produttori si fregiano del riconoscimento Eccellenza Artigiana Piemontese.
Vaie non è solo canestrello. Proprio grazie alla purezza delle sue acque il birrificio SorA’laMA’, di origine langarola ha deciso di insediarsi qui. Qui si producono una grande varietà di birre crude, non pastorizzate, dai profumi ed aromi con un forte carattere personale. 
In occasione della Sagra del Canestrello proprietario del birrificio ci ha spiegato con grande passione e competenza il procedimento di trasformazione dell’acqua in birra e poi abbiamo potuto mangiare tutti insieme, nel ristorante attiguo, deliziosi piatti in abbinamento alle diverse birre della gamma, premiate da Slowfood.
Le birre Sor’Ala’MA le potete assaggiare nei punti M**Bun ed acquistare anche sull’e-shop Sor’AlaMA’.
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A tavola con le Archeoricette, se siete a Torino, non potete mancare!

C’è un progetto in rete che non poteva non attirare la mia attenzione, si parla di storia e di cibo: andate a fare un salto su Archeoricette.com.
Il rigore e la passione di Generoso Urcioli hanno tributato un successo meritatissimo ad Archeoricette, in pochi mesi la pagina facebook ha superato i 5000 like.
Cito testualmente «Se il taglio è
divulgativo, le notizie sono ricavate da un attento vaglio delle fonti.
Archeoricette è un percorso affascinante alla scoperta degli alimenti
che hanno caratterizzato diverse civiltà del passato. Il cibo come
elemento aggregante. Il cibo e le materie prime come elementi
caratterizzanti l’economia e i commerci. Il cibo elemento di sopravvivenza ma anche di distinzione di classe sociale
«In alcuni casi sono ricette vere, tramandate dalle fonti, in altri casi sono delle ricostruzioni realizzate grazie all’analisi del contesto e gli assemblaggi proposti sono verosimili o “filologicamente” accettabili. »
Dopo i numerosi interventi di Generoso in alcuni programmi radiofonici non si poteva non auspicare che Archeoricette divenisse un’esperienza reale, tangibile e che solleticasse le papille gustative (e i neuroni!) dal vivo!!
Nasce così l’idea di A tavola con le Archeoricette, non cene a tema, ma piuttosto percorsi culturali attraverso le varie civiltà dell’antichità, con il filo conduttore del cibo, che unisce e divide, ma sempre fa parlare.
La prima cena si svolgerà il 31 maggio a Torino, al ristorante Sibiriaki di via Bellezia 8g. 
Nella sala inferiore verrà servito il cibo, accompagnato da immagini e dai racconti di Generoso.
Non ci sarà alcuna rievocazione storica, ma ci sarà il piacere di stare a tavola, conoscendo qualcosina di più sulle origini e gli sviluppi della nostra alimentazione, facendo cultura a tavola.
Se l’argomento vi stuzzica, seguite Archeoricette su Facebook e, se siete di Torino, prenotate il vostro posto A Tavola con le Archeoricette, seguendo le indicazioni nell’immagine qua sopra!
Nei prossimi giorni pubblicherò qualche immagine dei piatti che andremo a degustare… 😉
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Gli gnocchetti di caprino di Paola e #piemonteliguria con BITEG

Persa e sballottata tra tutti gli eventi mi sembrano passati secoli dall’ultima ricetta pubblicata. Mentre riprendo le fila del discorso e metto a posto milioni di foto scattate che forse non verranno mai pubblicate mi preparo ad un nuovo entusiasmante viaggio.
Ancora una volta (oggi!) partirò alla scoperta della mia regione con un press-trip d’eccezione, organizzato da BITEG per la stampa italiana ed estera
Vi ricordate di Nice To TwEAT You? Ecco, proprio in quell’occasione avevo vinto il biglietto dorato per la fabbrica della felicità enogastronomica: quasi 4 giorni di visite, degustazioni, laboratori culinari e cene speciali.
L’hashtag dell’evento è #piemonteliguria ed è così che potrete seguirmi su Twitter, mentre degusterò per voi, visitando posti splendidi.
Però non volevo lasciarvi senza una ricetta, e ne approfitto anche per tessere le lodi di Paola, che ogni volta mi stupisce con piatti veloci da preparare ma anche eleganti e sofisticati. È il caso degli gnocchetti di farro e caprino con scorzette d’arancia e pistacchi: ditemi voi se non riuscite già ad assaporare l’armonia di questi gusti… 
Lei li ha riproposti anche con gli scampi, io, dopo averli scoperti sul suo blog, non ho resistito al volerli provare, non solo come aperitivo, ma come primo piatto. Li ho conditi con asparagi insaporiti in padella e salame strolghino di culatello a striscioline; la seconda volta ho sostituito il salame di culatello con la coppa piacentina, in entrambi i modi il piatto è una vera delizia. Scegliete un tomino fresco di pura capra, saprà ripagarvi!! 😉

La ricetta: Gnocchetti di farro e caprino con asparagi e coppa piacentina
150 g di farina di farro
150 g di caprino fresco
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
1 pizzichino di sale
200 g di asparagi (crudi) 
4/5 fettine di coppa piacentina (o strolghino di culatello) tagliate a striscioline
olio
sale
1 pezzetto di cipolla tagliata a brunoise (circa un cucchiaio)

Ho pulite gli asparagi e li ho tagliati a rondelle spesse 1 cm, lasciando da parte tutte le punte.
Ho messo in una padella capiente la cipolla a dadini minuscoli e due cucchiai d’olio, l’ho fatta dorare e poi ho aggiunto gli asparagi (rondelle) facendoli insaporire. Ho bagnato con poca acqua e fatto proseguire la cottura, aggiungendo dopo 10 minuti anche le punte. Ho regolato di sale e pepe e lasciato cuocere finchè non erano morbide.
Nel frattempo ho messo a bollire l’acqua per lessare gli gnocchetti.
Ho preparato gli gnocchetti, mescolando insieme la farina di farro, il pizzico di sale, il caprino e il parmigiano grattugiato. Si forma prima un impasto sbricioloso, come una frolla, poi, pian piano, prende consistenza e diventa lavorabile. Ho preso delle porzioni d’impasto, formato dei serpentelli e poi tagliato ognuno con il coltello a pezzettini grossi quanto un’unghia.
Ho lessato gli gnocchetti in acqua salata per qualche minuto, calcolato dopo che sono saliti tutti a galla, poi li ho scolati e fatti saltare in padella insieme agli asparagi, aggiungendo alla fine anche la coppa (o il salame) tagliata a listarelle.

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La Cena Gnammo – Storie di Genio Italiano

Lunedì 13 maggio è andata in scena una delle cene Gnammo organizzata nell’ambito dei Digital Food Days la manifestazione dedicata al mondo digitale.
Era la mia prima
cena Gnammo, alla quale sono stata invitata nel ruolo di blogger, pronta
a documentare la serata tramite tweet e instagram ed ho soddisfatto una
curiosità che avevo da un po’.
Qui trovate lo Storify della serata.
Per queste particolari cene tematiche dedicate al mondo digitale, sono stati scelti alcuni attori della serata: io in qualità di blogger; Laura Cherchi, perfetta nel suo ruolo di padrona di casa della Fondazione Fitzcarraldo, dove la cena ha avuto luogo; Angelo D’Agostino, fotografo della Lacumbia Film che ci ha immortalato nei nostri ruoli; infine Elisa Mereatur e Luca Vaschetti di Cucina-To che hanno preparato per noi deliziosi piatti. 
Come si svolge una cena Gnammo? Sarà la curiosità di molti di voi. Trovarsi ad un aperitivo in piedi assieme a degli sconosciuti è diverso rispetto al trovarsi seduti intorno ad un tavolo.
Il tema della serata era Storie di Genio Italiano, ma la conversazione ha toccato diversi argomenti. Ci siamo raccontati ed abbiamo ascoltato senza imporre binari all’andamento della serata.
La Fondazione Fitzcarraldo è impegnata su diversi fronti, dalla formazione, alla documentazione fino alla cooperazione internazionale. Potete saperne di più visitando il loro articolatissimo sito web. Dal 2011 gestisce FitzLab uno spazio co-working per la progettazione culturale.
La cena si è svolta proprio qui, negli spazi recentemente dotati anche di cucina.

Lacumbia Film è un bel progetto giovane e innovativo di comunicazione che intende agevolare il passaggio dall’università al mondo lavorativo dei suoi ideatori. Vi invito a fare un salto sul loro sito per vedere tutti i progetti ai quali stanno lavorando.
Il menù della serata è stato deciso da Elisa che ha presentato ogni piatto, preparato con i prodotti Cucina-To, con un tocco di originalità.
Cucina-To è una realtà che esiste ufficialmente dal 2011, ma Elisa e i suoi compagni hanno una lunga esperienza di organizzazione di cene ed eventi conviviali. Ora Cucina-To si può definire una gastronomia vecchio stile, con piatti pronti confezionati con materie prime di qualità, (usano presidi Slow Food e prodotti scelti presso piccole realtà locali!), e finalmente per chi non ama (o non può…) cucinare, mangiare un piatto pronto genuino è diventato possibile.
Abbiamo iniziato la cena con una ratatouille di zucchine con olive taggiasche, accompagnata da pollo di cascina e servita con uovo al sale affumicato.
Poi è venuto il momento delle fave fresche e dei tre pecorini, romano, toscano e sardo, da gustare in accompagnamento, in attesa della crema di fave e cicorie, calda e confortante.
Abbiamo concluso con un delizioso dessert, crema cotta al limone, con fragole e pasta di meliga.
Il tutto è stato accompagnato dal Grignolino Poggeto La Casaccia.

Alla fine della cena tutti hanno avuto un regalino firmato Cucina-To, da portare a casa:

***dove non diversamente indicato, tutte le immagini sono di Angelo D’Agostino – Lacumbia Film

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Scones ripieni di gelato al pistacchio Pepino

Oggi facciamo un viaggio fin nella Scozia medievale nel piccolo villaggio di Scone. Come era comune all’epoca, l’agglomerato di case era sorto attorno ad una grande abbazia, famosa per custodire una pietra speciale: la pietra rossa su cui Giacobbe ebbe un sogno premonitore e che portava il segno del bastone di Mosè che la colpì con forza per farne scaturire dell’acqua per dissetare gli ebrei in fuga nel deserto.
Di come la pietra si volata dalla terra promessa fino nell’isola britannica non viene data alcuna spiegazione, ma al giorno d’oggi è ormai appurato che si tratta di roccia appartenente al suolo scozzese.
La leggenda racconta che quella pietra, conosciuta anche come Pietra del Destino, avesse il potere di portare prestigio e fortuna ai sovrani che venivano incoronati sopra di essa e dunque di diritto divenne pietra dei re e simbolo del loro potere, dai re Scoti di Dál Riata, il regno che si estendeva dalle coste nord-occidentali della Scozia fino alla contea di Antrim in Irlanda settentrionale, fino ai re storici, come Kenneth I di Scozia.
Nel 1296 Edoardo I d’Inghilterra dopo aver conquistato il Galles, sedò la rivolta degli Scoti e per dare un ulteriore colpo alla loro impudenza si appropriò della preziosa pietra rossa. Il blocco di arenaria venne trasportato fino a Londra, nell’abbazia di Westminster, e venne posta alla base del trono di incoronazione.
Qui rimase fino al 1996, presenziando a tutte le incoronazioni dei Re di Gran Bretagna, dopo aver anche  rischiato di frantumarsi a causa di un attentato nel 1914.
Oggi la si può ammirare al castello di Edimburgo, ma questa famosa pietra è legata anche ad un’altra leggenda: si crede che abbiano dato il nome ai più famosi dolcetti da té del Regno Unito, gli scones.
Si tratta di cubotti tondeggianti che sono a metà tra una pastafrolla e un paninetto. 
Possono essere dolci o salati, talvolta sono punteggiati di uva passa, e vengono tradizionalmente divisi a metà con le mani per essere farciti di burro e marmellata di arance o di ingredienti salati.
Per l’utilizzo di lievito chimico o di bicarbonato e cremor tartaro vengono anche definiti quick-bread o quick-cake e, se sono deliziosi anche da soli, appena fatti, soprattutto tiepidi, sono ancor più adatti all’inzuppo dopo un giorno, quando perdono un poco della loro morbidezza.
Io li ho preparati sostituendo parte del latte con dello yogurt intero, per renderli più soffici.
Adesso che il gelato Pepino è volato a Londra per far da dessert ai panini gourmet de Il Panino Giusto, mi è sembrato naturale affiancarlo a queste “pietre” da Re e ad un tè delle cinque d’eccezione.
La ricetta: Scones con gelato al pistacchio
400 g di farina 0
8 g di lievito per dolci (circa 1/2 bustina)
1 pizzico di sale
100 g di zucchero
50 g di burro
50 g di yogurt greco
160 g latte intero
120 g di uva passa
1 uovo (per spennellare la superficie)
Ho setacciato la farina con il lievito e il pizzico di sale, ho aggiunto anche lo zucchero e poi ho iniziato ad impastare con il burro tagliato a cubetti, come si fa con la pasta frolla; ho gradualmente aggiunto il latte ed infine lo yogurt, fino a formare un impasto lavorabile. Ho aggiunto l’uvetta e l’ho distribuita nell’impasto. Ho raccolto il tutto a panetto e l’ho lasciato riposare 10 minuti. Ho ripreso l’impasto l’ho steso sulla spianatoia infarinata ad un’altezza di 1,5 cme con una formina per biscotti ho ritagliato tanti dischetti di 5 cm di diametro. Ho spennellato ogni dischetto con l’uovo sbattuto con un pizzico di zucchero ed ho infornato a 180° finchè non erano ben dorati.
Quando gli scones sono diventati tiepidi li ho aperti a metà ed ho farcito ognuno con un cucchiaio di gelato Pepino al pistacchio, perfetto da accostare al sapore dell’uva passa. Lasciate che il gelato a contatto con lo scone caldo si ammorbidisca ed inzuppi tutta la pasta e poi…gnamm!!
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Il Food Revolution Day 2013 e il Panbrioche facile facile con lievito madre

Dopo l’anteprima di domenica, con un pic nic svoltosi sul prato del Valentino a Torino, davanti al Fluido, entriamo nel vivo della settimana che ci porterà al Food Revolution Day del 17 maggio.
Molti di voi conoscono già questa iniziativa; per quelli che invece non ne hanno ancora sentito parlare consiglio di andare a leggere qui e qui e di fare un salto sul blog della promotrice e curatrice dell’evento a Torino: Mangia Che Ti Fa Bene Bimbo di Marcela Senise.
Ci sarà la possibilità di partecipare ad eventi a tema “cibo buono che fa bene” in diverse scuole di cucina Torinesi, e si potrà mangiare nei locali che hanno aderito all’iniziativa. Vi consiglio di guardare ben bene il programma.
 
L’anno scorso avevo partecipato con una ricetta.  Quest’anno sono arrivata tardi per proporre uno dei miei pani al contest organizzato da Marcela
No, rettifico, ho scoperto che il contest è prorogato fino a giovedì  ed ho ugualmente una ricetta da condividere con chi mi legge, all’insegna della buona alimentazione.
Trascinata anch’io nel vortice della panificazione con la pasta madre, (che mi è stata donata da Laura) ho voluto sperimentare questo panbrioche. La ricetta di Francy è a sua volta estratta da altri blog ed è diventata un bellissimo esempio di condivisione.
Io ho ridotto la quantità di impasto perchè, ancora non sicura della forza del mio lievito madre, non volevo rischiare di dover buttare tutto. Il risultato è stato sorprendente: per la mia quantità di impasto ho usato uno stampo da plumcake di 19x10x7,5 cm.
Il pane si conserva a lungo in un sacchettino di carta da pane messo poi all’interno di un altro  di plastica per alimenti: basta riscaldare leggermente le fette, in forno o su una padella antiaderente per ritrovarle soffici e profumate. La quantità di zucchero è tale da far sì che questo pane si possa accompagnare anche a ingredienti salati, ma con burro e marmellata è la fine del mondo!
Se avete già in casa vostra il lievito madre provate questa ricetta, oppure cercate di adottare la vostra pasta madre da uno spacciatore, qui trovate tutto l’elenco: spacciatori di pasta madre.
Oppure…continuate a parlare con le galline… 😉
La ricetta: Panbrioche con lievito madre
200 g di farina 0
70 g di pasta madre (rinfrescata al mattino)
50 g di burro 
50 ml di latte intero
60 g di zucchero semolato (nella ricetta originale ne sono indicati 30 g)
1 uovo
qualche cucchiaio di latte tiepido e zucchero di canna per decorare
La sera ho fatto sciogliere il burro nel latte e ho fatto intiepidire il tutto.
Ho spezzettato il lievito madre in una ciotola capiente e poi l’ho fatto sciogliere con il latte tiepido.
Ho aggiunto la farina setacciata, poi lo zucchero e l’uovo leggermente sbattuto con un pizzichino di sale.
Ho lavorato a mano, aggiungendo una manciata di farina, fino ad ottenere un impasto morbido e liscio.
Ho messo l’impasto a lievitare in una ciotola, coperta da un panno umido, in luogo tiepido, al riparo da correnti, per circa 8 ore.
Al mattino ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato e diviso in 4 parti uguali.
Per ogni porzione d’impasto ho fatto un giro di pieghe, io per gli impasti burrosi normalmente non faccio le pieghe a libro ma quelle in tondo…appena trovo un video da postarvi lo aggiungerò qui sotto.
Poi ho formato una pallina e l’ho deposta nello stampo imburrato e infarinato, ed ho ripetuto il procedimento per le altre tre porzioni d’impasto.
Ho fatto lievitare il tutto fino a quasi triplicare di volume (4 ore) e poi ho infornato a 180° gradi, in forno ben caldo, dopo aver spennellato la superficie di latte tiepido e spolverato di zucchero di canna integrale.
In 25 minuti il pane sarà cotto e ben dorato, ma controllate picchiettandolo sul fondo il grado di cottura, se suonerà vuoto, sarà cotto.
Ho fatto raffreddare su una gratella, in modo che non si formasse umidità sul fondo della teglia.
Visto che sono ancora in tempo, partecipo con questa ricetta al Web Contest del Pane, lanciato da Marcela per pubblicizzare il Food Revolution Day del prossimo 17 maggio.

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La Farinata di ceci su MyTableBlog

Oggi si parla di farinata di ceci, ricetta ligure, ma diffusa con poche varianti anche in altre parti d’Italia.
La ricetta è semplicissima ma ricca di tradizione, a partire dalla teglia in cui viene cotta.
Preparare la farinata nel forno di casa non è semplice, perché essa necessita di una cottura ad alte temperature, però con alcuni accorgimenti si può ottenere un ottimo risultato.
Gli specialisti della farinata impongono di utilizzare un testo, la classica teglia rotonda, di rame stagnato, che deve essere lavato con il detersivo soltanto al primo utilizzo e poi ripulito dagli eventuali resti di farinata solo con acqua tiepida, in modo da non rimuovere lo strato di olio che permette al composto di non attaccarsi. 
Se fate un viaggio a Genova il testo stagnato può rappresentare un utilissimo souvenir da portarsi a casa.
La temperatura del forno deve essere massima al momento di infornare, poi viene abbassata ed infine rialzata poco prima di sfornare la farinata.
La tradizione dice che la farinata canonica dovrebbe essere alta almeno 5mm e meno di 1 cm, ma dato che il forno di casa difficilmente raggiunge i 300°, vi consiglio di fare uno strato leggermente più sottile di impasto, per ottenere una buona consistenza finale.

Per conoscere altre curiosità sulla farinata e la ricetta potete fare un salto sul blog di MyTable.

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Arrivano i Digital Food Days

Stanno arrivando i Digital Food Days!! 
All’interno del grande contenitore dedicato al mondo digitale e delle nuove tecnologie, il Digital Festival 2013, un posto d’eccezione è dedicato al mondo del food in tutte le sue sfaccettature digitali.
I Digital Food Days prenderanno ufficialmente il via sabato 11 maggio, nell’ambito di Digital For People, proseguendo con diversi appuntamenti che si snoderanno anche in contemporanea con l’altro appuntamento abituale del maggio torinese, il Salone del Libro 2013. 
Io vorrei invitare tutti i miei lettori a due eventi a cui prenderò parte:
Sabato 11 maggio ci sarà l’evento che darà il via ai Digital Food Days, la conferenza Pane, amore e social media: il turismo enogastronomico e la sfida digitale, che oltre a ricordare il titolo del celebre film, lancia anche un interrogativo: noi, foodblogger e travel blogger, siamo i nuovi narratori della scena enogastronomica italiana, in grado di attirare con i nostri post e live-tweeting nuovi turisti curiosi e golosi? Ovviamente di parte, io ci spero: assisteremmo così alla nascita in diretta di una nuova professionalità, propositivo già abbozzato durante Nice To TwEAT You, e di nuove opportunità di lavoro per i blogger più capaci e meritevoli.
Assieme a me a parlare di digitale, enogastronomia e turismo ci saranno, Maria Elena Rossi, Direttore generale Sviluppo Piemonte Turismo, Marcello Trentini, chef del ristorante Magorabin di Torino (1 stella Michelin), Carlo Vischi, editore e animatore del panorama food&wine italiano, moderati da Paola Tournour-Viron, giornalista per testate del trade turistico, specializzata in trend di consumo e sviluppo delle destinazioni turistiche.
Ci vediamo alla Piazza dei Mestieri in Via Jacopo Durandi 13 a partire dalle ore 11.

Lunedì 13 maggio presso il FitzLab della Fondazione Fitzcarraldo, si terrà Storie di Genio Italiano, un evento targato Gnammo, in cui i partecipanti racconteranno alcune iniziative che stanno mettendo in gioco il provebiale “Genio
Italiano” e le possibilità offerte dal web, per creare nuove attività e
lavoro. A fare gli onori di “casa” Fitzcarraldo ci sarà Laura Cherchi voce istituzionale per Fondazione Fitzcarraldo, ai fornelli troveremo Elisa Mereatur, di Cucina-To, mentre Angelo D’Agostino di Lacumbia Film documenterà con foto e video la serata.
Io mi occuperò delle parole, portando la mia esperienza di foodblogger, moderando la conversazione che sarà naturalmente informale e twittando tutte le storie della serata con l’hashtag #genioitaliano.
Occorre prenotarsi su Gnammo, i posti disponibili sono solo 20!

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Cascina Fontanacervo: la visita al caseificio

Cascina Fontanacervo è un posto speciale vicino a Villastellone. La famiglia Crivello ci vive e ci lavora dal XVII secolo ed io trovo affascinante immaginare questi campi, che sono ora coltivati a foraggio per il bestiame, ancora attraversati dai cervi e dalla selvaggina. 
Il nucleo originario della cascina è quello del ‘600 e molte delle attività vengono svolte con la stessa naturalità e semplicità di un tempo, anche se ora ci sono i macchinari ad alleggerire il lavoro.
Dal semplice allevamento di mucche da latte, la famiglia Crivello è passata alla trasformazione in yogurt negli anni ’90 e successivamente alla produzione di formaggi.
Oggi sono Maestri del Gusto, ciò significa che hanno ottenuto un riconoscimento dalla Camera di Commercio di Torino per aver svolto il loro lavoro in modo sano e genuino.
La filiera produttiva è interamente svolta in cascina e nei campi limitrofi, con un’evidente minimizzazione dei trasporti e dell’inquinamento ambientale.
Proprio davanti alla cascina vengono coltivati erba e granoturco destinati al bestiame, senza l’uso di concime chimico, ma con il solo utilizzo del liquame animale. 
A pochi passi dai campi, le mucche, di razza Frisona e di razza Jersey, vengono foraggiate con alimenti completamente naturali e la media produttiva è tenuta volutamente bassa per dare una migliore qualità della vita all’animale: ogni mucca produce mediamente 20 litri di latte al giorno, contro i 35 degli allevamenti intensivi.
Il latte subito dopo la mungitura viene trasportato senza venire a contatto con l’aria esterna fino ai locali per la lavorazione. Questa è affidata al Mastro Casaro e ad altri specialisti che trasformano il latte in yogurt e formaggi senza utilizzare ingredienti chimici, né addensanti e coloranti, ma solo latte, caglio e sale. 
Anche gli imballaggi sono ridotti al minimo, e si privilegiano quelli riciclabili, come il cartone e il vetro.
I prodotti sono davvero tanti; il latte e la panna, innanzitutto, seguita dal burro, dalle creme-dessert, dagli yogurt, in tanti gusti diversi e nella variante probiotica; poi vengono i formaggi freschi, i tomini e i tomini a rotolo (quelli da fare elettrici o al verde), la freschissima, la crema contadina (che è come lo stracchino), poi il primo sale, la mozzarella, le robiole e poi la ricotta; infine ci sono dei formaggi a media stagionatura: la Turineisa (30 giorni), la Granda (60 giorni), la Sabauda (90 giorni) e poi le mie preferite, le tenere Paglierine con stagionatura di 20 giorni, che un tempo venivano poste a maturare sulla paglia e mentre all’esterno si formava una crosta bianca, su cui restava impresso il reticolo di paglia sul quale erano appoggiate, l’interno si trasformava rapidamente in una crema morbida e delicata.
Infine un tocco di golosità: Fontanacervo produce anche del gelato delizioso…io l’ho assaggiato ed è ricco e cremoso. A proposito di gelato voglio parlarvi di un appuntamento che i golosi e i curiosi non possono farsi scappare: sabato 25 maggio, dalle 11 alle 18, ci sarà l’Open Day di Fontanacervo, durante il quale sarà possibile visitare la cascina e il caseificio, vedere le mucche e i vitellini e capire come vengono prodotti i loro formaggi. Inoltre sarà possibile assaggiare il gelato Fontanacervo ed il ricavato dalla vendita delle coppette sarà interamente devoluto in beneficienza alle Figlie di Maria Ausiliatrice per l’acquisto di un generatore in Congo. 
Trovate ulteriori informazioni sul loro sito e sulla pagina Facebook dell’evento. Occorre registrarsi!!
Spero di avervi suscitato un po’ di curiosità e vi lascio con una ricetta fatta apposta per la deliziosa Paglierina, un flan di asparagi delicatissimo che ben si sposa con la crema dolce del formaggio e con il croccante del pane azimo.
La ricetta: Flan di Asparagi con Paglierina Fontanacervo e Pane Azimo cotto in padella
500 g di asparagi 
1/2 cipolla piccola
erba cipollina
olio
sale
pepe bianco
2 uova
parmigiano grattugiato
Ho lavato gli asparagi e, tenendo le punte da sbollentare a parte, ho tagliato i gambi a rondelline sottili.
In una padella con 2 cucchiai d’olio ho fatto rosolare la cipolla sminuzzata e le rondelline di asparagi, stufandole con acqua finché non sono diventate morbide. Ho regolato di sale e pepe e profumato con dell’erba cipollina.
Ho frullato questo composto finemente, poi ho messo da parte qualche cucchiaio di purea di asparagi e nella restante ho aggiunto le uova e due cucchiai di parmigiano grattugiato.
Ho diviso il composto in pirottini di silicone ed ho infornato a bagnomaria a 190° finchè non sono diventati sodi. 
Nel frattempo ho preparato il pane azimo, la ricetta è questa del blog Cris e Max in cucina.Ho usato 200 g di farina, 50 ml d’acqua, un pizzico di sale e 1 cucchiaio d’olio. L’impasto deve riposare un quarto d’ora e poi può essere cotto in padella.
Ho servito i flan ben caldi deponendoli su una cucchiaiata di purea di asparagi, con sopra le puntine sbollentate in acqua salata, con un’insalatina di valeriana, gli spicchi di Paglierina e il pane azimo.