ai fornelli, ricette tradizionali

Semolini dolci fritti: semplici golosità

Una ricetta della tradizione, immancabile nel fritto misto alla piemontese, ma che scopro essere diffusa in altre parti d’Italia. D’altronde gli ingredienti sono di una semplicità assoluta, il semolino, il latte, lo zucchero, la buccia del limone.
 
Ecco la ricetta dell’Artusi che val la pena leggere già solo per il suo lessico affascinante:
170. Fritto di Semolino
Semolino di grana fine, grammi 70 a 80.
Latte, decilitri 3.
Uova, n. l.
Zucchero, tre cucchiaini.
Burro, quanto una noce.
Sale, un pizzico.
Odore di scorza di limone.
Ponete
il latte al fuoco col burro e lo zucchero e quando comincia a bollire
versate il semolino a poco a poco, girando in pari tempo il mestolo.
Salatelo e scocciategli dentro l’uovo; mescolate e quando l’uovo si è
incorporato levate il semolino dal fuoco e distendetelo sopra a un
vassoio unto col burro o sulla spianatoia infarinata, all’altezza di un
dito. Tagliatelo a mandorle e mettetelo prima nell’uovo sbattuto poi nel
pangrattato fine e friggetelo. Spolverizzatelo di zucchero a velo, se
lo desiderate più dolce, e servitelo solo o, meglio, per contorno a un
fritto di carne.

 
Io normalmente non metto l’uovo all’interno, e faccio riposare in infusione le bucce di un limone bio nel latte caldo. 
Appena fatti sono croccantissimi, con quel dolce che appena si sente. Una coccola che sa di antico.
 
La ricetta: Semolini dolci fritti
250 ml di latte intero
50 g di semolino
25 g di zucchero
la buccia di un limone
1 uovo
pangrattato q.b.
sale
olio per friggere q.b.
zucchero semolato per guarnire q.b.
 
Per prima cosa prelevare la buccia del limone con un pelapatate. Metterla nel latte e farlo scaldare. Lasciar riposare il latte così per mezz’ora.
Riaccendere il fuoco e, quando il latte è caldo, aggiungere lo zucchero e farlo sciogliere. Quando il latte bolle, togliere le bucce di limone e versare a pioggia il semolino; mescolando, far cuocere e addensare per cinque minuti. Aggiungere 1/2 uovo sbattuto amalgamando all’impasto.
Versare il semolino così ottenuto in un piatto o una teglia rettangolare unta d’olio, dell’altezza di 1,5-2 cm e pareggiarlo con il dorso di un cucchiaio bagnato in acqua fredda.
Lasciar raffreddare e rassodare, anche tutta la notte. 
Tagliare il semolino a losanghe, passarle nell’uovo e poi nel pangrattato e friggere finchè non sono dorate.
Cospargere di zucchero semolato.
 

 

ai fornelli, ricette tradizionali

Ābolu pankūka per l’Abbecedario Culinario

La ricerca di una ricetta per l’Abbecedario Culinario che questo mese fa tappa in Lettonia, ospite del blog di Brii, non è stata semplice.
La cucina lettone è contaminata da quella dei paesi limitrofi,e non è semplice capire se una ricetta sul web proviene davvero dalle tradizioni di questa terra o è frutto di contaminazioni recenti. In compenso, una certezza: ho letto ovunque che in Lettonia si mangia benissimo e che i suoi abitanti sono dei veri buongustai, ragione di più per me, che sono attratta dai paesi del Nord Europa, di visitarla presto.
Le ricette veramente tradizionali in cui sono incappata erano quasi tutte
a base di patate e con i giorni di primavera che questo marzo
ci ha già regalato avevo voglia di qualcosa di più fresco.
Alla fine, come spesso accade la ricetta l’ho scelta per golosità: mele, cannella e cardamomo… ed ero già conquistata! 
Il blog da cui ho preso la ricetta è questo e, viaggiatori dell’Abbecedario Culinario, vi consiglio di dargli un’occhiata perchè la sua autrice ha cucinato e condiviso 195 ricette da 195 paesi diversi in 195 settimane e la sua bimba ha assaggiato i 195 piatti in questione, prima di compiere 5 anni. Non proprio tutti i piatti sono stati di suo gradimento: guardate il video! 😀 
Ma l’iniziativa è nata per offrire un messaggio di pace globale al mondo: Hungry for Peace. Eat Global, Shop Local. 
In Lettonia ci sono molti dolci tradizionali a base di mele. Queste frittelle sono una via di mezzo tra i pancakes anglosassoni, le crêpe francesi e i blinis russi.
Le mele che le completano sono ovviamente speziate, con la cannella e con un tocco di cardamomo, molto utilizzato a queste latitudini.
L’autrice del blog ci dice che i lettoni mangiano spesso questo piatto a colazione, servito caldo e accompagnato da yogurt e miele o confettura.
La ricetta: Ābolu pankūka


1 mela croccante (o anche 1 e mezza)
poche gocce di succo di limone
1/2 cucchiaino di cannella
1/2 cucchiaino di cardamomo
25 g di zucchero
3 uova
28 g di burro
da 120 a 240 ml di latte (da aggiungere gradualmente)
125 g di farina
1 pizzico di sale
burro per cuocere
Pelare e affettare finemente la mela con la mandolina. Spruzzarla con qualche goccia di succo di limone perchè non annerisca e cospargerla di spezie e di zucchero.
Sbattere le uova con la farina e il pizzico di sale formando una pastella liscia. Aggiungere il burro sciolto e gradualmente il latte a filo fino a raggiungere una consistenza più liquida dei pancakes e più densa delle crêpe.
Aggiungere le mele e cuocere da entrambi i lati in una padella unta di burro finchè non sono dorate.
Qualche consiglio:
– io ho dimezzato le dosi, ma la mela l’ho messa tutta, perchè si sentisse un po’ di più sotto i denti; 
– se non trovate il cardamomo in polvere o se non riuscite a tritarlo, scaldate il latte con i semini, e poi filtratelo;
– io ho allargato queste frittelle su tutta la superficie del padellino ma vi consiglio di farle più piccole e magari più spesse;
– ho completato con yogurt bianco e miele; ci sta bene anche qualche semino (di lino o di girasole).

Questa ricetta va dritta dritta ad arricchire la raccolta dell’Abbecedario Culinario per la Lettonia.

lievitati, pane&co, ricette tradizionali, storia & cultura

Per la Giornata Internazionale della Donna, una donna straordinaria e le ruote della bicicletta. Annie Londonderry , la bicicletta, i bagels.

In occasione della Giornata Internazionale della Donna, e perchè le donne in gamba non si festeggino solo un giorno all’anno, ho deciso di condividere qui l’iniziativa di Momondo.it, motore di ricerca comparativo per voli low cost e hotel. 

 
Momondo ha elaborato questa infografica in cui vengono presentate 10 donne avventurose che con i loro viaggi hanno rivoluzionato la storia femminile e il modo di scoprire il mondo.
 
Non potevo fermarmi a condividere solo l’immagine: ho scelto una di queste personalità, quella che più mi ha colpito, e sono andata a cercare qualche informazione in più sulla sua storia.
 

Le donne avventurose della storia

 
Prima di scoprire di chi si tratta (…più sotto…) date un’occhiata all’infografica di Momondo e, se vi va, condividete le vostre avventure di viaggiatrici su Twitter con l’hashtag #momondoexplorers.
 
 
 

Annie Londonderry

La mia scelta è caduta su Annie Cohen Kopchovsky, soprannominata, in seguito alle sue avventure, Annie Londonderry.

 
 
Annie Cohen era di famiglia ebraica. Nata a Riga, in Lettonia, nel 1870, emigrò negli Stati Uniti a soli 5 anni. Nel 1888 era già sposata con Max Kopchovsky e nei quattro anni seguenti ebbe da lui 3 figli.
 
Fin qui tutto in linea con la società vittoriana in cui era stata educata; poi la svolta che iniziò con una scommessa.
Impazzava la moda dei “giri del mondo” e al club di Boston due ricchi signori ipotizzarono che nessuna donna sarebbe stata in grado di emulare il giro del mondo in bicicletta compiuto alcuni anni prima da Thomas Stevens. Annie accettò la sfida e la società delle Acque Minerali Londonderry le offrì 100$ e una bicicletta per mettere un loro cartello pubblicitario sulla bici e portarlo in giro per il mondo. Ma la scommessa non prevedeva solo il viaggio da compiere in 15 mesi, ma anche guadagnare in rotta 5000$: una donna in balia di sé stessa che doveva ribaltare completamente il modo di pensare dell’epoca e che avrebbe suscitato anche un certo scandalo.
 

Il viaggio

Il 25 giugno 1894 Annie, davanti alla Massachusetts State House di Boston salutò una piccola folla di amici, parenti, sufraggette e curiosi e si allontanò su Beacon Street traballante in sella alla sua bici “42 pound Columbia”, sulla quale aveva imparato ad andare da pochi giorni: il suo bagaglio era un ricambio di abiti, una pistola dall’impugnatura di madreperla e un gruzzoletto di 5cent al giorno per il cibo.
 
Annie abbandonò presto gli abiti femminili (avete presente i rigidi busti
vittoriani?) per una tuta da lavoro da uomo e fece rotta su New York.
 
Giunta a Chicago si accorse che percorrere il viaggio intorno al globo da quel lato sarebbe stata una sfida contro il freddo e quindi tornò a New York e si diresse verso l’Europa. Approdò a Le Havre e percorse la Francia fino a Marsiglia. Poi toccò l’Egitto e poi Gerusalemme e lo Yemen (in molti paesi del Medio Oriente la bici è negata alle donne ancora oggi); poi fece rotta per Singapore, Hong Kong, Shangai, Nagasaki, Kobe, Yokohama prima di imbarcarsi attraverso il Pacifico per tornare in America. A ogni tappa si fece fare una firma dal console degli Stati Uniti, per dimostrare di aver compiuto tutto il viaggio.
 
 
Non le mancò l’iniziativa e la faccia tosta e per guadagnare i 5000$ fece un’abile e sfacciata promozione di se stessa: si fece fotografare a pagamento accanto o in sella alla sua bici, assieme al cartello Londonderry, diventando per tutti “Annie Londonderry” e raccontò da attrice consumata le mirabili avventure successe durante il suo viaggio.
 
Dopo aver toccato Los Angeles, El Paso e Denver, il 24 settembre 1895 era nuovamente a Boston. Nonostante alcune critiche mosse dall’opinione pubblica, per aver usato più di una bicicletta per il suo viaggio, il 20 ottobre 1895, il New York World – il giornale dell’editore Joseph Pulitzer – definì la sua impresa come “the most extraordinary journey ever undertaken by a woman”, il più straordinario viaggio mai compiuto da una donna.
 

Dopo il viaggio Annie si trasferì a New York con tutta la sua famiglia: scrisse per diversi mesi sul New York World nella rubrica New Woman, cominciando a raccontare il suo viaggio attorno al mondo.  

«Sono una giornalista e una donna nuova» scrisse, «e questo termine significa che credo di poter fare qualsiasi cosa che ogni uomo può fare.»
 
La sua fama passò presto ma, riscoperta negli anni ’90, divenne un’icona per le comunità lesbiche americane. 
 
E invece la signora Annie Londonderry è un’icona per tutte le donne.
 
[fonti e credits immagini: http://en.wikipedia.org,  http://annielondonderry.com]
 

I bagels per Annie

Annie era di origine ebraica, per lei ho preparato i bagel, i panini askenaziti con il buco al centro, gonfi e tondi come le ruote di una bicicletta.
 
 
 La ricetta è qui: —-> bagels

 

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Per la Giornata Internazionale della Donna, una donna straordinaria e le ruote della bicicletta. Annie Londonderry , la bicicletta, i bagels." class="facebook-share"> Per la Giornata Internazionale della Donna, una donna straordinaria e le ruote della bicicletta. Annie Londonderry , la bicicletta, i bagels." class="twitter-share"> Per la Giornata Internazionale della Donna, una donna straordinaria e le ruote della bicicletta. Annie Londonderry , la bicicletta, i bagels." class="googleplus-share"> Per la Giornata Internazionale della Donna, una donna straordinaria e le ruote della bicicletta. Annie Londonderry , la bicicletta, i bagels." data-image="" class="pinterest-share">
ai fornelli, ricette originali

Triangolotti di farina di farro con radicchio e gorgonzola

Quest’oggi non ci perdiamo in chiacchiere ed andiamo dritti alla ricetta.
Una sfoglia consistente e rustica a base di farina di farro racchiude un ripieno di gorgonzola e radicchio, reso omogeneo dalla ricotta. A completare il piatto, burro fuso, aromatizzato all’aglio, con una cascata di noci sbriciolate.

La ricetta: Triangolotti di farina di farro con radicchio e gorgonzola
per la sfoglia:
150 g di farina di farro
75 g di semola di grano duro Senatore Cappelli
per il ripieno:
1/2 cespo di radicchio tondo (da cotto ne ho prelevato 80 g)
100 g di gorgonzola
50 g di ricotta
1 tuorlo
1 spicchio d’aglio
1 cucchiaio d’olio
sale
per il condimento:
1 noce di burro a persona
2 noci a persona
1 spicchio d’aglio a persona
Preparare l’impasto per la sfoglia, miscelando le due farine con un pizzico di sale un poco d’acqua tiepida. Lavorare bene l’impasto finchè non è sodo ma perfettamente liscio. Coprire con una ciotola e far riposare una mezz’ora.
Pulire e tagliare finemente il radicchio. Farlo saltare in padella per pochi minuti con l’olio, l’aglio e un pizzico di sale. Quando è tiepido unirlo al gorgonzola e alla ricotta scolata e formare un impasto omogeneo e asciutto. Assaggiare ed eventualmente regolare di sale (se il gorgonzola è quello piccante, non serve). Aggiungere il tuorlo e mescolare bene.
Stendere la sfoglia sottilissima, con il mattarello o fino allo spessore minimo con la macchinetta.
Ritagliare tanti cerchi del diametro di 6 cm e deporre al centro di ognuno una pallina di ripieno della grandezza di un’oliva.
Inumidire man mano qualche cerchio sul bordo. Per formare i triangolotti sollevare tre lembi dalla circonferenza e portarli verso il centro, poi unire tutti i bordi. (è più facile a vedersi che a spiegarlo!)

Portare a bollore l’acqua per la cottura della pasta.
Per il condimento, sminuzzare le noci al coltello. Far sciogliere il burro in padella con due spicchi d’aglio. Quando il burro spumeggia, togliere l’aglio ed aggiungere le noci. Spegnere il fuoco.
Cuocere i triangolotti al dente sono pronti, scolarli con una schiumarola e passarli in padella nel burro fuso prima preparato.

ai fornelli, lievitati, lievitati-dolci, ricette tradizionali, storia & cultura, uova e fritture

Para frittus, le frittelle a forma di frate Golose ciambelle fritte della tradizione sarda

Non potevo far passare il Carnevale di quest’anno senza regalarvi i parafrittus.
 
Erano un paio d’anni che mia madre esprimeva il desiderio di prepararli, prima di farsi prendere da altri propositi più salutisti e ripiegare su dolci al forno.

Read more

Para frittus, le frittelle a forma di frate Golose ciambelle fritte della tradizione sarda" class="facebook-share"> Para frittus, le frittelle a forma di frate Golose ciambelle fritte della tradizione sarda" class="twitter-share"> Para frittus, le frittelle a forma di frate Golose ciambelle fritte della tradizione sarda" class="googleplus-share"> Para frittus, le frittelle a forma di frate Golose ciambelle fritte della tradizione sarda" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2014/03/parafrittus_6.jpg" class="pinterest-share">
ai fornelli, al cucchiaio, dolci, storia & cultura

Pommes meringuées con uvetta e cannella per il mese di marzo in Normandia.

Per il calendario culinario La France à Table oggi viaggiamo fin nel nord della Francia.

La Normandia è considerata la culla dell’Impressionismo, non solo per Claude Monet, che vi soggiornò lungamente e la scelse per più di 40 anni ma perchè moltissimi altri pittori dell’epoca rappresentarono su tela i suoi paesaggi.
 
Gli storici dell’arte mettono agli albori dell’impressionismo il Déjeuner sur l’herbe di Manet, esposto al Salon des Refusée (dove venivano esposti i dipinti rifiutati dal Salon ufficiale) nel 1863.
Il dipinto  venne riproposto con una chiave diversa e con lo
stesso titolo dal giovane Monet nel 1865: il suo Déjeuner sur l’herbe
stacca nettamente dalla
pittura classica, anche se ancora lontano dalle pennellate di colore che
saranno il tratto distintivo della nuova corrente pittorica.
i due “Déjeuner” di Manet e di Monet
 
Claude Monet era nato a Parigi ma già nel 1845, a 5 anni, si era trasferito con la famiglia in un sobborgo di Le Havre, sull’estuario della Senna, in Alta Normandia, dove il padre gestiva una drogheria. 
Quasi subito Monet si sentì predisposto per la pittura di paesaggio en plein air, prima ancora che l’impressionismo venisse codificato. Nel 1859 si era trasferì a Parigi, incontrando tutti gli esponenti del circolo nascente, pittori, poeti e scrittori, che coloreranno almeno quattro radiosi decenni di Francia. Con alcuni, ad alterne vicende, si trovò anche a dividere lo stesso tetto, mentre il suo interesse per la resa della luce e la pittura di paesaggio venne influenzato dalla permanenza in Marocco, durante il servizio militare, e durante i soggiorni a Trouville, ad Argenteuil e a Londra. Qui ebbe anche la possibilità di studiare le opere di Turner e Constable, pittori romantici inglesi di paesaggio.
Nel 1874 era nuovamente a Parigi, quando si inaugurò la mostra del gruppo Societé anonyme des peintres, sculpteurs et graveurs, nello studio del fotografo Nadar, e qui Monet esponne la sua Impression, soleil levant, che diede il nome all’Impressionismo stesso. Pennellate di colore che sono luce, per un quadro dipinto che rappresenta proprio il porto di Le Havre all’alba.

Altri luoghi in Normandia conservano memoria di Monet.
A Giverny egli visse dal 1883 al 1926, in una bellissima casa con giardino che oggi è museo. Fare il confronto tra le fotografie e i suoi dipinti è emozionante:

 

A Rouen, la cittadina di origine medievale che vide la morte sul rogo Giovanna d’Arco, Monet dedicò una serie di sue opere alla cattedrale gotica, fino a produrre più di 30 tele, tra
il 1892 e il 1894
, e nel periodo più produttivo fino a 14 versioni diverse in un solo giorno, seguendo i cambiamenti indotti dal mutare della luce.

Un altro soggetto che incantò Monet, tanto da indurlo a rappresentarlo molte volte e farne oggetto di studio per la luce, furono le scogliere di Etretat.

E qui potete vedere la stessa scogliera in una fotografia recente:

 
La Normandia non è però solo un luogo dai paesaggi incantevoli, ma è tra le regioni francesi la maggiore produttrice di mele. Si conta una stima di 7 milioni di alberi di mele, come uno sterminato frutteto, che tra ottobre e novembre si colorano di frutti. Tra le varietà più note la Belle de Boskoop, la Cox Orange, la Jonagold, la Reine des Reinettes.

La mela è quindi molto utilizzata in cucina, ma è soprattutto la materia prima per la produzione della bevanda più diffusa. La Normandia è l’unica regione di Francia a non avere vigneti, qui si beve il sidro. C’è anche una Route du Cidre, circa 40 km che si snodano tra cantine e frutteti.

E se in Normandia il vino sta al sidro, la grappa sta al Calvados, profumatissimo distillato a base di sidro, che vanta una storia risalente al 28 marzo 1553, la prima citazione scritta del prezioso nettare. Non è leggenda il trou normand, narrato da Maupassant e da Flaubert, ovvero il bicchierino di Calvados da buttar giù tutto d’un fiato a metà dei luculliani pasti per scuotere lo stomaco e far posto ad altre vivande.
La Normandia è anche terra di qualitativamente importanti bovini da latte e di celebri e raffinati formaggi ed è la seconda produttrice francese di ostriche, ma la protagonista della ricetta di questo mese doveva essere la mela. Non in forma di tarte normande, la celebre crostata di mele e calvados, ma più semplicemente una mela meringata, semplicissima da preparare, un finepasto semplice e golosissimo.
 
La ricetta: Mele meringate all’uva passa e cannella

(per 4 persone)
2 mele grandi
10 g di burro
1 cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di cannella
4 cucchiaini di marmellata di mele
2 cucchiai di uva passa
1 bicchierino di Calvados (o in assenza brandy)

1 albume
30 g di zucchero

Tagliare le mele a metà, sbucciarle e togliere la parte centrale con i semi. Cospargerle di succo di limone.Mettere a bagno l’uvetta nel bicchierino di Calvados.
Mettere le mezze mele in padella con il burro e la cannella e farle cuocere coperte per 10 minuti, rigirandole spesso.
Scolarlele mele e disporle in una piccola teglia con il buco verso l’alto. Mettere in ogni cavità un cucchiaino di marmellata di mele e l’uva passa, scolata.
Scaldare il forno a 160°C.
Cominciare a montare a neve l’albume e, quando diventa schiumoso, aggiungere i 30 g di zucchero e finire di montare.
Disporre la meringa su ciascuna mezza mela ed infornare subito. Lasciar cuocere finchè la meringa non è soda in superficie (all’interno resterà più morbida).

eventi&co, foodblogging, news

Oggi il forno è spento: vi parlo un po’ di me!

Un passaparola si aggira furtivo in rete da qualche mese…e mi son detta che sia un richiamo anche per me?
 
“Blogger We Want You!” è la ricerca che Grazia.it lancia per trovare i propri blogger-collaboratori.
Del magazine Grazia.it io sono addict delle sezioni lifestyle e fashion… ma è su itblogs che vado ad arenarmi: ancora una volta sulle blogger che scrivono di lifestyle, fonte inesauribile di spunto e divertimento, e sulle “food”: ilcavolettodibruxelles vi dice qualcosa? 😉

Adesso tocca a me presentarmi: blogger nell’animo, mi trovate sempre in rete, finestra smisurata su un mondo che vorrei toccare. Un po’ retrò nella sostanza, ho uno stile di vita anni ’50: lentezza in cucina e cene allestite a modo, oggetti vissuti che raccontano una storia, profumo di pane tra le pareti domestiche, torta fatta in casa a colazione, la spesa al mercato su una bici stracarica e sgangherata. Impasto e inforno, friggo, trito e taglio, salto e condisco…e la cucina è il posto dove proprio non riesco a stare ferma.
Questo bombardamento culinario si svolge in una casa con cortile, in una zona tranquilla della mia città, Torino, a cinquanta piccoli saltelli dal Po.

La mia cucina non è solo una coccola per il cuore e lo stomaco, ma è il pretesto per scoprire e raccontare storie avvicenti. Come una Indiana Jones al femminile, in gonnella e grembiule, ricerco e trovo viaggi millenari di cibi che hanno attraversato il globo in lungo e in largo; storie di produttori appassionati che oggi riscoprono il valore della tradizione e del “fatto con amore”; ricette che, come formule magiche, si trovano condivise da madri di famiglia a chilometri di distanza, seguendo i flussi migratori e le vicende storiche, mutando nel nome ma spesso non nella sostanza.
Non di sole ricette ci si nutre qui, ma di pittura e arte, storia e letteratura, e il cibo diventa un succoso pretesto per chiacchierare.
Così accade che vi racconti di un antico piatto piemontese, mentre vi mostro uno dei palazzi più curiosi di Torino, poi, all’ora del té, approfondiamo insieme la conoscenza di una pittrice americana del XIX secolo; più tardi, rendiamo giustizia a Maria Antonietta che non disse mai <<che mangino le brioches…>> e nel frattempo le prepariamo in casa; facciamo un salto a Perugia o a Lisbona… o in tempo di Carnevale e fritole a Venezia.

La mia cucina è un atto d’amore, non solo verso chi si siede a tavola con me, ma anche verso me stessa, e se è normale dedicare del tempo a scegliere cosa mettere addosso, ai capelli, al trucco, ancora più importante è dedicare del tempo a cosa si mette in pancia.
L’atmosfera che mi piace comunicare è quella di una cucina alla portata
di tutti
, una cucina di casa, che sia quotidiana o soltanto domenicale, per il puro gusto di prendersi cura di chi amiamo.
Riscoprire la lenta cucina tradizionale, non vuol dire fare sempre i
salti mortali: talvolta basta organizzarsi con un po’ di anticipo e con i tanti alleati che oggi, al contrario di un tempo, abbiamo in cucina, dagli elettrodomestici al congelatore.
Da qualche mese sto dedicando più attenzione alla fotografia…la strada è ancora lunga, ma molto stimolante!
Ora non mi resta che fare appello ai miei “25 lettori” per raccogliere qualche voto e concorrere a “Blogger We Want You” per Grazia.it. Basta cliccare qui o sul bottoncino a lato, per entrare sul mio profilo e regalarmi un cuoricino!

ai fornelli, dolci, ricette tradizionali

Le bugie che uniscono l’Italia… Il dolce di Carnevale più amato e conosciuto

bugie-chiacchiere-cenci
Forse e senza forse, le bugie sono il dolce carnevalesco più conosciuto e diffuso, tanto che tutte le regioni d’Italia ne hanno la propria versione e danno loro un nome tipico, caratteristico ed evocativo.
 

Read more

Le bugie che uniscono l’Italia… Il dolce di Carnevale più amato e conosciuto" class="facebook-share"> Le bugie che uniscono l’Italia… Il dolce di Carnevale più amato e conosciuto" class="twitter-share"> Le bugie che uniscono l’Italia… Il dolce di Carnevale più amato e conosciuto" class="googleplus-share"> Le bugie che uniscono l’Italia… Il dolce di Carnevale più amato e conosciuto" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2014/02/bugie-chiacchiere_evid.jpg" class="pinterest-share">
ai fornelli, lievitati, pane&co, ricette tradizionali

Panini americani da hot-dog Soffici e gustosi perfetti per gli hot-dog fatti in casa

Come promesso ieri, ecco che dopo il ketchup, arriva la ricetta dei panini da hot-dog.
Sono molto sostanziosi, contengono latte, burro e uova. 
Perchè farli, dunque? Perchè vale il principio del “va bene una volta ogni tanto” e perchè quelli acquistati non sono buoni: sono normalmente intrisi di alcool etilico per conservarli, come gli altri pani in busta, anche quelli affettati, e contengono altri additivi.

 

Quindi per regalarsi ogni tanto una american style dinner fra amici, meglio prepararli in casa, con un procedimento semplicissimo!
Con questa ricetta si possono fare anche i buns da hamburger; la forma in quel caso sarà tonda!

Panini da hotdog

per circa 7-8 panini per hot dog (la ricetta originale con queste dosi consiglia 6 pezzi, ma guardate le foto e considerate se per voi la grandezza dei panini è soddisfacente):
340 g di farina 0
1 cucchiaino di lievito di birra liofilizzato (3,5 g)
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaino di sale fino
25 g di burro
75 g di acqua
100 ml di latte
2 tuorli d’uovo

In una ciotola capiente, o in quella dell’impastatrice, mettere tutti gli ingredienti secchi: farina, sale, zucchero e lievito e mescolare.
In un pentolino scaldare la’cqua con il burro, fino a farlo sciogliere completamente, poi aggiungere il latte e controllare che la temperatura sia intorno ai 50°C.
A questo punto aggiungere il mix liquido a quello secco, impastando prima con una forchetta e poi con le mani, o lasciando andare l’impastatrice per 10 minuti.
Quando l’impasto si forma aggiungere il primo tuorlo e poi a seguire il secondo quando il primo è ben assorbito.
Raggiunti i 20 minuti di impasto, mettere a lievitare in uan ciotola leggermente unta, in luogo tiepido.
Quando l’impasto è raddoppiato, prenderlo e sgonfiarlo,
Ricavarne porzioni da 60 g l’una. Riprendere ogni porzione e arrotolare la pasta su se stessa, per darle forza, poi formare dei rotolini lunghi circa 12-14 cm.
Così come in foto sono venuti belli cicciotti, se li preferite più sottili e lunghi, tirateli di più alle estremità, sempre con molta delicatezza.
Deporre tutti i panini su una teglia ricoperta di carta forno infarinata ed attendere il raddoppio (circa un’ora).
Scaldare il forno a 210°C, spennellare i panini con un po’ di latte ed infornarli per 10-15 minuti, controllando la doratura.

 

 

 

Per farcirli ho usato dei wurstel bolliti, il mio ketchup fatto in casa, un poco di senape e i crauti marinati di Giulia. Secondo me sono ottimi se accompagnati dalle chips di Marina.
I crauti devono essere marinati in anticipo; prima di portarli in tavola io li passo in pentola, aggiungendo cipolla e qualche cucchiaio d’olio e irrorandoli durante la cottura con la marinatura. Per farli diventare morbidi occorrono circa 40 minuti, ma potete anche decidere di lasciarli più croccanti.
Panini americani da hot-dog Soffici e gustosi perfetti per gli hot-dog fatti in casa" class="facebook-share"> Panini americani da hot-dog Soffici e gustosi perfetti per gli hot-dog fatti in casa" class="twitter-share"> Panini americani da hot-dog Soffici e gustosi perfetti per gli hot-dog fatti in casa" class="googleplus-share"> Panini americani da hot-dog Soffici e gustosi perfetti per gli hot-dog fatti in casa" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2014/02/panino-hotdog_3-565x660.jpg" class="pinterest-share">