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EmiliaMonAmour si mette l’abito da sera: martedì 30 aprile a Modena

Il mese di maggio si preannuncia carico di eventi per Ricette di Cultura e si comincia con un giorno di anticipo, il 30 aprile con la presentazione ufficiale di Emilia Mon Amour.
Cosa significa? Significa che l’ebook ideato e curato da Muffin e Dintorni, con tutte le ricette che noi foodblogger abbiamo dedicato all’Emilia, per allontanare lo spauracchio del terremoto del maggio 2012, finalmente si mette l’abito da sera e verrà presentato fuori dalla rete durante un appuntamento speciale.
A Modena, a partire dalle 17,30 al Baluardo dellla Cittadella ci sarà l’evento “Tigella 2.0: rezdore ieri, foodbloggers oggi“.

Durante l’incontro verrà presentato il rapporto di Coldiretti/Censis “Crisi: vivere insieme, vivere meglio“.
Interverranno una vera rezdora emiliana, Mirella Fiandri, le ragazze di Muffin e Dintorni, Cecilia e Micol, Federica Barozzi di Campagna Amica e Francesca Barbieri, specialista della comunicazione 2.0.
Dal Piemonte, io ed Anna Bugané prenderemo un treno per raggiungere Modena e saremo lì, per non perderci neppure una virgola e per portare alta la bandiera di tutte le 15 foodbloggers che hanno partecipato alla raccolta.
Al termine del dibattito ci sarà un aperitivo a Km 0 che si preannuncia carico di sorprese.
Io twitterò con l’hashtag #tigella2punto0, ma anche #emiliamonamour e #coldirettimo, quindi, se non potete essere lì con noi a Modena, vi invito a seguirmi su Twitter e a dare la giusta eco all’evento, ritwittando, ma anche dialogando con noi! 
E’ possibile acquistare la raccolta di ricette emiliane Emilia Mon Amour sul sito di Ebook Editore, al prezzo di 5 €. Tutto il ricavato sarà devoluto al fondo Coldiretti per le aziende agricole emiliane colpite dal terremoto dello scorso maggio.

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La Maggiorana, dal biscottificio Maggiora alla Scuola di Cucina di Eccellenza

Come sapete amo i posti ricchi di storia e La Maggiorana è uno di questi: la prima scuola di cucina di Torino è nata nel 1973 in un laboratorio del dismesso biscottificio Maggiora, per l’iniziativa di Elena Chissotti Maggiora. Da allora il percorso si è svolto in famiglia, con grandi successi e progetti sempre più ambiziosi e fulgidi.Dal 1999 Erica Maggiora insegna agli allievi e da qualche anno è supportata dalla figlia Camilla. Questa storia è perciò un esempio di riuscita imprenditoria al femminile, e un bel riscatto per il biscottificio Maggiora che nel tempo era stato fuso con la Talmone ed era scomparso come marchio.

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Tra brodetto e zuppa di pesce, la mia ricetta e almeno 13 varianti

Italia, paese di santi, poeti e navigatori… Navigatori appunto e anche marinai e pescatori, così come cuochi, per diretta conseguenza, che cucinano il pescato. 
Il pesce, lungo le coste del nostro Stivale è cucinato in moltissimi modi diversi, ma un piatto si ritrova ovunque con alcune differenze che rendono l’assaggio una raffinata esperienza sensoriale, la zuppa di pesce.
Documentandomi per scrivere questo post ho scoperto cose che neppure immaginavo, avendo sempre vissuto sulla terraferma!! La cultura della zuppa di pesce è una vera e propria istituzione alle basi della cucina italiana.
Innanzitutto bisogna fare una distinzione tra il brodetto e la zuppa di pesce: il primo è diffuso lungo le coste di tutto l’adriatico, la seconda, con diverse varianti, allieta i palati lungo le coste del Tirreno.
Il piatto, come è semplice dedurre, era preparato per utilizzare l’invenduto dal mercato del pesce; nasce quindi come ricetta povera e di recupero, se di recupero si può parlare quando si tratta di pesce freschissimo. Di fatto ciò che si vendeva di più erano i pesci grossi, più facilmente utilizzabili in presentazioni eleganti alle mense dei nobili e ciò che rimaneva al popolo era la cosiddetta paranza: merluzzetti, triglie, piccole sogliole, crostacei di piccole dimensioni; molte volte a questi venivano aggiunti dei molluschi. 
La preparazione è di solito colorata dal pomodoro, ovviamente ciò non avveniva prima della scoperta dell’America.
È affascinante scoprire le differenze tra i diversi brodetti e zuppe di pesce, viaggiando lungo le coste italiane.
A partire dall’alto Adriatico troviamo innanzitutto il  brodetto alla triestina; secondo la ricetta il pesce va preventivamente fritto, prima di essere passato nel sughetto insaporito con aglio, cipolla e prezzemolo. Poi viene fatto riposare e riscaldato prima di essere portato in tavola.
A Venezia, precisamente nella zona di Caorle, troviamo il broeto ciozoto, tradizionalmente preparato in pentola di coccio su un fornelletto a carbone, direttamente sulle barche da pesca. Pare che al pescato misto, venisse preferito un solo tipo di pesce di laguna, il “go“, il ghiozzo.
Il brudèt ad pès è romagnolo, forse la prima ricetta tra tutte ad aver introdotto il pomodoro; essa prevede che ci sia anche qualche pesce a carne bianca, la gallinella, ad esempio, e consiglia lo Scorfano o il Coda di Rospo o il Pesce San Pietro.
Una menzione merita anche il brodetto di pesce alla fanese, marchigiano, che viene interpretato diversamente da famiglia a famiglia: vino bianco oppure aceto, pepe oppure peperoncino, aglio oppure cipolla, fanno sì che questa ricetta-non ricetta abbia un altissimo grado di personalizzazione.
In Abruzzo, a Pescara, coesistono due preparazioni a base di pesce; nel brodetto pescarese la base è fatta a crudo e man mano vengono aggiunti i pesci, dalle cotture più brevi a quelle più lunghe; nella zuppa il soffritto iniziale viene fatto a base di calamari e seppie e, particolare importante, assieme al pomodoro viene agiunto il peperone rosso tritato, dolce oppure piccante a seconda dei gusti. Anche la sequenza a tavola è diversa: la zuppa di pesce, accompagnata di fette di pane con l’aglio, è considerata un primo piatto, il brodetto può essere un primo oppure soppiantare un secondo.
Scendendo verso la Puglia incontriamo la Quatàra di Porto Cesareo, detta anche quataru ti lu pescatore o uatàra alla cisàrola, recentemente entrata a far parte dei PAT. La quatàra non è altro che il calderone di rame in cui viene preparato il sughetto in cui cuoceranno i pesci. Viene fatto rosolare insieme aglio, cipolla, prezzemolo e pomodorini, in poco olio d’oliva; il tutto si insaporisce in acqua di mare per circa due ore, poi viene aggiunto gradualmente il pesce, fino a 21 specie diverse. Il piatto viene servito con crostoni di pane fritti. La Quatàra è conosciuta anche come zuppa di pesce gallipolitana.
La zuppa di pesce siciliana prevede un’aggiunta di olive nere e di capperi al sughetto; in provincia di Catania, viene aggiunto anche un pugnetto di uva passa precedentemente ammollata. 
In Sardegna il brodino succulento in cui si è cotto il pesce viene usato per lessare la fregola, un tipo di pasta di semola di grano duro che si può assimilare ad un cous cous a grana grossa. Così la fregola in brodo di pesce diventa il primo piatto e il pesce diviene il secondo.
La zuppa di pesce napoletana ha delle indicazioni molto precise riguardo ai pesci da utilizzare: immancabili sono scorfano, tracina e lucerna; si può fare a meno di gallinella o di pescatrice; a scelta possono essere aggiunti grongo oppure murena, piccoli calamari e polpo, molluschi ma sono se freschi e “veraci”. 
Nel Lazio l’unica zuppa di pesce degna di nota è quella civitavecchiese, sfumata con il vino rosso e composta da una moltitudine di piccoli celenterati, crostacei e molluschi e l’aggiunta di scorfano e palombo.
 
Un discorso a parte merita il cacciucco livornese, vera e propria allegoria di un popolo. Negli ultimi anni del XVI secolo i Medici decisero di trasformare il piccolo villaggio di Livorno, sorto ai piedi della fortezza di Matilde, in una potenza mercantile. Emanarono le leggi Livornine (1590-1603) con le quali invitavano i
Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnoli,
Portoghesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni,
Persiani
a stabilirsi a Livorno con la promessa di avere un alloggio o
un magazzino o una bottega dove poter svolgere la propria attività e che
garantivano anche la cancellazione dei debiti, l’esenzione dalle tasse e
l’annullamento delle condanne penali. Da quel momento Livorno divenne ante litteram una città cosmopolita e multirazziale, ben rappresentata dalla mescolanza di pesci che compone il suo piatto più tipico, il cacciucco. Il pesce e il suo sugo vengono deposti su fette di pane abbrustolito ed agliato, che pare rappresenti un must per tutte le zuppe di pesce d’Italia.
Risalendo la penisola arriviamo alla Liguria e non si può concludere questo viaggio saporito, prima di aver assaggiato il ciuppin; il nome deriva da suppin, zuppetta, ma ha un suono bellissimo e onomatopeico che ricorda il pucciare del pane in questo sughetto succulento. Viene preparato in tutta la Liguria ed ogni famiglia ne possiede una ricetta personale.  A Ponente i pomodori pelati sostituiscono i pomodorini freschi ed il soffritto iniziale viene fatto con carota,sedano, aglio e cipolla.
A questo punto vi chiederete che ricetta ho usato io per la mia zuppa. Una ricetta non ce l’ho, ma a guardar bene è un miscuglio di tutte queste usanze. 
Per prepararla armatevi innanzitutto di pazienza, non solo perchè necessita di diversi passaggi, ma fin dal momento in cui andate al mercato per comprare il pesce, perchè “siete solo in due e no, non vi serve un chilo per ciascuna varietà di pesce che avete deciso di utilizzare”!
La mia versione è molto semplificata, in pratica si tratta di pulire le diverse varietà, preparare un fumetto di pesce, preparare il sughetto di pomodoro e infine cuocere il pesce.

La ricetta: Zuppa di pesce 
250 g pomodori pelati
uno spicchio d’aglio
un peperoncino secco
vino bianco
300 g tra vongole e cozze
una decina di mazzancolle
3/4 seppioline medie
2 filettini di gallinella
1 nasellino
(di norma 2 piccoli scampi o 2 gamberoni per far scena) 
fette di pane casareccio
aglio
Ho fatto spurgare le vongole immergendole in acqua salata e raschiato il guscio delle cozze. Poi ho fatto aprire entrambe in una grossa padella su fuoco vivace, conservando il fondo di cottura, (filtrandolo dalla sabbia, se occorre).
Ho preparato il fumetto di pesce, mettendo in acqua le teste delle mazzancolle e gli scarti del pesce, coprendoli d’acqua e portandoli a bollore con un rametto di prezzemolo e 1 spicchio d’aglio. Ho lasciato bollire per mezz’ora e poi ho filtrato il tutto ed unito al fondo di cottura dei molluschi.
In una pentola ho rosolato un grosso spicchio d’aglio e il peperoncino in 4 cucchiai d’olio, poi ho aggiunto il pomodoro tagliato a pezzetti. Ho aggiunto un po’ di brodo di pesce e fatto cuocere ed insaporire per circa mezz’ora. Poi ho aggiunto il pesce cominciando dalle seppie, che necessitano di una cottura più lunga, per finire con i crostacei e i molluschi.
Ho regolato di sale e aggiunto il prezzemolo tritato cinque minuti prima di spegnere il fuoco e servire.
Ho accompagnato con fette di pane tostato, strofinato con aglio e bagnato da un filo d’olio crudo.

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Il primo #socialchefpiemonte con Walter Ferretto de Il Cascinale Nuovo di Isola d’Asti

#socialchefpiemonte non è solo un hashtag, ma rappresenta un inizio: chef stellati e non che si avvicinano con consapevolezza ai nuovi strumenti social per comunicare la loro idea di cucina e i prodotti che prediligono usare. 
Il primo è stato lo chef stellato Walter Ferretto (su Twitter @FerrettoWalter) del ristorante Il Cascinale Nuovo di Isola d’Asti, grazie all’iniziativa di Carlo Vischi, della BITEG, Borsa Internazionale del Turismo Enogastronomico, e di noi foodblogger che abbiamo amplificato il messaggio su Twitter, Instagram e Facebook
All’inizio Ferretto, che ci ha accolto con grandissima cortesia, era un po’ scettico sull’utilità di questi mezzi di comunicazione. Gli stessi produttori a cui abbiamo fatto visita con grande curiosità e golosità, hanno risposto nello stesso modo alla domanda “avete un profilo Twitter o Facebook?”: <<sì, ma non abbiamo molto tempo per seguirlo>> Come se la comunicazione social non fosse, grazie alla sua intrinseca interattività, un sistema efficacissimo per entrare in contatto con i consumatori.
Durante la due giorni di Isola d’Asti, Walter Ferretto ha avuto modo di ricredersi, vedendo le risposte dei followers, che non aspettavano altro che uno spunto per mettersi in contatto con lui.
Qui, qui e qui trovate gli storify redatti grazie al live-twitting.
Qua sotto parte il riassunto fotografico dell’esperienza del primo #socialchefpiemonte, con tutte le golosità degustate e un percorso delineato che avrà interessantissimi sviluppi per la crescita del turismo enogastronomico nella nostra regione.All’arrivo al Cascinale Nuovo si inizia con il pranzo: una meraviglia di bagna caoda con l’aj ‘d Caraj, il famoso aglio di Caraglio, e tante deliziose verdure fresche.

 
Nel pomeriggio la visita alla torroneria e cioccolateria Davide Barbero, tra torrone, uova di Pasqua e  una storia iniziata nel 1883 e che prosegue ancora oggi con la stessa cura.
 

  

 

 

 
 
 
 

La giornata prosegue da Elio Perrone, una storia che si declina lungo quattro generazioni di viticoltori, dalla fine dell’800 ad oggi. Si produce in massima parte moscato, ma anche Barbera d’Asti. Assolutamente da assaggiare il Gi, da uve Chardonnay e Moscato, un vino dagli aromi freschi, perfetto con un antipasto di pesce o di verdure.

 

Al ritorno al Cascinale Nuovo, lo show cooking di Walter Ferretto, tra plin e papi in elezione, turcet e tweet… poi la cena. Piatti deliziosi e curati, frutto dell’esperienza e dell’amore di Walter per i prodotti del territorio.

 
 

 

 

 
 
Il giorno seguente si parte con la visita a Il Tonchese di Agostino Renzo Artuffo, allevatore di galletti e gallinelle in località Tonco d’Asti. Anche qui possiamo sentire la stessa passione per le cose fatte con cura e nel rispetto dei ritmi di natura. 
 
 
 
Concludiamo questa due giorni con un appuntamento dolcissimo presso la pasticceria Daniella di Asti. Un piccolo laboratorio artigiano dove ogni giorno Raffaella e Daniela, amiche da una vita, sfornano delizie. Mi faccio conquistare dalla Nocciolla, sofficissima torta di nocciole, e dai pasticcini con amarena e pasta di mandorle, ma anche il salato è sublime.
 
 
Se volete approfondire ulteriormente il discorso su #socialchefpiemonte ci vediamo al Digital Festival, nell’ambito dei Digital Food Days, qui a Torino dall’11 al 19 maggio!!
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Zuppetta di fagioli con broccoli in pastella alla paprika

Mentre il calendario dice che siamo quasi alla metà di aprile, il termometro continua a segnare tutt’al più l’inizio di marzo. La piantina di lampone è interrata e ha già due germogli. I bulbi dei gladioli non li ho ancora messi in vaso, ma lo farò nel weekend…ammesso che il tempo cambi…nel frattempo io sono stufa di guardare con apprensione le previsioni meteo e qui si continua a cucinare cibi invernali.
Ieri ho comprato dei fiori per far entrare la primavera a casa mia, oggi il sole splende!! Che sia servito? Forse questo sarà l’ultimo piatto invernale per quest’anno… 😉
La ricetta: Zuppetta di fagioli con broccoli in pastella alla paprika
300 g di fagioli cannellini già lessati

1 spicchio d’aglio

1 foglia di alloro
olio evo
sale
paprika
200 g di cimette di broccolo
70 g di farina
100 ml di acqua ghiacciata
2 cucchiai di bianco d’uovo
olio di semi per friggere
Ho sbollentato le cimette di broccolo, conservando l’acqua di cottura; poi le ho messe da parte.
Ho fatto dorare leggermente lo spicchio d’aglio intero in un pentolino con un filo d’olio, poi ho aggiunto i fagioli e li ho fatti insaporire, bagnando dopo cinque minuti con qualche mestolo dell’acqua di cottura dei broccoli. Ho regolato di sale e di paprika e ho fatto proseguire la cottura per un quarto d’ora circa, senza far asciugare troppo la zuppetta.
Ho preparato la pastella con farina, acqua e albume, senza lavorarla troppo. Nel frattempo ho fatto scaldare un padellino profondo di olio di semi e vi ho fritto i broccoli, ben tuffati nella pastella.
Ho servito la zuppetta bollente con le frittelle di broccolo e una spolverata di paprika.
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Insalatina di petto di tacchinella al profumo di agrumi, con il mandarino Pepino

La primavera quest’anno si sta facendo attendere e sinceramente la voglia di cucinare piatti più freschi e leggeri comincia a farsi sentire. Così ho approfittato di una rara giornata asciutta, in questo inizio aprile di pioggia battente, per preparare una fresca ed aromatica insalata di petto di tacchino, con il profumo di erbette aromatiche e agrumi. 
Il tocco in più è dato, naturalmente, dal mandarino Pepino, il sorbetto di mandarino, racchiuso in una vera scorza di mandarino. 

Assaporandolo da solo si trova nel cucchiaio un’esplosione di mandarino, come mangiare il vero frutto, con la stessa dolcezza e le note agrumate, ma in una consistenza vellutata; di complemento ad un piatto salato si è rivelato davvero sorprendente!

La ricetta: Insalatina di petto di tacchinella al profumo di agrumi, con il mandarino Pepino.
200 g di petto di tacchinella
1 limone
1 arancia
1 mandarino Pepino
salvia, timo, alloro
1/2 cipolla
1/2 carota
1/2 patata
olio
sale
pepe
1 cucchiaino di maizena
Per prima cosa ho preparato il brodo con le verdure, le erbe aromatiche, sale e olio. Quando il brodo era aromatico al punto giusto, vi ho fatto lessare il petto di tacchino per alcuni minuti.
L’ho lasciato raffreddare nel suo brodo, poi l’ho affettato finemente.
Ho mescolato il succo di mezzo limone, di mezza arancia ed alcuni cucchiai di brodo, aggiustanto di sale e pepe. Ho aggiunto un cucchiaino di maizena e rimesso il tutto sul fuoco, mescolando con cura, per non formare grumi. Raggiunta una consistenza di salsa, ho spento il fuoco ed aggiunto un cucchaio di sorbetto al mandarino Pepino. Ho distribuito questa salsina sul tacchino a striscioline aggiungendo un poco di timo e un filo d’olio evo crudo ed ho lasciato insaporire per una mezz’ora. Ho poi portato in tavola, decorandoil piatto con piccole palline di sorbetto al naturale e la scorza del mandarino. 

 
Aggiornamento: scopro solo ora chi è Ivana Di Martino e il suo ambizioso progetto di una corsa lungo tutto lo stivale, 21 mezze maratone in 21città italiane in 21 giorni consecutivi, per far sentire la propria voce a tutte le donne vittime di violenza che non riescono ad alzare la testa e a tutte coloro che hanno un sogno e non il coraggio per provare a realizzarlo. 
La tappa di Torino partirà domani alle 11 da piazza Carignano, quindi se volete approfittarne per mangiare un mandarino da Pepino e poi conoscere questa donna straordinaria, sapete dove andare.
I fondi che riuscirà a raccogliere, tolte le minime spese di viaggio, verranno devoluti a DoppiaDifesa.
Sul blog 21 Volte Donna dove racconta giorno per giorno questo viaggio.
Se volete leggere qualcosa di più su questa donna e sulla sua sfida, potete cliccare qui.
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Tra colombe e moscato, a Mango per Dolce di Natura

Travolta da un un trasloco, che si protrarrà tra le mura domestiche ancora per qualche settimana, tra scatoloni da svuotare e mobili da montare, avevo non ho ancora avuto occasione di raccontare cosa è successo a Mango il 10 e 11 marzo.
Si è svolto Dolce di Natura, un gustosissimo incontro tra il Moscato d’Asti DOCG, il re dei vini dolci, e la colomba artigianale preparata con lievito madre. 

Ecco, scordate l’approssimativa parvenza di morbidezza delle colombe prodotte industrialmente: la colomba di pasticceria si scioglie letteralmente in bocca, impossibile resistere!! Quelle che abbiamo potuto assaggiare a Mango, presso l’enoteca regionale Colline del Moscato erano assolutamente superlative, alcune profumate dall’aroma del moscato, altre arricchite dai marroni, un’esperienza da veri golosi.

Dopo la degustazione ho assistito alla conferenza stampa dedicata all’evento, condotta da Maria Bianucci. Il racconto di come il lievito madre vada seguito ed accudito con impegno e pazienza viene fatto da due oratori d’eccezione i pasticceri Achille Brena e Sergio Conti. Dalle loro parole traspare la dedizione con cui hanno sempre svolto il loro lavoro: il lievito madre è vocazione ed Achille Brena ne possiede uno di 130 anni, che lui accudisce da oltre 50 anni. Dall’amore per le cose fatte con cura è nato Pa”lin, una vera e propria scuola del lievito naturale che insegni all’utilizzo della pasta madre nelle creazioni di pasticceria e panetteria.
Parlando di colomba non si può non parlare di Moscato, un giro di 100 milioni di bottiglie prodotte nei 52 comuni del Moscato d’Asti ed esportate in tutto il mondo.

Il moscato un tempo si abbinava a salame cotto, robiola e bagna caoda, perchè quelli erano i cibi consumati in cascina, dunque era un vino strettamente legato al territorio, ora porta l’eccellenza piemontese in giro per il mondo.
Ad affiancare il discorso enogastronomico, la straordinaria mostra di Sandro Chia. L’artista espone all’Enoteca Regionale Colline del Moscato, per tutto il mese di aprile, la serie di dipinti ispirati a La Malora di Beppe Fenoglio, che proprio in queste zone visse e scrisse, nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario della sua morte.
La cena dedicata ai produttori si è svolta al ristorante “Campagna Verde” di Castiglione Tinella. Ingredienti della tradizione piemontese hanno trovato un volto nuovo e una presentazione d’eccezione nei piatti preparati per noi dallo chef Massimo Arione. In abbinamento abbiamo potuto assaggiare gli altri vini dei produttori del Moscato, Dolcetto, Barbera, Nebbiolo ed altri. 

Dopo la cena io ho avuto il piacere di pernottare presso l’agriturismo Finestre di Langa, presso l’Azienda Agricola Cerrino, di Sergio Cerrino, uno dei produttori. L’agriturismo si trova nell’assoluta tranquillità di Trezzo Tinella in località Cappelletto, con solo tre ampie e gradevoli stanze e un’atmosfera piacevolmente semplice e familiare. 
Il risveglio è stato allietato da una colazione deliziosa, con la torta di nocciole della padrona di casa, e con lo sciogliersi lento della bruma sull’arco delle colline di Langa.
Il signor Sergio mi ha fatto visitare la cantina, ma è arrivato presto il momento di partire alla volta di Neive, con la speranza di tornare presto per degustare i suoi vini.
Ad aspettarci un’appendice piacevolissima di Dolce di Natura con la lezione tenuta da Achille Brena e Sergio Conti alla Scuola dell’Arte Bianca di Neive, dove i due Maestri hanno parlato ai ragazzi, i pasticceri di domani, trasmettendo loro la propria passione. 
L’evento Dolce di Natura si è rivelato una splendida occasione per approfondire tematiche di grande interesse legate al territorio delle Langhe, anche fuori dai soliti circuiti.
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Buona Pasqua con la Pastiera Cilentana

Il primo post dopo il trasloco…vi saluto così, con l’immagine della Pastiera cilentana, detta anche Pizza di Riso. Il ripieno è a base di riso cotto nel latte, al posto del grano che si trova nella classica pastiera.
La superificie non è decorata da strisce di pasta frolla, ma da uno strato uniforme di frolla, nel quale vengono infilzate delle foglioline di ulivo benedetto, con la funzione di sfiatatoi per permettere la cottura del ripieno, e con un evidente significato rituale.
Buona Pasqua a tutti coloro che in questi giorni passeranno da qui! 😉

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#Made in To la visita alla Pastiglie Leone

Se vi chiedessero di tornare bambine per un giorno? Poi se questa occasione vi venisse offerta proprio il giorno della Festa della Donna, chi direbbe di no?

E così ho accolto con grandissimo entusiasmo la possibilità di visitare finalmente la Fabbrica delle Pastiglie Leone
Già dall’anno scorso era possibile partecipare ad alcuni tour guidati alla scoperta delle mitiche pastigliette e di altre aziende del teritorio torinese.
Quest’anno Turismo Torino rilancia ed offre, con Made in Torino, un carnet di scelta sempre più ampio per andare a curiosare nei marchi storici della provincia.
Non si poteva che cominciare in dolcezza ed eccoci dunque in partenza, folta schiera di donne curiose (e golose), alla volta di Collegno, dove in un unico stabilimento prendono vita dolcezze indescrivibili. 

 
Fin da subito quel che più balza agli occhi – e al cuore – è l’attaccamento all’azienda e la difesa di una storia di famiglia, in cui Daniela Monero, che ci accompagna nella visita, è la protagonista assieme al suo defilato, ma attentissimo, papà.
Così tra antiche scatole di latta, passate in chissà quali mani di golosi del secolo scorso, Daniela ci racconta la storia delle Pastiglie Leone che comincia ad Alba ad opera di Luigi Leone. Quasi subito l’azienda viene spostata a Torino perchè possa diventare fornitrice della Real Casa. Così accade, e famosa è la storia che vede un pensieroso Cavour prendere le più importanti decisioni politiche gustando la caramella gommosa Leone alla violetta.

Prima di diventare capitale d’Italia, Torino diventa capitale della pasticceria e confetteria, e conserva questo titolo ben più a lungo.
La famiglia Leone, però, dopo alcuni anni di successi, decide, nel 1934, di prendere altre strade e di vendere l’azienda. Chi subentra nella proprietà e nella gestione è Giselda Balla Monero, una delle prime imprenditrici italiane, la nonna di Daniela, detta anche La Leonessa. La Fabbrica delle Pastiglie Leone, nell’antica sede di corso Regina, raggiunge subito un più fulgido splendore e lo mantiene; il merito va a scelte oculate ma ardite, come i primi investimenti in pubblicità e in fidelizzazione della clientela.

Dalla storia alla cura di oggi c’è stato solo un salto temporale. La fabbrica è stata spostata a Collegno per far spazio al sogno del signor Monero di ricominciare la produzione del cioccolato. Il sogno si è realizzato e nella più alta espressione possibile.

Oggi, come all’inizio della storia di questa fabbrica delle meraviglie, vengono utilizzati ingredienti di primissima scelta. Solo gomma arabica e gomma adragante per le pastiglie, tanto zucchero, oli essenziali, estratti direttamente dai frutti e piante, e coloranti naturali.

Il cioccolato viene fatto con il cacao migliore, che viene lavorato a partire dalla fava, proveniente dal Centro America e da Sao Tomé; viene utilizzato solo zucchero di canna e vaniglia proveniente dal Messico. E per il cioccolato al latte si usa il latte fresco, non quello in polvere, e all’assaggio questa scelta, per certi versi faticosa perchè complica la lavorazione, si sente e si gusta!

Vestite di impermeabili di carta bianca, con cuffia e calzari, abbiamo religiosamente sfilato davanti a tutte le macchine in produzione. Daniela ci ha spiegato per filo e per segno ogni momento di ogni diversa produzione. 

Siamo state avvolte dal profumo del ribes e dell’arancia e potuto assaggiare l’impasto ancora caldo delle pastigliette e delle drops. 

Abbiamo visto fare colorate gelatine di frutta con il vero succo di frutta, abbiamo visto nuvole di amido che danno forma ai golosi fondant. 

Abbiamo assaggiato la fava di cacao e ci siamo affacciate nelle macchine per il concaggio, che rendono il cioccolato dolce e aromatico con pochissima aggiunta di burro di cacao, semplicemente cullandolo per più di 60 ore.

Abbiamo guardato con ammirazione le mani di tante donne, che lavorano alla Fabbrica delle Pastiglie Leone, che scelgono, selezionano ed incartano, intimidite dai nostri occhietti curiosi e dalle tante macchine fotografiche.

Siamo uscite con le borse cariche di acquisti, un po’ più felici, ed io ancora più orgogliosa di far da ambasciatrice all’eccellenza torinese.

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La mia #MerendaReale a Palazzo Chiablese

Lo scorso sabato pomeriggio ho avuto l’occasione e l’onore di partecipare ad una sfarzosa merenda a Palazzo Chiablese.
 
Non tutti conoscono questo Palazzo nel centro di Torino, che si affaccia sulla piazza del Duomo ma che risulta di fatto un po’ defilato rispetto a Palazzo Reale, Palazzo Madama e Palazzo Carignano, fulcro della vita della capitale del regno dei Savoia a partire dagli sfarzi seicenteschi.

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Coppette di pastafrolla per il gelato alla frutta Pepino e La Magia Del Bianco

Chissà se capita anche a voi di perdervi su Pinterest, passando da un’immagine all’altra, tra cucine retrò e grandi saloni in bianco, ampiamente finestrati, dove regnano la luce e i colori pastello e tanti oggetti dall’aria piacevolmente vissuta.
Se vi piace l’arredamento shabby chic non potete mancare di conoscere Mari e Cinzia, le simpaticissime padrone di casa dei blog CreaMariCrea e LaGattaSulTetto; sulle loro pagine condividono già da qualche anno, con grandissima eleganza, la loro passione, e dalla loro amicizia e collaborazione è già uscito un libro sull’argomento, La Magia del Bianco, per il quale hanno girato l’Italia alla ricerca dei migliori esempi di arredamento shabby presenti nella nostra penisola.
Dal libro è nata anche l’idea per un nuovo blog, La Magia del Bianco, e una rivista trimestrale, con lo stesso nome, uno spazio comune che diventa atelier virtuale e reale. 

Io ho avuto l’occasione di conoscere Mari e Cinzia il 22 febbraio; ci siamo incontrate alla Gelateria Pepino di piazza Carignano, dove erano intente a fotografare le novità pasquali Pepino, davanti alla consueta clientela, molto incuriosita dalle macchine fotografiche, dai cavalletti e dalle lenzuola bianche, stese per creare un candido sfondo…
Io le ho raggiunte con un’idea semplicissima, delle coppette di pastafrolla da riempire con il gelato Pepino alla frutta. Mari, dopo i suggerimenti e gli ultimi tocchi dati da Cinzia, ha fotografato le mie creazioni e la ricetta dolce-salata di Laura

Le foto delle mie coppette sono finite sul primo numero della loro rivista, ricca di spunti per la Pasqua imminente; la potete scaricare gratuitamente a questo link e rifarvi gli occhi:
Qui sotto, invece, trovate la mia ricetta con le bellissime foto scattate da Mari.
 
La ricetta: Coppette di pasta frolla per il gelato Pepino alla fragola e alla mela verde
Per 6/8 coppette:
200 g di farina 00
85 g di zucchero
85 g di burro
la buccia grattugiata di un limone non trattato
2 tuorli d’uovo
1 pizzico di sale
latte
½ cucchiaino di lievito per dolci
coloranti per alimenti
Mettere la farina in una ciotola, mescolarvi lo zucchero, il lievito e la buccia del limone. Tagliare il burro freddo a cubettini e impastarlo con la farina, ottenendo un composto sabbioso. Aggiungere i tuorli, con un pizzico di sale, e creare un impasto, aggiungendo man mano qualche cucchiaino di latte, fino a riuscire a formare una palla liscia. Non lavorare troppo l’impasto e metterlo a riposare in frigorifero, in una ciotola coperta, per almeno un’ora.
Trascorso questo tempo, imburrare e infarinare alcuni ramequin da soufflé e foderarli con la pasta stesa sottile; formare il bordo pizzicandolo e mettere in ciascuno un foglietto di carta forno con una manciata di fagioli, in modo che la frolla non gonfi e non si deformi.
Infornare per 15 minuti a 170° gradi, poi togliere i fagioli da tutti i ramequin e far proseguire la cottura per altri 5-10 minuti, finchè il bordo non sarà ben dorato.
Far raffreddare le coppette così ottenute, e toglierle dallo stampo con molta delicatezza per non romprerle; poi dipingerle con i colori per alimenti. Si possono disegnare pois, quadretti o quello che suggerisce la fantasia.
Deporre sul fondo di ciascuna coppetta qualche cubetto di frutta, colmare con palline di gelato Pepino dello stesso gusto della frutta e decorare in superficie con fettine di frutta. Si può aggiungere anche un filo di cioccolato fuso, o granella di mandorle o nocciole, o solo un cucchiaino colorato…